Mentre i co. 1-4 in materia di recesso (rectius licenziamento) individuale presentano una semantica criptica, fonte di dubbi e incertezze per l’interprete, sia pure superabili come si è visto, il co. 6 adopera una terminologia più chiara, rife- rendosi espressamente ai “licenziamenti collettivi”.
In realtà anche il testo del co. 6 contiene un’espressione poco limpida, lì dove, proprio in esordio, viene delineato il presupposto di applicazione delle spe- ciali regole in tema di licenziamento collettivo in seno a liquidazione giudiziale. La disposizione recita, infatti, che le norme di cui alle seguenti lett. a)-g) trovano ap- plicazione “nel caso in cui il curatore intenda procedere a licenziamento collet- tivo…”, quasi postulando una mera facoltà di attivare la procedura limitativa ivi
273 Tale è, senza dubbio, quella di cui al d.l. 28 settembre 2018, n. 109, conv. con l. 16 novembre
2018, n. 130, che all’art. 44 ha ripristinato la possibilità di ricorrere alla c.i.g.s., per gli anni 2019 e 2020 in caso di cessazione dell’attività per crisi aziendale, sino ad un massimo di dodici mesi com- plessivi, quando “sussistano concrete prospettive di cessione dell'attività con conseguente riassorbi- mento occupazionale (…) oppure laddove sia possibile realizzare interventi di reindustrializzazione del sito produttivo, nonché in alternativa attraverso specifici percorsi di politica attiva del lavoro posti in essere dalla Regione interessata”. A fianco di questa si può altresì ricordare la disciplina emergenziale dettata per fronteggiare la crisi pandemica da covid-19, che contempla alcune ipotesi derogatorie di cassa integrazione gudagani.
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disciplinata. Si è, tuttavia, condivisibilmente ritenuto274 che il curatore non sia li-
bero di decidere275 se attivare o meno la procedura ex l. 223/91 per come derogata
dallo stesso CCII, altrimenti il precetto dello stesso co. 6 risulterebbe con buona probabilità costantemente ignorato, visto che per gli organi della procedura concor- suale non v’è alcuna convenienza nell’osservare il sistema di regole in materia di licenziamenti collettivi, approntato dal legislatore a maggiore beneficio degli occu- pati. La soluzione è peraltro coerente con l’intenzione della Commissione Rordorf, palesata nella Relazione del suo presidente, che così si esprimeva, non lasciando dubbi circa la necessaria osservanza del regime vincolistico: “Le anzidette regole generali sono state perciò tenute ferme con una semplificazione per la procedura di licenziamento collettivo, posto che in molti casi la necessità di dismettere il perso- nale dovrebbe essere pressoché scontata per il venire meno dell’azienda. Si assicura così che il recesso non possa che avvenire per giustificato motivo obiettivo o sulla base di procedura di licenziamento collettivo”. Inoltre, la prospettiva della libera attivazione della procedura di informazione e consultazione sindacale si porrebbe in sicuro contrasto con il diritto eurounitario276, che ne pretende l’obbligatorietà
salvo alcuni casi tassativamente indicati277.
Chiarito che la procedura non è attivabile ad libitum resta da comprendere in quali casi sia effettivamente obbligatorio farvi ricorso. Il dettato normativo è, anche in tal caso, molto chiaro e ricalca la disciplina “comune” di cui alla L. n. 223/91, salvo alcune modifiche operative tese a velocizzare l’iter.
Così, allorquando il curatore, nell’ambito di un’impresa in liquidazione giu- diziale che abbia più di quindici dipendenti, debba effettuare più di 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni, non potrà né procedere secondo le disposizioni del co. 3 né secondo l’ordinaria regolamentazione del licenziamento collettivo per le imprese in
bonis. La procedura disciplinata dal co. 6 inizia, come quella di diritto comune, con
274 V. NUZZO, La disciplina dei contratti pendenti di lavoro nella liquidazione giudiziale, cit.,
p. 1476: “Il verbo non deve però trarre in inganno. Se il curatore fosse libero di decidere se procedere o meno alla informazione e consultazione sindacale prevista dalla disposizione si avrebbe una sicura violazione della direttiva n. 98/59/CE. Essa, infatti, non trova applicazione esclusivamente nei casi indicati (tassativamente) dalla clausola 1.2, tra cui non compare la liquidazione giudiziale”. In tal senso si v. anche M. NICOLOSI, Rapporti di lavoro e procedure liquidatorie dell’impresa, cit., pp. 256-257.
275 Anche secondo P. LAMBERTUCCI, Liquidazione giudiziale e licenziamenti collettivi, in Giu-
stiziacivile.com, 27 marzo 2020, p. 4, il curatore è tenuto ad attivare la procedura.
276 C. giust., 3 marzo 2011, da C-235/10 a C-239/10, Claes e altri, cit.; C. giust., 7 settembre
2006, da C-187/05 a C-190/05, Agorastoudis e altri, in FI, 2007, IV, p. 270.
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la comunicazione preventiva da parte del curatore alle rappresentanze sindacali aziendali o alle rappresentanze sindacali unitarie, nonché alle rispettive associazioni di categoria (cioè il sindacato esoaziendale), che deve altresì essere trasmessa all’Ispettorato territoriale del lavoro del luogo ove i lavoratori interessati prestano in prevalenza la propria attività e, comunque, all’Ispettorato territoriale del lavoro del luogo ove è stata aperta la liquidazione giudiziale. A mente della lett. b) la co- municazione deve presentare pressappoco il medesimo contenuto di cui all’art. 4, co. 3, L. 223/91. Qualora venga richiesto dalle parti sindacali entro sette giorni dalla data del ricevimento della comunicazione, può svolgersi un esame congiunto, che, tuttavia, deve concludersi entro soli dieci giorni dal suo inizio, salvo che il giudice delegato, ricorrendo “giusti motivi”, ne autorizzi la proroga per un termine comun- que non superiore a dieci giorni. È, dunque, evidente che il ruolo del sindacato ri- sulti “compresso”278 e che la valorizzazione del paradigma della celerità non sia
d’aiuto nella ricerca di soluzioni, anche ove concretamente percorribili, che possano essere consacrate in un accordo soddisfacente. La valutazione è di ordine mera- mente quantitativo ma contiene in sé una semplice verità: l’eccessiva contrazione dei tempi entro cui dovrebbe svolgersi l’esame congiunto e la ricerca di un esito concordato alla crisi (non solo economica ma anche occupazionale) produce con- seguenze nefaste in punto di garanzie sociali279. La norma, infatti, non pare dettata
con il reale scopo di velocizzare il corso della procedura concorsuale, ma più con l’obiettivo di liberare il più rapidamente possibile la procedura da un “intralcio” quale è sovente considerato il sistema partecipativo congiunto. È ben noto, difatti, che i tempi dei fallimenti (e, dunque, anche delle liquidazioni giudiziali) siano molto lunghi e per quanto il CCII abbia previsto numerose innovazioni tese a una più rapida conclusione della procedura, non sarebbero per certo i quarantacinque giorni di cui al co. 6, art. 4, L. 223/91 a inficiarne l’andamento. Ad avviso di chi scrive sarà, poi, del tutto inservibile la possibilità di proroga, a meno che non venga richiesta sin da al primo giorno e – dunque – senza un reale saggio dei giusti motivi, giacché i tempi dei tribunali non sono compatibili con la scansione temporale dise- gnata dal legislatore. Sarebbe, forse, stato più sensato lasciare intonso il termine di
278 V. NUZZO, Il recesso del curatore nella liquidazione giudiziale, cit., p. 69.
279 In tal senso M. NICOLOSI, Rapporti di lavoro e procedure liquidatorie dell’impresa, cit., p.
252, secondo la quale l’eccessivo ridimensionamento dei tempi “oltre a rendere estremamente dif- ficoltoso il raggiungimento di un’intesa (…) rivela una scarsa considerazione del legislatore per l’istituto partecipativo”.
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quarantacinque giorni e prevedere, semmai, a istanza del curatore la possibilità di ottenere una riduzione, quanto vi siano manifeste ragioni per non proseguire nell’esame congiunto, ossia quando a causa dello stato di decozione sia obiettiva- mente impossibile reimpiegare il personale. Ma sarà la pratica a indicare se i mec- canismi ideati dalla Riforma saranno effettivamente pregevoli o, al contrario, poco funzionali, come si sospetta. Nel corpo dell’art, 189, co. 6, non è poi contemplata la fase amministrativa e l’Ispettorato territoriale del lavoro può solo partecipare all’esame congiunto, avendo anche potere di convocarlo, in caso di inerzia dei sin- dacati, ma solo se l’avvio della procedura di licenziamento collettivo non sia stato determinato dalla cessazione dell’attività dell’azienda o di un suo ramo, dunque – pare di capire – quando vi sia stato subentro nei rapporti di lavoro o dichiarazione di apertura dell’esercizio ex art. 211 CCII. Una volta terminata la procedura o re- datto l’accordo con le parti sociali, “il curatore provvede a ogni atto conseguente ai sensi dell’art. 4, co. 9, della L. n. 223/1991”280, quindi a licenziare i lavoratori coin-
volti nella procedura stessa.
Le norme dettate in materia di licenziamento collettivo, fatti salvi i rilievi in punto di durata dell’esame congiunto, non presentano particolari problemi di coor- dinamento con il sistema lavoristico, dal momento che la procedura costituisce il
quasi perfetto calco della disciplina di cui alla L. n. 223/91.
Quanto alla disciplina rimediale, in ossequio alle disposizioni della legge delega che imponeva al riformatore il mero coordinamento con la disciplina lavo- ristica vigente, non sono introdotte novità. Restano, dunque, intatti gli istituti san- zionatori di cui all’art. 18 st. lav. e, per gli assunti dopo il 7 marzo 2015, le tutele poste dal d.lgs. n. 23/2015.
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C
APITOLOIV
I
L CONCORDATO PREVENTIVO TRA LIQUIDAZIONE E CONTINUITÀSOMMARIO:1. Le finalità del concordato con continuità aziendale: una lettura lavoristica dell’art. 84. – 2. Il mantenimento dei livelli occupazionali quale parametro per la misurazione dell’effi- cienza della continuità aziendale (art. 84, co. 3). – 3. I contratti pendenti: l’inapplicabilità al rapporto di lavoro dell’art. 97. – 4. La continuità quale presupposto per l’autorizzazione al pa- gamento dei creditori pregressi: l’art. 100, co. 1, ult. per. CCII.
1. Le finalità del concordato con continuità aziendale: una lettura lavoristica