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Limited animation e tokusatsu: animare i disegni, rianimare il reale

1. Dal dopoguerra al dopobolla: il cinema giapponese tra serialità, intertestualità e intermedialità . 19

1.2 Limited animation e tokusatsu: animare i disegni, rianimare il reale

Alcuni ricercatori, come Thomas Lamarre e Marc Steinberg, hanno indagato le peculiarità tecniche dell'animazione giapponese e da queste sono partiti per spiegare la sua propensione alla transmedialità e al media mix. In questo paragrafo si vuole mostrare come sia possibile proporre un'analisi delle tecniche di messa in scena e degli effetti speciali di film e serie televisive dal vivo, dello stesso periodo preso in esame da quegli studi, per arrivare a un parallelismo tra animazione e produzioni dal vivo che mostri l'eguale propensione delle produzioni dal vivo verso transmedialità e media mix. Le numerosissime produzioni con effetti speciali che si sono susseguite dai tardi anni Cinquanta, moltiplicatesi negli anni Sessanta e Settanta, mostrano come nell'industria dei contenuti giapponese del dopoguerra i confini tra media e formati siano sempre stati labili – una caratteristica dunque non esclusiva dell'animazione, ma appannaggio anche delle produzioni dal vivo, a formare una rete unica di traduzioni, adattamenti, scambi e sconfinamenti tra cinema, televisione, animazione, fumetto, radio, giochi e altri mezzi ancillari come colonne sonore, gadget, merchandising.

Thomas Lamarre parla di due possibili tecniche di animazione: da un lato si può “disegnare il movimento”, una tecnica propria dell'animazione tradizionale, dall'altro si può “muovere i disegni”, ovvero indurre il movimento da disegni statici, con un effetto di movimento relativo. Se “disegnare il movimento” significa “ricomporre il movimento, dato che i movimenti della figura sono prima scomposti”, al contrario “muovere i disegni” significa “portare in gioco una complessa rete di relazioni mobili tra primo piano, sfondo e spettatore”.99

La prima tecnica è chiamata animazione piena (full animation), più dispendiosa in termini di lavorazione, con un numero di disegni elevato per ogni unità di tempo, e per questo più spesso utilizzata in produzioni cinematografiche; la seconda animazione limitata (limited animation), più veloce, dato che prevede un minor numero di disegni, e per questo più spesso utilizzata in produzioni televisive, che hanno tempi di lavorazione e budget minori, utilizzando “una serie di scorciatoie (…) per esprimere un senso di movimento (…) con i più limitati dei mezzi”.100

Lamarre argomenta che l'animazione limitata si sia diffusa particolarmente in Giappone, influenzando metodi produttivi e l'estetica dell'animazione stessa, venendo a creare quel fenomeno generalmente noto come anime (アニメ), contrazione con cui è conosciuta l'animazione giapponese. Lo scopo di Lamarre non è “identificare e consolidare differenze tra animazione e anime,” cioè tra la tradizione occidentale e quella giapponese di animazione, “[p]iuttosto, è un tentativo di pensare tra i media, al fine di esplorare le modalità in cui

99 Thomas Lamarre, “From Animation to Anime: Drawing Movements and Moving Drawings”, Japan Forum, vol. 14 n. 2, 2002, p. 330.

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approcci differenti al movimento possono avere grande impatto su narrazione, generi e spettatorialità”.101

L'accento sull'animazione limitata non è quindi il tentativo di una identificazione totalizzante, considerato come nell'industria creativa giapponese esistano molti esempi di animazione piena, quanto la proposta di utilizzare l'analisi degli effetti dell'animazione limitata nel campo dell'animazione giapponese per mettere in evidenza le caratteristiche sistemiche cui ha portato il suo utilizzo: “Tra gli anni Sessanta e i Settanta, gli anime nacquero come una forma distinta di espressione. La consapevolezza di un'estetica distintiva degli anime crebbe a partire dall'arte della 'animazione limitata'”.102

Il riferimento è in particolare a Astro Boy (鉄腕アトム, Tetsuwan Atomu), un manga creato da Tezuka Osamu nel 1952, trasposto in serie televisiva animata nel 1963 in 193 episodi in bianco e nero trasmessi da Fuji Tv, per cui “l'emergere di una estetica degli anime è generalmente fatta risalire alle limitazioni tecniche proprie delle produzioni anime durante la crisi economica globale dell'animazione negli anni Sessanta”.103

Da una limitazione tecnica ed economica si sviluppa così una estetica riconoscibile: “L'animazione iniziò a mettere l'accento sulle pose visivamente ed emotivamente più importanti, che potevano occupare anche molti, molti fotogrammi”.104

La consapevolezza nell'uso di una nuova modalità tecnica, con un'animazione meno fluida e meno mimetica rispetto al movimento per come lo si percepisce nella quotidianità, permette dunque di iniziare a sperimentare un nuovo tipo di visione: “L'animazione limitata diede anche forma a un nuovo tipo di visione e consumo, uno che comprendeva scansione, rilettura, ricerca di informazioni, conoscenza tecnica e così via”.105 Il fatto che i movimenti siano meno fluidi, o che un disegno fisso rimanga per più tempo nel campo visivo, favorisce un lavoro di analisi da parte dello spettatore, spinto a saggiare i dettagli del disegno, le sue qualità e i suoi rapporti con il movimento stesso: “L'emergere degli anime coinvolse una nuova consapevolezza nei produttori e negli spettatori, una nuova esperienza che può essere chiamata 'animetografica' [animetic] o (…) anime-grafica [anime-ic]”.106 Lamarre riprende il termine “anime-grafico” da Thomas Looser, che lo utilizzava in contrapposizione a “cinematografico” (cinematic), in riferimento ai film dal vivo.107 L'animazione limitata, secondo questa ricostruzione, porta a un differente apparato visivo: “Gli anime, per come sono emersi dall'animazione limitata, hanno creato una consapevolezza del processo di decodifica che è parte di qualsiasi ricodifica delle azioni dal vivo (…)”.108

Da questa prospettiva, l'animazione conserva molte differenze rispetto al cinema dal 101 Ivi, p. 330. 102 Ivi, p. 335. 103 Ibidem. 104 Ibidem. 105 Ivi, p. 337. 106 Ivi, pp. 337-338.

107 Cfr. Thomas Looser, “From Edogawa to Miyazaki: Cinematic and Anime-ic Architectures of Early and Late Twentieth-Century Japan", Japan Forum, vol. 14 n. 2, 2002, pp. 297-327.

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vivo, perché certe leggi, come la gravità, sono inerentemente parte di ciò che viene registrato dalla macchina da presa nei film dal vivo. Eppure, anche nei film dal vivo, se non si ricostruisce, e quindi ricodifica, con attenzione una luce e una profondità naturali tramite mezzi artificiali o accorgimenti tecnici, si finisce con l'avere una indistinzione tra sfondo e personaggi e uno sfondo senza profondità: “La profondità cinematografica non è meno costruita della profondità nelle altre arti. Semplicemente, ha maggiore presa sui nostri sensi rispetto a quello che è la profondità reale”.109 Lamarre quindi non propone una contrapposizione banale tra cinema dal vivo come “oggettivo” e animazione come “fantastica” o “irreale”, al contrario descrive entrambi i media come parti di un processo di ricostruzione della realtà, ciascuno però secondo canoni e possibilità differenti, dove l'animazione limitata si distingue ancora rispetto all'animazione piena. In questo senso, anzi, è proprio il “montaggio interno all'inquadratura” negli anime che, una volta che ci si è abituati alle sue logiche, permette di fare “maggiormente caso a, piuttosto che essere sospettosi di, la presunta naturalezza del mondo registrato dalla macchina da presa dei film dal vivo. Così sembra che il cinema, come gli anime, abbia già trasformato il mondo in strati di informazione e li abbia 'composti' (…)”.110

Dato che vi sono differenze tra gli intervalli che disegna la mano e quelli che utilizza l'otturatore, inoltre, il lavoro dell'animatore non è realmente una replica esatta delle procedure della macchina da presa. È una loro ricodifica, ovvero una decodifica del film dal vivo che porta a una codifica in una modalità differente nel contesto animato; qualcosa di diverso quindi da replicare, copiare o riprodurre. Queste differenze non sono mere differenze di grado: non è semplicemente che la cinematografia basata sulla fotografia sia più accurata o reale di dipinti o disegni. L'animazione presenta qualita del movimento che differiscono profondamente dal cinema dal vivo: “Concettualmente, la nozione di ricodifica fornisce un modo di discutere differenti qualità del movimento che potenzialmente sorgono nei differneti usi dei media filmici – o persino tra i media”.111

Anche quando l'animazione segue da vicino i modelli del cinema dal vivo, non copia o replica meramente. Ricodifica, e quindi decodifica: “Decodificare va' oltre una imitazione o riproduzione del cinema dal vivo e apre nuove possibilità di espressione”.112

Fare caso alla scomposizione del movimento negli anime porta così a porsi in modo problematico anche di fronte all'apparente neutralità della ricostruzione cinematografica.

Nell'animazione limitata, in effetti, gli animatori elidono le posizioni intermedie del movimento. Ad esempio, per rappresentare una figura che cammina, è possibile rendere la camminata usando solo tre disegni, una gamba in avanti, le gambe insieme, l'altra gamba in avanti. Il risultato è riconoscibile come una persona che cammina, anche se viene decodificato come un 109 Ivi, p. 360. 110 Ivi, p. 345. 111 Ivi, p. 331. 112 Ivi, p. 333.

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movimento scattoso, che mantiene una certa artificialità, come se la figura diventi un macchinario, una macchina. In potenza, tutto assume l'aspetto di un oggetto – le figure umane, quelle animali, le pietre, gli alberi, le folle, i pianeti – perché chi osserva è consapevole degli intervalli tra le immagini, tra le posizioni del movimento, tra le superfici. Eppure a un certo punto

gli animatori iniziano a pensare all'animazione limitata come a una forma di espressione distinta, come a un'attrazione. E a quel punto la 'tensione' [jitter] – la scattosità o saltellosità [skippiness] – nella figura animata diventa centrale nella storia. L'assenza di storia o elementi non narrativi cominciano ad avere un impatto sulle storie, a permeare le narrazioni e a generare nuove narrazioni. (…) E le storie alla Tezuka, in cui si inizia a comprendere l'umanità dell'automa, lasciano velocemente il posto a narrazioni in cui tutti, tutto, è macchinico, degli automi.113

La consapevolezza di animatori e spettatori della diversità dell'animazione limitata, che si discosta dall'apparato mimetico rispetto al movimento per come è percepito nella realtà, crea un processo di analisi che porta in primo piano le qualità estetiche di questa diversa modalità di rappresentazione del movimento. Queste qualità estetiche iniziano ad acquistare un peso anche nella struttura delle storie, sono dei fattori esterni alla narrazione che diventano parte integrante delle narrazioni stesse. Nel semplificare le linee che compongono il disegno, al fine di rendere in apparenza più fluido ciò che in realtà fluido non è, per via della tecnica di elisione adottata dalla animazione limitata, le figure animate si discostano progressivamente dalle leggi fisiche reali e creano un universo narrativo autonomo: “Questo è perché la semplificazione riduce drasticamente il nostro senso di peso e massa delle figure”.114

Le figure animate non sono quindi costrette a rassomigliare ai loro equivalenti in natura simulando le leggi naturali della fisica. In essenza, tendono a diminuire questa “corrispondenza-di-rassomiglianza”, attraversate da forze innaturali, tra cui la “assenza di peso” è la più evidente. L'assenza di peso delle figure “sembra essere generata dalla configurazione del corpo del personaggio,” anche se possono essere incluse delle spiegazioni narrative per questa configurazione.115 Questi movimenti meccanici, per cui l'animato tende all'inanimato, portano a riflettere anche sul rapporto tra personaggi in primo piano e sfondo. Nell'animazione limitata, le figure animate si muovono sopra a uno sfondo, vi scorrono sopra: “Le relazioni tra primo piano e sfondo sono facilmente enfatizzate, talvolta intenzionalmente, altre no; e, anche se ci sono indizi visuali definiti per permettere di orientare la direzione del movimento, a volte è difficile dire quale si stia muovendo, la figura in primo piano o il paesaggio sullo sfondo”.116 Lamarre fa un parallelismo con la tecnica per cui in alcuni film dal vivo, nelle riprese interne a un 113 Ivi, p. 339. 114 Ivi, p. 345. 115 Ivi, p. 347. 116 Ivi, p. 361.

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auto, si vede scorrere uno sfondo artificiale fuori dall'auto, per dare l'idea del movimento, quando in realtà l'auto stessa è ferma – anche per abbattere i costi delle riprese di un veicolo in movimento. La tecnica svela però una disparità percettiva, perché mentre l'abitacolo presenta una profondità, lo sfondo ne è privo, è una superficie piatta: “Questa separazione di profondità può essere particolarmente pronunciata negli anime. Negli anime si può spesso notare lo slittamento tra i piani, specialmente tra primo piano e sfondo. Anche quando sono utilizzati strati o piani multipli, lo slittamento di un piano sopra, sotto o attraverso un altro rimane parte dell'esperienza visiva”.117 Queste tecniche dell'animazione limitata, per quanto spesso siano adottate semplicemente per la ristrettezza del budget, possono essere anche una scelta stilistica, adottata in determinati casi per evocare determinati effetti: Lamarre analizza da questo punto di vista il caso di Miyazaki Hayao, in particolare Il castello nel cielo (天空の城ラピュタ, Tenkū no shiro Raputa, 1986), per cui, nella scena della caduta della protagonista Sheeta, Miyazaki adotta inquadrature e tecniche dell'animazione limitata per trasmettere il senso di “assenza di peso” della protagonista. Il discorso di Lamarre è utile dunque per comprendere come ciascun medium adotti un senso del movimento e del rapporto tra i piani diverso e non ve ne sia uno naturale o corretto in contrapposizione agli altri: “Ci sono differenze potenziali tra cinema e animazione nella loro rappresentazione del movimento – qualità ed esperienze differenti di movimento”.118

L'anime-grafico, in relazione al cinematografico, è dunque un termine che designa “una particolare qualità di movimento e di non-movimento”119 all'interno dell'animazione e può essere inteso come “la (de)costruzione dello spazio e del tempo all'interno della struttura, che spesso disturba la percezione degli eventi dello spettatore tramite interruzioni del movimento peculiari e la vitalità del testo”.120

Caroline Ruddell applica questo frame analitico alla serie animata di Inuyasha (戦国御伽草子 犬夜叉, Sengoku otogizōshi Inuyasha), manga fantastico creato da Takahashi Rumiko nel 1996 e concluso nel 2008, per un totale di 56 volumetti, trasposto prima in 167 episodi per la televisione, tra il 2000 e il 2004, quindi in un arco finale di storie comprensivo di 26 episodi, tra il 2009 e il 2010. Ruddell argomenta come, specialmente nelle scene di scontri, “spazio e tempo siano perturbati tramite il congelamento dell'immagine in primo piano del personaggio”,121

per cui

il 'fermarsi', o rallentare, dell'azione proprio all'interno delle sequenze d'azione concentra l'attenzione meno sullo sviluppo della battaglia che su Inuyasha e i suoi rinnovati poteri. (…) I momenti di quiete instaurano quindi una relazione problematica sia con lo sviluppo della narrazione che con le relazioni

117 Ibidem. 118

Ivi, p. 362.

119 Caroline Ruddell, "From the ‘Cinematic’ to the ‘Anime-ic’: Issues of Movement in Anime", Animation, vol. 3 n. 2, 2008, p. 114.

120 Ivi, p. 115. 121

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spaziali (…); sono istanze come queste nella serie, in cui i protagonisti sono congelati nel mezzo dell'azione, che deviano l'attenzione da aspetti come lo sviluppo narrativo e invece invitano gli spettatori a concentrarsi sulle implicazioni emotive e psicologiche delle azioni dei personaggi (…). Questi esempi di 'perturbazione' nell'episodio riguardano le qualità anime-grafiche della rappresentazione nella serie e nonostante questi momenti interrompano le sequenze d'azione e la narrazione, si può dire che gli spettatori siano 'ancorati' al testo dato che questi momenti congelati o rallentati enfatizzano aspetti dello sviluppo o delle emozioni del personaggio.122

Le proprietà dell'animazione limitata, unite alla sensibilità estetica venutasi a creare con l'ascesa degli anime, istituiscono un apparato anime-grafico per cui il congelamento o il rallentamento del movimento di un disegno che scorre immutato su uno sfondo o sulle linee di forza aggiunte per donare cinetismo all'immagine da espediente tecnico si trasforma in processo narrativo. Lo spettatore viene scollegato dal fluire del racconto, che è di fatto interrotto, ma ha così modo di concentrarsi sull'immagine principale del protagonista e quindi far sedimentare le emozioni che questo sta vivendo. Ruddell suggerisce come l'effetto sia simile al voyeurismo collegato alla narrazione del cinema classico in cui il primissimo piano dell'immagine femminile interrompeva il fluire della storia,123 o in termini più contemporanei all'utilizzo degli effetti speciali in CGI nei film dal vivo, per cui la loro presenza è spesso moltiplicata da un rallentamento o un congelamento dell'immagine (come il bullet-time di Matrix).124 In questo senso, “le qualità dirompenti di come il movimento è rappresentato negli anime spinge all'apprezzamento da parte di chi guarda allo spettacolo e ai modi dinamici di indirizzamento nel testo così come a una messa a fuoco sullo sviluppo del personaggio (…)”.125

Si forma così quasi un paradosso, per cui proprio la staticità o il rallentamento delle immagini porta a una loro vivificazione, perché l'attenzione dello spettatore si sposta dal fluire della narrazione alle profondità emotive del personaggio, e questo nonostante la superficie espressiva dell'animazione sia piatta (a differenza del cinema dal vivo) – come sottolineava già Lamarre, riprendendo il discorso dell'artista Murakami Takashi sul “superpiatto” (superflat).126

Emerge in questo senso la “immobilità dinamica dell'immagine”, come la chiama Marc Steinberg,127 ovvero quel processo per cui il nucleo attrattivo degli anime diventa proprio il congelamento iconico delle immagini che porta in primo piano la presenza dei personaggi quale

122

Ivi, pp. 120-121.

123 Cfr. Ivi, p. 121. L'autrice fa riferimento in particolare alla lettura di cinema classico data da Laura Mulvey in Visual and Other Pleasures, Palgrave Macmillan, Basingstoke-New York 1989.

124 Cfr. Ivi, p. 123. 125

Ivi, p. 126.

126 Cfr. Murakami Takashi, Superflat, Madora Shuppan, Tokyo 2000 e Id. (a cura di), Little Boy: The Arts of Japan's Exploding Subculture, Yale University Press, New York 2005.

127 Marc Steinberg, Anime's Media Mix. Franchising Toys and Characters in Japan, University of Minnesota Press, Minneapolis-London 2012, p. 6.

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nesso con gli altri media. Nella lettura di Steinberg, l'animazione limitata sposta l'attenzione dalla narrazione e le storie ai personaggi ed è questa centralità delle immagini fisse in un medium in movimento come l'animazione che permette il passaggio dei personaggi da un medium all'altro, favorendo così la nascita di un sistema transmediale che in Giappone prende il nome di media mix. Steinberg torna spesso a sottolineare come sia questa caratteristica a rendere centrale l'animazione in tale sistema, per cui il media mix “non può essere pensato separatamente dal fenomeno mediale che ha favorito la fama e l'acclamazione del Giappone negli ultimi decenni: gli anime”.128 E ancora: “La forma odierna di media mix può e deve essere analizzata dal punto di vista privilegiato dello sviluppo del sistema degli anime”.129

Le argomentazioni di Steinberg a favore di questa presa di posizione sono documentate e approfondite, collegando lo sviluppo dell'animazione limitata in Giappone, proprio a partire dalla messa in onda di Astro Boy nel 1963, alla derivazione diretta dai manga e prima ancora dal kamishibai (紙芝居, “dramma di carta”), una forma di teatro di strada basato su immagini fisse disegnate accompagnate da una narrazione orale, esplosa soprattutto nel periodo tra le due guerre mondiali e continuata almeno fino agli anni Cinquanta.130 Le limitazioni tecniche, economiche e temporali che hanno portato alla messa in onda della serie televisiva animata di Astro Boy, quale esempio principale di animazione limitata, avrebbero insomma portato all'emergere di un apparato anime-grafico in grado di sostenere da solo la convergenza transmediale, sfruttando la centralità delle immagini fisse nel palinsesto di movimento dell'animazione per diffondersi su altri media, in particolare grazie al merchandising, con il boom delle figurine di Astro Boy, diffusesi con straordinaria potenza in Giappone nella seconda metà degli anni Sessanta. In quest'ottica, la “immobilità dinamica dell'immagini” negli anime, con la centralità guadagnata dalle pose più tipiche dei suoi protagonisti disegnati, è in grado di essere riprodotta su media diversi e circolare liberamente tra gli spettatori/consumatori grazie anche al passaggio per merchandising e pubblicità: “Per gli anime, la limitazione del movimento fu la condizione positiva per la loro formazione come uno stile e per lo sviluppo della comunicazione transmediale su cui essi si basano”.131

Steinberg legge questo processo come uno scostamento dal “realismo” del cinema e dell'animazione piena, e quindi in qualche modo contrappone anime e cinema, delineando una genealogia del media mix e della transmedialità in Giappone che parte solamente dagli anime:

La circolazione di merci e le relazioni transmediali che caratterizzano il media mix degli anime sono al cuore degli anime stessi. Gli anime ruppero con l'ideologia del realismo che informa la narrazione

128 Ivi, p. VIII. 129

Ivi, p. XIII.

130 Cfr. Sharalyn Orbaugh, “Kamishibai and the Art of the Interval”, Mechademia, vol. 7, 2012, pp. 78-100; Eric P. Nash, Manga Kamishibai. The Art of Japanese Paper Theater, Abrams, New York 2009; Tara McGowan, Performing Kamishibai: An Emerging New Literacy for a Global Audience, Routledge, London-New York 2015. 131

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classica del cinema e dell'animazione a esso ispirata. Ma così facendo, sostituirono l'ideologia del realismo con un altro tipo di potere persino meglio equipaggiato per i bisogni dell'emergente società dei consumi di massa e la sua estensione postmoderna: il potere operativo della connettività tra i media,