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I LIMITI DELLA CONCEZIONE UTILITARISTICA

Il dizionario Zingarelli definisce la società del benessere come “il sistema economico sociale che si prefigge determinate finalità a vantaggio di tutto l‟aggregato sociale come […] elevato reddito nazionale, perequazione sociale e aumento dei consumi”. Questa concezione si sposa in maniera ottimale con i principi dell‟economia del benessere esposti sinora. Il testo di Sen ci aiuta, a comprendere i limiti che tale visione utilitaristica possiede se trasposta sul piano della vita reale.

Il punto di vista di Sen muove a partire dall‟osservazione dell‟evoluzione storica dell‟economia come elemento derivativo dell‟etica e “il carattere consapevolmente non etico dell‟economia moderna”.

È avvenuto – scrive Sen – che il cosiddetto padre dell‟economia moderna, Adam Smith, fosse professore di Filosofia Morale all‟Università di Glasgow, ma anche che la materia dell‟economia sia stata considerata a lungo una branca dell‟etica.

Il fatto che sino a poco tempo fa a Cambridge l‟economia fosse insegnata semplicemente nel corso di Filosofia Morale non è che un esempio della diagnosi tradizionale sulla natura dell‟economia.

Se le due discipline nascono e si sviluppano in sintonia l‟una con l‟altra, come si è potuto registrare un allontanamento tra le due e che cosa ha comportato?

Uno tra i motivi che hanno condotto all‟allontanamento tra etica ed economia si snoda a partire da una precedente rottura, quella tra l‟economia tradizionale e l‟economia del benessere. La posizione dell‟economia del benessere all‟interno della teoria economica moderna è piuttosto precaria principalmente perchè si ritiene che l‟analisi dell‟economia del benessere non possa influenzare l‟economia predittiva. Si crede, infatti, che l‟azione umana effettiva sia basata solo sull‟interesse personale senza che intervengano altre variabili esterne nel raggiungimento del benessere. Se questa concezione dell‟economia è ampiamente diffusa non bisogna stupirsi del fatto che l‟economia si sia evoluta in questo modo caratterizzando la motivazione umana in termini così ristretti.

La ragione principale per cui si ritiene che questa concezione sia inadatta a descrivere il comportamento umano effettivo è che le persone reali, alle quali l‟economia si rivolge attraverso la produzione e lo scambio di beni, sono mosse da motivazioni ulteriori rispetto al solo interesse personale. A questo proposito Sen afferma che

è difficile credere che le persone reali possano essere del tutto ininfluenzate dalla portata dell‟esame di sé indotto dalla domanda socratica “come bisogna vivere?”. È possibile che le persone studiate dall‟economia siano veramente così ininfluenzate da questa stimolante domanda e si attengano esclusivamente alla rudimentale testardaggine che attribuisce loro l‟economia moderna? (p. 8)

La teoria economica predominante identifica la razionalità del comportamento umano con la coerenza interna delle scelte e la massimizzazione dell‟interesse personale e del profitto. Tale comportamento conduce, secondo la teoria economica classica, alla creazione di condizioni economiche ottimali. La teoria del cosiddetto ottimo paretiano sostiene che l‟allontanarsi dalla massimizzazione dell‟interesse personale determina una probabile minaccia di fallimento

dell‟efficienza economica. Ciò implica oggettive difficoltà a considerare l‟inserimento di norme etiche in una prospettiva di economia ottimale. Per Pareto infatti, qualsiasi comportamento orientato all‟interesse collettivo piuttosto che a quello personale condurrebbe al fallimento dell‟intero sistema di mercato.

Numerose ricerche in ambito sia economico che filosofico- morale indicano prospettive decisamente diverse. Amartya Sen evidenzia come l‟economia e l‟etica possano attingere l‟una dall‟altra al fine di un positivo equilibrio tra istanze di progresso economico e di affermazione di valori morali universalmente condivisibili.

Sen dimostra che si è verificato un grave distacco tra economia ed etica ponendo in evidenza il fatto che l‟economia può essere resa ancora più produttiva se si presta maggiore e più esplicita attenzione alle considerazioni di natura etica.

Il problema, in effetti, è che gli studiosi di economia hanno nascosto spesso l‟effettiva ricchezza di argomentazioni che l‟etica racchiude in sé, non hanno tenuto conto dei notevoli contributi che l‟etica potrebbe apportare alla soluzione di importanti problemi di economia politica. Risulta oggigiorno obsoleto pensare che il campo di riflessione dell‟etica e dell‟economia debba essere circoscritto agli spazi che la “tradizione” ha ritagliato per ciascuna di queste discipline. Nello specifico, continuare a identificare la razionalità del comportamento umano con la semplice coerenza interna delle scelte e la massimizzazione dell‟interesse personale non implica in alcun modo la migliore approssimazione al problema del comportamento etico umano, né a quello della realizzazione di condizioni economiche ottimali. In alcune economie di libero mercato, come la giapponese, accade che un sistematico allontanamento dall‟esclusivo interesse personale nella direzione di un modo d‟agire basato su regole –dovere, lealtà, buona volontà- è estremamente importante per il raggiungimento dell‟efficienza economica conveniente ai singoli e alla comunità.

Nella teoria economica comunemente accettata l‟interesse personale sembra ridursi alla sola massimizzazione del benessere materiale. Al contrario, tra gli scopi volti alla massimizzazione dell‟interesse personale possono considerarsi anche quelli propriamente morali. L‟individuo massimizza il proprio benessere, per esempio, optando per forme di cooperazione per le quali i vantaggi conseguenti

all‟agire “economico” pongono in evidenza la positività delle azioni moralmente orientate. Il problema maggiore risiede nella applicabilità di un effettivo comportamento di cooperazione all‟interno della società attuale sempre più frammentata e mossa da personalismi piuttosto che da tendenze alla cooperazione.

5.

HOMO CONSUMENS

(ovvero l‟agire individuale nel terzo millennio)