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Il movente della moralità rappresenta nell‟etica kantiana la questione dell‟azione causale della ragion pura sulla volontà, in concorrenza con l‟azione causale che sulla volontà esercitano anche le inclinazioni sensibili. La legge morale rappresenta il movente della volontà e consente all‟individuo di agire in vista di fini che elevano l‟uomo e gli consentono di prendere le distanze da azioni ispirate unicamente all‟amor di sé. Affinché la volontà venga determinata dalla legge morale, cioè perché si possa riscontrare una motivazione morale, Kant sostiene che si debbano contrastare le inclinazioni sensibili, riferibili all‟amor di sé. Si potrebbe obiettare che l‟amor di sé è qualcosa di naturale e quindi di innato nell‟uomo, perciò difficile da abbandonare, ma la ragion pura prescrive che quest‟ultimo possa trovare soddisfazione solo nel caso in cui non crei ostacolo all‟imperativo categorico.

Secondo Landucci, la visione kantiana produce almeno due effetti: uno negativo e l‟altro positivo. Nel primo caso, la legge morale, imponendo di sacrificare l‟amor di sé, crea nell‟individuo un senso di inadeguatezza nei confronti dell‟ideale morale dal momento che la natura gli farà avvertire sempre le pulsioni materiali. D‟altro canto, Landucci ci spiega che il sentimento di inadeguatezza si può provare solo nei confronti di qualcosa di cui si ha rispetto e in questo consiste l‟effetto positivo della legge morale. Positivo perché “ci induce a prendere interesse per la moralità (un interesse del tutto disinteressato) e ci eleva al di sopra della natura” (Landucci, p. 73). Il rispetto per la legge morale secondo Kant è “un sentimento prodotto da un principio intellettuale, e si tratta del solo sentimento che noi conosciamo interamente a priori” (Kant, p. 215). Il rispetto per la legge morale non può essere dedotto

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dall‟esperienza sensibile ma solo dal confronto con la maestà della legge morale e “non serve né al giudizio delle azioni né a fondare la legge morale oggettiva, ma solo da movente per fare di questa legge in se stessa una massima” (Kant, p. 218). Secondo Landucci, il fatto stesso che il rispetto per la legge morale contrasta l‟amor di sé è utile alla volontà per ridimensionare il peso delle inclinazioni sensibili mentre accresce in maniera proporzionale il peso della legge stessa. Inoltre, Kant sostiene che il rispetto per la legge morale è il movente per fare della legge stessa la massima della propria azione, ovvero la coscienza della legge morale viene considerata dal punto di vista soggettivo ed è quindi l‟individuo a conferire una corrispondente autorità alla legge morale nei confronti della volontà. Scrive Landucci:

si ha rispetto effettivo per la legge morale, allorché la volontà si determini a favore di essa. In tal caso, il rispetto è la moralità in atto. Ma il rispetto funziona come movente anche quando la coscienza della legge morale operi sì sulla volontà, trattenendola dall‟optare tranquillamente a favore di inclinazioni in contrasto col dovere, però senza che l‟esito sia ancora deciso. In tale contrasto, la coscienza della legge morale esplica una sua azione agisce come controforza); e l‟esito dipenderà dalla libera autodeterminazione del soggetto. La funzione dinamica del rispetto dipende dunque dalla richiesta imperiosa, che in tal modo il soggetto si trova rivolta, in quella situazione, potenzialmente sempre drammatica, ch‟è la deliberazione (p. 74).

Il rispetto per la legge – dice Kant – “è una libera sottomissione della volontà alla legge, connessa tuttavia ad una coercizione inevitabile esercitata su tutte le inclinazioni, però soltanto ad opera della propria ragione” (p. 222). La costrizione esercitata dalla legge morale, così come la intende Kant, sulla nostra volontà non comporta alcun paradosso rispetto al fatto che quando si parla di costrizione è implicito il sacrificio della libertà e che una scelta morale non libera sia impossibile. In realtà, nel caso della costrizione operata dalla legge morale la libertà non viene lesa in alcun modo, dal momento che sono gli individui stessi – quindi internamente – ad adattare la propria volontà alla legge morale.

Infine, a partire dall‟idea che il rispetto concerne solo le persone e non le cose – che possono avere un prezzo ma non una dignità, Kant afferma che il motivo del rispetto nei confronti della legge morale è unicamente la persona come portatrice di moralità. A questo proposito,

Landucci sostiene che “tutti pensiamo come persona chi sia capace di moralità (e quindi suscettibile di responsabilità); e questa disposizione è il fondamento per cui consideriamo degni di rispetto gli esseri umani: non in quanto enti sensibili, ma in quanto partecipi del soprasensibile” (p. 76).

La legge morale poi, impone di rendere operante sul piano pratico il rispetto verso le persone come portatori di moralità, rispettando il prossimo –compresi se stessi – e trattandolo sempre come fine e mai come mezzo.

Che nell‟ordine dei fini l‟uomo (e con l‟uomo ogni essere razionale) sia un fine in se stesso, cioè non possa mai essere usato semplicemente come mezzo da nessuno (neppure da Dio) senza che nello stesso tempo sia anche un fine; che quindi l‟umanità debba essere, nella nostra persona, santa per noi stessi (Kant I., 1970, p. 280)

Considerare una persona sempre come fine significa riconoscerle un valore in sé e rispettarla in tutte le sue caratteristiche e scelte di vita al tempo stesso Kant sembra riconoscere un valore intrinseco solo agli esseri capaci di moralità.