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Il complesso ed articolato lavoro, redatto pazientemente nel corso di questi mesi, ha rivelato in corso d’opera delle criticità che verranno illustrate nel seguente capitolo.

Una di queste si riferisce al numero esiguo di assistenti sociali presi in considerazione per effettuare l’indagine. La scelta non è stata attuata per mancanza d’interesse, ma poiché il SMP

98 Allegato 4: Trascrizione integrale delle interviste, Intervista psicoterapeuta di Ambra, Pag. 16. 99 Allegato 4: Trascrizione integrale delle interviste, Intervista assistente sociale, Pag. 5.

di Lugano accoglie una sola assistente sociale. Tuttavia, siccome il ruolo professionale dell’assistente sociale è il focus primario del lavoro di tesi, sarebbe stato interessante approfondire tali peculiarità mediante una comparazione fra più professionisti operanti in differenti SMP. Nello specifico potrebbe essere stimolante attuare un’indagine che comprenda tutte le assistenti sociali attive nei vari SMP del Canton Ticino, le quali sono tre: una che copre le sedi di Lugano e Mendrisio, una attiva presso la sede di Locarno, ed una operante nelle sedi di Bellinzona e Biasca. Attuare una comparazione di questo tipo, avrebbe sì funto da campione maggiormente esplicativo rispetto a quello proposto dal presente lavoro di tesi, ma al contempo avrebbe richiesto tempistiche maggiori ed ulteriori pagine per l’approfondimento. Un secondo elemento di criticità è certamente l’ampiezza della tematica di ricerca che ha rivelato sicuramente confini molto vasti; per questa ragione si è proceduto ad una declinazione della domanda di ricerca in quattro sotto-obiettivi specifici, i quali si sono rivelati, sin da subito, funzionali.

Il percorso intrapreso sino ad ora si è rivelato impegnativo per la sua complessa articolazione, tuttavia mi ha consentito di studiare ed approfondire tematiche a cui sono particolarmente affezionata poiché parti integranti del mio percorso di vita. «Questa scelta professionale nasce da un bisogno precocissimo che potremmo definire un “non evento”, una mancanza che ha lasciato una traccia indelebile nella nostra personalità ancora tutta in formazione, traccia della quale siamo spesso inconsapevoli, ma che lavora silenziosamente dentro di noi» (Manzocchi O., Martignoni G., Pezzoli L., 2014, Pag.149). Se quanto affermato dagli autori della citazione sovraesposta corrisponde al vero, nel corso di questi intensi mesi di studio ed analisi ho avuto la preziosa occasione di lavorare su questa «traccia indelebile», anche e soprattutto attraverso le storie di vita di Ambra, Giulia ed Elisa. Grazie allo studio dei loro singolari percorsi di vita, ho compreso quanto è importante per un’assistente sociale guardare con attenta curiosità e saper far tesoro delle realtà e delle esperienze portate da questi giovani. «La curiosità è quello stupore che permette di incontrare utenti per tutta la carriera lavorativa […] essendo disponibili all’incontro in quanto unico e irripetibile, disposti a conoscere una persona nuova, a percorrere insieme un pezzo di strada» (Allegri E., Palmieri P., e Zucca F., 2017, Pag.24).

Ambra, Giulia ed Elisa, con i loro differenti bisogni di evasione, hanno posto, direttamente o implicitamente, all’assistente sociale del servizio «domande su di sé e sul proprio valore, sui propri torti e le proprie ragioni, sul senso della propria storia e appartenenza […]. Infine, domande sull’affidabilità degli adulti, delle istituzioni, della comunità più in generale» (Mirarchi E., Sbattella F., 2018, Pag.61).

Personalmente ritengo che considerazioni di questo calibro non possono non interrogare un operatore sociale, poiché ritraggono alcuni degli obiettivi cardine della professione. L’indagine attuata mi ha permesso di consolidare l’idea che questi ragazzi hanno «delle risorse che vanno valorizzate e che hanno il diritto di essere ascoltati e di avere la possibilità di confrontarsi con delle figure di adulti significative» (Mirarchi E., Sbattella F., 2018, Pag.52).

Philippe Jeammet, autore che ha funto da linea guida durante l’intera trattazione, afferma: «mi sembra che gli adulti sottovalutino troppo il fatto di essere portatori di speranza per tutti gli adolescenti» (2009, 206). L’attenta riflessione dell’autore permette alle future generazioni di educatori e di assistenti sociali di comprendere che con le nostre qualità individuali, con le nostre esperienze di vita, attraverso le delusioni vissute e le vittorie raggiunte, possediamo le risorse necessarie per rinforzare questi giovani, perché in fondo «più di ogni altra cosa, hanno bisogno che quegli stessi adulti attestino, con la loro esistenza, che la vita ha interesse in sé,

indipendentemente dai fallimenti, dalle sofferenze e dalle inevitabili delusioni» (Jeammet P., 2009, Pag.206).

L’accompagnamento ed il sostegno all’adultità è una questione di cui si parla poco, soprattutto nell’ambito della formazione scolastica. Tale considerazione appare bizzarra se ci soffermiamo a pensare che alcuni di quegli stessi studenti attivi nell’ambito sociale sono immersi totalmente all’interno dell’emerging adulthood, una controversa transizione identitaria, professionale e progettuale. In tal senso appare quasi paradossale considerare che tra non molto quegli stessi studenti, giovani adulti neolaureati, potrebbero ritrovarsi ad accompagnare, capire e sostenere altri giovani adulti.

In questi casi come può un giovane professionista attivo nell’ambito sociale operare, con e per giovani che, come lui, vivono momenti confusivi e caratterizzati da ambivalenza? Come può un giovane assistente sociale mostrarsi come una figura adulta di sostegno quando, forse, lui stesso necessita ancora di saldi supporti?

Probabilmente non esistono risposte certe a domande di questo tipo ma, secondo il mio parere, è importante e coraggioso riuscire anche solo a porsele, poiché le difficoltà e le implicazioni personali che sorgono nell’accompagnamento di un giovane che, verosimilmente, vive le tue stesse fragilità, sono questioni che vanno innanzitutto identificate e comprese ancor prima di essere affrontate.

Ritengo che coniugare l’accompagnamento del giovane adulto ed il sostegno familiare, all’interno di un progetto di vita indipendente, significa riuscire a trovare il giusto equilibrio fra «due istanze difficilmente conciliabili nel nostro lavoro: la struttura, che rappresenta l’istituzione» e dunque la proposta di un progetto di vita indipendente «e la flessibilità che rappresenta i giovani di cui ci si prende cura»101 (Mirarchi E., Sbattella F., 2019) e le loro

famiglie.

In questi casi l’assistente sociale non si pone come esempio genitoriale ma fa da specchio alle due parti, mostrando al giovane le possibilità concrete che il territorio gli offre, e ai suoi genitori che il figlio sta crescendo e che la sua imminente adultità lo predisporrà a differenti opportunità. All’interno di questa complessa dualità le opportunità, i progetti o le sole intuizioni hanno un peso nelle vite di questi giovani, poiché possibili e attualizzabili e, pertanto, l’assistente sociale interviene con il suo operato tentando di trovare un nuovo equilibrio forse, più sostenibile.

101 Mirarchi E., Sbattella F., maggio 2019, Adolescenti in connessione. Un modello flessibile di presa in

carico educativa. Presentazione del libro realizzato grazie al contributo della Fondazione Amilcare