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Limiti e disfunzioni del sistema autonomino

CAPITOLO 5-IL NAZIONALISMO BASCO

5.15 Limiti e disfunzioni del sistema autonomino

La combinazione del modello costituzionale del 1978, abbinata in maniera innovativa alla forma di Stato monarchico-costituzionale, si è rivelata vincente rispetto alle precedenti soluzioni. Questa Costituzione, infatti, è riuscita a risolvere i grandi problemi storici della Spagna ed ha consolidato gli ambiti essenziali della democrazia, quali i diritti fondamentali, il funzionamento delle istituzioni o la presenza attiva e rilevante della Spagna nel contesto europeo ed internazionale.

La Costituzione del 1978, tuttavia, non è riuscita a risolvere definitivamente vari problemi come quello della distribuzione territoriale o quello sollevato dai nazionalismi e dai regionalismi.

Dopo 25 anni non si sa ancora quale sia o quale sarà l’organizzazione territoriale della Spagna in un prossimo futuro. Quello della distribuzione

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territoriale del potere, infatti, rimane un processo aperto e sottoposto ad ogni tipo di pressione ed evidenzia ogni giorno di più tutti i limiti del modello costituzionale spagnolo. Il modello autonomico, basato sul progressivo aumento delle competenze delle Comunità, ha creato nel cittadino l’esigenza di approfondimento, estensione e massimizzazione del processo decentralizzatore, portandolo fino alle sue più estreme possibilità; ciò ha causato un indebolimento dei processi di costruzione nazionale, ha generato forti rivalità tra le storiche identità regionali ed il Governo ed ha stimolato la competizione tra le 17 province.

Fra i mali dello Stato autonomico si colloca la mancanza di un sistema adeguato che articoli le relazioni tanto fra le CC.AA. quanto fra queste e lo Stato. Fino ad oggi si è cercato di risolvere questa mancanza con la creazione di strumenti che, in ogni caso, non giungono a soddisfare le necessità reali esistenti. Fra gli strumenti in possesso dalle Comunità Autonome, considerati come fori d’incontro e discussione, ricordiamo le Conferenze Settoriali6,

organi collegiali di composizione mista (Stato-CC.AA.) con attribuizioni settoriali di coordinamento, che si basano sull’informazione reciproca e sul mutuo accordo, e le Conferenze Bilaterali, che sono in funzione dal 1987 e che hanno per oggetto la trattazione specifica di quelle questioni che riguardano le relazioni fra lo Stato e una determinata Comunità Autonoma.

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La Conferenza dei Presidenti Autonomici, proposta del 2004 del Governo Zapatero, può migliorare le relazioni intergovernative in quanto stabilisce che le riunioni e gli accordi raggiunti debbano tradursi in orientamenti politici. Il Governo svolge una funzione di arbitraggio e coesione del modello territoriale, principalmente in quei casi in cui le Conferenze Settoriali trovano difficoltà a raggiungere qualche tipo di accordo (modello di finanziamento, immigrazione, sistema di ricerca e sviluppo, partecipazione delle CC.AA. nella

UE, riforma costituzionale e statale, etc.). Dopo più di 25 anni di cammino, le CC.AA. già costituiscono una realtà assolutamente definita e fondamentale

all’interno dello Stato spagnolo, mancando tuttavia di un’istituzione propria di rappresentanza.

L’esigenza di partecipazione delle Comunità Autonome in materia comunitaria ha portato alla creazione di una serie di dispositivi di carattere legislativo ed istituzionale capaci di articolare questa partecipazione. Tanto lo Stato come l’insieme delle CC.AA. hanno proceduto adattando le loro strutture organizzative alle esigenze derivate tanto dalla preparazione quanto dall’applicazione delle politiche europee.

In seno alle istituzioni europee Le Comunità Autonome sono rappresentate alla stregua della politica adottata per le regioni. Per consentire un dialogo diretto tra le regioni e le istituzioni europee, nel 1988, su impulso del Parlamento europeo, la Commissione europea ha istituito il Consiglio

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Consultivo degli Enti Regionali e Locali (CCERL): un comitato consultivo che si esprime attraverso pareri facoltativi e non vincolanti che può essere consultato dalla Commissione su ogni questione relativa allo sviluppo regionale. L’importante riforma introdotta dal Trattato di Maastricht agli articoli 198 A-C, ha reso obbligatorio, anche se non vincolante, il parere del

CCERL in materia di istruzione e formazione professionale, cultura, sanità

pubblica, infrastrutture e investimento di fondi strutturali. Per tutte le altre materie il parere resta facoltativo, ed è significativo che restino tagliati fuori capitoli fondamentali quali la politica dei trasporti, quella industriale della ricerca e dello sviluppo tecnologico e dell’ambiente, che sono materia di competenza quantomeno concorrente nell’ordinamento interno dello Stato. Il Comitato delle Regioni costituisce oggi uno strumento inadeguato anche per quanto concerne la nomina dei rappresentanti regionali la cui designazione avviene, infatti, su proposta degli Stati membri e non su quella delle regioni. La rappresentanza in Europa, garantita alle regioni per via istituzionale, si presenta perciò poco incisiva per chi riponeva la speranza nella creazione di un parlamento di regioni o la seconda camera – come il Senato delle Regioni – del Parlamento europeo. Allo stato attuale, il Senato spagnolo, anche se è definito dalla Costituzione come camera di rappresentanza territoriale, offre alle Comunità Autonome una possibilità molto limitata di partecipazione alle decisioni nazionali in quanto solo un quinto dei senatori sul totale viene

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designato dai parlamenti regionali. Il bicameralismo spagnolo, inoltre, è imperfetto, perché attribuisce al Senato funzioni più ridotte rispetto alla Camera dei Deputati.

Uno strumento ufficiale che l’Europa ha fornito per consentire una partecipazione crescente delle regioni alla vita comunitaria è giunto con la modifica dell’articolo 146 del Trattato di Maastricht mediante l’articolo 203 del Trattato di Amsterdam, che consente di includere nel seno delle delegazioni nazionali presso il Consiglio dei Ministri una rappresentazione regionale. Purtroppo, molti stati, fra cui quello spagnolo, in quanto gestori unici della politica estera, impediscono l’effettiva applicabilità di questa opportunità per le Comunità Autonome.

La paradiplomazia è un altro strumento delle regioni di fronte alla re- centralizzazione delle competenze degli Stati europei.

Negli ultimi anni, infatti, a Bruxelles si è andata estendendo la pratica della rappresentanza regionale anche attraverso uffici di collocamento che, pur non ricoprendo un ruolo istituzionale, vengono ormai considerate delle vere e proprie ambasciate atte a favore relazioni strategiche con le altre regioni europee.

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