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GENESI E GARANZIA DEL LIBERO CONVINCIMENTO DEL GIUDICE

5 Disciplina in tema di valutazione della prova e libero convincimento:una contraddizione insanabile?

5.1 I “limiti indiretti”.

A questo punto è agevole rilevare che l’analisi in chiave normativa del libero convincimento per lo più si risolve nell’individuazione dei limiti (e non vincoli) che il legislatore pone all’apprezzamento dei dati probatori. Si tratta di limiti classificabili in due categorie, a seconda che afferiscano all’ introduzione della prova in giudizio o alla valutazione della stessa: nel primo caso la restrizione si traduce nel divieto di acquisire o utilizzare determinati elementi di prova ai fini della decisione; infatti il libero convincimento ha rappresentato per due secoli il «grande artifizio cui ha fatto ricorso una giurisprudenza che, basandosi su di un avventuroso criterio teleologico nell’interpretazione delle norme processuali, si è servita di quel principio per recuperare ed utilizzare – nel processo – prove acquisite contra legem ,determinando l’abolizione di fatto di quasi tutte le regole di esclusione della prova»152. In questo modo la norma, limitando l’orizzonte conoscitivo del giudice, comunque incide sul suo libero convincimento, ma senza orientarne direttamente la formazione, diversamente da quanto accade, invece, quando il legislatore detta criteri di valutazione delle risultanze istruttorie. Quanto all’incidenza che può avere – rispetto all’attività di valutazione del giudice ‒ la selezione in sede legislativa del materiale epistemologico utilizzabile ai fini della decisione, questa appare rilevante. Mediante tale disciplina, infatti, il legislatore – piuttosto che intervenire indicando “come valutare”

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Nel senso che il riconoscimento di una inesauribile libertà nella valutazione delle prove non significa certo che il relativo apprezzamento sfugga a qualsiasi rigore metodologico, ma semplicemente che è impossibile formulare a priori direttive vincolanti, FERRUA, Il giudizio, cit., 224, nonché con maggiore accentuazione – IACOVIELLO, Motivazione, cit., 764.

152 Cosi DE LUCA, riv.it.dir.proc.pen

un’informazione probatoria ‒ impone al giudice di considerare, per la definizione della controversia, solo alcuni dati cognitivi della cui idoneità epistemologica non ritiene di dover dubitare: in altri termini il legislatore opera una selezione del materiale probatorio affidabile, vietando invece ingresso nel processo penale ai dati di conoscenza che ritiene privi di sufficienti garanzie epistemiche, ed in questo modo, pur lasciando piena libertà al giudice circa l’attribuzione di contenuto e significato da riconoscere ai singoli elementi portati al suo esame, ne indirizza comunque la decisione proprio perché impedisce che la stessa sia fondata anche su elementi considerati inattendibili sotto un profilo epistemologico. È alla logica ora illustrata che rispondono le numerose regole di esclusione probatoria presenti nel nostro codice di rito, le quali precludono al giudice l’accesso a determinati dati empirici che sono ritenuti dal legislatore privi di valenza cognitiva ( si pensi al ricorso ai riti magici nonché più in generale alla previsione di cui all’art 188 c.p.p.153

o altresi la disciplina limitativa all’ingresso delle prove atipiche prevista dal 189154 c.p.p.)

La libertà del giudizio deve, dunque, fare i conti con la legalità della prova155, diversa rispetto alla disciplina della prova legale, poiché è composta da un’insieme di regole che – nel disciplinare le tre fasi in cui si articola il procedimento probatorio156 ‒ prevedono limiti all’ammissione di mezzi di prova, divieti di assunzione di determinati elementi cognitivi e direttive volte ad “orientare” la valutazione dei dati acquisiti. Un sistema che affida al legislatore il

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È bene evidenziare come le suddette disposizioni, nonostante la rilevante incidenza che possono rivestire nella definizione del contenuto della decisione, non possono comunque essere qualificate come regole di valutazione della prova, in quanto esse “operano in un momento antecedente a quello in cui interverrebbe la valutazione” FERRUA, Il giudizio penale, cit., 225.

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Vedi supra cap 1 par.4.

155 Come ricorda AMODIO, Libertà e legalità, cit., 312. 156

Fasi deputate all’ammissione del mezzo di prova, alla sua assunzione o acquisizione ( secondo che si tratti di fonte orale o documentale) ed alla valutazione degli elementi cognitivi ricavati dall’attività istruttoria. Per l’approfondimento di tale profilo, v. UBERTIS, Prova, cit.,317 ss.

compito di selezionare preventivamente il materiale istruttorio utilizzabile per la decisione – attraverso un dettagliato e rigoroso regime di introduzione della prova in giudizio ‒ sottende, infatti, il rifiuto di una visione estrema del libero convincimento, inteso come signoria assoluta del giudice sulle modalità di accertamento del fatto157. Va da sé che un modello processuale attento alla garanzie individuali non può tollerare la presenza di un giudice onnivoro, abilitato a ricercare, senza limiti, qualunque elemento utile all’accertamento della verità158

.

È evidente dunque notare come che le regole di ammissione e di acquisizione dei mezzi di prova – per quanto restrittive e rigorose siano ‒ non risultano mai incompatibili con una libera formazione del convincimento, che in ogni caso può fondarsi sugli elementi utilizzabili ai fini della decisione.

Da qui la differenza rispetto ( secondo caso) alle regole di valutazione delle prove, che hanno una diretta incidenza sulla libertà di giudizio, fino a poterlo annullare del tutto. Però, quando si fa ricorso a tali regole, ha senso parlare di libero convincimento solo se il legislatore si limita a disciplinare i passaggi del percorso valutativo, ma senza predeterminarne l’esito, poiché la previsione normativa del risultato istruttorio equivale all’introduzione della prova legale e, per l’effetto, alla negazione del principio.

In questo modello processualistico, dunque, « il verdetto giusto non è quello che obbedisce a regole predeterminate di valutazione della prova – come accade nel sistema delle prove legali – ma quello che scaturisce da una valutazione comparativa delle argomentazioni e

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È questa, una concezione del principio che si addice ad un processo di stampo inquisitorio, nel quale chi giudica gode di una indiscriminata libertà di valutare, acquisire, ammettere e scegliere le prove, potendo persino elaborare, a suo piacimento, mezzi istruttori atipici. In questi termini, AMODIO, Libertà e

legalità, cit.,313. 158

La tesi contraria – sostenuta in dottrina da LEONE, Trattato, p. 155 e da MAZZINI, Trattato, p.232 s. ‒ muove proprio dall’assunto che libero convincimento e ricerca della verità materiale siano l’uno il corollario dell’altra.

delle prospettazioni – opposte e complementari – delle parti»159. Il giudice è stimolato dal contraddittorio tra le parti a far rivivere dialetticamente nel suo stesso animo e nella sua mente, il contrapporsi o coincidere tra le diverse opinioni. Come sostenuto da parte della dottrina160, «la necessità di prendere in considerazione le prove contrarie nasce dall’essenza stessa della convinzione». Sarà convincente dunque «l’argomentazione che si ritiene possa ottenere l’adesione di un uditorio universale»161

. Il meccanismo dialettico si manifesta, dunque, nella potenzialità di indagare e verificare i contrari: sta in ciò la sua superiorità sulla parzialità dell’ opinione, cioè della intima persuasione di cui il giudice non sa dare ragione. Solo in questo modo il convincimento che si sia formato attraverso questa prova faticosa e controllabile, potrà dirsi fondato.