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I limiti dell’intervento “rimediale”

Nel documento Il progetto di diritto europeo dei contratti (pagine 140-143)

L’analisi fin qui condotta, se dimostra il dinamismo dottrinario ed istituzionale che caratterizza attualmente il processo di uniformazione del diritto contrattuale europeo, indica che il “legislatore comunitario” ha operato con una tecnica, come taluni hanno detto, con espressione da intendersi in senso letterale, sostanzialmente “rimediale”: esso si è preoccupato di intervenire esclusivamente a posteriori al fine di porre “rimedio” alle “storture” derivanti dalle disparità di potere contrattuale tra le parti, riducendo l’impostazione astrattizzante dei diritti nazionali295.

Questa impostazione è stata influenzata dalle visioni che ritengono sostanzialmente impossibile la creazione di una normativa unica e che, pertanto, ragionano in termini, appunto, di mero “rimedio” episodico.

Dottrina autorevole, infatti, ha osservato che:

“il diritto privato europeo in senso formale non ha una storia, ha al massimo una cronaca da cui è dubbio si apprenda qualcosa. Ma il diritto che circola e si applica nei vari stati che ancora sopravvivono al di sotto delle strutture pervase dalla burocrazia comunitaria ha una storia più che bimillenaria, anzi si risolve, come i prodotti dello spirito umano nella sua storia. E’ su questa storia che il diritto privato europeo va ad

insistere e quindi ad innovare, ma è questa storia che esso non deve rinnegare e stravolgere [...] Il nesso di continuità che porta dal passato al presente è quindi da

riconoscersi nell’esistenza di una scienza che permette di trovare per quei conflitti una soluzione ragionevole ed adeguata sulla base di un sistema più o meno rigoroso costruito, a partire dalle regole di condotta vigenti nell’ordinamento e dei giudizi di       

valore che le sottendono”296.

In tale prospettiva, si è osservato che costituirebbe attività inutile realizzare una legislazione uniforme, allorquando la si interpreti difformemente, “come è inevitabile che accada, non solo nella contrapposizione tra common lawyers e civil lawyers ma anche all’interno dell’esperienza giuridica continentale che, forzando i termini della questione, si è fin qui presentata come unitaria [..] Prima ancora che norme unitarie, è necessario un modo di pensare comune ai giuristi europei in cui le varie posizioni sul metodo e sui contenuti dell’interpretazione possano effettivamente confrontarsi, al di là del gioco stucchevole e quasi sempre infruttuoso della comparazione giuridica, sincronica o diacronica che sia, e senza produrre l’impressione, senza dubbio non gradevole, che si parli tutti un linguaggio diverso”297.

Come si vede, dunque, il problema centrale si sposta dalla fase della produzione normativa a quella dell’applicazione della regola la quale, “abbandonata” ai giudici nazionali, sarebbe totalmente condizionata dalla rispettiva “cultura giuridica”.

Orbene, quand’anche si volesse prescindere da quanto si è detto a proposito della “tradizione”, e dunque della possibilità che tali difformità applicative in realtà non si determinino, e ciò sul presupposto di una più attenta presa di coscienza di tratti comuni ai diversi autori, c’è che questo “rischio” può essere evitato, come osservato da altra dottrina, attraverso meccanismi di controllo dell’autonomia privata non più soltanto successivi ma ex ante.

Questa tecnica di intervento deve consistere necessariamente nella formulazione di regole eguali applicabili in ciascun ordinamento, limitando la possibilità dei singoli

      

296 TALAMANCA M., La Storia, in Manuale dir. priv. Eur., I a cura di C. Castronovo, S. Mazzamuto,

Milano, 2007, 12.

Stati di operare interventi “adattativi”, ed anche il potere di intervento dei giudice298. Certamente non si tratta di un cammino spedito ed esempio esemplificativo è dato dalla direttiva 2000/35/CE.

Questa, in materia di ritardi nei pagamenti commerciali, aveva posto a carico dei singoli ordinamenti l’obbligo di adottare disposizioni che, nel caso di nullità di singole clausole “per iniquità”, consentissero al giudice di “conservare” il contratto ricostruendo equitativamente il contenuto viziato, e dunque espunto.

Lo scopo della norma era evidentemente di uniformazione, ma lo strumento si è rivelato inadeguato: le soluzioni nazionali sono state a tal punto divergenti da indurre il legislatore comunitario ad intervenire con la direttiva 2011/7/UE, sopprimendo quelle prescrizioni299.

E’ dunque più che attuale non tanto l’interrogativo sulla opportunità di creare- ottenere un diritto comune dei contratti (si veda pag. 10) ma quello sullo strumento attraverso il quale ottenere tale risultato.

      

298 Per quanto concerne, infatti, l’influenza che il CESL può avere sulle legislazioni nazionali dei

paesi membri, si osserva che già da tempo le tecniche di redazione legislativa a livello nazionale sono state influenzate dallo stile seguito dalla legislazione comunitaria. Sembra quindi di poter concludere che il CESL, quale strumento di diritto contrattuale emanato nella forma di un regolamento, non possa influenzare lo stile generale di redazione del diritto privato degli Stati membri più di quanto non lo abbiano fatto, in passato, altre misure prese dalle istituzioni europee. Ciò anche perché il CESL, quale Regolamento, non comportando la necessità di adozione di alcuna misura legislativa a livello nazionale, non avrà la necessità di perseguire alcuna integrazione con il diritto nazionale dello Stato membro in cui verrà applicato. Tra l’altro, trattandosi di Regolamento, nel caso in cui il CESL venisse adottato e prevedesse concetti giuridici dal significato e portata diversa rispetto a quelli normalmente impiegati nel diritto nazionale, ciò non sarebbe così evidente. Stesso discorso vale nel caso contrario: se il CESL, infatti, non dovesse essere adottato, rimarrebbe il solo DCFR che, considerato oramai quale “tool box”, certamente avrebbe un effetto di “influenza” ancora minore.

299 La citata direttiva 2000/35/CE sui ritardi nei pagamenti commerciali venne attuata in Italia dall’art. 7,

comma 3, del D.lgs. 231/02 che prevedeva la possibilità per il giudice, anche d’ufficio, di dichiarare la nullità dell’accordo sulla data del pagamento, o sulle conseguenze del ritardato pagamento qualora risultasse gravemente iniquo in danno del creditore e conseguentemente di applicare i termini legali ovvero di ricondurre il contenuto dell’accordo ad equità, avuto riguardo all’interesse del creditore, alla corretta prassi commerciale, alla natura della merce o dei servizi oggetto del contratto, alla condizione e ai rapporti commerciali tra le parti. Tale formulazione è stata modificata dalla lett. g) del comma 1 dell’art. 1 D.lgs. 192/2012 che ha ridotto il poter di intervento del giudice: non è infatti più prevista la possibilità per quest’ultimo di ricondurre il contenuto dell’accordo ad equità.

Nel documento Il progetto di diritto europeo dei contratti (pagine 140-143)