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Si è scritto nel paragrafo precedente che la diffusa sfiducia nella democrazia elettiva si traduce sovente nell’esigenza di una più marcata partecipazione alla decisione pubblica: con maggior precisone, si assiste all’affermarsi d’istanze sia di democrazia diretta, sia di democrazia partecipativa, le quali si propongono di riporre il potere decisionale nelle mani dei cittadini.

Indipendentemente da quelle che sono le sfumature giuridiche sussistenti fra la democrazia diretta e quella partecipativa – e, con precipuo riferimento a quest’ultima, senza tener conto delle plurime forme di partecipazione –, occorre qui spendere alcune parole con il fine ultimo di proporre un’analisi disincantata della forza espansiva della democrazia in tutti i suoi modelli.

Benché talune forze politiche si propongano come sostenitrici di una significativa immediatezza tra azione governativa a tutti i livelli e volontà popolare, quest’ultima, nelle svariate forme in cui ne è ammessa l’espressione, incontra degli impedimenti ascrivibili a molteplici ragioni.

Il tema che qui si vuole approfondire al fine di esaltarne la rilevanza anche per la democrazia partecipativa, come si sarà potuto comprendere, è quello costituito dai “limiti della democrazia”. Problema, quello menzionato, che ha impegnato gran parte della dottrina e della letteratura non solo negli ultimi decenni184, giacché esso è connaturato all’idea stessa di democrazia: lo studio della democrazia, invero, è l’analisi di limiti e di limitazioni.

184 Così, già una raccolta di saggi della metà alla metà degli anni ’80 presentava un’analisi

interdisciplinare di questi aspetti: ci si riferisce a A.BALDASSARRE (a cura di), I limiti della

Il “governo del popolo”, alla luce di quanto si è delineato nelle pagine che precedono, si propone come argine al potere assoluto, sicché esso è espressione dello Stato limitato. Parimenti, perché la volontà del popolo sia concretamente in grado di circoscrive l’assolutismo senza che essa stessa si trasformi in arbitrio185 – nel governo della moltitudine o della massa indistinta – occorre predisporre un sistema di limiti che impedisca lo straripamento della decisione popolare.

Si è scritto “predisporre”, ma in realtà si riscontrano limiti effettivamente predisposti, poiché creati dell’uomo – quali talune regole giuridiche –, e limiti “non predisposti”, ma semplicemente recepiti in quanto esistenti in natura indipendentemente dalle creazioni umane.

In un recente scritto186, Sabino Cassese riporta187 come i limiti possano differentemente classificarsi in intrinseci o estrinseci188,

necessari o eventuali, di fatto o di diritto, imposti o occasionali.

Procedendo in via di sintesi e volendo esaltare la contrapposizione tra fatto e diritto, si nota come i limiti possano essere ascritti a tre tipologie principali: quelli giuridici, quelli fattuali e quelli, derivati da entrambi i precedenti, rappresentati dai rapporti tra democrazia e pubblica amministrazione.

185 Come si è scritto nel testo, il tema “dei limiti” della democrazia è connaturato all’idea

stessa di democrazia e risale al suo momento genetico: di questi, non per nulla, si è fatto cenno nel trattare delle origini del termine democrazia e nel descrivere la democrazia degli antichi.

186 S.CASSESE, La democrazia e i suoi limiti, I ed., Milano, 2017. 187 S.CASSESE, ult. op. cit., p. 3.

188 L’esempio lampante è quello fornito dai limiti previsti dalla nostra Costituzione e da limiti

derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea. Si veda già N.BOBBIO, Può sopravvivere la

democrazia, in R. Scartezzini - L. Germani - R. Gritti (a cura di), I limiti della democrazia. Autoritarismo e democrazia nella società moderna, cit., pp. 47 ss.

I primi, qui denominati “giuridici”, attengono a quel quesito, proprio anche del pensiero greco189, magistralmente sintetizzato da Sabino Cassese nei seguenti termini: «se la suprema autorità sia affidata al popolo o al diritto»190. La problematica che si vuole mettere in risalto

con la suddetta espressione attiene alla delimitazione dei poteri sovrani: se il popolo, in democrazia, possa assumere qualsivoglia decisione ritenga opportuna.

Non potendo dilungarsi in un esame dettagliato del processo secolare di affinamento del legame tra sovranità popolare e decisione, ci si limiterà ad alcune considerazioni sul diritto positivo.

La Costituzione, nel riconoscere l’inalienabilità di alcune prerogative umane, predispone una gerarchia, distinguendo tra ambiti genericamente aperti alla volontà popolare e aree escluse o limitate: limitate assolutamente – si pensi all’immodificabilità della forma repubblicana191 – o relativamente, essendo alcune decisioni

discrezionalmente assumibili a meno che non incidano sul nucleo di diritti primari assicurati dalla Costituzione, quali la libertà personale, il diritto alla vita o all’espressione delle proprie opinioni politiche e religiose.

La stessa Costituzione, all’articolo 1, nel delineare la forma di Stato italiana in termini di “Repubblica democratica”, circoscrive la sovranità popolare ai limiti e alle forme dalla Costituzione medesima indicati: il popolo, conseguentemente, è ammesso a decidere con le procedure regolate dalla Costituzione (democrazia rappresentativa, diretta e anche partecipativa) e nel rispetto della componente

189 Già si è scritto del rapporto fra “governo del popolo” e “governo della legge” nel

descrivere, in particolare, la simbiosi tra democrazia formale e sostanziale: supra § 1.

190 S.CASSESE, ult. op. cit., p. 59.

191 Oppure i limiti all’impiego del referendum abrogativo, in materie quali le leggi tributarie,

di bilancio, di amnistia, di indulto e di autorizzazione a ratificare trattati internazionali (art. 75, co. 2, Cost.).

sostanziale dell’ordinamento repubblicano democratico (in osservanza tanto dei limiti espressi, quanto di quelli impliciti).

In intima correlazione con la suddetta classe di limitazioni è la presenza dei “giudici” in parte anche sovraordinati alla legge ordinaria, qualora si faccia riferimento alla Corte costituzionale. Le magistrature, almeno circoscrivendo l’analisi al contesto italiano, operano al di fuori delle procedure democratiche: esse costituiscono una “aristocrazia” tecnico-giuridica, scaturente da un’investitura burocratica192 e operante

con strumenti non democratici.

Per un verso, i giudici, il cui sindacato talvolta si può estendere oltre i meri canoni di legittimità dell’oggetto di giudizio, assumono le loro decisioni in virtù del diritto preesistente alla decisione medesima e, per un altro verso, si pronunciano non a seguito di una stretta votazione, giacché essi impiegano il metodo dialogico della discussione e della reciproca convinzione. Purtuttavia, i giudici svolgono il ruolo imprescindibile di promotori della certezza giuridica, di risolutori di conflitti e, ove ammesso, di produttori di nuovo diritto: tali e altri compiti, nondimeno, sono avulsi dal controllo popolare193, non

potendosi ammettere che il potere legislativo sia investito di funzioni giurisdizionali. In definitiva, le magistrature limitano la democrazia.

La seconda categoria di limiti attiene al piano fattuale: di questa si cercherà di definirne il contenuto senza dilungarsi in un’analisi puntuale.

192 Talvolta avente carattere di nomina o, in un certo qual senso, di “elezione di secondo

grado”, ma si tratta del caso del tutto eccezionale della designazione dei giudici costituzionali di pertinenza presidenziale e parlamentare: anche in queste circostanze, la presenza di stringenti requisiti tecnico-professionali rende, di fatto, i designati espressione di una specifica capacità tecnica.

193 Indubbiamente i giudici sono assoggettai alla legge e non godono della discrezionalità

nelle scelte delle materie da trattare tipica delle aule parlamentari, sicché essi conoscono solo delle questioni che sono portate alla loro attenzione con un atto di parte.

La democrazia, come tutte le creazioni umane aventi carattere fenomenico – ossia che operano materialmente nella realtà – incontra delle barriere imposte dalla natura delle cose. Con quanto scritto non si vuole intendere che la democrazia non deve perdersi in costrutti immaginari o fantasiosi, bensì si desidera ricordare come esistano settori intrinsecamente estranei alle procedure democratiche, anzi ove i meccanismi della scelta popolare divengono stravolgenti e dannosi.

In breve, i suddetti settori sono rinvenibili nelle aree di competenza della scienza e della tecnica194. Chi vorrebbe essere curato

da un medico eletto dal popolo o seguire le lezioni di un professore designato sulla scorta di un mandato popolare? Siffatti ambiti non sono governati dai principi democratici195, ma sono retti dalla riprovata

capacità e competenza, ossia dalla meritocrazia: quest’ultima è, pertanto, limite operativo dei processi democratici.

Infine, il terzo aspetto riguarda i rapporti fra democrazia e amministrazione: in tal senso, la libertà decisionale del popolo risente

194 Nel paragrafo successivo saranno tracciate alcune considerazioni in materia di tecnocrazia

in senso proprio: infra § 9.

195 La dottrina, invero, ha osservato come vi siano ampi settori incentrati su processi non

democratici anche all’interno delle scienze sociali: così, l’intera disciplina degli studi di mercato pare impegnata esclusivamente sulla valutazione dei beni aventi un valore strettamente monetario, mentre non prende in opportuna considerazione la presenza di beni imprescindibili per l’esistenza di una collettività, quali i beni comuni o, in generale, la preservazione delle risorse naturali. Così G.SARTORI, La democrazia in trenta lezioni, cit., pp. 89 ss. Alla luce di un punto di vista non dissimile, R.A. DAHL, Un’alternativa al

capitalismo delle «big corporation»: viaggio nel paese di Frequalia, in A. Baldassarre (a

cura di), I limiti della democrazia, cit., pp. 49 ss.; lo studioso si è chiesto quale sia il sistema economico che «potrebbe realizzare meglio i valori della democrazia, della libertà e dell’eguaglianza» e ha ipotizzato l’esistenza di un paese (Frequalia) i cui abitanti sono tutti assorbiti nella realizzazione della democrazia e della libertà: il saggio è diretto allo studio di un sistema fondato sull’autogoverno nell’impresa. Più esaustivo è stato C.E.LINDBLOM, Il

potere di mercato come potere politico, ivi, pp. 3 ss., il quale, muovendo dalla notazione che

tutti i sistemi democratici si sono sviluppati in una economia di mercato, evidenzia come vi siano delle regole non democratiche entro i sistemi di mercato, incentrando l’attenzione soprattutto sul carattere autoritario delle imprese e sulla capacità degli imprenditori di imporre la loro volontà all’interezza dei consociati.

di un attrito con l’apparato burocratico dello Stato e degli altri enti territoriali, sia in negativo, sia in positivo.

Circa il primo aspetto è noto che la burocrazia manifesti alcune tendenze di autoconservazione dirette a smorzare quelle direttive popolari ritenute dannose per l’Amministrazione stessa. Circa il secondo effetto, si è già avuto modo d’anticipare che non può esistere una democrazia senza un braccio esecutivo che attui le deliberazioni popolari: anche nei modelli antichi si è rilevata la presenza di una componente esecutiva, ancorché costituita dagli stessi cittadini tratti a sorte.

La stessa esigenza si manifesta nelle democrazie dei moderni, ma è amplificata dall’ingigantirsi delle funzioni statali, in modo tale che non sia più possibile ricorrere all’assegnazione ciclica delle cariche ai consociati, bensì si debba ricorrere ad una classe professionale di pubblici amministratori196.

La imprescindibile interposizione degli organi amministrativi tra sovranità popolare e attuazione delle politiche pubbliche, rende meno netta la corrispondenza tra le seconde: la pubblica amministrazione, comprensibilmente, elabora con l’impiego dei suoi metodi (tecnico- burocratici) gli indirizzi politico-rappresentativi o popolari e li adatta alla realtà fattuale, li concretizza. In questo modo, il potere esecutivo sintetizza i due limiti precedenti: ricevuto un input dai titolari della sovranità, lo attua conformandolo al diritto (l’amministrazione opera sempre secondo il principio di legalità) e alla natura delle circostanze.

196 S. CASSESE, ult. op. cit., esalta la presenza di una ben formata classe di pubblici

amministratori in prospettiva dell’edificazione di un solido regime democratico e sul punto richiama l’esperienza francese della Ècole nationale d’administration e quella inglese del

Senior civil service (sul punto, anche N.FERGUSON, Impero. Come la Gran Bretagna ha fatto

Conclusivamente, si può osservare che la presenza dei succitati limiti non si qualifica come patologia, bensì come fisiologia: il sistema democratico deve permeare lo Stato nella sua generalità, ma non ha la forza e nemmeno gli strumenti per governare tutte le attività umane.

Questa notazione non è posta a caso, dovendosi ricordare che essa si estende anche alla democrazia partecipativa. Nel momento in cui un processo partecipativo è avviato per integrare una decisione pubblica, esso non potrà estendersi sino al punto di negare radicalmente le ponderazioni curate dall’amministrazione: potrà sollecitare soluzioni differenti, potrà esprimere un diffuso dissenso, potrà indirizzare l’azione pubblica, ma non potrà sostituirsi alla stessa.