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Secondo le linee guida dell’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato (AISF) e dell’Associazione Europea per lo Studio del Fegato (EASL) sulla gestione dell’infezione da HBV nel paziente immunocompromesso o candidato a terapia immunosoppressiva risulta di fondamentale importanza definire la categoria virologica e la categoria clinica del paziente stesso (17)(18).

La categoria virologica si stabilisce in base alla determinazione dei “markers” di infezione da HBV e come visto in precedenza si distinguono tre categorie di soggetti di con infezione cronica.

Tra i pazienti con infezione cronica conclamata, che risultano HBsAg positivi, si distinguono portatori attivi (HBeAg positivi o HBeAg negativi con viremia rispettivamente ≥20.000 UI/ml e ≥2.000 UI/ml) ed inattivi (HBeAg negativi con viremia <2.000 UI/ml).

I pazienti con infezione occulta risultano invece HBsAg negativi ed anti-HBc IgG positivi, in presenza di HBV-DNA a livello del tessuto epatico (e più raramente a livello sierico con modeste viremie <200 UI/ml).

Nella pratica clinica tutti i soggetti che risultano anti-HBc positivi (con HBsAg negativo) devono essere considerati come potenziali portatori occulti (data la bassa frequenza di biopsie epatiche effettuate su questa categoria di pazienti che consentirebbero l’identificazione dell’HBV-DNA a livello del fegato).

Da sottolineare inoltre che il 20% circa dei portatori occulti può risultare negativo per tutti i marcatori sierici di infezione da HBV pur albergando a livello del tessuto epatico cccDNA virale.

Per ciò che riguarda la categoria clinica del paziente immunocompromesso, questa deve essere stabilita mediante una valutazione basale comprendente una serie di accertamenti che consenta di definire la presenza di comorbidità e di epatopatia cronica (tabella 2).

Tabella 2. Valutazione basale per definire la categoria clinica del paziente

(Fonte: Italian Association for the Study of the Liver. Prophylaxis and treatment of hepatitis B in immunocompromised patients → bibliografia).

In effetti come più volte sottolineato la riattivazione/riacutizzazione dell’epatite B ha una prognosi tanto peggiore quanto minore risulta la riserva funzionale epatica del paziente.

Nel paziente candidato a terapia immunosoppressiva che presenti transaminasi (in particolare ALT) nei valori della norma deve essere effettuata una valutazione bioumorale comprendente: emocromo, creatinina, bilirubina, γGT, fosfatasi alcalina, ALT, AST, protidemia con elettroforesi delle proteine sieriche, INR, HBsAg, anti-HBs, anti-HBc IgG, anti-HCV (nei pazienti HBsAg e/o anti-HCV positivi effettuare anche test Elisa per HIV).

Nei pazienti che presentano valori di ALT elevati rispetto ai valori di riferimento deve essere effettuata un’ecografia addominale, oltre alle indagini sopra elencate è opportuno inoltre escludere un’eziologia tossica ed in particolare alcolica essendo questa la più frequente causa di transaminasi persistentemente alterate in assenza di segni di infezione virale.

Una volta escluso l’abuso etanolico entrano in diagnosi differenziale la steatosi epatica non alcolica (NAFLD), la steatoepatite non alcolica (NASH), l’emocromatosi (dosaggio di sideremia, ferritina, transferrina, saturazione della transferrina con successiva eventuale ricerca di mutazioni del gene HFE), la

malattia celiaca (ricerca di anticorpi IgA anti-transglutaminasi) o eziologie più rare di specifica competenza epatologica.

Nei pazienti che risultano HBsAg positivi le indagini virologiche devono essere approfondite valutando la presenza di HBeAg, anti-HBe, anti-HBc IgM (index), HBV-DNA, anti-HDV e/o HDV-RNA.

I portatori conclamati attivi (HBsAg positivi, HBeAg o anti-HBe positivi con viremia rispettivamente ≥20.000 UI/ml o ≥2.000 UI/ml) immunodepressi o candidati a trattamenti immunosoppressivi devono essere attentamente valutati in base al valore delle transaminasi, alla presenza o meno dell’HBeAg, all’esito dell’ecografia addominale e di una eventuale biopsia epatica. Per questi pazienti viene sempre raccomandata una vera e propria terapia antivirale che deve essere prolungata considerato il rischio di riattivazione virale alla sospensione del trattamento.

Nei pazienti che risultano HBsAg negativi ed anti-HBc positivi è raccomandato valutare la presenza di anti-HBe e HBV-DNA su sangue che generalmente risulta non rilevabile o presente a basso titolo.

La presenza di marcatori di avvenuta infezione da parte di HBV ed in particolare la presenza di anti-HBc IgG deve portare a considerare il paziente come potenziale portatore occulto di infezione. I pazienti anti-HBc positivi che risultano anti-HBs negativi potrebbero essere sottoposti a vaccinazione con HBsAg ricombinante dato che in caso di risposta anticorpale anti-HBs una riattivazione dell’infezione in seguito ad immunodepressione risulta improbabile (33).

Nei pazienti che risultano anti-HCV positivi l’infezione cronica da HCV deve essere confermata effettuando la PCR quantitativa o qualitativa dell’RNA virale. La genotipizzazione dell’HCV può essere utile in previsione della terapia con interferone e ribavirina. La biopsia epatica in questi casi può essere indicata per meglio definire a livello istologico il quadro infiammatorio epatico e l’eventuale presenza di fibrosi. La presenza di infezione da HCV comunque non

controindica un trattamento immunosoppressivo e non necessita di profilassi specifica.

Nel caso dei portatori occulti o dei portatori conclamati inattivi di infezione da HBV immunodepressi o candidati a terapia immunosoppressiva per evitare la riattivazione/riacutizzazione dell’infezione viene indicato un trattamento di tipo profilattico con analoghi nucleos(t)idici utilizzando farmaci a bassa barriera genetica come lamivudina (fig.5).

Fig 5 Infezione da HBV: prevenzione della riattivazione/riacutizzazione nel paziente

candidato a trattamento immunosoppressivo.

In questi pazienti tale approccio è reso possibile dalla bassa possibilità di selezionare resistenze data l’assenza o la presenza di bassa viremia plasmatica. In particolare per ciò che riguarda il portatore occulto o potenziale occulto (anti- HBc positivo) viene raccomandata una profilassi preventiva universale nel paziente oncoematologico in previsione di: 1) trapianto di midollo osseo 2) chemioterapia in particolare se a base di antracicline o fludarabina 3) utilizzo di rituximab o alemtuzumab (17)(18)(19).

La profilassi deve essere iniziata da 1 a 4 settimane prima della prevista terapia immunosoppressiva, il farmaco di scelta è lamivudina che deve essere proseguito per tutto il trattamento immunosoppressivo e per almeno 6-12 mesi dopo la sua sospensione (anche 18 mesi in ambito ematologico) (20).

Durante la profilassi il paziente deve essere sottoposto a controlli mensili delle transaminasi ed a controlli trimestrali di HBsAg ed HBV-DNA (questi ultimi due test devono essere inoltre effettuati in caso di alterazione delle transaminasi). In caso di comparsa di HBV-DNA a livello plasmatico o di incremento di 10 volte dei valori basali è indicato effettuare la ricerca di resistenze alla lamivudina.

Dopo l’interruzione della profilassi con lamivudina è infrequente ma possibile il verificarsi della “siero-reversione” (“shift” del paziente da anti-HBc positivo/HBsAg negativo ad anti-HBc positivo/HBsAg positivo) con riattivazione dell’infezione, pertanto è opportuno effettuare regolari controlli delle transaminasi per un anno dopo la sospensione della profilassi.

Negli altri casi di immunocompromissione stabilmente presente o indotta da farmaci in portatore occulto o potenziale occulto viene invece raccomandato il solo monitoraggio dell’HBsAg e delle transaminasi ogni 1-3 mesi per individuare precocemente la eventuale “siero-reversione” ed attuarne tempestivamente il trattamento.

In caso di portatore occulto o potenziale occulto anti-HBs negativo è stata proposta la vaccinazione con HBsAg ricombinante in modo che l’eventuale risposta anticorpale possa prevenire la riattivazione dell’infezione (33)(34) sebbene non esistono attualmente studi che confermino l’efficacia di questo trattamento e sia nota la possibilità di riattivazione anche in presenza anticorpi anti-HBs. Nel portatore conclamato inattivo (HBsAg ed anti-HBe positivo con carica virale <2.000 UI/ml) il trattamento in regime di profilassi universale viene raccomandato in tutti i casi di immunodepressione. Pertanto oltre che in ambito oncoematologico (chemioterapie, utilizzo di rituximab associato o meno a

schemi di chemioterapia, trapianti di midollo osseo) anche nei trapianti di organo solido, in ambito reumatologico, gastroenterologico, dermatologico, in particolare quando vengano utilizzati farmaci fortemente immunosoppressivi come rituximab o altri farmaci biologici come gli inibitori del TNF (ad esempio infliximab, adalimubab, etanercept) (17)(18).

L’inizio della profilassi è raccomandato prima di ogni chemioterapia o nei trattamenti immunosoppressivi con rituximab, alemtuzumab, farmaci anti-TNF, ciclofosfamide, metotrexato, tacrolimus, ciclosporina, azatioprina, micofenolato, leflunomide e steroidi ad alto dosaggio assunti per periodi prolungati.

Nei soggetti con coinfezione da HIV che necessitano di terapia HAART si devono utilizzare combinazioni di farmaci che presentino attività crociata sulle due specie virali (ad esempio emtricitabina/tenofovir).

La profilassi deve essere iniziata da 1 a 4 settimane prima della data prevista per l’inizio del trattamento immunosoppressivo ed il farmaco di scelta anche in questo caso è lamivudina.

Le evidenze che mostrano come lamivudina in questa categoria di pazienti sia in grado di ridurre notevolmente il rischio di riacutizzazione dell’infezione da HBV sono molte: ad esempio una metanalisi del 2008 sottolinea come l’uso di lamivudina in profilassi riduca sia il rischio di riattivazione e danno epatico che di mortalità complessiva (35).

In termini di costo-beneficio la profilassi in questi pazienti risulta superiore al semplice follow-up associato all’attuazione di una precoce terapia antivirale nel momento della eventuale riacutizzazione dell’infezione da HBV.

Durante la terapia profilattica il paziente deve essere sottoposto a controlli mensili delle transaminasi e trimestrali dell’HBV-DNA. L’HBV-DNA va inoltre dosato in caso vengano riscontrate alterazioni delle transaminasi. Un incremento di oltre 10 volte il suo valore basale deve indurre ad effettuare un test per la ricerca delle resistenze alla lamivudina o agli eventuali altri analoghi nucleos(t)idici utilizzati.

La profilassi va proseguita durante tutto il periodo in cui viene effettuata la terapia immunosoppressiva e deve essere protratta per almeno 6-12 mesi dopo la sospensione di quest’ultima (anche 18 mesi in ambito ematologico).

Per trattamenti profilattici di lunga durata, superiori a 12 mesi, può essere preso in considerazione l’utilizzo di un analogo nucleos(t)idico con barriera genetica superiore rispetto a lamivudina, ma non vi sono attualmente chiare evidenze di un risultato migliore.

Alla sospensione della profilassi è possibile anche in questo caso la riacutizzazione dell’infezione da HBV, è pertanto raccomandato effettuare un follow-up del paziente per un anno dopo la sospensione della profilassi stessa (con regolari controlli delle transaminasi).

Nel caso dei portatori conclamati attivi (HBsAg positivi, HBeAg o anti-HBe positivi con viremia rispettivamente ≥20.000 UI/ml o ≥2.000 UI/ml) immunodepressi o candidati a trattamenti immunosoppressivi, in particolare se presente epatopatia basale, è sempre raccomandata una vera e propria terapia con analoghi nucleos(t)idici ad elevata potenza ed elevata barriera genetica (ad esempio entecavir o tenofovir), ed in caso di manifestazioni di scompenso epatico anche di associazioni che comprendano un analogo nucleosidico e nucleotidico (17)(18).

Si ha indicazione al trattamento per tutti i pazienti immunodepressi o candidati a terapie immunosoppressive in ambito oncoematologico, reumatologico, gastroenterologico, trapiantologico, dermatologico, nefrologico (tabella 3). Questa maggiore aggressività nel trattamento è dettata dalla presenza di un’elevata viremia basale che rende più probabile l’insorgenza di farmaco- resistenza, con conseguenti fallimenti terapeutici, in caso di utilizzo di farmaci meno potenti ed a minor barriera genetica.

Il trattamento deve essere iniziato prima dell’inizio della terapia immunosoppressiva e deve essere effettuato con farmaci ad elevata potenza ed elevata barriera genetica come entecavir e tenofovir (fig.6).

Fig.6 Analoghi nucleos(t)idici registrati per il trattamento del’infezione da HBV.

In caso di risposta subottimale alla terapia in atto o di mancata risposta può essere aggiunto in terapia un secondo farmaco.

Un analogo nucleosidico e nucleotidico possono essere associati da subito in caso di epatopatia basale grave o scompensata.

La terapia deve essere proseguita fino al raggiungimento degli obiettivi del trattamento allo stesso modo con cui si procede per i pazienti immunocompetenti.

Tabella 3: profilassi e terapia dell’infezione da HBV nel paziente immunocompromesso.

Parte II

Riattivazione dell’epatite B occulta nel paziente oncoematologico

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