CAMILLO SCROFFA E I CANTICI DI FIDENZIO
2. LA LINGUA DEI PEDANT
Il linguaggio pedantesco pre-fidenziano ruota attorno a una serie di costanti linguistiche basate, al solito, sul latino. Il repertorio lessicale rimane pressoché invariato, ed è proprio questa fissità a garantire la comicità del personaggio. In pratica, come conclude
131 Si vedano ad esempio: Francesco Belo, Il pedante, in ed.cit.; Pietro Aretino, Il marescalco, in P.
Aretino, Teatro comico, a.c. di L. D’Onghia per la collana Biblioteca di scrittori italiani, diretta da P. V. Mengaldo e A. Stussi, 2014, Guanda editore, pp. 257-484.
132
Si veda a titolo d’esempio il secondo dialogo dei Dialogi piacevoli di N. Franco (nell’edizione a.c. di F. Pignatti, 2003, Roma, Vecchiarelli editore, in particolare alle pp. 171-186) in cui il pedante Borgio, prima di salire sulla barca di Caronte, struttura e simula un’orazione da fare davanti a Plutone per ingraziarselo (in Appendice [7])
133
Si veda lettera Ai pedanti dell’agosto 1550 (cito da Aretino e Doni. Scritti scelti, a.c. di G. G. Ferrero, 1951, Torino, Utet, pp. 242-243) in Appendice [8]
134 Ad esempio nella lettera A Messer Giovanni quidam pedante, del 7 gennaio 1547 (cito ancora da
Ferrero, pp. 466-468), riportata in Appendice [9]
135
Ad esempio nella lettera ad Antonio Ravino, nel luglio del 1541 (cito da: N. Franco, Le pistole vulgari, a.c. di F. R. De Angelis, 1986, Bologna, Forni): “Io vi lodai (già sono due anni) il vostro stare in Genoa, piacendovi come mi dicevate, né vi biasimai il farci il pedante, finché io stava in Venetia, ma non posso più hora lodarvi il vostro tanto pedanteggire, che cacciatovi dietro al culo de quattro putti, pensiate di lasciarci lo spirito, perché già che io sono in camino, come v’ho facto più volte dire, vorrei che senza metterla più in ciance, ve ne veniste. No ’l dico per interesse ch’io habbi di cosa alcuna che mi debbiate: ma se pur vi piace il gir a sollazzo, rineghiate l’esser pedante, et ve ne vegniate cantando. La pedanteria è buona e utile a’ tempi, et massime quando il pane non si busca per altra via, ma dove l’huomo può prevalersi con altro, gli è un infamarsi di spontanea volontà, volersi fare famoso, perché battendo su ’l culo questo et quel putto, vogliamo far sentire di noi”.
136 Si vedano in Appendice [10] i sonetti II, V, VII, XII, XIII (cit. dall’ediz. di A. B. Della Lega, Sonetti di
Francesco Ruspoli editi e inediti col commento di A. Cavalcanti, in Scelta di curiosità letterarie inedite o rare dal secolo XIII al XIX, 1968, Bologna, Commissione per i testi di lingua).
Stäuble, “non è la parola in sé ad essere comica, bensì il fatto che essa possa a prima vista essere riconosciuta come facente parte del « codice » pedantesco”137.
2.1. Citazioni latine e locuzioni latineggianti.
Il pedante nutre il proprio linguaggio di inserti latini che spaziano dalla citazione letterale di autori classici138 e cristiani139 all’uso pressoché smodato di espressioni latineggianti. Queste ultime, più ancora delle citazioni, informano tutto il lessico del pedante, per la maggior parte in forma di cultismi veicolanti concetti bassi e volgari, quando non scolastici e superficiali. Si veda ad esempio Il pedante di Belo:
“E, se qualcuno vuole captare benevolenzia appresso di loro, bisogna che sia un testis iniquus, un garulo inquieto, un furcifer” (I, 4)
“Ho decreto de mandargli un’apocha” (I, 4)
“Ma guarda pur ch’io non ti dia qualche alapa che non ti metti quattro denti nel gutture” (II, 5)
E sulla stessa linea anche il pedante del Marescalco aretiniano:
“E il tutto sua Eccellenzia ha conferito nobiscum, e hammi imposto che ego agam
oratiunculam” (I, 9)
“Caro e unico marescalco, animadverte là nel Vecchio Testamento, e vederai, oculata fide, sì compe erano expulsi dai templi e interdettogli ignem et aquam” (ibidem).
“Questi effeminati ganimedi infamano istam urbem clarissimam!” (II, 11)
“Postulando la pretura e il guberno di questa aurea città, omnia gratis et cito obtineam” (III, 10) “Ego habeo in catalogo tutti i nomi virorum et mulierum illustrium” (V, 3)
137
A. Stäuble, op.cit., p.53
138 Come Prudenzio appena entra in scena nel Pedante di Belo: “Omnia vincit amor et nos cedamus
amori” (I, 4), citazione dalle Bucoliche (X, 69) di Virgilio, citato poche righe dopo con l’Eneide (I, 94): “Oh terque quaterque infelice”; oppure, più avanti, l’espressione “et est lascivior hedo” (ibid.) rimanda alle Metamorfosi di Ovidio, XIII, 791; viene citato anche Catone (Distici, II, 14 e I, 10) quando Prudenzio si rivolge a Malfatto dicendo “esto forti animo cum sis damnatus inique” e, poco più avanti, “contra verbosus noli contendere verbis” (II, 4); cfr. anche Aretino, Il marescalco, dove in ben due luoghi la fonte è citata direttamente: prima in I, 9: “imperò che ars deluditur arte (il nostro Cato)”, ripresa, per l’appunto, di Catone, Distici, I, 26; poi in IV, 5: “Eccoti Virgilio: « mihi parvulus aula luderet Aeneas »”, da Eneide, IV, vv. 328-329; anche in II, 2 torna l’Eneide, di cui vengono citate le prime due parole: “arma virum”; nella stessa scena si trova ancora una citazione di Catone nel sintagma “ira impedit animum” (sebbene Catone, in Distici, II, 4, scrive “impedit ira animum”).
139
Belo, Il pedante, I, 4: “tanquam boves et oves et super pecora campi”, citazione dei Salmi, VIII, 7-8; Aretino, Il marescalco, II, 11: “Honorem meum nemini dabo”, che probabilmente riprende il passo di
Isaia, 48, 11: “et gloria meam alteri non dabo”; e in V, 3, “quis habet aures audiendi audiat” riprende
Matteo, 11, 15; ancora in V, 10, il pedante apre un discorso citando direttamente il primo capitolo della
2.2. Latinismi.
Il vero cuore del lessico e della psicologia del pedante sono, però, i latinismi. Alla pressione culta tipica della lingua del Cinquecento si sottomette, infatti, una figura già esclusa dall’apparato sociale e che nel latinismo trova un rifugio sicuro dalle proprie frustrazioni letterarie. Pertanto il reale sforzo del pedante non è quello di riportare in auge la latinitas, bensì di ostentare la propria autorevolezza culturale mediante l’uso di cultismi volgarizzati e inseriti all’interno di ogni contesto in cui si trovi a prendere la parola. Così, ad esempio, il Prudenzio di Belo:
“...non deceat sibi l’amare queste puellule tenere; benché dicitur che a fele, senio confetto, se lli convenga un mure tenero” (I, 4)
“Voglio andare al fòro per emere alcuna cosetta per prendere la corporale refezione e resarcire, cibando, el ieiuno ventre” (I, 4)
“...voglio cognoscerlo e fargli dar molte vulnere” (II, 5)
“...che tu ci vadia per ogni modo quando avremo epulato” (II, 5) “...andarò ad osculare i piedi al clavigero portitore cellicolo” (III, 4) “...non sanno la decima parte de quello che sanno le mie crepide” (IV, 2)
Così anche il pedante del Marescalco:
“Sempre gli equi calcitrano coi mulioni” (I, 12)
“Difficillima cosa è il potersi più vivere ad uno eloquente eroico, in questa ferrea e plumbea
etate” (II, 11)
“Di modo che io mi sono obliato” (III, 10)
“Voglio entrare per requiescere aliquantulum” (III, 11) “Messer Jacopo nostro non è viro mendace” (IV, 5)
A questa categoria si possono aggiungere anche i costrutti tipicamente latini contenenti, talvolta, termini italianizzati. È il caso degli ablativi assoluti:
“E vederai, oculata fide, sì come erano expulsi dei templi” (Marescalco, I, 9)
“Uno inetto ladrunculo mi ha posto dietro alcuno scoppiculi di pagina, e datogli lo igne mi ha combusto i capegli” (Marescalco, II, 11)
Al tempo stesso, si possono inserire nella categoria dei latinismi anche costrutti italiani latinizzati, come proverbi o espressioni idiomatiche. È qui che emerge in maniera consistente il contrasto tra pretesa superiorità culturale e inopportuna pomposità del pedante; qui, soprattutto, che il latinismo si mostra finalmente come lo schermo tramite il quale il pedante filtra e maschera la propria situazione di emarginato.
“Vade ad furcas” (Pedante, III, 2)
“Voglio andare nunc nunc al tribunale” (Pedante, III, 4) “Andando de malo in peius” (Marescalco, I, 9)
“Mingere possa tu le interiora” (Marescalco, III, 11)
“Omnis regula patitur excettionem, latine loquendo” (Marescalco, IV, 5)
La commistione delle due lingue spesso si tramuta in una simultanea traduzione dal latino al volgare. Il pedante, infatti, per mostrare una volta di più l’ignoranza altrui a confronto con la propria erudizione, utilizza delle vere e proprie espressione “doppie”:
“Quid vis? Che vòi?” (Pedante, III, 2)
“Nihil prodest, idest che non giova” (Pedante, IV, 2)
“Hammi imposto che ego agat oratiunculam, cioè componga il sermone” (Marescalco, I, 9) “Me tedet, mi rincresce” (Marescalco, II, 11)
“Et iterum, di nuovo” (Marescalco, V, 3)
“Placet vobis, piace egli a voi” (Marescalco, V, 10)
Tuttavia, non di rado il pedante attua il processo opposto, traducendo in latino frasi inizialmente espresse in volgare (sebbene in un volgare artificioso e altrettanto incomprensibile del latino), a dimostrazione che la lingua d’uso comune è per lui quella che tutti considerano “gramatica”.
“Andiamo all’ospizio, idest in domo” (Pedante, II, 5) “Tu lo hai detto, tu dixisti” (Marescalco, I, 11) “Volentieri, libenter” (Marescalco, V, 3)