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DAL PEDANTESCO AL FIDENZIANO: AFFINITÀ E DIFFERENZE TRA PRUDENZIO E FIDENZIO

CAMILLO SCROFFA E I CANTICI DI FIDENZIO

4. DAL PEDANTESCO AL FIDENZIANO: AFFINITÀ E DIFFERENZE TRA PRUDENZIO E FIDENZIO

Le differenze tra i pedanti dello Scroffa, del Belo e dell’Aretino non si limitano all’ambito linguistico: le diversità tra i tre emergono anche dal punto di vista della costruzione del personaggio.

Innanzitutto il pedante del Marescalco è una figura marginale. L’Aretino si trovò a rappresentarlo in quanto parte del tessuto sociale da ricreare all’interno della commedia, ma non gli diede più spazio di un qualunque personaggio secondario. Pertanto, senza neanche un nome proprio, il pedante aretiniano è pura e semplice raffigurazione della categoria dei pedanti tout court: è goffo, ignorante, sputasentenze e superbo. Non è innamorato, ma sconcio e osceno, è maestro di scuola, ma non viene mai colto nello svolgimento del suo mestiere. Ciò che lo avvicina a Scroffa è la pregnante caratterizzazione linguistica: in Aretino, molto più che in Belo, il pedante predilige le desinenze vocaliche “alla fidenziana”, che avvicinano le forme latine a quelle volgari – sebbene mantenga anche il tipico uso linguistico dell’espressione latina subito tradotta in italiano. Le affinità, però, si fermano qui: l’Aretino mira a colpire, per l’appunto, la categoria e ne mostra il rappresentante nel pieno della sua negatività, rendendoci l’immagine di un nudo cliché cinquecentesco.

Al contrario, tra Prudenzio e Fidenzio esistono somiglianze notevoli, pur tenendo conto di alcune differenze basilari: il testo teatrale è ovviamente in prosa, mentre i Cantici sono in versi. In secondo luogo, Fidenzio parla in prima persona, è sia autore che protagonista dei componimenti, pertanto alcuni topoi tipici della commedia – come i fraintendimenti linguistici con altri personaggi – non trovano spazio nella sua opera. Fidenzio assume inoltre i tratti del commentatore, narrando e allo stesso tempo interpretando ciò che gli succede, come nelle due terzine del son. XIII:

Di ciò mi manda per presagio chiaro questo intestino di prune exiccato, reliquia de la sua bocca docente:

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volendo dir ch’egli ha il duro et l’amaro expulso, et sol il dolce reservato. O inventiva callida et prudente!

Infine non vengono riportate le beffe, tipiche del Marescalco e del Pedante. Del resto non era necessario farne menzione tanto nell’ottica di Fidenzio, che aveva assemblato l’opera per donarla a Camillo, quanto per l’autore primario, ossia lo Scroffa: in fondo, tutti i Cantici possono essere letti come un’omogenea beffa dell’autore al suo personaggio (cfr. commento ai Cantici, XIX). È lui a presentarci un Fidenzio intento a rendersi ridicolo per mezzo dei suoi stessi atteggiamenti, ed è sempre lui che “lo rappresenta e lo fischia ad un tempo”142

. Ma al tempo stesso è lui a far emergere le sfaccettature più intime del suo pedante, in un racconto poetico di inusitata – e inimitata – maturità, sia lirica che parodica.

In ogni caso, come si diceva, esistono delle tessere comuni a Prudenzio e Fidenzio. Entrambi i pedanti sono infatti maestri di grammatica e si gloriano delle proprie capacità di insegnanti. Fidenzio parla addirittura di “cento fanciulli d’indole prestante” (son. V) che stanno sotto la sua “egregia disciplina” (ibidem), e anche i metodi educativi di Prudenzio emergono più volte nella commedia:

CURZIO E perché? Di chi hai paura?

MALFATTO E che? Me voresti fare le male cose come fa lo mastro alli scolari, eh? CURZIO So ch’el confessa senza tratto di corda.

(II, 1)

LUZIO Oimé! Mastro mio, perdonateme, ché io non lo farò mai più. PRUDENZIO Pigliate, pigliate quel capestrunculo.

LUZIO Eh! Mastro mio, non me ammazetis.

PRUDENZIO Giotto, cinedulo! A questo modo si fuge dal gimnasio, eh? Latruncolo, inimico del romano eloquio!

LUZIO Eh! Mastro mio bonus, perdonateme.

PRUDENZIO No, no. Io te voglio dare mille vapulature acciò che tu essemplifichi gli altri

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condiscipuli tuoi.

(III, 2)

Entrambi, poi, sono accompagnati nel loro mestiere da una sorta di assistente alle lezioni, detto ripetitore. È il messer Blasio citato da Fidenzio al son. XI e nel capitolo XVII, ma è anche il Repetitore di Prudenzio, che parla applicando le stesse regole del linguaggio pedantesco e dunque affiancandolo anche nel modo di esprimersi:

PRUDENZIO De grazia, propter amorem Dei, fate che veniat cito. REPETITORE Lassate pur far a me.

PRUDENZIO E racomandateme all’amita sua. REPETITORE Lassate pur fare l’excusatorie a me. PRUDENZIO Caminate, ché iam est mulum sero. REPETITORE Non ve conturbamini. Tornate pur dentro. PRUDENZIO Audiatis, domine. Oh missere!

REPETITORE Che piace alla Magnificenzia Vostra?

PRUDENZIO Potrete dirli, se pur nol volessino lassar venire, che voi lo soziarete incolumen e senza lesione alcuna.

REPETITORE Io ve ho inteso. State sano e vivete in tripudio, ch’io ve llo condurrò omnino e portarovi risposta sodisfattoria.

PRUDENZIO M’aricomando alla loquacità vostra.

REPETITORE Gran cosa che li uomini discreti e periti nelle lettere, e che hanno il cerebro ripieno di lucubrazioni e di prischi exempli, e nelli anni adolescentuli sieno stati discordanti alle blandizie e faci veneree e alle lascivie e crapule, in nella senectu fiunt bis pueri! Ma tedet mihi che ’l mio precettore urisca inelle viscere come arida stipula. Ma serà buono ch’io volti giù per questa viècula acciò che più presto me espedisca da questo negozio.

(IV, 3)

L’uno e l’altro recitano per i loro amati i propri componimenti. Fidenzio addirittura ci presenta la sua intera opera come “munusculo” (son. II) “compilato” (ibidem) per Camillo. Prudenzio – in questo più simile al pedante del Marescalco – compone dei centoni per lo più mutuati da opere di Virgilio e che poi spaccia, con finta modestia, per componimenti originali:

PRUDENZIO Non più voi, per adesso, no; lassate canere a questo nostro discipulo. Di’ sù, tu: spàcciati.

[...]

LUZIO Heu miserum miserum nihil mea carmina curas.

Me mori cogis nempe profecto quidem.

MASTRO ANTONIO Ancora sè più? Oh! vo’ siu più doto d’Orlando. LUZIO Parcere subiectis, quod cadunt alba ligusta:

amen dico tibi certa rede coco.

MASTRO ANTONIO Oh bono, oh bono! Hali composti la magnificentia vostra questi strambotti?

PRUDENZIO Al comando della Signoria Vostra. MASTRO ANTONIO Voi site lo primo omo del mondo. PRUDENZIO Per grazia vostra, non che lo meritiamo.

(V, 7)

Ma soprattutto, entrambi i pedanti sono innamorati: Prudenzio di Livia e Fidenzio di Camillo. I due descrivono le bellezze degli amati in maniera simile143, ma il sentimento di Fidenzio ha più di un particolare che lo rende scandaloso: il suo amore, oltre ad essere omosessuale, è infatti rivolto a un alunno. Per di più l’alunno in questione (Camillo) sarebbe – secondo l’interpretazione unanime della critica scroffiana144 – un rampollo della famiglia Strozzi, cosicché Fidenzio si trova non solo ad amare un ragazzo di molti anni più giovane, ma anche proveniente da un ceto sociale al di sopra delle sue possibilità. Questo, unito al timore di venire scoperto e giustiziato per pederastia (all’epoca la Repubblica Veneta prevedeva il rogo per il reato di sodomia) costringe il sentimento del maestro a restare platonico.

Prudenzio, invece, è ricambiato da Livia e si connota così come un pedante tutto sommato “vincente”, mentre Fidenzio è fin da subito rifiutato da Camillo. Anzi, tutti i Cantici non sono altro che un “opusculo” (son. II) assemblato per addolcire l’animo del giovane, nei suoi confronti duro come “cote caucasea” (son. II). Il forzato platonismo amoroso di Fidenzio assume anche ulteriori tratti caricaturali: i pedanti, infatti, erano noti per la pratica della sodomia e già l’Ariosto, nelle satire, sosteneva che

senza quel vizio son pochi umanisti

143 Vedi introduz. al son. III 144

che fé a Dio forza, non che persuase, di far Gomorra e i suoi vicini tristi.145

Di fatto, quindi, l’esplicitazione in più punti della natura platonica dell’amore per Camillo serviva a poco, “perché lo Scroffa sapeva bene che a questo platonismo pochi avrebbero badato, e avrebbero inteso nel peggior senso, sapendosi l’uso vero dei pedanti”146

. Ovviamente il fatto che Fidenzio provasse in tutti i modi – e senza mai riuscirvi – a rendere socratico tale sentimento non diminuisce la satira a suo danno, anzi la intensifica connotandolo in tutto e per tutto come un pedante perdente. Tuttavia Fidenzio emerge dai Cantici con uno spessore maggiore rispetto ai suoi predecessori, poiché del suo amore per Camillo non mostra solo la “concupiscentia” (son. III), ma anche i “sospiri” (son. I), il “gaudio” (son. XI), nonché il “tormento” (son. IV) e l’ “amaritudine” (son. VI) fino alla sensazione di esserne “victima e holocausto” (son. XVIII). Prudenzio, invece, molto più monoliticamente tesse le lodi della donna amata, esprimendo il desiderio di “coniugnerla [...] in coppula e vinculo matrimoniale” (I, 4) e limitandosi a descriverne la bellezza il cui ricordo lo “letifica” (II, 5). La figura di Fidenzio, dunque, seppure estremizzata in senso caricaturale, dimostra una complessità emotiva che per la prima volta avvicina il pedante all’intellettuale rinascimentale in piena crisi linguistico-culturale. A sua volta questa problematica poliedricità innesca un processo di immedesimazione nel lettore, che sicuramente riesce a ridere delle sventure del “ludimagistro” narrate in maniera astrusa e autoreferenziale, ma – seguendo un’affermazione già di Benedetto Croce147

– con un substrato di partecipazione e pietà mai riscontrati prima.