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La lingua volgare si insinua nel diritto, la legge diffonde la lingua

Abbiamo già detto abbastanza per poter asserire la prima grande connessione tra diritto e lingua, per così dire di matrice diacronica, per cui la lingua è formante del diritto150.

Vediamo ora di dimostrare l’inverso, per cui il diritto, in senso oggettivo151, è formante della lingua152.

147 Alla stessa conclusione giunge CORTELLAZZO, M. A., Lingue speciali: la dimensione

verticale, Unipress, Padova, 1994: ―il diritto non si serve della lingua, ma è fatto di lingua‖; così

come MELLINKOFF, D, The language of the Law, Little, Brown, Boston, 1963 ―the law is a profession of words‖.

148 IRTI, N., p. 57 del Corriere della Sera, 24 ottobre 2008, Le vite parallele di diritto e lingua. 149 Sono parole di PALERMO, F., Insieme per forza? Aporie epistemologiche tra lingua e diritto,

in Veronesi, D. (a cura di), Linguistica giuridica italiana e tedesca, Unipress, , Padova, 2001, pp. 17-28.

150 Nel capitolo IV verificheremo che la lingua è formante del diritto anche da una prospettiva

sincronica: alcune corti italiane fanno riferimento al diritto straniero in controversie prive di elementi di internazionalità senza che le corti vi siano in qualche modo tenute SOMMA, A.,

Metodi e scopi della comparazione giuridica nelle decisioni delle corti, in ALPA, G., ed., Il giudice e l’uso delle sentenze straniere. Modalità e tecniche della comparazione giuridica. Atti del

Seminario della Corte costituzionale e del Consiglio nazionale forense del 21 ottobre 2005, Giuffrè, Milano, 2006. Si tratta di un’operazione di volontaria comparazione dei sistemi giuridici.

151 NINO, C., Introduzione all’analisi del diritto, Giappichelli, Torino, 1996.

152 Per delimitare l’ambito di questa trattazione si è scelto di analizzare le politiche linguistiche di

Elena Grasso

In Francia les Ordonnances di Francesco I sono il sigillo regio apposto al processo di diffusione del francese, non solo per dare alla nazione un volgare illustre, che peraltro armonizza una situazione di fatto già esistente, ma per trovare in una lingua perfezionata dall’attività di istituzioni fondate ad hoc come l’Académie Française153

uno strumento di espansione dell’autorità statale.

L’affermazione del francese cresce come lingua di corte e come lingua di diplomazia, poiché accanto ad un’indubbia tendenza universalistica, era sorretta da una ferma volontà imperiale di esprimere l’eccellenza dello Stato154, che dettava le sue condizioni imponendo l’idioma nazionale: i trattati di annessione della Franca Contea e il controllo delle Fiandre vennero redatti in francese155, così come in francese venne redatto il trattato di Rastad (1714) che costrinse il Re Sole a cedere all’Inghilterra parte dell’America del Nord occupata dopo il regno di Enrico IV e il Congresso di Vienna, che decretò la fine dell’egemonia imperialistica francese156.

evidenti nel campo delle relazioni internazionali. Qui, la lingua non ha mai costituito una questione di scambio culturale. È stata anche un mezzo di colonizzazione, occupazione, soppressione, un simbolo di egmonia e resistenza. Si narra che Isabella di Castiglia abbia ordinato a Cristoforo Colombo di sopprimere l’idioma degli autoctoni abitanti delle supposte Indie come simbolo di conquista. Nei paesi decolonizzati, ancora oggi una esigua minoranza che parla la lingua degli ex-coloni detiene il potere. DROHLA, J., The languages of public International law:

power politics under the cloak of cultural diversity? dans Droit international et diversité linguistiques, Editiones Pedone, Paris, 2008.

153 Fondata il 25 gennaio 1635 si prometteva di rendere la lingua francese pura e adatta alle più

elevate forme di eloquenza, di regolamentare l’uso dei termini e della sintassi, di redigere un dizionario e una grammatica. Il regime al quale la lingua è sottomessa è il regime di tutto loStato.

154 PRINCIPATO, A., Breve storia della lingua francese. Dal Cinquecento ai nostri giorni,

Carocci, Roma, 2000.

155 Trattati di Nimega del 1678 e del 1679.

156 L’atto finale del Congresso di Vienna del 1815 è stato redatto in francese, con la seguente

riserva : La langue fraçaise ayant été exclusivement employée dans toutes les copies du présent

traité, il est reconnu par le Puissances qui ont concouru à cet acte, que l’emploi de cette langue ne tierera point à conséquence pour l’avenir; de sorte que chaque Puissance se réserve d’adopter, dans les négotiations et conventions futures, la langue dont elle s’est servie jusqu’ici dans ses relations diplomatiques, sans que le traité actuel puisse être cité comme exemple contraire aux

Elena Grasso

L’egemonia culturale francese transita sui binari della lingua, veicolata dai philosophes presso i sovrani europei: Voltaire presso Federico II, Diderot presso Caterina II, mentre Gustavo II si fece portavoce di un “cosmopolitismo lessicale” profondamente influenzato dal francese157.

Con alterne fortune158 questa politica linguistica sfociò nella soluzione napoleonica, per cui si iniziò a percorrere la strada del superamento dei dialetti159 attraverso l’istruzione elementare, il potere lento ma certo dell’imitazione160, e la redazione del Code Civil, che avrebbe snellito l’amministrazione e favorito l’efficienza dell’esercito.

Ma come mai fra tutti i formanti, l’italiano giuridico ha subito l’influenza proprio del francese?

Con la fine dell’età napoleonica, che aveva esteso l’applicazione del Code Napoléon del 1804 alla Penisola italiana, il code viene abrogato negli stati restaurati dal Congresso di Vienna161.

usages établis. HILF, Meinhard, Die Auslegung mehrsprachiger Verträgen, Frankfurt a. M., 1972,

p. 28.

157 PROSCHWITZ, G.VON, Gustave II par ses lettres, Nordtedt-Touzot, Stockholm-Paris, 1986. 158 La Rivoluzione cercò di diffondere i suoi ideali traducendo i decreti nei dialetti, operazione che

veicolava il pericolo di un federalismo linguistico (la legge Merlin del 20 luglio 1794 che prevedeva sei mesi di prigione per il funzionario che nell’esercizio delle sue funzioni scriveva verbali, giudizi o contratti in idioma diverso che quello francese, fu poi sospesa il 2 settembre dello stesso anno), da scongiurare attraverso l’insegnamento elementare nazionale del francese, che il rapporto di Condorcet del 20 aprile 1792 considerava unico e indispensabile strumento di un’educazione democratica e repubblicana in grado di superare le varietà diastatiche della lingua. SERMAIN, J. P., La part du diable. La rhétorique et ses enjeux pendant la Révolution française, in Confronto Letterario, 1989, pp. 94-115.

159 Nel 1784 Rivarol rispondeva al tema proposto dall’accademia di Berlino ―Che cosa ha reso la

lingua francese universale?‖ dicendo che ―se il provenzale, che ha solo suoni pieni, fosse prevalso, avrebbe dato al francese lo splendore dello spagnolo e dell’italiano; ma il Mezzogiorno di Francia, sempre privo di capitale e di re, non poté sostenere la concorrenza del Nord, e l’influenza del dialetto piccardo si accrebbe con quella della corona‖.

160 Eugène Coquebert de Montbret, 1831

161 Nel Nord esisteva il Regno di Sardegna, che comprendeva le attuali regioni nordoccidentali

italiane, la Sardegna e le regioni (attualmente francesi) della Savoia e di Nizza, ed il Regno Lombardo Veneto, formato da Lombardia e Veneto, che era una parte dell'Impero di Austria. Nell'Italia centrale furono restaurati il Ducato di Parma e Piacenza, comprensivo di queste due città e del loro territorio, il Ducato di Modena e Reggio Emilia, comprensivo di queste due città e

Elena Grasso

Proprio per la felice sintesi, da esso realizzata, tra principi di libertà ed uguaglianza tra cittadini (ad esempio, il fatto già di utilizzare espressioni come “chiunque”, “ogni persona”, ecc.) provenienti dalla Rivoluzione Francese e tradizione giuridica europea, fondata anche in Francia sul sistema del diritto romano comune, molti degli Stati italiani restaurati si resero conto che era inevitabile la redazione di un codice civile e che non si poteva ritornare al sistema delle fonti del diritto romano comune non codificato162.

Così si occuparono della redazione di codici modellati su quello francese e ad avvenuta unificazione, il 1 giugno del 1865 fu promulgato il nuovo Codice civile per tutto il Paese, che entrò in vigore il 1 gennaio 1866. La rapidità con cui venne realizzato il nuovo codice fu certamente dovuta al fatto che l'unificazione del diritto privato non poneva particolari problemi di tipo politico - legislativo, in quanto quattro dei Codici preunitari163, per unitarietà della fonte (il Codice francese) e per sostanziale unità del contenuto, realizzavano già una specie di "diritto comune”164.

del loro territorio, il Principato di Lucca, formato da questa città e dal suo territorio, il Granducato di Toscana, che includeva quasi tutta l'attuale regione omonima, e lo Stato Pontificio, formato dalla Romagna (con la città di Bologna), Marche, Umbria e Lazio. Infine nell'Italia meridionale fu restaurato il Regno delle Due Sicilie, comprensivo di tutte le regioni meridionali della penisola italiana e della Sicilia.

162Cfr. ASTUTI, G., Il Code Napoleon in Italia e la sua influenza sui codici degli Stati italiani

successori in Annali di Storia del diritto, XIV – XVII, 1970-1973, pp. 2 e ss.; GHISALBERTI,

C., Unità nazionale e unificazione giuridica in Italia. La codificazione del diritto nel

Risorgimento, Laterza, Roma-Bari, 1979, pp. 223 e ss.

163 E delle Due Sicilie, di Parma, di Sardegna, di Modena e austriaco.

164 Tutto il XIX secolo è stato caratterizzato dalla traduzione delle opere francesi appartenenti

all’École de l’exégèse, composta dai commentatori del Code Civil, successivamente imitati dalla dottrina italiana. SOMMA, A., L’uso giurisprudenziale della comparazione nel diritto interno e

comunitario, Milano, Giuffrè, 2001. La recezione del modello tedesco che influenzò invece il

Codice civile del 1942 avvenne attraverso la lettura in originale delle opere della dottrina: Savigny, Glück, Dernburg, Windscheid. CATERINA, R. - ROSSI, P., L’italiano giuridico, in POZZO, B. – TIMOTEO, M., Europa e linguaggi giuridici, Giuffrè, Milano, 2008.

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La lingua riflette questa omogeneità di contenuti: il Code Napoléon all’art. 1993 stabiliva che “tout mandataire est tenu de rendre compte de sa gestion” e già il Codice civile di Napoleone il Grande pel Regno d’Italia a pag 587 della IV edizione, Milano 1806 traduceva letteralmente “Qualunque mandatario deve rendere conto al mandante del suo operato, e di tutto quello che ha ricevuto in forza della sua procura”. Il codice civile del 1865 molto saviamente conservava la vecchia dizione dell’art. 1747: “ogni mandatario deve render conto del suo operato….”. La formula è linguisticamente ricalcata sulla francese, ma render conto non è un calco francese, trova un antecedente in render ragione e si ritrova in Dante, Tommaseo165 ed è di derivazione latina.

Ciononostante il codificatore del 1936 ritenne l’espressione ricalcata su quella francese e la corresse con “rendere il conto” (art. 1713, c.c. del 1936). Poiché il non è un elemento pleonastico, l’aggiunta ha costretto la dottrina a ricorrere all’intenzione del legislatore per recuperare il senso originario dell’espressione, che consisteva nell’obbligare il mandatario a rispondere interamente del suo operato166, non solo ad esibire il prospetto delle entrate e delle uscite167. Ancora oggi, l’art. 1713 del c. c. vigente annovera tra gli obblighi del mandatario quello di rendere al mandante il conto del suo operato.

Così in Italia, successivamente alla recezione del code napoleonico, nel 1820 Ferdinando Arrivabene168 si augurava che la lingua forense venisse epurata dalle forme dialettali, allo stesso modo in cui Maurizio Moschini, autore nel 1832 di un Saggio sulla lingua

165TOMMASEO, N., Nuovo dizionario dei sinonimi della lingua italiana, Firenze, 1838.

166MINERVINI, G. Il mandato, la commissione, la spedizione, in Trattato di diritto civile italiano,

vol VIII, Utet, Torino, 1952, pp. 90-99.

167DE MAURO, T., Storia linguistica dell’Italia unita, op. cit.

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legale, vagheggiava una “polita lingua a tota italia comune”, da raggiungere “attraverso lo studio del Vocabolario della Crusca, la lettura attenta degli scrittori italiani, meglio se di cose giuridiche, l’assimilazione e l’imitazione dei giuristi antichi”.

È evidente come la necessità di non poter scindere diritto e lingua sia ad oggi attuale: ora come allora l’Accademia della Crusca costituisce un punto fermo per i giuristi, promuovendo convegni169 e favorendo le interazioni tra i settori specialistici.

Nel 1911 Vittorio Scialoja, fondando un circolo di studi giuridici, si preoccupava della gente “che crede che un libro sia tanto più scientifico quanto si allontana dal vocabolario italiano”170, relegando implicitamente il linguaggio giuridico eccessivamente oscuro alla stregua di un dialetto. Ma, nonostante queste critiche, va riconosciuto all’apparato burocratico dello Stato italiano il tardivo ma innegabile merito di avere contribuito a diffondere la lingua italiana171.

Il XX secolo è il secolo della frammentazione linguistica, che rifletteva la crescita del potere degli Stati Uniti nei confronti dell’Europa logorata e indebolita dalle guerre: le lingue autentiche del Trattato di Versailles del 1919 erano inglese e francese, così come l’anno successivo l’art. 39 dello Statuto della Corte permanente di giustizia individuava in queste due lingue the official language of the Court.

169 Convegno del 5 luglio 2006, L’italiano giuridico in prospettiva europea.

170 SCIALOIA, V., Diritto pratico e diritto teorico, in Rivista di diritto commerciale, I, 1911, p.

840.

171 CASSESE S., Il linguaggio della burocrazia, in Il linguaggio della divulgazione, Selezione dal

Reader’s Digest, Milano, 1983, pp. 42-48; DE MAURO, T., Storia linguistica dell’Italia unita, op.cit.

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Nel dopoguerra in Francia la frammentazione linguistica del Paese, riconosciuta dalla legge Deixonne172, viene superata con l’istituzione nel 1966 dell’Alto Comitato per la difesa e l’espansione della lingua francese, e successivamente con l’emanazione della legge Bas-Lauriol, che, prescrivendo l’utilizzo del francese come unica lingua nel rapporto con il consumatore, mirava a rivolgersi ad un nuovo interlocutore, quello costituito dalla società civile173.

Gli effetti di quest’ultima legge vennero ripresi e ampliati dal governo di Balladur e dal nuovo ministro della Cultura e della Francofonia, Jacques Toubon, che nel 1994 riafferma le intenzioni della legge Bas-Lauriol, imponendo il francese nella pubblicità e nella presentazione di beni e prodotti di servizio, nel mondo del lavoro, dell’insegnamento, dei mass media e dei concorsi, così come in quello di simposi scientifici, congressi e manifestazioni.

Il diritto diffonde e plasma la materia linguistica.

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