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Così la pancia della Lucania richiama in una fame (e sete) di identità le comunità del versante salernitano a cercare di scavare cosa c’è sotto la propria fede e, allo stesso tempo, a fare i conti con i propri simili (le altre Genti Lucane) che incrociano ogni anno la prima domenica di settembre. Il petrolio è, con la certezza del pellegrinaggio, il nuovo elemento che tinge le retoriche (e le politiche) sulla “lucanità”, un termine ibrido, entrato ormai nel parlato comune, che indica l’identità lucana. La natura di identità, suffragata dai dati di campo, intellegibile per mezzo dell’attraversamento del confine politico tra due regioni e l’attenzione ermeneutica sul giudizio che i giacimenti di idrocarburi sottostanti spinge a formulare e l’aderenza ad una “tradizione che sta per scomparire” fa della lucanità un elemento di affiliazione ad una terra (e a cosmogonie locali) in cui le retoriche sull’antico fanno il paio con il “progresso”.

Quindi, i lucani chi sono?

E ci chiedete quel che siamo! Siamo quel che la razza, il clima, il luogo, la storia (la storia di un paese naturalmente assai povero, che gli uomini si ostinano a credere naturalmente assai ricco) hanno voluto che fossimo: nella sventura i più duramente colpiti, i più deboli al momento della riscossa. (…) Basta percorrere un tratto delle nostre province per avere un primo esatto concetto del vero: all’aria di rigoglio e di quiete nell’agricoltura (…) succede improvviso nell’animo del viandante come un senso di indicibile turbamento e di meraviglia per un so che di universale desolazione, che gli fa credere a un cataclisma, a una recente irruzione dei barbari (…). Voi pensate allora come a una lotta crudele, fierissima, fra l’uomo e la natura: una lotta di cui l’uno e l’altro portano indelebili le tracce dolorose185.

Le parole del lucano Giustino Fortunato tratteggiano una Lucania antica che ancora ora continua a lottare, portandone le tracce, con la natura. Una lotta il cui teatro “naturale” è proprio il luogo antropologico che, seguendo Marc Augé, custodisce tre caratteristiche essenziali: essere identitario (in grado quindi di individuare l’identità di chi lo abita), essere relazionale (stabilisce una reciprocità dei rapporti tra gli individui funzionale ad una comune appartenenza), essere storico (capace di mantenere la consapevolezza delle proprie radici in chi lo abita)186.

184 Sulla responsabilità dell’antropologo di non negarsi allo studio delle nuove paure cito solamente: Augé M., Le nuove paure. Che cosa temiamo oggi?, Bollati Boringhieri, Torino 2013.

185 Fortunato G., Mezzogiorno e lo Stato italiano, La Nuova Italia, Firenze 1926, p. 56-57. 186 Augé M., Non-lieux, Edition du Seuil, Paris 1993.

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Occorre, però, fare un passo indietro prima di provare ad analizzare il concetto di “lucanità”.

Il nodo della località. Sappiamo, grazie a Arjun Appadurai, che la località è un prodotto

culturale che trasforma lo spazio in luogo, talvolta in maniera aggressiva o violenta in conseguenza ad un attacco subìto o lanciato187. Angelo Torre ne sintetizza così i tratti principali:

Con questa espressione [la produzione della località n.d.a.] intendiamo un lavoro costante e intenzionale degli insediamenti umani per contrastare la fragilità propria delle relazioni che ne rendono possibile l’esistenza con la costruzione di tecniche locali, che definiscano la competenza dei nativi: l’obiettivo è la produzione di soggetti che sappiano appartenere in modo competente a una specifica località. In questa prospettiva la località è, appunto, un contesto generato da tecniche di rafforzamento delle relazioni intrinsecamente fragili tra vicini. Ma essa è anche un fattore generatore di contesto, che pone cioè i vicinati in relazione reciproca. La località, da questo punto di vista, interpreta, valorizza, pratica materialmente il contesto che essa stessa ha generato188.

La definizione dello storico, citando il temine – anch’esso appadurajano189 – vicinato, aggiunge alla definizione originaria una serie di azioni culturali (interpretare, valorizzare, praticare) che nell’analisi della produzione di località nel mondo globalizzato paiono essere sottotraccia mentre riemergono dal passato storico di piccole comunità montanare sviluppatisi in epoca moderna190. Le azioni della località, inoltre, le ho ritrovate vive e operanti negli informatori di questa ricerca, come si vedrà nel prossimo capitolo. Quindi il concetto da cui partire per riflettere sulle Genti Lucane non parrebbe essere quello di località, ma bensì di vicinato, al tempo stesso base ed arrivo, della produzione di contesto fondante una serie di relazioni reciproche. Queste relazioni mi è parso di trovarle vive e in tensione tra di loro all’interno del rito del pellegrinaggio a Viggiano, appuntamento annuale per una serie di vicini separati da un confine amministrativo che è in realtà la cucitura di uno stesso luogo: la Lucania.

Occorre indagare nelle storie di chi ha saputo rispondere alla domanda circa la propria lucanità rivendicata, di chi guarda la Lucania dal Sacro Monte di Viggiano perché:

Quando ci poniamo simili domande (che cos’è la lucanità-basilicatesità) è perché il presunto essere di una cosa non è evidente nella cosa stessa, ma se ne sta altrove, come nascosto o occultato da essa.

187 Appadurai A., Modernità in polvere. Dimensioni culturali della globalizzazione, Meltemi, Roma 2001 [1996],

pp. 230-256.

188 Torre A., Luoghi, op. cit., p. 14.

189 La definizione di Appaduraj è questa: «Uso invece il termine vicinato per riferirmi alle forme sociali

effettivamente esistenti in cui la località, come dimensione o valore, si realizza in misura variabile. I vicinati, in questo senso, sono comunità effettive caratterizzate dalla loro concretezza, spaziale o virtuale, e dal loro potenziale di riproduzione sociale» Appadurai A., Modernità in polvere, op. cit., pp. 230-231.

190 Seppur i dati raccolti durante questa ricerca non si riferiscano a fonti storiche che riguardano paesi e comunità

della provincia di Salerno per dimostrarne la lucanità, ma bensì testimonianze di vita e osservazioni dirette dei pellegrini contemporanei della Madonna di Viggiano.

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La presenza non è esplicita, qualcosa di latente ed enigmatico rimane implicito. La cosa Lucania ci invita a cercare un’altra cosa, “l’essere della Lucania” o “ciò che la Lucania è”191.

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3.

RESTANZA

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Lunga strada seppur deserta dove puoi menarmi non vedo punto d’arrivo. Scordarmi i vivi per ritrovarli con tutto il peso che mi porto della vita che m’è nata i fiori son cresciuti la luce li accende. Sradicarmi? la terra mi tiene e la tempesta se viene mi trova pronto. Indietro ch’è tardi ritorno a quelle strade rotte in trivi oscuri.

Rocco Scotellaro, La terra mi tiene.