• Non ci sono risultati.

Ripercorrendo con la mia di memoria, rivedendo le immagini, rileggendo gli appunti mi accorgo quanto osservare il pellegrinaggio di Viggiano per me abbia significato, lentamente, parteciparvi e mutare il mio posto e ruolo (posizionamento) all’interno della folla che nel corso degli anni ho visto giungere sul Sacro Monte. Questo mutamento, graduale e spontaneo, mi ha permesso di capire quanto l’andare, l’attraversare un confine e il tornare a casa siano dei moti legati sì alla ritualità del pellegrino ma anche, di conseguenza, a chi del pellegrino diviene compagno di strada. Se gli esiti, originali o meno, di questa ricerca si sono rivelati diversi da quelli previsti all’inizio è perché con coloro che dovevano essere solamente degli informatori è scattato, naturalmente, un processo mimetico. «Mentre osserviamo, noi agiamo come fossimo nella situazione osservata278» scrive Paolo Apolito citando Adam Smith ed è stato inevitabile per me prendere coscienza della mimesi che, mano a mano mi avvicinavo agli elementi che stavo osservando, entrava in gioco.

277 Pâques V., La processione di Viggiano, in «La Lapa. Argomenti di storia e letteratura popolare», a. I, n. 2,

Chieti dicembre 1953, pp. 28 – 32: 32. La conoscenza bibliografica riguardo al culto viggianese probabilmente è frutto degli studi preliminari compiuti prima e durante gli anni di ricerca in Lucania. L’invito ad “unire gli sforzi” potrebbe essere interpretato come la consapevolezza che quella dell’etnologa francese sia una metodologia d’indagine non compresa da de Martino o come la difesa del proprio campo dall’arrivo altri ricercatori. Il dato interessante è l’affermazione che durante le sue ricerche lo studioso italiano stia portando avanti una raccolta di dati festivi in questa regione.

147

Descrivere a fondo le modalità di partecipazione di decine di migliaia di lucani che ogni settembre accompagnano o accolgono in paese la Madonna di Viggiano per un unico ricercatore è impossibile. Gruppi più o meno organizzati provenienti da decine di paesi, famiglie e comitive che giungono sul Sacro Monte da province diverse, una festa diffusa in uno spazio che tra un punto e l’altro (il santuario in montagna e la basilica in paese) dista più di dodici chilometri, modalità di partecipazione differenti e i tempi lunghi del pellegrinaggio non facilitano l’osservazione. Ho dovuto compiere delle scelte che restringessero il campo, isolarne gli elementi che credevo importanti, seguire una traiettoria che comunque mi permettesse di approfondire questo pellegrinaggio e leggervi sia le componenti propriamente tradizionali che quelle nuove introdotte dal lento lavorio della modernità.

La mia ricerca era patita con l’esigenza di indagare quella particolare forma di ex voto, i cinti, che qui vedevo mantenere un ruolo saldo all’interno dell’economia della festa, l’analisi di essi, se da un lato mi avvicinava allo studio della loro origine dall’altro mi spingeva a chiedermi quale fosse la loro funzione oggi, mi ha portato a riflettere sulla componente propriamente politico-identitaria che, in un mondo globalizzato, continua ad alimentarne la pratica. Così lo sguardo restringe ulteriormente il campo: se i cinti rappresentavano paesi e comunità e se i cinti più importanti e ogni anno presenti della festa giungono da una provincia extraregionale come quella di Salerno, da quei paesi e da quelle comunità provenienti oltre il confine politico sarebbe dovuta partire la mia ricerca. Nell’individuare i gruppi di pellegrini la scelta più facile e obbligata è stata quella di conoscere meglio l’organizzazione e le fasi del pellegrinaggio dei Caggianesi che, come raccontato nel primo capitolo, risultano essere i coprotagonisti dell’intera festa cono “onori” e ruoli di rilievo rispetto ad altre communitas. L’approccio con essi è stato facilitato, in un certo qual modo, dalla musica, l’espressione culturale che ha un linguaggio universale. Avvicinando i componenti della squadra, abituati oramai ad essere gli intermediari tra i ricercatori e il “loro” pellegrinaggio, il primo ad aiutarmi ad approcciarmi alla complessità di significati che il cinto principale della festa di settembre custodiva è stato Gennaro. Grazie a lui quel castello fortificato di cera e orgoglio comunitario col tempo si è sciolto e si è disvelato soprattutto al di fuori del contesto festivo, durante i giorni in cui i Caggianesi, il gruppo organizzato di pellegrini, i discendenti dei probabili scopritori dell’icona, i testimoni degli scontri violenti del passato e i manutentori degli elementi principali della festa, non erano tali ma erano rientrati nelle loro vite, erano tornati a casa. Ho capito allora che il pellegrinaggio di cui mi stavo interessando andava capito prima lontano da Viggiano, occorreva osservare i pellegrini nelle loro case e nei loro paesi. Per questo ho incontrato i devoti di Polla nell’ambiente familiare da cui partono e che, soprattutto nel ricordo, custodisce la pratica del cinto. Sono

148

entrato nelle case, nei luoghi di lavoro, nelle piazze, nei paesi dei pellegrini, ne ho conosciute le storie, annotato la memoria, osservati i passi quotidiani. Quando il quotidiano non riusciva, se non sottotraccia, a presentare le dinamiche comunitarie, i ruoli e le posizioni all’interno dei gruppi che vedevo in forma di communitas a Viggiano, arriva in soccorso la festa che quelle dinamiche le esaspera, i ruoli e le posizioni demarca. A Santomenna, così, ho capito che il tornare ha diverse forme e che il volto nero di una Madonna muove chi resta e chi è partito. Chi resta, può il pellegrinaggio, il movimento di corpi e anime oltre il confine delle proprie mura, raccontare chi resta? Si, chi ha trovato la sua patria, elettiva o meno, si muove una o più volte all’anno verso una meta che lo racconta, che ne racconta i giorni e le azioni. Il pellegrinaggio di Viggiano avrebbe raccontato anche il restare, un restare voluto e conquistato, grazie a Il Cammino silenzioso a cui, senza poter immaginare le conseguenze che avrebbe avuto sul mio percorso di ricerca, ho preso parte. Lo stesso viaggio verso il campo sarebbe diventato così momento di ricerca, il mio sguardo si stagliava sul paesaggio e leggeva i luoghi in modo diverso, ne indagava le ombre nere, acquistava nuovo senso perché raccontare l’avvicinarsi al Sacro Monte sarebbe divenuto il modo attraverso il quale ricambiare alla bellezza ricevuta dai giorni di cammino, la stanchezza del fisico avrebbe dato nuova linfa all’indagine, l’attraversare il confine con i piedi nuovo organo di senso me ne avrebbero almeno presentato la linea invisibile. Una ricerca difficile che ha acquisito nel tempo compagni di viaggio e guide che ne avrebbero indirizzato lo sguardo e mi avrebbero permesso di leggere cos’è presente negli occhi che negano lo sguardo della Madonna che sarebbe diventata anche mia.

L’esperienza mi avrebbe dato un nuovo ruolo all’interno del campo non facile del pellegrinaggio di Viggiano e mi avrebbe fatto capire quanto «la ricerca di campo sia anzitutto un’esperienza umana di confronto tra uomini279».