• Non ci sono risultati.

Ringrazio sinceramente per l’invito, perché questo dibattito è ricco di spunti di riflessione e di provocazioni, tanto da suggerire quasi la pubblicazione di un altro volume. È chiaro che è impossibile rispondere a tutte le sollecitazio- ni emerse finora, anche perché il mio campo di indagine è circoscritto all’a- nalisi economica della previdenza, e, mentre mi trovo a mio agio parlando con gli economisti, ritengo di non essere in grado di reagire adeguatamente alle interessanti questioni sollevate dai giuristi che mi hanno preceduto. Ma ovviamente “l’appetito vien mangiando” e quindi proverò a produrre qualche mia riflessione anche su queste.

Vorrei iniziare mettendo a tema alcuni aspetti antropologici che sono se- condo me un punto molto interessante alla base del dibattito sui sistemi di welfare moderni.

Fin dal suo sorgere la teoria economica moderna ha estromesso dal suo campo di indagine gli aspetti etici dei comportamenti economici. Pertanto, la ricerca di moventi quali la gratuità piuttosto che la solidarietà, l’amicizia o la felicità in senso lato, sono stati trascurati dagli economisti in quanto, ripren- do per esempio il pensiero del grande economista inglese Alfred Marshall nella sua Introduzione ai Principi di economia81, tali fattori si reputavano

non rilevanti ai fini della determinazione, e dunque della spiegazione, dei ri- sultati economici. Quindi Marshall, come molti altri economisti prima e dopo di lui, non afferma che le motivazioni economiche siano le uniche che muo- vono gli individui, ma sono le uniche ad essere rilevanti per la spiegazione dei fenomeni economici e degli esiti del mercato.

Questa visione, che viene assunta come postulato dalla teoria economica e accettata comunemente dai filoni teorici “mainstream”, è in realtà forte- mente messa in discussione dalla crisi economica che ci troviamo a vivere in questi ultimi anni, in cui risulta chiaro che il sistema economico ritenuto più efficiente, l’economia di mercato, a cui molti di noi guardano con simpatia, tuttavia non è un sistema che si auto-sostiene.

Questo concetto in realtà fu in qualche modo espresso anche da Adam Smi- th, il padre dell’economia politica moderna, il quale affermava che il sistema economico ha come suo fondamento il trust (fiducia)82. In effetti Smith, che

81 Cfr. A. Marshall, Principles of economics, London, Macmillan for the Royal Economic So-

ciety, 1961 (18901)(trad. it. Principi di economia, Utet, Torino 1972), Libro I, cap. I.

nutriva grande fiducia nel libero mercato (sua è la celebre immagine della “mano invisibile”), non riteneva che gli individui fossero degli animali eco- nomici interessati unicamente al proprio tornaconto o benessere, ma anzi riteneva che guardassero e interagissero con gli altri individui cercando la loro “simpatia”. Quindi, secondo Smith, le persone hanno come criterio delle proprie azioni il riferimento ad un archetipo di persona benevolente in cui si condensano quei valori condivisi, quali la fiducia, la credibilità, la benevolen- za, etc., su cui si regge la società stessa.

Ma Smith non si era reso conto che tali elementi non si auto-producono; e questo è sotto gli occhi di tutti, se si pensa che la crisi finanziaria di questi anni è nata innanzitutto come problema di assenza di fiducia. È una crisi di fiducia legata alla mancanza di conoscenza, dovuta al fatto cioè che la complicazione degli strumenti economici che sono stati utilizzati a partire dai primi anni 2000, in particolare quelli finanziari, impediva di fatto la valuta- zione di quei titoli. Questi, una volta divenuti “tossici” con l’esplosione della bolla immobiliare negli Stati Uniti, hanno poi esteso il contagio della crisi in tutto il mondo. Ma, dicevamo, la fiducia su cui si fonda non solo un siste- ma economico, un mercato, ma anche una società, non si autoalimenta. La conseguenza è che la sorgente del trust va individuata in qualche modo fuori dalla società economica83.

Insomma, per sintetizzare, vorrei dire che nell’economia politica moderna molto è ancora da studiare a riguardo della rilevanza di questi aspetti an- tropologici e valoriali che, pur essendo necessari al funzionamento del libero scambio, non sono riconducibili alla logica commutativa e che, pertanto, possono trovare alimento solo nella società civile e nei corpi intermedi, cioè in qualcosa che preesiste all’economia.

Da qui deriva l’importanza della sussidiarietà: perché la sussidiarietà è in qualche modo il metodo di risoluzione dei problemi legati alla povertà che attinge da questi corpi intermedi, i quali unici sono in grado di educare la persona a quei valori di solidarietà, altruismo, responsabilità su cui si può fondare il mercato.

Quest’ultimo è un tema che viene ripreso molto nella Caritas in Veritate84,

però, ripeto, nel pensiero economico finora è stato trascurato e siamo anco- ra all’inizio di un percorso di ricerca di una nuova antropologia nella scienza economica.

Quanto ho detto finora ha delle ripercussioni anche sui sistemi di welfare. Il sistema previdenziale, di cui mi sono occupato nel volume, è infatti un Teoria dei sentimenti morali, Rizzoli, Milano 1995).

83 Ibidem.

esempio evidente di come molta ideologia che ha informato il dibattito eco- nomico e politico negli ultimi decenni sia stata in qualche modo sorpassata dai fatti. La realtà ha reso antiquate quelle categorie di pensiero su cui molti di noi economisti, ma penso anche a studiosi di altri campi, si sono confron- tati per anni, cioè il dualismo Stato-mercato. In altre parole, questo duali- smo ha perso la sua ragion d’essere a causa della crisi che sia i sistemi di welfare sia i sistemi economici hanno sperimentato negli ultimi 30/40 anni, crisi poi aggravata dal processo di globalizzazione.

La grande crisi economica che stiamo vivendo negli ultimi anni è infatti fortemente determinata dalla globalizzazione iniziata con gli anni novanta del secolo scorso. La globalizzazione ha reso normale o lo renderà sempre di più il “cambiamento”: l’incertezza, cioè, piuttosto che essere un’eccezione diventerà una categoria sostanzialmente strutturale. Ciò in quanto sia il ca- pitale che la forza lavoro, dopo la caduta del muro di Berlino, sono molti più liberi di muoversi per sfruttare nuove opportunità di profitto e di occupazio- ne, e questa maggior mobilità genera inevitabilmente continui cambiamenti a livello economico, come la rapida distruzione e la nascita di nuovi prodotti, imprese e posti di lavoro.

Quindi, se da un lato il mercato non fornisce garanzie di stabilità, dall’altro è chiaro che il welfare State non potrà più configurarsi come quello tendenzial- mente universalista che abbiamo conosciuto finora. Il sistema “beveridgia- no”85 universalista, in base al quale lo Stato garantiva una serie di servizi a

tutti, indipendentemente dal loro contribuito all’edificazione di questo siste- ma, non potrà più esistere.

Come ho avuto modo di documentare anche in altra sede86, è per queste

ragioni che le riforme del sistema previdenziale italiano, e di molti altri Pae- si, hanno sancito il progressivo passaggio da un sistema di stampo beveri- dgiano, a un sistema assicurativo-previdenziale in cui ciascuno percepirà la propria pensione in base a quanto ha contribuito e a quanto vivrà.

Ma, come ho ricordato poc’anzi, le ragioni della crisi dei sistemi di welfare sono precedenti al fenomeno della globalizzazione. Infatti, il sistema pensio- nistico italiano è entrato in crisi per la transizione demografica e per altri fat- tori che la teoria più recente ha dimostrato essere non del tutto esogeni al funzionamento dei sistemi di welfare, in quanto dipendono proprio da come sono disegnati questi sistemi (ovvero dagli incentivi/disincentivi da questi

85 Cfr. William H. Beveridge, Social Insurance and Allied Services (The Beveridge Report),

HMSO, London 1942.

86 Cfr. L. Spataro, The Italian Pension System from the First Oil Shock to the Treaty of Maastricht: Facts and Debate at the Origin of the 1990s Reforms, in Rivista Internazionale di Scienze Sociali, 2011, vol. 2, pp. 191-234.

offerti). Per sintetizzare, la teoria economica87 ha mostrato come i sistemi di

welfare pubblici, in particolare quelli previdenziali a ripartizione, hanno una tendenza a gonfiarsi, a sovradimensionarsi a causa del fatto che, soprattut- to quando la popolazione invecchia, l’elettore mediano, che è decisivo per il successo di una certa coalizione politica nella competizione elettorale, è un individuo sempre più anziano. Dunque, arrivato al momento della sua entrata in pensione, tale elettore “rappresentativo” che, ripeto, determina la vittoria di una certa coalizione, non avrà nessun interesse a una riduzione dei suoi benefici previdenziali; anzi, ci si può aspettare che spinga verso un loro aumento o almeno un loro mantenimento. I sistemi previdenziali pub- blici sono difficilmente riformabili proprio a causa di questi equilibri demo- grafico-politici su cui si reggono. Prova ne è che in Italia, tutte le volte che vi è stata necessità di riformare il sistema previdenziale, i partiti al governo hanno lasciato il compito a governi “tecnici”.

Da ultimo, poi, questo onere ci è stato imposto dall’Unione Europea. Questo è un tema che il professor Giubboni ha sottolineato; e anch’io sono del pa- rere che l’aspetto comunitario delle politiche di welfare sarà un tema certa- mente da approfondire in un futuro prossimo, anche nell’ottica del principio di sussidiarietà da cui l’Europa è informata. Io sono convinto che se l’Unione Europea nel 1992 non ci avesse chiesto di operare quelle grandi riforme, noi oggi saremmo probabilmente ancora a discutere di un sistema previdenziale irriformabile. Quindi, questo vincolo esterno europeo, a mio modo di vedere, ha molto da dire non solo sul passato ma anche sul futuro del nostro siste- ma previdenziale.

Per concludere vorrei aggiungere qualcosa sulla previdenza complemen- tare. Nel nostro contributo al volume, Mauro Marè ed io abbiamo messo in evidenza come una riforma di tipo sussidiario quale quella avvenuta in Italia, che spinge le famiglie ad un’assunzione di maggiore responsabilità in materia previdenziale, può avere successo o meno. In particolare, è già stato detto da alcuni come un elemento cruciale sia la questione educativa e informativa. Alla luce dei risultati prodotti finora dalla riforma del TFR del 2007, gli italiani non si sono dimostrati pronti ad aderire alla previdenza complementare. In effetti, dalla legge sono stati riconosciuti incentivi econo- mici elevati alla devoluzione del TFR ai fondi pensione, eppure gli italiani che hanno aderito alla previdenza complementare sono ancora pochi88. Come

mai?

Per rispondere vi presento alcuni dati tratti da una ricerca campionaria re- 87 Per una rassegna di tali teorie cfr. L. Spataro, Teorie sull’efficienza delle istituzioni pen- sionistiche: un’analisi critica, in V. De Bonis, S. Pochini (a cura di), Economia e Istituzioni. Percorsi intorno al caso italiano, Franco Angeli, Milano 2005, pp. 173-215.

cente effettuata da Censis, per conto di COVIP89:

solo l’11% degli italiani conosce i benefici fiscali della previdenza; solo il 35% conosce come sono rivalutati i contributi;

solo il 52% conosce le condizioni per disporre del capitale accumulato. Ma gli aspetti più preoccupanti, a mio modo di vedere, sono questi:

il 47% degli italiani non sa come funziona un interesse composto su un con- to corrente;

il 49% non sa come varia il potere d’acquisto al variare del reddito e dei prezzi;

il 43% non sa che l’acquisto delle azioni di una singola azienda è più rischio- so dell’acquisto della quota di un fondo azionario.

In sostanza, quello che si evince da questa ricerca è che 11 milioni di lavo- ratori sono “analfabeti finanziari”. La cosiddetta “financial literacy” in Italia, cioè l’alfabetizzazione finanziaria, è tra le più basse d’Europa e del mondo sviluppato (Paesi OCSE).

Allora, è chiaro che un moderno Welfare State sussidiario, che pone sulle spalle dei cittadini una responsabilità gravosa a riguardo della costruzione di un portafoglio previdenziale efficiente, non può funzionare se i lavoratori non sono opportunamente educati. Questa mi sembra una lezione che, da un certo punto di vista, riguarda qualsiasi riforma che si ispiri al principio di sussidiarietà.

89 Cfr. CENSIS, Promuovere la previdenza complementare come strumento efficace per una longevità serena, 2011.