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Lucrare sul proprio lavoro o giungere a compromess

Nel documento Artisti: professione-non professione (pagine 110-113)

3.3 Studi e riflessioni sulla costruzione di un’identità artistica

3.3.2 Lucrare sul proprio lavoro o giungere a compromess

attività?

Come fare per inserire la pratica artistica nella concezione del lavoro definito come

ciò che è progettato per produrre o realizzare qualcosa, ma comporta un certo grado d’obbligo o necessità essendo un compito che altri ci impongono o che ci siamo imposti per guadagnare, ed è difficile perché sforzo e persistenza arrivano al punto in cui l’attività smette di essere interamente piacevole297

Nell’idea delle persone il lavoro “vero” viene svolto solitamente non in casa o almeno non nella propria casa, (pensiamo ad una tata o una colf), e fornisce remunerazione, stipendio, regolato da contratto in base alle ore giornaliere. Anche se alcuni pittori spiegano che i luoghi comuni, per cui gli artisti hanno talento, sono “portati”, e quindi non devono impiegare lo stesso impegno che richiedono altri lavori, sono sbagliati: non tutte le parti del lavoro d’artista sono piacevoli. Altro errore frequente è presumere che le arti siano un settore dell’economia a carico dello stato e quindi necessitino di contributi pubblici sulle spalle dei contribuenti che lavorano sul serio.

Una forma di opportunismo invece, sempre da parte della società in generale è quella di apprezzare, lodare il lavoro finito senza considerare il processo che ha condotto al risultato. Racconta l’artista Lynn

La gente non ha realmente la minima idea di quello che fai tutto da solo in studio. É molto difficile per le persone concepire che avere un dipinto sul muro vuol dire pensare al tuo lavoro. Potrei stare qui per tre giorni e sembra che non abbia fatto assolutamente niente, mentre invece sto lavorando298.

In questo frangente cogliendo l’espressione di Lynn, bisogna riflettere che il fulcro della pratica artistica sta anche nel bisogno di solitudine professionale, il tempo in cui l’artista si ritira per un raccoglimento necessario a rielaborare le idee per creare. Il problema è che non c’è un netto distacco tra le ore di lavoro e le ore di non-lavoro, per l’artista le ore più proficue in termini di creazione

297Ivi p. 37 298Ivi p. 38

possono essere nel cuore della notte, le stesse in cui lavora un panettiere o un netturbino che inizia alle 3. L’artista Winsome dice di lui:

Provo e vado nel mio studio al più tardi alle nove e lavoro fino alle due, mi fermo un’ora per mangiare e da quel momento lavoro fino alle dieci. Torno a casa per cena e poi lavoro al computer fino alle tre. Lavoro più duro di persone che si recano a lavoro dalle nove alle cinque e non sono pagato per farlo299

L’opinione più diffusa che emerge anche dal campione di interviste è che l’artista debba lavorare lungamente per il desiderio istintivo di creare e non per un fattore monetario, un’artista è immerso in quello che fa e non lo fa per una busta paga. Un’artista devoto al suo lavoro fa arte per vivere o fa un altro lavoro per poter fare l’artista ma non lascia che il guadagnarsi da vivere interferisca con l’arte.

Con quest’ultima considerazione ci si trova più concordi rispetto alle due precedenti, come già visto da alcuni miei campioni di interviste, il secondo lavoro può aiutare a racimolare le risorse per finanziare la propria arte, perché è necessario avere un budget a disposizione per portarla avanti. E come secondo lavoro l’occupazione più diffusa nel campione selezionato da Bain era l’insegnante presso Università, accademia o scuola superiore, anche questo è un dato da noi molto riscontrato.

La visione romantica o mitizzata è sorpassata, l’artista deve necessariamente conoscere i principi di efficacia ed efficienza, magari sul lato dell’efficienza che implica il minimo dispendio di risorse non sarà molto rigido visto il suo obiettivo è ottenere il massimo risultato, anche se con un margine di spreco necessario, ma sull’efficacia punterà moltissimo.

Inoltre ci sono casi in cui, purtroppo, gli artisti sono costretti per motivi economici a mettere in stand by anche per diversi anni la loro arte cercando di guadagnare una somma di denaro sufficiente a sostenere il loro lavoro per un lungo periodo. Questa si rivela un’arma a doppio taglio, non sempre chi si butta a capofitto in un altro lavoro, riesce poi a tornare indietro sull’arte300,

ancora si ritiene molto utile l’esperienza di Paolo Patelli sull’argomento:

299Ivi p. 39 300Ivi p.40

Io stesso che ho avuto per molti anni un altro lavoro ho visto la differenza, finché avevo l’altro lavoro mi raccontavo che ero più libero, che non ero spinto a vendere, invece c’è un impegno di vita e la quotidianità in cui credo molto, per cui direi che un artista professionista è colui che fa quasi solo quello e possibilmente lo fa tutti i giorni.

Sopportare turni pesanti sul posto di secondo lavoro e poi tornare a casa e lavorare alla propria creazione può essere un ritmo estenuante e a lungo andare non si riesce a mantenerlo. In più il lavoro secondario ruba tempo creativo ed energie alla parte artistica che va a rimetterci inevitabilmente301.

Su di un fronte collegato risultano sconfortanti le parole dell’artista Thelma

Non scrivo nel mio curriculum che ero un’insegnate di scuola superiore a 34 anni, perché questo mi svantaggerebbe. Non sei considerato un vero artista se hai fatto altri lavori per vivere302.

Per ottenere l’ingresso nel mondo dell’arte un artista che ha iniziato a dipingere seriamente nel corso della vita, deve modificare il proprio curriculum selezionando una parte della sua vita303.

Questo comportamento cautelativo nella professione viene adottato moltissimo anche oggi e accomuna tutti i lavori.

Nel curriculum vitae si indicano solo gli impieghi inerenti alla candidatura per cui si vuole concorrere. Molte persone redigono due, tre curriculum differenti a seconda delle candidature, questo è coerente, prendiamo ad esempio un ragazzo che ha studiato presso un istituto alberghiero, lavorato per molte stagioni come aiuto cuoco ma durante l’anno ha anche lavorato come commesso per diversi negozi, e per alcuni anni come metalmeccanico in una fabbrica. Viene da sé che elencare tutte le attività in ogni curriculum sarebbe, oltre che dispersivo, una cattiva presentazione agli occhi di un datore di lavoro che potrebbe presupporre (ipotizzando che sia alla ricerca di una persona da prendere a tempo indeterminato) non tanto la flessibilità del soggetto ma la mancanza o l’incapacità di continuità in un impiego.

301Ivi p. 41 302ibidem 303ibidem

3.3.3 Artista imprenditore di sé stesso: da un modello di pura creatività ad un

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