2.1 «L’anneé de l’Afrique»
2.3. La lunga via per la ratifica e l’estensione della politica di cooperazione comunitaria
Durante la quinta conferenza interministeriale, i leader europei e quelli africani si accordarono per firmare la nuova Convenzione di associazione il 21 gennaio 1963 ma a causa di alcuni problemi -prettamente politici ed europei- la firma fu rimandata, prima alla fine di febbraio, e poi alla seconda metà di marzo, tra le inquietudini dei paesi africani.
Infatti, per la Comunità si apriva nel 1963 una grave crisi politica provocata dal fallimento delle trattative fra la CEE e la Gran Bretagna, interrotte
il 14 gennaio dopo sedici mesi di lunghe ed estenuanti trattative, a causa dell’intransigenza di De Gaulle. Come si è anticipato in precedenza, a loro insaputa i SAMA sarebbero diventati pedine di una partita a scacchi, quella tra
partner comunitari, che non li riguardava direttamente.
L’Italia dichiarava ufficialmente di non poter firmare l’accordo a causa dell’avvenuto scioglimento delle camere mentre l’Olanda avanzava motivi di seria preoccupazione riguardo ai possibili contraccolpi che l’associazione tra
Comunità e SAMA avrebbe provocato nei paesi africani del Commonwealth. In
realtà, da parte di questi due paesi, vi era da qualche tempo un forte risentimento nei confronti di De Gaulle a causa del suo protagonismo a livello comunitario.
66 Pacifici Lorenzo, Da una associazione «octroyée» a una associazione «negociée». I negoziati tra CEE e SAMA, in Tosi Luciano, Tosone Lorella (a cura di), Gli aiuti allo sviluppo nelle relazioni internazionali del secondo dopoguerra, cit., p. 258. Il corsivo è mio.
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D’altro canto se da un lato, l’Italia aveva accettato con riluttanza l’aumento della sua quota da destinarsi al FES, dall’altro, l’Olanda non aveva potuto far altro che rinunciare alla sua visione globale di cooperazione allo sviluppo e ai suoi interessi commerciali nell’Africa anglofona. Il trattato di cooperazione franco-tedesco firmato il 22 gennaio 1963 da De Gaulle e Adenauer avrebbe reso la situazione politica ancora più delicata ma allo stesso tempo, esso avrebbe assicurato alla Francia un importante alleato sulle questioni riguardanti l’Associazione, rompendo con l’isolazionismo degli anni precedenti.
Proprio dalla Rft, arrivavano le prime note di protesta nei confronti di Roma e l’Aja; Boon ammoniva ambedue i paesi per il loro atteggiamento che secondo Adenauer, avrebbe facilitato la penetrazione della propaganda sovietica in Africa. Anche il Belgio decideva di schierarsi in favore di Parigi, tanto più preoccupato per le parole del portavoce dei SAMA, il primo ministro congolese
Cirillo Adoula, che in un’intervista al quotidiano «Le Monde» esprimeva tutta la
sua apprensione per quello che stava accadendo:
«Les États associés font part au conseil de la C.E.E. de leur inquiétude quant au retard apporté par la Communauté à la signature de la convention. Ils ne comprennent pas les raisons qui ont fait repousser la date de la signature […]Les États associés, constatant que tout retard apporté à la signature de la convention entraînera un retard équivalent pour la mise en oeuvre de la convention, ce qui signifierait que les moyens d'assistance technique et financière, les dispositions relatives au désarmement douanier et contingentaire, la mise en place des institutions concrétisant l'association seraient d'autant retardées. […] Les États associés, partenaires égaux, souhaitent vivement que la C.E.E. s'inspire à propos de la date de la signature du souci de parité qu'elle n'a cessé d'évoquer tout au long des négociations»67.
Da parte africana vi era, quindi, una forte preoccupazione che il procrastinarsi della firma potesse complicare ulteriormente una situazione economica e sociale, quella africana, già difficile per sua natura. Inoltre in nome degli associati, Adoula rimproverava la Comunità accusandola di aver dimenticato lo «spirito egualitario» che avrebbe dovuto animare l’associazione.
Nell’imbarazzo generale, finalmente l’Aja e Bruxelles riuscirono a trovare un compromesso nella seduta del Consiglio del 1-2 aprile 1963. Accanto alla
67 Cirillo Adoula, La note des dix-huit États africains et malgache au sujet du retard apporté à la signature de la convention eurafricaine, in «Le Monde», 27 febbraio 1962, http://www.lemonde.fr/archives/article/1963/02/27/la-note-des-dix-huit-etats-africains-et- malgache-au-sujet-du-retard-apporte-a-la-signature-de-la-convention
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nuova Convenzione, infatti, sarebbe stata resa pubblica una dichiarazione d’intenzioni in cui si indicavano tre strade per i paesi africani che avrebbe voluto stringere rapporti con la Comunità: accesso all’associazione secondo quanto previsto dalla Convenzione, accordo di associazione che comporti diritti e obblighi reciproci e, infine, accordo commerciale per facilitare gli scambi tra la Comunità e l’altro paese firmatario68. L’Aja, dopo che le sue richieste erano state soddisfatte, non aveva più motivo di ostacolare la firma: la dichiarazione, d’altro canto, affermava il carattere aperto dell’associazione e dava modo a qualsiasi paese africano che si sentisse minacciato economicamente dall’associazione tra CEE e SAMA di concludere con la Comunità una vasta
gamma di accordi. Significativamente, quel giorno iniziarono i primi contatti tra Nigeria e Bruxelles. In poche parole, l’Europa si stava finalmente aprendo all’Africa anglofona.
Accontentata l’Olanda, per la firma della Convenzione di Yaoundé, si dovrà attendere ancora qualche mese per dar modo all’Italia di formare il nuovo governo. Il 20 luglio 1963, i SAMA si associavano ufficialmente alla Comunità
Economica Europea.
Uno sguardo superficiale, ci potrebbe indurre a ritenere quest’accordo come scarsamente vantaggioso per la Francia; d’altro canto la riduzione della
TEC per alcuni prodotti tropicali concorrenti alle esportazioni degli associati e la
dichiarazione d’intenzione, aprivano nuovi scenari nella partnership tra CEE e paesi in via di sviluppo che avrebbero potuto ridimensionare il ruolo dell’associazione e, di conseguenza, i benefici non solo economici ma anche, e soprattutto politici, che la Francia aveva sempre gelosamente custodito. In realtà, la diminuzione del margine preferenziale nei confronti delle ex colonie di Parigi, non deve esser visto come un segno di debolezza della Francia in sede di trattativa comunitaria ma piuttosto, come il risultato dell’evoluzione della politica estera di De Gaulle.
Fino al 1961-1962, infatti, la Francia aveva fatto delle preferenze tariffarie un elemento fondamentale del regime di associazione; benché tale vantaggio fosse giustificato con l’articolo XXIV69 del Gatt, esso era giudicato illegittimo da una buona parte dei paesi terzi. Da questa data, la Francia si era mostrata meno decisa nella difesa di questo privilegio. A prova di ciò, si prenda in considerazione una nota scritta nell’estate del 1961 da De Gaulle, a Jacques
68 Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, Dichiarazione d'intenzioni del Consiglio della C.E.E. relativa ai paesi terzi la cui struttura economica e la cui produzione sono paragonabili a quelle degli Stati associati, 2866/63, 11.12.1963.
69 L’articolo XXIV del Gatt disponeva una deroga al principio della nazione più favorita (MFN)
e, di conseguenza, consentiva l’introduzione di nuove preferenze tariffarie solo a condizione che queste servissero per la costruzione di unioni doganali o aree di libero scambio.
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Foccart, noto per aver condotto per lungo tempo i rapporti tra Parigi e gli Stati africani: «M. Foccart, d’une manière générale je crois que les préférences que
nous accordons et que nous faisons accorder par les Six aux États africains ne se justifient pas à longue. D’autre part, l’avenir de l’Amérique latine et des rapports avec nous sont d’une importance capitale»70.
Si consideri inoltre che dopo il 1962 la situazione geopolitica per la Francia si era totalmente capovolta. La fine della guerra in Algeria, infatti, permetteva a De Gaulle di aprire un dialogo più costruttivo con il Terzo Mondo e i non allineati; e in tal senso, le relazioni privilegiate con l’Africa francofona non avrebbero dovuto costituire un ostacolo per l’approfondimento del dialogo tra Parigi e il Sud del mondo.
Il rinnovato atteggiamento di Parigi avrebbe consentito alla CEE di
estendere il raggio delle sue relazioni in altre parti dell’Africa. Come si è appena accennato, a fine 1963, la Nigeria chiese ufficialmente di volersi associare con la Comunità. Il colosso dell’Africa anglofona precisò, tuttavia, di non voler partecipare alla Convenzione di Yaoundé ma di voler stipulare un accordo associativo particolare che avrebbe comportato esclusivamente misure commerciali e tariffarie.
Durante i negoziati, la Francia cercò comunque di ridurre la portata dell’accordo in modo da evitare che esso potesse rappresentare un modello alternativo, se non migliore, per gli Stati africani associati. Le proteste da parte di Londra -provocate dal terrore che un’intesa tra i Sei e la Nigeria potesse condurre a una balcanizzazione della zona africana del Commonwealth- non ebbero alcuna ripercussione sull’esito delle trattative. Infatti, il compromesso finale riuscì a mettere d’accordo Olanda, Rft, Nigeria e Francia. L’accordo di associazione (accordo di Lagos), concluso nel 1965, prevedeva una serie di vantaggi commerciali e tariffari: la Nigeria avrebbe goduto di un regime simile a quello di Yaoundé ad esclusione di quattro prodotti sensibili per i quali erano previsti dei contingenti tariffari, ed essa a sua volta, avrebbe concesso alla Comunità vantaggi tariffari alquanto limitati.
L’accordo di Lagos, tuttavia, non entrò mai in vigore in seguito ai contrasti nati tra la Repubblica del Biafra, supportata diplomaticamente da Parigi e la Nigeria, ovviamente sostenuta da Londra. Esso servì comunque come modello per l’accordo di Arusha, firmato nel 1968, tra Kenya, Uganda e Tanzania (membri dell’East African Community) e CEE. Secondo l’accordo, i tre
paesi dell’Africa orientale avrebbero rimosso le barriere tariffarie e altre misure
70 Chan, Fonds privé Foccart, dossier 786, Note à l’attention du président de la République, 9
aout 1961 in Migani Strategie nazionali ed istitzionali alle origini dell’assistenza comunitaria
allo sviluppo: la Cee, la Francia e l’Africa negli anni Sessanta in Calandri Elena (a cura di), Il primato sfuggente, cit., p. 27.
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analoghe che gravavano sulle esportazioni dei Sei. In cambio, la Comunità avrebbe concesso loro un regime simile a quello di Yaoundé, anche se sarebbero state imposte delle quote limitate su alcuni prodotti sensibili, come il caffè, e su altri prodotti agricoli concorrenti con le esportazioni degli associati. Come nell’accordo di Lagos, anche quello di Arusha, non avrebbe previsto alcuna assistenza finanziaria e tecnica.
La Francia poteva dirsi molto soddisfatta dell’esito delle trattative poiché se da un lato, aprendosi all’Africa anglofona, aveva mostrato un maggior senso di responsabilità agli occhi di Olanda e Rft, dall’altro, era riuscita a manovrare le trattative in modo da mantenere per gli associati della prima ora un regime privilegiato rispetto agli altri. Proprio l’attivismo della Francia nel preservare un margine di preferenzialità nei confronti dei primi associati, ebbe un’importanza piuttosto rilevante durante i negoziati per il rinnovo della Convenzione di Yaoundé, cominciati ufficialmente nel dicembre 1968 e conclusi durante l’estate successiva.
Nei suoi aspetti essenziali la Convenzione non fu modificata, tuttavia vale la pena ricordare alcune migliorie in favore degli associati. Innanzitutto, la II Convenzione di Yaoundé modificava ed estendeva il concetto di «necessità di sviluppo»71; si trattava di una nozione fondamentale poiché a essa si appellavano gli associati quando chiedevano di poter mantenere o istituire restrizioni tariffarie e quantitative nei confronti dei prodotti provenienti dai paesi membri della CEE. A tale scopo, il protocollo numero due della suddetta
Convenzione precisava in modo minuzioso le necessità di sviluppo per le quali le richieste di deroga da parte degli associati avrebbero avuto ottime possibilità di essere accettate dal Consiglio di Associazione. Un associato poteva quindi chiedere e applicare la clausola di non reciprocità, per favorire la creazione di rami di produzione, per l’esecuzione di programmi di sviluppo economico per equilibrare le bilancia dei pagamenti o per garantire rapidamente un rapido aumento del gettito delle esportazioni dei loro paesi72. In poche parole, la II Convenzione di Yaoundé rese ancora più netta l’assenza di reciprocità tra CEE e SAMA.
In materia di cooperazione finanziaria e tecnica, il 3° FES avrebbe disposto
di 918 milioni u/c, aumentando di quasi 200 milioni rispetto a quello precedente. A sostituzione degli aiuti per la produzione, era stato previsto un nuovo tipo di aiuti non rimborsabili destinati a intervenire immediatamente in caso di brusco
71 Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, Convenzione di associazione tra la Comunità Economica Europea e gli Stati africani e malgascio associati a tale Comunità, firmata a
Yaoundé il 29 luglio 1969, N. L 282/2, 28.12.70, art. 3 paragrafo 2.
72 Ivi, Protocollo n. 2 relativo all’applicazione dell’articolo 3 della Convenzione di
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crollo dei prezzi (un problema molto frequente per i prodotti tropicali), in caso di calamità naturali e in favore della cooperazione regionale.73
Benché si trattasse di un accordo molto simile a quello precedente, anche queste trattative provocarono alcune discussioni in seno al Consiglio della Comunità, soprattutto su come rendere compatibile la Convenzione di Associazione con il sistema delle preferenze generalizzate (SPG) in favore dei
paesi in via di sviluppo; promosso e abbracciato dai Sei durante la seconda Conferenza dell’United Nations Conference on Trade and Development (UNCTAD) di New Delhi del 1 febbraio-29 marzo 1968.
L’Olanda, sfruttando il momento, cercò di rilanciare la sua visione “mondialistica” delle relazioni tra paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo, avanzando un modello di Convenzione che avrebbe dovuto preparare la transizione a un sistema di cui tutti, associati e PVS, avrebbero potuto godere.
In tal senso, l’Aja chiedeva una nuova diminuzione della TEC e la sua estensione
verso altre esportazioni concorrenti a quelle degli associati, la fine delle preferenze inverse (cioè le preferenze concesse dagli associati ai partner europei) e un protocollo nel quale si dichiarava che la Convenzione non avrebbe rappresentato un ostacolo all’entrata in vigore di un sistema di preferenze generalizzate.
All’Olanda si opponeva Parigi che era tornata su posizioni molto difensive dopo le timide aperture nei confronti dell’Africa anglofona. Nel 1968, infatti, la Francia stava vivendo un periodo economico e politico molto complicato; è quindi molto probabile che i responsabili politici della repubblica gollista preferissero evitare riforme strutturali del regime d’associazione. Parigi, sostenuta dagli associati, affermò chiaramente di non poter accettare né la fine delle preferenze inverse né un’ulteriore riduzione della Tariffa Esterna Comune, dopo quella già concessa nel 1962. Accettare queste richieste, concluse la Francia, avrebbe significato mettere in discussione il principio che stava alla base del legame di associazione, cioè il libero scambio tra CEE e SAMA.
Questa presa di posizione della Francia, spiega ancora oggi perché il quarto protocollo della II Convenzione di Yaoundé si limiti ad affermare che «le disposizioni della Convenzione e in particolare l’articolo 3 non si oppongono all’istituzione di una sistema generale di preferenze, né ostano a che gli Stati associati vi partecipino»74 senza, tuttavia, precisare modalità e condizioni. Il problema della compatibilità tra la Convenzione di Associazione e, più in
73 Ivi, Titolo II, Cooperazione finanziaria e tecnica e Protocollo n. 6 relativo alla gestione degli
aiuti della Comunità.
74 Ivi, Protocollo n.4 relativo all’applicazione della Convenzione di Associazione e
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generale, tutti gli accordi internazionali firmati per promuovere lo sviluppo del Terzo Mondo, non era stato risolto ma soltanto messo da parte, e non a caso, tornerà prepotentemente negli anni successivi.
Con la II Convenzione di Yaoundé si chiudeva il primo capitolo delle relazioni tra la Comunità Economica Europea e l’Africa che aveva visto come protagonista indiscusso, Parigi. Questa situazione era destinata a cambiare con l’ingresso del Regno Unito nella Comunità nel 1973. L’adesione britannica alla
CEE e la partecipazione degli Stati del Commonwealth ai negoziati per il rinnovo
della Convenzione, avrebbero completamente riformato la sostanza e gli strumenti della politica di cooperazione comunitaria.
Prima di passare ad analizzare degli anni di Lomé, è opportuno analizzare il funzionamento e i risultati raggiunti dal Fondo europeo di sviluppo negli anni Sessanta, concentrandoci sul I e il II ciclo del Fondo. Ciò può essere molto utile per capire se esso possa essere considerato come uno strumento al servizio degli interessi europei in Africa oppure come uno strumento orientato a realizzare un’effettiva politica di cooperazione comunitaria.