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Luogo extra-testuale: la responsabilità giuridica.

Alla paternità creativa (autore come creatore) e alla proprietà intellettuale come insieme di principi giuridici che tutelano l’autore in quanto “proprietario” dell’opera1, va aggiunta una terza dimensione, che, proponendosi di tutelare il lettore, si rivela speculare a quella della proprietà intellettuale, oltre che ugualmente trascendente la teoria letteraria pura: si tratta della responsabilità giuridica, un aspetto della relazione autore-opera impossibile da ignorare in un lavoro che si proponga di individuare connotazioni e linee di demarcazione entro le quali incorniciare metaforicamente la figura dell’autore.

In Italia, censura e repressione hanno conosciuto modi e gradi differenti di applicazione a seconda del periodo storico ma, anche in regime democratico e al di fuori del fascismo, il controllo di organi censori e repressivi è stato pressoché sistematico, accentuato indirettamente dalla presenza del Sant’Uffizio e dell’Indice dei libri proibiti, destituito soltanto nel 1966.

Quando l’opera è stata considerata lesiva della morale o diffamatoria nei confronti di qualcuno o di valori sovra-individuali e collettivi, si è proceduto a processarne l’autore, previa istituzione di una corrispondenza diretta e biunivoca tra creatore e creatura, autore e opera, appunto, finanche autore e personaggio, se si considera quest’ultimo frutto dell’immaginazione del suo creatore e perciò a lui direttamente connesso (se non pienamente corrispondente, in una indebita equazione che prevede il livellamento arbitrario delle due istanze).

1 Tutti concetti nei quali il riferimento all’autore è necessario. Carla Benedetti cita ad esempio il no-

copyright come pratica basata sulla «credenza che l’autore sia solo la conseguenza del sistema

economico-giuridico basato sui diritti di proprietà delle opere». (C. BENEDETTI, L’ombra lunga

70 Inoltre, in molti casi la censura ha esercitato un’influenza indiretta sull’operato dell’autore, preoccupato di non incorrere in problemi giudiziari e perciò costretto a imporsi delle limitazioni, oppure limitato dall’esterno, per il tramite dell’editore. Questa specifica circostanza mette in discussione la nozione di opera come “mero testo”, sia perché implica il riconoscimento di un rischio che poco si addice all’idea di letteratura come interazione tra testi “acefali”, sia perché rende chiaro come il testo non si costituisca da sé ma sia il risultato di un lavoro che coinvolge sinergicamente più soggetti, tutti eventualmente implicati nei problemi giudiziari connessi al prodotto per il quale si adoperano.

Nella letteratura odierna si riscontra poi un livello aggiuntivo all’interno della dinamica che caratterizza il rapporto tra scrittore e organi giudiziari: ciò che lo scrittore depreca oggi non è più la ristrettezza di una morale pudica e in perenne richiesta di morigeratezza, bensì una modalità indiretta di “mettere a tacere”, limitando un diritto avvertito come insindacabile, quale la libertà d’espressione, ricercata incessantemente, per essere ribadita ogni volta con maggiore insistenza: da un certo momento storico in poi, all’esigenza di parlare di argomenti che, pur essendo parte integrante dell’esistenza di ogni essere umano, erano reputati osceni, indecenti e non artistici, si è sostituita l’esigenza di “dire la verità”. A quel punto, molti scrittori si sono fatti “portavoce del vero” e si è resa per loro necessaria l’acquisizione di una «patente d’autore»2 che garantisse l’autorevolezza in grado di assicurare sulla

veridicità della loro parola.

Le questioni potenzialmente rilevanti in relazione all’argomento qui proposto sono molteplici, così come i possibili punti di vista da cui osservare l’oggetto d’analisi (l’autore sotto processo). Si deve pertanto premettere che le problematiche toccate rappresentano soltanto una minima parte di quello che potrebbe o dovrebbe essere un discorso organico su un argomento delicato e scivoloso, che ha richiesto un’uscita temporanea dalla teoria letteraria per volgere lo sguardo ad aspetti importanti e

2 A.TRICOMI, Pasolini: gesto e maniera, Soveria Mannelli, Rubettino, 2005, p. 27. Si estende ad altri

autori il concetto che Tricomi riferisce a Pasolini, il quale, non aderendo ad una poetica comune ad altri autori a lui contemporanei, avrebbe proposto se stesso in quanto autore a garanzia di valore della sua opera. Questa tesi è sostenuta anche in A.MORESCO, La forma e la morte. Lettera a Carla Benedetti, in ID., Il vulcano. Scritti critici e visionari, Torino, Bollati Boringhieri, 1999, pp. 31-47.

71 imprescindibili connessi alla figura dell’autore e, soprattutto, alle circostanze nelle quali si verifica la convergenza tra autore reale e autore implicito ora in esame.

L’argomentazione non segue necessariamente criteri cronologici e i casi e le questioni sono presentati in ordine “tematico”, a seconda delle riflessioni suscitate.

Teoria letteraria e realtà giudiziaria.

Nell’autobiografia l’autore può essere considerato a tutti gli effetti un personaggio della narrazione. Inserito nel tessuto testuale come protagonista, sulla base del contratto di lettura dell’autobiografia che prevede la coincidenza piena tra autore, narratore e protagonista, egli è in maniera inequivocabile il referente diretto di ogni opinione e punto di vista espresso nell’opera.

Si è detto che questo aspetto caratterizzante l’autobiografia può rivelarsi un deterrente all’emersione della “verità” e, anzi, un incentivo all’autocensura. L’assenza dello schermo protettivo fornito dal romanzo che, implicitamente, garantisce la copertura della finzione, impone allo scrittore l’esercizio di una maggiore cautela nella scrittura autobiografica, della quale, sulla base del principio teorico che la contraddistingue, egli è “senza appello” il referente unico e inderogabile.

Al contrario, la protezione garantita dalla finzione potrebbe incentivare l’espressione di pensieri e opinioni più corrispondenti al vero, giacché nel romanzo i personaggi si vogliono in linea di principio autonomi rispetto al loro autore, il cui punto di vista si troverebbe, in ogni caso, ammettendo la polifonia di Bachtin, inafferrabile in quanto parcellizzato e distribuito su più livelli.

Del resto, si è avuto modo di vedere come l’osmosi tra scrittura autobiografica e scrittura romanzesca determini delle “invasioni di campo” che sanciscono la necessità di uscire dal dogmatismo ammettendo che, funzionando in modo molto meno definito di quanto vorrebbe la teoria, i due generi oltrepassano sistematicamente i confini labili imposti, richiedendo alla trattazione relativa una considerevole elasticità.

72 Se dal punto di vista della teoria letteraria riconoscere all’autobiografia delle “falle” e ipotizzare che, al di là dei principi teorici, l’autore possa essere ugualmente “presente” nella scrittura romanzesca porta a stabilire un modello che può essere ritenuto errato ma non ha conseguenze pratiche rilevanti, la stessa ammissione ha effetti importanti sul piano giuridico.

Assimilando la scrittura autobiografica a quella romanzesca (e viceversa) sulla base del riconoscimento di un unico autore ugualmente presente nei due casi malgrado le imposizioni teoriche, si legittima in un certo modo il meccanismo per il quale, in caso di reato connesso all’opera letteraria, l’autore sia perseguibile sempre e comunque in quanto soggetto cui ricondurre tutto quanto compaia in un testo da lui prodotto. Ammettendo che egli sia presente e rintracciabile in ogni testo letterario da lui scritto, indipendentemente dal genere di appartenenza, si rischia insomma di appiattire la complessità dei quadri teorici. Questo rende necessario stabilire dei punti fermi.

Esattamente come all’individuazione delle debolezze dell’autobiografia non soggiaceva la volontà di delegittimare un genere destituendone definitivamente i principi, bensì l’intento di aprire una breccia ipotizzando una continua intercomunicazione fra generi (data dalla comune natura narrativa e dalla presenza di un soggetto scrivente) nell’ammettere la presenza autoriale all’interno del romanzo si deve essere cauti, ricordando in ogni momento che, benché la teoria possa rivelarsi talvolta eccessivamente dogmatica e impossibilitata ad arginare la variabilità dei casi riscontrabili, esistono dei principi dai quali non si può prescindere e che non vengono annullati dal rilevamento dell’osmosi di cui sopra.

La finzione che caratterizza il romanzo va riconosciuta come sussistente in ogni caso. Così, come nel rilevare le “falle” dell’autobiografia non si è messo in discussione il fatto di poterla considerare, in linea teorica, il luogo testuale della convergenza tra autore reale e autore implicito, si deve continuare a reputare la scrittura romanzesca il luogo della parcellizzazione e inafferrabilità della presenza autoriale, sulla base di modelli teorici riconosciuti.

L’autobiografia non pone dubbi sul fatto che quanto espresso nel testo sia di paternità dell’autore. Al contrario, il romanzo non permette la completa assimilazione

73 tra autore e punto di vista espresso o tra autore e personaggio, dunque, pur avendo riconosciuto che egli può essere ugualmente “presente” nel romanzo nonostante la finzione (e talvolta proprio “grazie” alla finzione), la perseguibilità giuridica dell’autore in quanto artefice e detentore di punti di vista compromettenti è in discussione, in quanto sembra non considerare la tradizionale distinzione tra autore reale e autore implicito.

Se i casi di processi a scrittori conclusisi con l’assoluzione sono da considerare circostanze in cui la dicotomia è stata riconosciuta, i casi di condanna possono essere interpretati, al contrario, come la trasgressione del principio.

In ogni caso, l’ambito giudiziario può essere considerato un luogo extra-testuale di incontro tra autore reale e autore implicito e annullamento della dicotomia teorica. Accade cioè che colui che scrive venga assimilato alla «persona la cui esistenza è verificabile attestata dallo stato civile»3, o meglio, che la «persona che scrive e pubblica4 (per Lejeune, livello del testo) non sia distinta dalla «persona reale e socialmente responsabile»5 (livello del fuori-testo).

Responsabilità penale e libertà d’espressione.

Sui giornali le notizie che riguardano scrittori coinvolti in prima persona in vicende giudiziarie sono molto frequenti. La natura del coinvolgimento è assai varia, ma l’oltraggio al pudore, alla base di decine di cause negli anni Sessanta del Novecento, non è più motivo di scandalo e denuncia, soprattutto da quando l’Articolo 529 ha stabilito che non si debba considerare oscena l’opera d’arte o di scienza6.

3 P.LEJEUNE, Il patto autobiografico, cit., p. 22. 4 Ivi, p. 23.

5 Ibidem.

6 «Agli effetti della legge penale, si considerano osceni gli atti e gli oggetti che, secondo il comune

sentimento, offendono il pudore. Non si considera oscena l'opera d'arte o l'opera di scienza, salvo che, per motivo diverso da quello di studio, sia offerta in vendita, venduta o comunque procurata a persona minore degli anni diciotto». “art. 529 c.p.”.

74 Oggi i processi agli scrittori si devono principalmente a denunce per diffamazione, sporte non soltanto da persone sentitesi lese da uno scritto o ingiustamente chiamate in causa (dinamica di cui la storia è ricca e rispetto a cui Curzio Malaparte costretto nel 1951 a cambiare i nomi di due personaggi di Kaputt, non è un caso isolato7), ma anche da scrittori stessi nei confronti di altri scrittori.

Nel 2012 Gianfranco Carofiglio ha querelato il poeta ed editor Vincenzo Ostuni per un’affermazione pubblicata da quest’ultimo in un social network a proposito del Silenzio dell’onda: «Un libro letterariamente inesistente, scritto con i piedi da uno scribacchino mestierante, senza un’idea, senza un’ombra di “responsabilità dello stile”, per dirla con Roland Barthes»8.

Indipendentemente dall’esito della vicenda9, è interessante la reazione di molti

intellettuali - tra i quali Marco Belpoliti, Franco Cordelli, Andrea Cortellessa, Tiziana Lo Porto, Valerio Magrelli, Matteo Nucci, Gabriele Pedullà, Giorgio Vasta - che hanno sottoscritto un appello in cui si parlava di «intento intimidatorio»10 e si precisava:

Non è necessario condividere il parere di Ostuni per rendersi conto che la decisione di Carofiglio costituisce in questo senso un precedente potenzialmente pericoloso. Se dovesse passare il principio in base al quale si può essere condannati per un’opinione – per quanto severa – sulla produzione intellettuale di un romanziere, di un artista o di un

7 Malaparte scrisse del suicidio della marchesa Giuseppina von Stum, il cui nome da ragazza era

Giuseppina Antinori, andata in sposa a un funzionario del ministero degli esteri tedesco, Josef Braun Von Stumm. Il barone Von Stumm querelò editore e scrittore per diffamazione. Un altro capitolo problematico si rivelò quello intitolato “Sigfrido e il salmone”, dove veniva nominato il tenente Georg Beandasch, giudice della corte d’appello di Berlino. Il 5 luglio 1954 Beandasch scrisse all’editore per pregarlo di cessare la diffusione del romanzo. Malaparte scampò le conseguenze giudiziarie grazie alla modifica dei nomi delle persone coinvolte: nelle successive edizioni Georg Beandasch è Georg

Feldmann e Giuseppina Von Stumm diventa Margherita von R. Cfr. A.ARMANO, La belletta negra del

sensualismo e i salmoni della Lapponia. Malaparte, La pelle e Kaputt, in ID., Maledizioni. Processi,

sequestri e censure a scrittori e editori in Italia dal dopoguerra a oggi, anzi domani, Milano, Rizzoli,

2014, pp. 40-49.

8 Cfr. L.MASTRANTONIO in Ostuni querelato da Carofiglio. Gli scrittori vanno in commissariato, in

“Corriere della Sera”, 25 settembre 2012. (http://www.corriere.it/cultura/12_settembre_25/ostuni- querelato-da-carofiglio-gli-scrittori-marciano-su-via-merulana_e3d67f00-0758-11e2-8daa-

75c6fff9e45c.shtml).

9 Cfr. R.DE SANTIS, Accordo Carofiglio-Ostuni con un versamento in beneficenza, in “La Repubblica”,

25 settembre 2012. (http://www.corriere.it/cultura/12_settembre_25/ostuni-querelato-da-carofiglio- gli-scrittori-marciano-su-via-merulana_e3d67f00-0758-11e2-8daa-75c6fff9e45c.shtml).

75 regista, non soltanto verrebbe meno la libertà di espressione garantita dalla Costituzione, ma si ucciderebbe all’istante la possibilità stessa di un dibattito culturale degno di questo nome. La decisione di Carofiglio è grave perché, anche a prescindere dalle possibilità di successo della causa, la sua azione legale palesa un intento intimidatorio verso tutti coloro che si occupano di letteratura nel nostro paese. Ed è tanto più grave che essa giunga da un magistrato e parlamentare della Repubblica.11

Ironicamente si potrebbe equiparare la vicenda a una delle dinamiche descritte da Cavazzoni in Gli scrittori inutili. L’incipit del capitolo in questione recita: «Gli scrittori per principio si odiano. […] covano pensieri di distruzione reciproca e annichilimento»12. Segue la descrizione di una “seduta” al caffè che ricorda molto quella riportata da Arbasino in L’ingegnere in blu, dove il tono è altrettanto ironico:

La sera, talvolta, l’Ingegnere in blu sedeva reticente a tavolate romane più ampie e vocianti […] al Bolognese o nei paraggi di via Ripetta all’aperto, o ‘da Carlo’ in Trastevere, con Moravia e Morante e Attilio Bertolucci, i due Guttuso, i due Piovene […], talvolta Bassani (‘il primo paltò di cammello nella letteratura del dopoguerra’) e Carlo Levi (‘col suo complesso di Giove portativo’). E i più giovani: Pasolini che doveva scappare prima del dolce perché sennò i ragazzini non lo aspettavano. E tutti: vai, vai, sennò vanno a dormire. […] Però mal si tollerava, accanto alla prosa romanzesca dei Ragazzi di vita, un corrispondente cabaret di rispetto o dispetti o strambotti altrettanto vernacoli, per ‘coatti’ delle Borgate Finocchio tipo “A’ moré, vieggiù, vieqquà, che te famo divertì” [...] E spesso Parise, Garboli, poi Siciliano… L’ingegnere sbuffava parecchio, quando l’autrice di Menzogna e sortilegio sopravveniva sventolando “Paese sera” e strillando che bisognava subito stendere e firmare tutti un manifesto di denuncia o protesta tipo Sartre-Beauvoir a proposito di bombe o di gatti. […] Talora l’Ingegnere ‘si dava assente’, e telefonava la mattina dopo: ‘Ha strillato molto anche stavolta, l’Elsina?’13

Nel racconto di Cavazzoni, però, gli scrittori brindano ripetutamente all’eterna amicizia ma si scambiano reciprocamente insulti silenziosi; sorridono vicendevolmente ma sussurrano a mezza bocca parole di disprezzo come «scrittorello, imbrattacarte, scribacchino, poetucolo, analfabeta, fallito»14. Al termine del racconto,

11 Ibidem.

12 E.CAVAZZONI, Gli scrittori inutili, Milano, Feltrinelli, 2002, p. 67. 13 A.ARBASINO, L’ingegnere in blu, Milano, Adelphi, 2008, pp. 80-81.

14 E.CAVAZZONI, Gli scrittori inutili, cit., pp. 67-68. Nel romanzo Il giocatore invisibile di Giuseppe

Pontiggia è invece presente un’allusione all’“odio” che caratterizza i rapporti tra studiosi: «”Tu lo sai, vero, che i filologi si odiano”. “Non solo loro”. “No, i filologi più che gli altri. Non ho mai capito il

76 in concomitanza con l’uscita degli scrittori dal caffè, Cavazzoni introduce uno studioso che, consapevole degli insulti e delle offese cui andrebbe incontro se visto dagli scrittori, preferisce stare «nascosto o camuffato, ad una certa distanza»15. In explicit, l’autore precisa: «Lo studioso non lo capirà mai, eppure tutto questo significa che gli scrittori gli vogliono bene»16.

In maniera ironica e giocosa, il capitolo di Cavazzoni rende conto sia dell’antagonismo che può talvolta caratterizzare i rapporti tra scrittori sia dell’ambivalente relazione tra scrittore e critico.

Sebbene si possa dissentire dai toni e dalle modalità di espressione di Ostuni e malgrado la critica letteraria, in linea di principio, si eserciti in sede opportuna, la vicenda Ostuni-Carofiglio è soltanto una deriva dell’eterno e inevitabile contrasto tra “giudicante” e “giudicato” o, per dirla con Enzo Golino, tra «Recensore e Stroncato»17.

La vicenda ricorda sia la querela di Berto a Dacia Maraini, colpevole di avergli dato dello “stronzo”, sia le parole di disistima che Virginia Woolf riservò a Joyce sul suo diario, molto diverse dalle ragioni ufficiali con le quali motivò il rifiuto di pubblicare Ulisse con la “Hogart Press” fondata con il marito Leonard; ma soprattutto ricorda le sistematiche stroncature papiniane e quelle più recenti di Enzo Golino.

Come nel caso di Carofiglio e Ostuni, il casus belli dell’alterco tra Berto e Maraini fu un premio letterario: l’appoggio dato da Moravia a Dacia Maraini per il Premio Formentor nel 1962 ne determinò, secondo Berto, la vittoria, con il romanzo inedito L’età del malessere. Dal momento che Moravia e Maraini a quel tempo avevano una relazione amorosa, Berto fu persuaso che l’agire di Moravia prescindesse dalle effettive qualità letterarie della Maraini e questo alimentò la disistima che già

perché. Forse perché sono esasperati da fatiche estenuanti su opere altrui”» (G.PONTIGGIA, Il giocatore

invisibile, Milano, Mondadori, 2007, p. 49)

15 E.CAVAZZONI, Gli scrittori inutili, cit., p. 69. 16 Ibidem.

17 Una ripartizione stabilita provocatoriamente da Enzo Golino, autore di Sottotiro: 48 stroncature. «In

forme varie, lo spettro della stroncatura si è sempre aggirato nella critica letteraria. […] Anche riviste di alto lignaggio accademico hanno ospitato duelli di professori, il Recensore e lo Stroncato, persino in più puntate». E.GOLINO, Sottotiro: 48 stroncature, Milano, Bompiani, 2013, p. 5.

77 intercorreva tra i due e di cui la querela del ’78 alla Maraini fu soltanto l’episodio terminale18.

Quanto a Virginia Woolf, il confronto tra le ragioni ufficiali che la spinsero a rifiutare di pubblicare Ulisse nel 1922 e ciò che scrisse nel suo diario il 16 agosto 1922 e il 6 settembre dello stesso anno è rivelatore:

Dovrei essere immersa nella lettura dell’Ulisse, preparare la mia arringa pro e contro. Ne ho lette 200 pagine finora –neppure un terzo- e mi ha divertita, stimolata, affascinata, interessata per i primi due o tre capitoli. […] poi sono rimasta confusa, annoiata, irritata e delusa da questo liceale a disagio, che si gratta i foruncoli. […] Per me è un libro ignorante, plebeo; il libro di un operaio autodidatta, e sappiamo tutti quanto sono disperanti, quanto egocentrici, assillanti, rozzi, declamatori e in sommo grado nauseanti.19

Ho terminato l’Ulisse e mi sembra un colpo mancato. Genio ne ha, direi, ma di una purezza inferiore. […] Uno scrittore di classe, voglio dire, rispetta troppo la scrittura per ammettere le trovate, le sorprese, le bravure. Mi ricorda in continuazione un collegiale inesperto, pieno di spirito e di ingegno, ma talmente conscio di sé, talmente egocentrico che perde la testa, diventa stravagante, manierato, chiassoso […] e si spera che gli anni lo guariscano; ma poiché Joyce ne ha quaranta sembra poco probabile.20

Trattandosi di una scrittura privata, le parole di disapprovazione riservate a Joyce non hanno il peso di opinioni espresse ufficialmente e pubblicamente, ma è proprio la dimensione privata alla quale furono relegate ad essere interessante: sebbene la scrittrice non nutrisse grande stima nei confronti dell’opera la cui pubblicazione le era stata proposta da T.S. Eliot, mantenne il riserbo e non lo comunicò espressamente, limitandosi a motivare il diniego con una spiegazione molto diplomatica: in quanto piccoli editori, lei e il marito non si sentivano all’altezza di una simile impresa21.

Chi invece non si preoccupò di tenere per sé opinioni e pareri a proposito di altri scrittori, personaggi letterari e soprattutto critici fu Papini, le cui “stroncature” sono

18 Cfr. A. ARMANO, Maledizioni, cit., p. 280 e A.D’AGOSTINO (a cura di), Raccontare cultura:

l’avventura intellettuale di “Tuttolibri” 1975-2011, Roma, Donzelli, 2011, pp. 47-48.

19 V.WOOLF, Diario di una scrittrice, trad. it. di G. De Carlo, Roma, Minimum Fax, 2011, p. 64. 20 Ivi, p. 67.

21 La vicenda è riportata in M.BAUDINO, Il gran rifiuto. Storie di autori e di libri rifiutati dagli editori,

78 state definite «bastonature […] spiritose sbertucciate scritte per mettere in berlina qualcuno, divertendo sé e i lettori»22.

La sua raccolta di saggi polemici del 1916 comprendeva, tra gli altri, un articolo su Emilio Cecchi uscito sulla “Voce” il 28 febbraio 1915 e intitolato

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