Olio su tela, cm 240 x 415 Museo civico, Padova 1537
(Appendice I, doc. 6)
Il primo giugno del 1537 i rettori della città di Padova indissero un concorso per un dipinto, da porsi nella sala principale della Loggia del Consiglio, che avrebbe dovuto rappresentare i santi protettori della città; al concorso parteciparono Ludovico Fiumicelli e Domenico Campagnola.
Il 4 settembre, una volta terminate le opere, i pittori aderirono alla proposta dei rettori riguardo le modalità del giudizio: questo avrebbe dovuto esser pronunciato sulla base della qualità delle teste del Bambino e dei santi. Come arbitri esterni erano stati indicati Tiziano e Pordenone i quali però, impegnati per importanti commissioni, declinarono l'invito, cosicché il 14 settembre fu Gian Paolo Pase, detto l'Olmo, a giudicare vincitrice, per "meglior disegno", l'opera presentata da Campagnola, il quale il 18 settembre è autorizzato a riscuotere la somma pattuita (Lazzarini 1914).
Il dipinto di Campagnola (fig. 6.3) venne da subito sistemato sopra il tribunale nella sala del Consiglio dove restò fino all'inizio dell'Ottocento, quando venne trasferito nel palazzo del podestà perché in stato d'abbandono, e fu in seguito acquistato dal Museo civico.
L'identificazione dell'altro dipinto − qui in questione − con quello presentato da Fiumicelli fu accertata grazie agli interventi degli studiosi Elisabetta Saccomani (1980) e Mauro Lucco (1981 a). La maggior parte dei
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critici − tra i quali Adolfo Venturi, Bernard Berenson e Rodolfo Pallucchini − era invece concorde nell'affermare che questa fosse l'opera vincitrice del concorso, realizzata da Campagnola. La tela sarebbe stata in seguito rimpiazzata dall'altra del medesimo pittore in quanto rivelatasi troppo piccola, mentre la tela di Fiumicelli sarebbe andata perduta.
La Saccomani sostiene che l'ipotesi della sostituzione dell'opera − suggerita inizialmente da Andrea Moschetti nel 1900 e riproposta poi dai sopracitati − nacque da un fraintendimento della descrizione riportata da Ferrari nel 1734. Questi vide il dipinto "con M. Vergine, con i SS. Protettori, colla città in veduta e con coro d'angeli di sotto, di Domenico Campagnola" nella chiesa dei Padri Riformati di San Carlo, "destinato alla sala del Consiglio, ma considerato minore del bisogno alla grandezza del luogo, l'ebbero i frati in dono dalla città" (Fantelli, 1987, p. 201). Tale spiegazione venne ripresa successivamente da Pietro Brandolese nel suo libro
Pitture, sculture,
architetture ed altre cose notabili di Padova
del 1795, ma la parola "minore" venne tradotta con "piccolo", dando adito a scorrette interpretazioni della vicenda. Secondo la Saccomani le parole di Ferrari vanno interpretate nel modo seguente: il dipinto giunto in San Carlo era stato eseguito per la Sala del Consiglio, ma ritenuto non consono all'importanza del luogo, era stato donato ai frati; si tratterebbe dunque del dipinto perdente al concorso. La tesi della sostituzione della tela è confutata chiaramente dal fatto − segnalato da Lucco (1981 a) − che la prima tela misura 240 x 415 centimetri, mentre quella che l'avrebbe poi sostituita 250 x 410. Una così minima differenza di dimensioni permette di scartare l'ipotesi di Moschetti. In realtà il dipinto rifiutato, realizzato da Fiumicelli, venne momentaneamente sistemato nella sala del podestà, dove lo vide Ridolfi, e verso la metà del Seicento nella chiesa di San Carlo; quando a inizio Ottocento il convento dei Riformati venne soppresso e la chiesa demolita, passò in diversi edifici pubblici o istituti religiosi di Padova, per giungere al convento di Santo Stefano e infine al Museo civico nel 1877.76
Le due opere protagoniste dell'episodio non sono riconducibili alla stessa mano; un simile parere era stato esposto già nel 1765 da Rossetti che attribuiva il quadro di Fiumicelli a Stefano Dall'Arzere. L'attribuzione a Campagnola viene scartata dalla Saccomani (1980) e da Lucco (1981 a) in quanto l'opera appare palesemente diversa rispetto ad altri lavori contemporanei dell'artista e sembra inverosimile che il pittore abbia abbandonato la monumentalità delle figure e della struttura compositiva raggiunte in opere precedenti, tra le quali la
Decollazione del Battista
del 1530, per realizzare un dipinto con personaggi quasi "fluttuanti" sul piano della tela.Concordi nel rifiutare il riferimento a Campagnola, i due studiosi assumono poi posizioni diverse in merito al riconoscimento dell'artista che eseguì il dipinto. La Saccomani propone di assegnarlo a Fiumicelli poiché vi individua delle peculiarità − quali le consistenti ombreggiature sui volti e sulle vesti dei santi Antonio e Daniele che sembrano rifarsi alla tecnica esecutiva di Campagnola − che confermano la realizzazione da parte di un artista di cultura provinciale. Inoltre appare decisivo per l'attribuzione a Fiumicelli il confronto con l'altra opera padovana dell'artista, documentata, ovvero la pala della chiesa degli Eremitani (fig. 6.1), datata al 1536. Il brano degli angeli musicanti è presente, con caratteri molto simili, in entrambi i dipinti. Lo scarto tra le due tele, realizzate con un solo anno di distanza, è comunque evidente; l'impianto compositivo della pala degli Eremitani riprende il modello della pala Pesaro, mentre il dipinto del Museo civico rivela un riferimento allo stile di Paris Bordon. Per tale motivo Mauro Lucco (1981 a) avanzò l'ipotesi di assegnare l'opera a Bordon, compare di Fiumicelli. Quest'ultimo avrebbe dunque richiesto l'aiuto dell'amico per far fronte ad una commissione importante e superare Campagnola, presentando al concorso la tela dipinta da Bordon. È da notare che non si sarebbe trattato di un caso eccezionale dal momento che nel 1531 Bordon aveva realizzato la pala per la chiesa di Biancade che era stata precedentemente commissionata a Fiumicelli e al socio Beccaruzzi. A riprova della tesi sostenuta Lucco
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ricorda che il 18 settembre 1537 Fiumicelli fece ricorso − come per denunciare un'ingiustizia − contro la scelta operata da Pase che giudicò vincitore Campagnola. La proposta di Lucco è inoltre dallo stesso avvalorata grazie al paragone con altre opere di Paris Bordon che presentano affinità con la tela padovana, quali la
Sacra Conversazione con Santa Caterina
di Palazzo Rosso a Genova ove la figura della santa sembra aver ispirato quella di Santa Giustina, oppure l'altraSacra Conversazione
della Galleria Colonna nella quale sarebbe la Maddalena ad esser ripresa per la medesima Santa Giustina.Riprendendo la tesi della Saccomani, Fossaluzza (1982) individua nella tela numerosi particolari che denunciano un'adesione allo stile di Paris Bordon, ma che comunque non permettono di assegnare a quest'ultimo l'opera. Riprendono caratteristiche del Bordon la tipologia del volto della Vergine e la posa di Santa Giustina, mentre si rivela differente il modo di trattare i panneggi, percorsi da solchi profondi, con angoli a volte acuti.
Nella tela di Fiumicelli i santi sono schierati ai lati della Vergine in modo simmetrico e leggermente statico, mentre in quella di Campagnola seguono una disposizione più dinamica − arricchita dall'introduzione della scena del battesimo di Santa Giustina − che lascia uno spazio libero, aperto su un paesaggio, tra i due gruppi di personaggi e conferisce più respiro all'opera.
Bibliografia
Ridolfi, 1648, p. 73; Brandolese, 1795, p. 144; Lazzarini, 1914, pp. 253- 261; Berenson, 1958, p. 53; Pallucchini, 1969, p. 207; Saccomani, 1980, pp. 64-65; Lucco, 1981 a, pp. 115-122; Fossaluzza, 1982, pp. 132-133; Mariani Canova, 1984, p. 64; Fantelli, 1987, p. 201; Saccomani, 1991, pp. 147-150; Manzato, 1992, p. 269; Coltellacci, 1997, p. 262; Dal Pozzolo, 1999, p. 214; Fossaluzza, 1999, p. 643; Partsch, 2004, B. 41, p. 9
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6.2 6.2 6.2
6.2 Ludovico Fiumicelli, Madonna col Bambino in trono e i santi Prosdocimo, Giustina, Antonio da Padova e
Daniele e tre angioletti musicanti, Museo civico, Padova. Per gentile concessione di Davide Banzato (Museo civico
di Padova).
6.3 6.3 6.3
6.3 Domenico Campagnola, Madonna col Bambino in trono tra i santi Marco e Luca e i martiri innocenti, santa
Giustina battezzata da san Prosdocimo, i santi Antonio da Padova e Daniele, un monaco e due sante, Museo
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Ludovico Fiumicelli e Giovan Pietro Meloni