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CAPITOLO I IL CONCETTO DI MOSTRO

Capitolo 3 I MAESTRI DEI MOSTRI

3.1 – CARLO RAMBALDI

Carlo Rambaldi è stato uno dei più importanti artisti italiani del panorama cinematografico per la creazione dei mostri. La biografia di Victor Rambaldi, Carlo Rambaldi. Una vita straordinaria, ci aiuta a trarre una linea guida per ripercorrere la vita del maestro italiano. Nato il 15 settembre del 1925, Carlo mostra subito una passione innata nella creazione di bamboline e statuette fatte con la creta; lavorare con il padre in un’officina meccanica gli permette di comprendere tutti i meccanismi che stanno dietro ai sistemi e che muovono biciclette, moto ed auto. Nel 1935 vede al cinema King Kong, la pellicola del 1931 che segnerà il suo avvenire: la stop- motion del film è la chiave che lo spingerà a cercare il movimento che animerà sempre le sue creazioni.

Il nome di Rambaldi inizia ad emergere nel panorama cinematografico alla metà degli anni Sessanta quando si trasferisce a Roma per seguire meglio il suo lavoro. Partecipa a d alcune produzioni televisive come L’Odissea del 1968, in cui realizza la testa e la mano meccanizzata di Polifemo, progetta un automa di Pinocchio per l’omonimo film che però finì ancora prima di iniziare. Rambaldi approda al cinema realizzando effetti speciali, lavora con Fulci a Non si sevizia un paperino in cui realizza il manichino di Don Alberto e dirige le riprese delle colluttazioni del manichino con la finta scarpata che porterà alla morte il personaggio. L’artista italiano crea un manichino meccanizzato in maniera da permettere le rotazioni del corpo, i movimenti della testa e delle mani; inoltre posiziona tre punti di pressione per far esplodere la pelle dall’interno permettendo una fuoriuscita del sangue. Collabora con altri registi come Dario Argento per Profondo Rosso in cui costruisce il Figura 6 - Carlo Rambaldi. Foto di Gaetano del Mauro,

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pupazzo meccanico e il busto meccanizzato per animare il volto dell’attrice Macha Méril per la scena della decapitazione nell’ascensore.88

Rambaldi continua a lavorare nel cinema italiano fino al 1975 quando riceve una telefonata dall’amico architetto Mario Chiari, che gli chiede di volare a Los Angeles per aiutare la realizzazione di King Kong, il remake del film del 1933. Rambaldi va in soccorso al produttore Dino de Laurentis per la creazione del mostro perché gli artisti statunitensi non riuscivano a crearne uno soddisfacente. L’artista di Vigarano si ritrova così catapultato in una diversa realtà cinematografica, infatti la pellicola è un kolossal da ventiquattro milioni di dollari. Dino de Laurentis e John Guillermin, il regista, chiedono a Rambaldi di creare il mostro in modo da poter suscitare sia paura che compassione, una creatura che sia mostruosa, ma con una mimica facciale in grado di esternare una vasta gamma di espressioni ed emozioni quasi umane. Carlo inizia a lavora nonostante alcune difficoltà con la lingua, va allo zoo a studiare i comportamenti dei gorilla e si affeziona ad un esemplare di nome Bum.89 Lo fotografa da ogni prospettiva e si mette a disegnare i vari piani facciali del cranio

e del volto, così da avere un book di schizzi delle espressioni del gorilla che andavano dalla calma alla rabbia più intensa.

In relazione alla creazione del modello in creta Rambaldi osserva:

«Il rapporto tra gli occhi e la loro distanza è molto importante. Se gli occhi son troppo vicini l’uno all’altro, o troppo distanti, si crea uno squilibrio

sgradevole. Quando l’uomo si sforza d’inventare qualcosa scordando la natura ottiene pessimi risultati. Bisogna sempre partire dalla natura, quindi cercare, se possibile, di superarla.» 90

L’artista italiano finisce il suo modello in creta facendo dei ritocchi alla fisionomia facciale del gorilla in modo da farlo risultare più fotogenico e per enfatizzare ancora di più sia le espressioni “umane”, sia quelle mostruose della bestia. Per la realizzazione la mimica facciale Rambaldi adotta una tecnica mai provata prima: usa un sistema a strati che, dopo aver individuato l’espressione da riprodurre, porta Rambaldi a ricreare i muscoli mimici

88 Victor Rambaldi, Carlo Rambaldi. Una vita straordinaria (Soveria Mannelli: Rubbettino Editore, 2013) pp 15-30 ssg.

89 Intervista a Carlo Rambaldi. Intervista di Kelly Lange KTLA Tv, 1980. 90 Victor Rambaldi. Carlo Rambaldi. op. cit. pp. 82

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coinvolti nell’esecuzione delle espressioni richieste. In questa maniera la mimica della bestia risulta più naturale e realistica. Rambaldi era perfettamente consapevole che il film avrebbe fatto un grande affidamento alle espressioni del mostro e per raggiungere un risultato migliore costruisce sette teste meccanizzate animate attraverso radiocomandi a distanza. Durante questo periodo di progettazione, Rambaldi conosce l’interprete del corpo del gorilla, Rick Baker, lasciando alle teste meccanizzate la totalità dei movimenti espressivi. Oltre alla faccia, Carlo progetta mani e braccia del gorilla in grado di sostenere il peso di un uomo. Questi arti, montati su un dolly, permettevano un movimento totalmente libero sia in orizzontale che in verticale. Per la realizzazione del film Rambaldi lavora a diversi modelli in scale differenti. Crea un King Kong alto 15 metri (una sorta di animatronic animato da un sistema idraulico), realizzato con uno scheletro di duralluminio rivestito da circa mezza tonnellata di crine di cavallo argentino, che richiedeva ben tredici persone per animarlo (e che è stato utilizzato per poche scene. In contrapposizione a questo animatronic gigantesco, Rambaldi crea diversi modelli dell’attrice Jessica Lange, meccanizzati e radiocomandati a distanza, alti quindici centimetri che venivano usati con le mani di Kong in scala.91 Inoltre,

per le sue creazioni Rambaldi usa un nuovo tipo di lattice: il lattice schiumato, molto più leggero e resistente di quello usato in precedenza, un materiale che soprattutto reagiva benissimo ad ogni movimento sottocutaneo proveniente dal sistema d’animazione.

Rambaldi lascia di stucco i suoi collaboratori e assistenti per la sua capacità creativa, ma soprattutto per quella animatrice. Riesce con naturalezza a ricreare i movimenti senza difficoltà. Durante le riprese tutti si accorgono che le teste del gorilla, accuratamente truccato e sistemato con peli di yak, sono uno dei lavori meglio riusciti nell’ambito dell’animazione facciale. Con questo primo film d’oltreoceano Rambaldi si fa conoscere nell’ambiente cinematografico, infatti, subito dopo questo lavoro si mette ancora all’opera con Dino de Laurentis che gli commissiona la realizzazione del Bufalo bianco per Sfida a White Buffalo. Dopo questa pellicola Rambaldi torna a Roma, dove progetta per Spielberg l’alieno che verrà usato in Incontri ravvicinati del terzo tipo. Questa prima collaborazione segna l’inizio dell’intesa fra i due, che torneranno a lavorare assieme per E.T – L’extraterrestre.

Prima della seconda collaborazione con l’astro nascente di Spielberg, Carlo viene contattato per la realizzazione di uno degli alieni che hanno un posto d’onore tra incubi degli spettatori

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e nel panorama cinematografico. L’artista italiano affianca infatti Brian Johnson e Nick Allder nella realizzazione della creatura aliena ideata da H. R. Giger in Alien, diretto da Ridley Scott nel 1979. Rambaldi per questo film si “limita” a rendere reale la testa dello xenomorfo pensato dall’artista surrealista svizzero. Il lavoro dell’artista italiano può sembrare di poco rilievo per un film horror che ha come antagonista principale questa creatura aliena. Il regista del primo capitolo della saga di Alien costruisce una storia di horror fantascientifico intorno a una creatura mostruosa che durante il film non si vede molto. Questo film però, rispetto ai successivi della serie, ha una particolarità: l’alieno compare effettivamente sulla scena solamente per un tempo molto limitato. Questo mostro alieno sul minutaggio complessivo del film ha poco più di 5 minuti effettivi di presenza sullo schermo, e molte di queste riprese sono solamente dei primi piani o dettagli dello xenomorfo, non mostrato mai nella loro interezza, ma solo come flash improvvisi che vanno ad aumentare l’atmosfera di tensione e paura creata dal film. In merito a questa idea di creare terrore e suspence senza mostrare il mostro, il regista afferma:

«Non mi sono mai piaciuti i film dell’orrore perché alla fine il mostro è sempre un attore all’interno di un costume di gomma. C’è solo un modo per risolvere il problema: la cosa più importante in un film di questo tipo non è tanto ciò che lo spettatore vede ma l’effetto di ciò che lui

“crede” di aver visto. E Carlo è un maestro in questo»92

Rambaldi inizia a lavorare alla testa dell’alieno a partire dai bozzetti di Giger che mostravano il mostro solamente di profilo per far capire l’importanza del design della testa allungata. Carlo realizza un primo modello della testa dello xenomorfo, lo filma, lo fotografa e lo spedisce direttamente a Ridley Scott che approva subito la realizzazione della creatura. Oltre che della creazione materiale, l’artista italiano è il responsabile anche dell’animazione del mostro; per questo motivo apporta alcune modifiche al design iniziale di Giger in maniera tale che la creatura possa ospitare le parti in movimento necessarie per animare la mascella principale e le fauci interne. La lunghezza della testa viene così sfruttata per ospitare la lingua rigida che si animava grazie ad un complesso sistema di cavi e pulegge. Il lavoro ha richiesto a Rambaldi la presenza di circa 900 componenti in movimento ed altrettante articolazioni. La realizzazione dello xenomorfo porterà a Rambaldi, H. R. Giger, Brian

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Johnson, Nick Allder e Denys Ayling il premio Oscar per i miglior effetti speciali, il primo per l’artista italiano.93

Dopo questo riconoscimento Spielberg richiama Rambaldi per la realizzazione di una creatura che nessuno era ancora riuscito a concretizzare, compito che solamente l’artista italiano riuscirà a plasmare: E.T. Il film E.T – L’extraterrestre riscuote fin dalla sua prima uscita nelle sale un grande consenso di pubblico e di critica. È un film che sa commuovere e che fa ridere ed è tutto merito dell’alieno che è l’esatto opposto dello xenomorfo di Alien. E.T. segna il superamento nel pubblico “dell’effetto King Kong”, ogni spettatore non può che rimanere affascinato e meravigliato dal piccolo E.T., e il merito è tutto del grande lavoro svolto dall’artista italiano come dimostrerò nell’apposito capitolo. E.T. – L’extraterrestre porta a Rambaldi il secondo premio Oscar per gli effetti speciali. Dopo questa pellicola l’artista continuerà a lavorare in ambito cinematografico a pellicole più o meno importanti o conosciute come Conan il barbaro o King Kong 2.

L’avvento dell’era digitale è però un duro colpo per Rambaldi, infatti percepisce l’innovazione tecnologica digitale come una minaccia, un muro e un avversario che prenderà il suo posto. Lo stesso artista si esprime in questi termini come riportato nella biografia redatta dal nipote Victor Rambaldi:

«Il virtuale, appunto. Quando io creo qualcosa, questa cosa è reale, tangibile. Vera. Poi la macchina da presa la può anche riprendere ma nel frattempo il mio personaggio esiste. Un personaggio creato dal computer non è reale ma virtuale. È un effetto ottico. Il computer non può

ancora imitare il tocco della mano umana. La sua sensibilità. La sua poesia.»94

Rambaldi pian piano si ritira dalle scene e nel 2001 torna in Italia con la moglie Bruna, a Lamezia Terme dalla figlia. Lontano dalle luci di Hollywood torna a vivere delle sue passioni, di pittura e scultura, e inizia a ricoprire a pieno titolo il ruolo di nonno.

Rambaldi muore il 10 Agosto 2012, per la notte di San Lorenzo, il presidente Giorgio Napolitano lo ricorda elogiando il suo genio con le seguenti parole:

«Carlo ha espresso e fatto conoscere in un campo innovativo il genio degli italiani.»95

93 Ettore Pasculli, Il cinema dell’ingegno. op. cit. pp. 167.

94 Victor Rambaldi. Carlo Rambaldi. op. cit. pp. 123. 95 Victor Rambaldi. Carlo Rambaldi. op. cit. pp. 126.

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Rambaldi è riuscito a fare l’impossibile, a trarre emozioni dalla materia inorganica, ha fatto vivere ogni sua creazione; è riuscito a realizzare concretamente le creature prive di pixel digitali e lo spettatore può percepire la materia stessa di cui esse sono fatte e rimane affascinato da questo lavoro.

Per concludere si può sostenere che Rambaldi è l’ultimo artigiano della materia concreta degli effetti speciali, un artigiano che non è riuscito ad adattarsi al progresso tecnologico, ma che nonostante tutto non riusciva a vederlo negativamente in quanto ogni progresso per l’uomo è sempre positivo. Carlo lo criticava in quanto pensava che il computer non potesse riuscire a trasmettere ai propri personaggi la stessa carica materiale che solamente un artigiano che lavora con la materia poteva dare.

3.2 – STAN WINSTON

Nell’ambito dell’industria degli effetti speciali il nome di Stan Winston risulta essere quello di una delle personalità più importanti del settore; si potrebbe dire che sia stato il maggior influencer per la creazione e l’oggettiva realizzazione di creature provenienti dalla fantasia dell’uomo.

Nato il 7 Aprile 1947 ad Arlington, in Virginia, in una famiglia della classe medio alta, Stan Winston dimostra subito degli interessi diversi rispetto ai suoi coetanei. Rimane affascinato dalle repliche ritrasmesse nei cinema de Il Mago di Oz e King Kong, è un fan dei lavori di Walt Disney, ma soprattutto rimane stregato dai classici horror degli anni Trenta e Quaranta. Lui stesso afferma: «But I especially loved the old horror movies, with their fantastic monsters. Boris Karloff’s

Figura 7 - Foto di Stan Winston con l'animatronic in scala reale del T-Rex. Foto tratta da: The Winston Effect. Jody Duncan.

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Frankenstein’s monster, Lon Chaney’s Wolf Man, Charles Laughton as the Hunchback of Notre Dame, Spancer Tracy as Dr. Jekyll and Mr. Hyde – I was obsessed with them all.». 96

Stan cresce in una famiglia in cui i valori del lavoro sono importanti e gli viene subito insegnato che se vuole qualcosa può averlo a patto di avere i soldi per poterselo permettere. I genitori lo indirizzano a percorre una via d’istruzione che lo porti ad avere un lavoro che gli permetta di poter vivere adeguatamente, per loro gli hobby del figlio e le capacità innate per i pupazzetti non erano un qualcosa che potesse diventare un lavoro in grado di mantenerlo. Il giovane Winston così si iscrive all’Università della Virginia, a Charlottesville, con l’intenzione di diventare dentista; eccelle nei corsi di modellamento dei denti, ma non sempre ha una valutazione sufficiente nelle discipline scientifiche, tanto che ad un certo punto decide di lasciare i corsi e di iscriversi alla classe di arte e spettacolo. In questo nuovo corso rimane affascinato dalle opere di Michelangelo e della maestria dell’artista nel ricreare dettagliatamente l’anatomia dei muscoli dell’uomo che donavano vita agli stessi personaggi. Stan Winston prova a seguire dei corsi per diventare attore, ma la visione de Il pianeta delle scimmie gli fa cambiare prospettiva: da attore a make-up artist, andando così a seguire il corso del make-up artist della Disney: Bob Schiffer.

Stan approda nel mondo cine-televisivo negli anni Settanta con il film tv thiller/horror Gargoyle a cui lavora prima come assistente al ritocco finale del make-up, poi come designer per i personaggi di contorno. Arriva poi ad occupare un ruolo di maggior rilievo in quanto viene incaricato di applicare il trucco all’attore sostituendo il collega a causa di tensioni fra il performer e il supervisore capo del reparto trucchi. L’artista si fa così notare nell’ambito cinematografico e continua ad esser chiamato per produzioni sia televisive che cinematografiche, per esempio per un Pinocchio per la televisione e per Il mago di Oz, un adattamento musical con la partecipazione di Diana Ross nel ruolo di Emily e Micheal Jackson nei panni dello Spaventapasseri. Il primo riconoscimento importante lo riceve nel 1982 con Heartbeeps che riceve la sua prima nomination agli Oscar per miglior trucco; il premio andrà però al suo collega, e rivale, Rick Baker per il lavoro svolto per Un lupo mannaro americano a Londra.

96 Jody Duncan, The Winston Effect. The Art and history of Stan Winston Studio. (Londra: Titan Books,

2006) p. 10 sgg.

Trad. «Ma amo specialmente i vecchi film horror, con i loro mostri. Il mostro di Frankenstein di Boris Karloff, l’Uomo Lupo di Lon Chaney, Charles Laughton nei panni del Gobbo di Notre Dame, Spencer Tracy nei panni di Dottr Jekyll e Mr. Hyde.»

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Dopo questa prima nomination Stan Winston diventa un nome di spicco nell’ambiente degli effetti speciali, tanto che nel 1981 aiuta Rob Bottin nella realizzazione del “cane-cosa” per La cosa di John Carpenter. È in questo periodo che l’artista della Virginia riscopre l’arte del puppeteering che sarà il punto chiave per la realizzazione del mostro. Nel 1983 realizza l’effetto della trasformazione d’invecchiamento per Qualcosa di sinistro sta per accadere. Per questo trucco, direttamente ripreso in macchina, Winston realizza quattro busti di Mr. Dark ognuno era scolpito in modo da avere un volto più emaciato ed invecchiato dell’altro. La scelta di creare diversi busti, invece di applicare delle protesi facciali, che simulassero l’avanzamento dell’età, era legata al fatto che in questo modo non si incontravano ostacoli fisici per creare un effetto invecchiamento più marcato, che non si sarebbe potuto realizzare applicando delle protesi sulla faccia dell’attore.

Proprio nel 1983 si presenta a Stan Winston e al suo studio l’occasione giusta, il lavoro che li porterà al successo. James Cameron cerca qualcuno che possa realizzare un mostro mai visto prima, un mostro dalle fattezze umane, ma risulta in realtà un robot assassino: Terminator. Come vedremo nel dettaglio, la sfida più impegnativa per il Winston Studio nella creazione di questo mostro è stata la realizzazione dell’endoscheletro del personaggio, che in questo caso specifico è anche la vera faccia della creatura. Per questo film vengono impiegate varie tecniche a seconda delle esigenze, infatti in questa pellicola c’è l’uso di stop- motion per muovere il puppet del terminator, l’uso del make-up sull’attore, la realizzazione di protesi e di busti in animatronics per permettere di ricreare sequenze altrimenti impossibili da filmare. Il film esce nel 1984 dopo un anno di lavoro e di riprese, ed ha avuto un enorme successo da parte del pubblico e della critica. Il film è stato anche il trampolino di lancio per Arnold Schwarzenegger, che diventerà l’icona di riferimento per i film action, e la pellicola sarà premiata con il premio Saturn per il trucco realizzato dal Winston Studio.

Dopo quest’opera inizia la collaborazione tra lo Studio di Winston e il regista Cameron, che sfocerà nella realizzazione degli effetti per Aliens – Scontro finale, lavoro che porta Winston a vincere il suo primo premio Oscar per gli effetti speciali. In questo sequel della saga di Alien, lo Studio si misura in una sfida ancora più ardua per la realizzazione della regina degli xenomorfi. Il regista voleva che la creatura aliena venisse fatta in maniera totalmente meccanica, lo Studio si adopera a costruire vari modelli per poter costruire al meglio il prodotto finale. La regina viene realizzata usando tecniche diverse per poter avere una migliore resa sul grande schermo, infatti il mostro non è solamente un animatronic, ma anche una sorta di costume. In totale erano necessarie ben 16 persone per animarla completamente;

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per esempio nella parte superiore del mostro stavano due persone che si occupavano di animare quattro braccia ognuna delle quali aveva un animatore per il controllo di ogni mano tramite radiocomando. La grande stazza della creatura aveva permesso di poterla suddividere in maniera tale che ogni arto, che doveva muoversi, avesse almeno un animatore che si occupasse solamente di quella specifica parte, riuscendo così ad ottenere, per ogni elemento, un movimento così pulito e preciso da risultare naturale. Ovviamente oltre a questa creatura, lo Studio si era occupato della realizzazione di tutti gli altri alieni senza modificare l’estetica

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