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Al cinema con il Mostro. Storia, tecniche ed analisi dei mostri del cinema.

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UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI CIVILTA’ E FORME DEL SAPERE

ANNO ACCADEMICO 2017/2018

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE

IN STORIA E FORME DELLE ARTI VISIVE,

DELLO SPETTACOLO E DEI NUOVI MEDIA

Classe LM-65: Scienze dello spettacolo e produzione

multimediale

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

Al cinema con il Mostro

Storia, tecniche ed analisi dei mostri del cinema

IL RELATORE IL CANDIDATO

Maurizio Ambrosini

Ludovico Antoni

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RINGRAZIAMENTI

Grazie al prof. Maurizio Ambrosini, il relatore di questa tesi, che si è offerto di seguirmi in questo mio percorso conclusivo universitario. Grazie alla mia famiglia per essermi stata sempre vicina

In particolare, grazie a Mamma e a Babbo che mi hanno avvicinato al cinema fin da piccolo. Grazie soprattutto a Carlotta, che mi riesce a capire e mi sostiene sempre, anche nei momenti più difficili.

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INTRODUZIONE

Nel corso del Ventunesimo secolo il cinema è diventato uno dei principali mezzi d’espressione per raccontare storie e così negli anni si sono sviluppati vari generi narrativi che identificano una pellicola dall’altra all’interno del vasto panorama filmico. I mostri che fin dall’inizio della settima arte hanno popolato i film assumono un significato diverso rispetto a quello che avevano negli spettacoli di mostri dell’epoca vittoriana, in cui si “mostrava il mostro” che si voleva nascondere. Il cinema dona forza e potere a questi esseri, li mette in risalto. Il trucco e gli effetti speciali sono gli strumenti che il cinema usa per esprimere appieno la “mostruosità” rendendola visibile, chiara ed evidente per tutti gli spettatori, cercando di creare un realismo “impossibile” nel tentativo arduo di realizzare un essere ideato dalla fantasia umana. I film di genere fantascientifico, il fantasy e soprattutto l’horror hanno spalancato le porte a creature indicibili o inimmaginabili, hanno spinto gli artisti a ripensare il corpo umano, a mostrare ogni genere di deformazione reale o immaginaria che fosse estremizzandola per poter colpire nel profondo l’animo e la sensibilità dello spettatore. Il truccatore, artista dello special make-up, diventa una figura chiave nel cinema, è a suo modo un “creatore” in grado di cambiare la fisionomia di qualsiasi attore trasformandolo in qualcun’altro o in qualcos’altro, ben lontano dall’aspetto originario. I mostri sono i figli diretti dell’uomo che attraverso i film hanno visto la luce e sono diventati icone, animando pellicole uniche che hanno avuto un successo enorme tra il pubblico o pellicole mediocri in un proliferare di generi e sottogeneri. Per questo motivo è opportuno ripercorrere la storia del cinema attraverso l’analisi di quelle pellicole che hanno creato delle icone, facendo nascere addirittura un nuovo genere di film.

Nel 1931 Frankenstein dà il via al genere horror ed al nuovo mondo degli effetti speciali prostetici. Negli anni Cinquanta la fantascienza letteraria influenza il cinema, La cosa da un altro mondo (1951) e L’invasione degli ultracorpi (1956) gettano lo spettatore in storie aliene, in un contesto di paura dell’Altro generato tra l’altro dalla Guerra Fredda. Nel 1960 Hitchcock dà il via al genere dell’horror-psicologico con Psyco, film in cui l’attenzione dello spettatore viene spostata dal mostro alla psicosi umana. Questo genere cinematografico ha avuto un grande sviluppo con pellicole dello stesso Hitchcock come Gli uccelli (1963) in cui la natura impazzisce, e di molti altri autori fino a film come ed Il silenzio degli innocenti (1991) di J. Demme. Il genere horror-zombi invece nasce nel 1968 per mano di George Romero, con La notte dei morti viventi che dà origine ad una saga incentrata su questo

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mostro. Con questo film il genere horror inizia a subire l’influenza dell’occulto: morti che tornano in vita, possessioni demoniache, reincarnazioni sono i temi principali di queste pellicole. Da Rosemary's Baby - Nastro rosso a New York (1968) di Roman Polański, a L'esorcista (1973) di William Friedkin (che crea un vero e proprio filone di film incentrati sull’esorcismo come il famoso e recente The Conjuring del 2013), fino a Carrie (1976) di Brian De Palma, molteplici sono gli esempi di opere legate al genere horror-occulto negli anni Settanta. Alla fine del decennio però escono due pellicole che hanno generato due nuovi tipi di horror: Halloween – la notte delle streghe (1978) di John Carpenter e Alien (1979) di Ridley Scott. Il primo dà il via al famoso genere slasher movie (ove un maniaco, talvolta dotato di poteri sovrannaturali dà la caccia a persone solitamente giovani). In questa categoria filmica rientrano pellicole come la saga di Non aprite quella porta (1974) di Tobe Hopper, Venerdì 13 (1980) di Sean S. Cunnigham, Nightmare - Dal profondo della notte (1984) di Wes Craven, Hellraiser (1987) di Clive Barker, La bambola assassina (1988) di Tom Holland, Candyman – Terrore dietro lo specchio (1992) di Bernard Rose e Scream (1996) di Wes Craven, che ha reso smisuratamente famoso il mostro protagonista facendolo diventare una delle icone del cinema horror.

Con Alien (1979) di Ridley Scott nasce invece l’horror-fantascientifico, dello stesso genere sono La cosa (1982) di Carpenter, La mosca (1986) di David Cronenberg, Predator (1987) di John McTiernan e Terminator (1984) di James Cameron.

Negli anni Ottanta e Novanta continua l’invasione dei mostri al cinema con pellicole ormai cult del genere horror. Alla fine degli anni Novanta e l’inizio del Duemila il panorama horror si amplia nuovamente con i film horror giapponesi definiti J-Horror (che vedranno remake delle proprie opere da parte di registi occidentali) ed con il ritorno, con uno stile più visivo e provocatorio, dell’influenza splatter-gore iniziata negli anni Settanta. Tra i film J-horror più famosi Ringu (1998) di Hideo Nakata da cui deriva The Ring (2002) diGore Verbinski, Ju-on: Rancore (2000) di Takashi Shimizu cui segue The Grudge (2004) diretto sempre da Shimizu e The call – Non rispondere (2003) di Takashi Miike.

Lo splatter-gore di moda negli anni Ottanta con pellicole del calibro di La Casa (1981), La Casa 2 (1987) di Sam Raimi e Scanner (1981) di David Cronemberg, ritorna all’inizio del Ventunesimo secolo con il nome di torture porn, nome che deriva dal commento critico di David Edelstein. Tra gli esempi più famosi sono da ricordare la saga di Saw (2004) diretta da James Wan e Hostel (2005) di Eli Roth.

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Negli stessi anni escono al cinema film girati in prima persona come The Blair Witch Project (1999 di Daniel Myrick ed Eduardo Sanchez, REC (2007) di Jaume Balagueró e Paco Plaza,

e Cloverfield (2008) di Matt Reeves e prodotto da J. J. Abrams, opere che danno origine al genere horror-falso documentario.

A partire da questa breve excursus storico tenterò di mostrare come il mostro abbia trovato il giusto spazio nel panorama cinematografico proprio con i generi horror e fantascientifico per le potenzialità che in tali generi il mostro-diverso ha avuto di “mostrarsi” e di evolvere nella sua totale complessità. Il mostro è sempre e comunque un essere che “disturba” sia quando è l’antagonista di un racconto di paura, sia quando è una creatura aliena o semplicemente diversa rispetto al contesto narrato e il mezzo cinematografico è il tramite perfetto per poter raccontare queste storie e per poterle capire.

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INDICE

CAPITOLO I - IL CONCETTO DI MOSTRO ... 7

1.1 – LA NASCITA DEL MOSTRO NELLA CULTURA DELL’UOMO ... 7

1.2 – IL MOSTRO NELLE CULTURE ... 11

1.2.1 – I MOSTRI OCCIDENTALI ... 15

1.2.2 – I MOSTRI ORIENTALI ... 24

1.3 – IL MOSTRO DISCRIMINATO: I FREAKS. ... 31

CAPITOLO 2 – IL MOSTRO AL CINEMA ... 37

2.1 – LA STORIA DEI FILM CON I MOSTRI... 37

2.2 – LE TECNICHE ED I MATERIALI PER I MOSTRI ... 44

Capitolo 3 – I MAESTRI DEI MOSTRI ... 50

3.1 – CARLO RAMBALDI ... 50 3.2 – STAN WINSTON ... 55 3.3 – RICK BAKER ... 59 CAPITOLO 4 – I MOSTRI ... 65 4.1 – TIPOLOGIE ... 65 4.2 – IL MOSTRO DI FRANKENSTEIN ... 68 4.3 – LA COSA ... 78 4.4 – E.T – L’EXTRATERRESTRE ... 85 4.5 – TERMINATOR ... 91 CONCLUSIONE ... 100 BIBLIOGRAFIA ... 103 FILMOGRAFIA ... 105 SITOGRAFIA ... 112

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CAPITOLO I - IL CONCETTO DI MOSTRO

1.1 – LA NASCITA DEL MOSTRO NELLA CULTURA DELL’UOMO

Móstro: Figura mitologica che si presenta con caratteristiche estranee al consueto ordine naturale, in quanto per lo più formata di membra e di parti eterogenee, appartenenti a generi e specie differenti, con aspetto deforme e dimensioni anormali sì da indurre stupore e paura.

Enciclopedia Treccani

L’enciclopedia Treccani definisce “mostro” una figura mitologica che presenta una o più differenze “straordinarie” che lo distinguono dagli altri esseri viventi considerati nella “norma”. Il termine deriva dal latino monstrum che significa “portento”, “prodigio”, cosa straordinaria o incredibile; il sostantivo ha la sua radice nel verbo moneo: avvertire, ammonire o mostrare. La traduzione di moneo come avvertire rimanda a un’idea superstiziosa degli antichi che usava questo verbo per indicare un “segno" degli dei, un fenomeno contro natura, un essere a metà tra l’umano e il bestiale.

Fin dall’antichità ci sono state nascite di creature fuori dall’ordinario che hanno suscitato nell’uomo senso di stupore e paura; queste nascite di esseri mostruosi, che da un punto di vista medico altro non erano che bambini che presentavano deformazioni, venivano interpretate come espressione della volontà divina e assumevano così un valore di prodigio o di sventura per il regno, o per la casa, in cui era avvenuta tale nascita “straordinaria”. Questi eventi ed altri fenomeni inspiegabili sono le fondamenta per varie leggende e storie che si sono tramandate nei popoli di ogni cultura fin dall’antichità e che si sono diffuse ovunque, nelle varie comunità civilizzate, creando un fenomeno mondiale che ha come base comune il mostro, visto come essere straordinario che presenta delle diversità evidenti da tutto ciò che viene considerato normale nel mondo naturale e umano. Ovviamente non tutti i mostri che possiamo incontrare nelle varie tradizioni (tramandate oralmente o scritte) ha un suo rimando veritiero. Molte leggende sono semplicemente nate dall’immaginazione dell’uomo che ha cercato una spiegazione “logica” per un “diverso” che lo spaventava o che non riusciva a comprendere come naturale, creandosi così una creatura “su misura” che attraverso un nesso causale trovava nel mostro il proprio áition, la propria causa originaria. Per questo motivo possiamo dire che i mostri sono nati assieme all’uomo, il concetto di

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mostro è parte integrante della natura umana come risposta immediata verso un qualcosa che spaventa, che sia vero e naturale o che non esista non è importante, che concretizza la paura in un essere.

Il concetto di mostro dunque si coniuga con un’accezione negativa che, come abbiamo visto, trova il suo perché nella paura della diversità, nonostante questo ci sono dei casi in cui il mostro assume una valenza positiva in quanto essere insolito, meraviglioso, portatore di buon auspicio. Il primo esempio dell’identificazione del mostro come prodigio lo troviamo descritto da Virgilio nell’episodio di Polidoro nell’Eneide: il ramo di un cespuglio da cui sgorga sangue viene definito come “prodigioso” con il termine monstrum:

1 Virgilio, Eneide, trad.it. di M. Giammarco (Milano Bompiani, 1990) libro III, pp. 38-51. C’era vicino per caso un rialzo e su d’esso virgulti

di corniolo ed un mirto irsuto di folte bacchette.

M’avvicinai e, tentando di svellere un verde cespuglio

da terra per coprire l’altare di rami frondosi,

un orrendo prodigio m’apparve, mirabile a dirsi.

Ché dal primo arboscello che con le radici spezzate

strappo dal suolo stillano gocce di sangue nerastro

e la terra si macchia di sante. Un orrore agghiacciante

mi scuote le membra e il sangue s’arresta gelato al terrore.1

Forte fuit iuxta tumulus, quo cornea summo

virgulta et densis hastilibus horrida myrtus.

Accessi viridemque ab humo convellere silvam

conatus, ramis tegerem ut frondentibus aras,

horrendum et dictu video mirabile monstrum.

Nam quae prima solo ruptis radicibus arbos

vellitur, huic atro liquuntur sanguine guttae

et terram tabo maculant. mihi frigidus horror

membra quatit gelidusque coit formidine

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Il termine mostrum, come si può vedere, è associato ad una reazione umana particolare: “mirabile a dirsi”, in cui l’osservatore di questo fenomeno, “orrendo prodigio”, riconosce in esso una natura prodigiosa che rende stupenda una cosa orribile da vedere.

Esempi anteriori all’Eneide, di uso del termine monstrum con una valenza prodigiosa (ma come vox media, che può avere sia un’accezione positiva sia negativa) li troviamo inscritti, con caratteri cuneiformi, su alcune tavolette d’argilla risalenti al VII secolo avanti Cristo. Su questi frammenti si possono leggere le testimonianze della nascita di esseri mostruosi congiuntamente ai significati divinatori ad essi attribuiti secondo lo studio e le credenze astrologiche dell’epoca. Nel saggio storico I veri mostri – Storia e tradizione di C.J.S. Thompson ci sono riportate le traduzioni dei reperti babilonesi fatte Oppert, Lenormant e R. Campbell Thompson; Lenormant afferma: «I presagi che i babilonesi affermavano di trarre dalle nascite mostruose, tra gli uomini e gli animali, sono tali da poter costituire una classe a sé stante»2. Questa sua tesi la possiamo vedere testimoniata in alcuni dei frammenti tradotti

dagli studiosi riportati nell’opera di Thompson che ho scelto come esempi:

«Quando una donna partorisce un bambino; - che ha le orecchie di un leone: ci sarà un re potente nel paese»

«Che ha due orecchie a destra e nessun orecchio a sinistra; gli dei concederanno un regno stabile, il paese prospererà e sarà luogo di pace»

«Che ha un becco da uccello; il paese sarà pacifico»3

Come possiamo intuire da queste brevi sentenze, alcune particolari deformità assumevano un presagio positivo, ma dall’altra parte molti frammenti descrivono deformità assumevano un presagio negativo, che potevano avere consegue nefaste non solo per il padrone di casa del neonato, ma addirittura per il regno stesso.

Se la nascita dei mostri è strettamente legata alla vita umana che incontra un qualcosa che va al di fuori delle regole umane e naturali, il concetto stesso di mostro non cambia, il mostro viene visto sempre come un qualcosa contro natura che spaventa e stupisce poiché l’uomo comune non è in grado di classificarlo come essere naturale. A questo proposito interessanti

2 C. J. S. Thompson, I veri mostri. Storia e tradizione (Milano: Arnoldo Mondadori Editore, 2001) p.26. 3 ibidem

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sono le “testimonianze” scritte derivanti dai primi viaggi verso nuove terre, i viaggiatori parlano di esseri straordinari, raccontano di uomini senza testa, ma con occhi nel petto, come recita J. Bulwer riferendosi a un testo si Sant’Agostino: «Sant’Agostino ricorda questa popolazione e, sebbene egli non ritenga necessario credere ai racconti tramandati su tali uomini, sembra riconoscere che non sono inverosimili. Anzi, afferma di averli visti di persona con queste parole “Ero allora vescovo di Ippona e con alcuni servi di Cristo mi recai in Etiopia per predicare il Vangelo di Cristo fra loro e vedemmo molti uomini e donne senza testa con grossi occhi nel petto, le altre membra come le nostre”».4 Una spiegazione

probabile per la testimonianza di sant’Agostino la fornisce C.J.S. Thompson nell’opera sopracitata teorizzando che le persone viste dal santo fossero appartenenti di una tribù nomade del Nilo che aveva usanza di farsi crescere capelli folti e spessi che arrivavano a coprire la faccia e che usava come decorazione del corpo forme e colori che potevano ricordare occhi e lineamenti umani ad un viaggiatore non avvezzo a queste tribù.5

La citazione di Sant’Agostino conduce necessariamente ad altre considerazioni sul ruolo che le religioni hanno avuto nello sviluppo dello stesso concetto di mostro.6 Ogni religione del

mondo fonda una propria morale, un proprio credo in cui la divisione dei buoni comportamenti da quelli cattivi ha un riscontro nelle ricompense spirituali. Questa concezione religiosa è riconducibile al grande concetto della divisione del Bene dal Male. Infatti, nelle varie religioni possiamo dire che il male sia il padre dei mostri; i mostri sono visti come l’incarnazione dei peccati o addirittura la manifestazione del Male stesso. Ogni religione sulla terra ha un’incarnazione simbolica a cui si riconduce il concetto stesso del maligno, ma possiamo dire che le figure mostruose del diavolo e del demone siano il grado massimo per la rappresentazione del concetto del Male. La figura del diavolo nelle varie religioni, ma soprattutto nella religione cristiana, è la rappresentazione materiale e spirituale che si contrappone direttamente a Dio. Nella religione cristiana il diavolo si raffigura sotto il nome Satana o Lucifero, l’angelo caduto che ha provato a opporsi a Dio e che per questo viene esiliato nell’inferno. L’aspetto del diavolo è mostruoso, ha corna e una fisionomia

4 J. Bulwer, Artificial changeling, (Londra 1650) in C. J. S. Thompson, I veri mostri. p. 32. 5 ibidem

6 Affrontare il tema delle religioni in questo lavoro, facendo una differenziazione mirata ad ogni religione, comporterebbe un’analisi lunga e complicata, degna di essere un soggetto unico per una ricerca di tesi. La scelta di affrontarla in questo primo paragrafo è determinata dal non voler non andare incontro a ripetizioni e dalla volontà di dare dei limiti oltre i quali si corre il rischio di non essere competenti e di recar danno involontario a persone che professano queste religioni.

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caprina. Infatti, con l’avvento della religione cristiana nel Mediterraneo, venne scelta la figura del satiro come personificazione del diavolo in quanto questa creatura sta a a metà fra uomo e bestia. Questa scelta ha fatto sì che il diavolo fisicamente avesse, da quel momento, due attributi essenziali: le corna e gli zoccoli. Secondo la religione cristiana poiché Satana è la personificazione stessa del Male, da lui derivano tutti i mali e tutti i peccati del mondo, ciò comporta che anche i mostri sono una sua estensione, in quanto erano esseri contro natura, non creati secondo il piano divino. I demoni, come i diavoli, sono nelle altre religioni le rappresentazioni spirituali del male e i mostri ne sono l’espressione fisica.

A questo proposito è interessante soffermarsi su uno dei libri che più hanno influenzato il panorama culturale in materia di mostri fin dal Medioevo, il Liber monstrorum de diversis generibus. È uno dei più famosi bestiari che ci sono pervenuti; l’opera, scritta in latino, risale al secolo VIII dopo Cristo. Si tratta di una raccolta di tutte le testimonianze di deformità umane e animali che spesso venivano indicate come mostruosità. Il libro è una vera e propria collezione di mostri, esseri che suscitavano la curiosità dei lettori che si lasciavano intrigare ed affascinare dal racconto di orribili creature provenienti da ogni angolo del mondo. Il libro ovviamente assume un valore importante in quanto è una prima raccolta di credenze di viaggiatori, “studiosi” che presentano una sorta di catalogo teratologico unico nel suo genere.

Senza alcun dubbio dunque la principale fonte di mostri è l’immaginazione dell’uomo che cerca risposte per ciò che non conosce e che così crea mostri su misura, esseri che possano rispondere a “vuoti” di conoscenza. Ma anche se l’immaginazione umana ha partorito mostri incredibili, i casi di nascite di neonati che presentavano delle anomalie fisiche hanno favorito la creazione di storie incredibili che si sono tramandate nel corso degli anni creando credenze diverse a seconda della cultura d’appartenenza.

1.2 – IL MOSTRO NELLE CULTURE

L’umanità è composta da moltissimi popoli che nel corso degli anni hanno creato una propria cultura, definita come un insieme di conoscenze, comportamenti e credenze che sono condivise dal popolo intero e che vengono tramandate da una generazione all’altra. Da un punto di vista culturale tramandare le credenze ha fatto sì che i mostri antichi siano giunti fino a noi nonostante il passare dei secoli. In tutto il mondo sono presenti un gran numero di culture ognuna delle quali presenta dei mostri specifici, legati solamente a quella cultura, mentre altri sono comuni a più culture. Da un punto di vista organizzativo mi sento di dire

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che possiamo individuare nel mondo due macro-categorie che si differenziano per la natura dei propri mostri: mostri della cultura occidentale e i mostri della cultura orientale.

Ben sappiamo che fra Oriente e Occidente c’è una grande diversità anche solo nello stile di vita e questa la possiamo notare anche sul livello dei mostri, in quanto nonostante entrambe le categorie possano presentare ad una prima analisi dei mostri uguali, in verità ci sono ben più differenze che vanno a confermare questa tesi. La creatura mostruosa che più facilmente ci può aiutare questa spiegazione è il drago. Il drago è una creatura fantastica presente in entrambe le macro-categorie, ma se analizziamo l’interpretazione del drago nelle due culture, sia per design che per le origini, noteremo una netta differenza. In Occidente il termine drago deriva dal drakon/dracus, che presso gli antichi Greci e Romani indica tutti quei serpenti grossi ed innocui che potevano essere tenuti in casa come una specie di animale domestico. Nella letteratura greca abbiamo una prima menzione di draghi in Omero che li descrive come serpenti con ali e zampe che possiedono la forza del leone, l’agilità dell’aquila e dotati vista acuta.7 Apollonio Rodio nelle Argonautiche colloca un drago a difesa del vello

d’oro8 ed anche nella favola di Fedro La volpe e il drago, questo animale mitologico era a

difesa di un tesoro.9 Nel Nuovo Testamento, invece, nel libro dell’Apocalisse, San Giovanni,

in una delle sue visioni, descrive un drago rosso con sette e dieci corna che simboleggia il diavolo.

L’origine del drago è riscontrabile in natura, infatti alcune famiglie di sauri vengono chiamati draghi come per esempio il drago di Komodo, il drago barbuto e il drago volante, detto draco. Questi rettili possiedono le caratteristiche fisiche che si possono riscontrare nei draghi delle varie tradizioni occidentali che, sebbene abbiano delle differenze l’uno dall’altro, si accomunano per alcune caratteristiche ricorrenti. Il drago, nell’attuale immaginario collettivo, si presenta sotto l’archetipo di più conosciuto di “drago

7 Omero, Iliade, a cura di R. Calzecchi Onesti (Torino: Giulio Einaudi editore, 2014). libro XI p. 363 vv 39-40; libro XII p.217 vv. 202-203, p 219 vv. 208, 220-221.

Nei libri XI e XII vengono menzionate varie volte queste creature mostruose; nello specifico nel libro XI il drago di cui si parla è rappresentato su uno scudo come un serpente a tre teste, mentre nel libro XII il drago è una serpe maculata che sfugge alla presa dell’aquila che lo stava trasportando e che, cadendo sul campo di battaglia, è interpretato da Polidamante ed Ettore come segno divino.

8 Apollonio Rodio, Le Argonautiche, a cura di Alberto Borgogno (Milano: Arnoldo Mondadori Editore, 2009). Libro IV p. 235 vv. 127-128.

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occidentale”: un essere mostruoso a quattro zampe con un corpo che ricorda una salamandra ricoperto di scaglie, che presenta delle grandi ali membranose e due corni sulla testa. Questo drago è descritto come un essere saggio ed avido che può sputare fuoco10. Il drago giunge

così a noi come una creatura mostruosa ed intelligente, posta spesso a difesa di un qualche tesoro; come Fafnir, il drago tedesco a guardia dell’anello dei Nibelunghi11 o come possiamo

vedere in ambito artistico nell’opera del 1456 di Paolo Uccello “San Giorgio e il drago” (conservata nella National Gallery di Londra) in cui abbiamo la raffigurazione della sconfitta per mano di San Giorgio della creatura che aveva rapito la principessa. C’è da notare che in quest’opera il drago è raffigurato con due sole zampe, nonostante l’autore avesse già rappresentato questa vicenda in un’altra opera (oggi alla National Gallery of Victoria di Melbourne) in cui il drago presenta quattro zampe. Come possiamo vedere la cultura occidentale dà al drago una connotazione legata al piano materiale, dando una spiegazione naturale del mostro come una semplice creatura mostruosa molto saggia che ha il corpo che assomiglia, come abbiamo detto, a una salamandra; solamente nella visione di San Giovanni il drago assume il valore simbolico di diavolo, ed è legato quindi alla sfera religiosa, tanto che la fisionomia del drago è strettamente connessa al serpente del primo peccato, fatto che rende ancora più concreto il valore diabolico e mostruoso dell’essere.

10La scelta di usare questo archetipo è dovuta al fatto che nel panorama fantasy, sia letterario che cinematografico che ludico, il drago viene coì rappresentato lasciando i vari altri draghi presenti nelle varie culture come una sorta di sottogenere, sono creature che assomigliano al drago occidentale preso come archetipo, ma che si differenziano da quest’ultimo a livello di design come per esempio le viverne (spesso confuse con i draghi) che hanno solamente due zampe posteriori, mentre le anteriori su cui si poggia sono direttamente attaccate alle ali o come i draghi marini che non hanno zampe ed ali.

11Il drago Fafnir è soggetto a confusione: il termine usato è lindwurm, ovvero serpente drago, infatti il termine wurm riconduce alla razza dei serpenti giganti leggendari.

Figura 1- San Giorgio e il drago, Paolo Uccello, cm. 57 x 73, National Gallery di Londra.

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Nella cultura orientale il drago assume un ruolo completamente differente, infatti in tutte le culture orientali il drago appartiene alla sfera spirituale come un saggio essere ultraterreno. Il drago in oriente, come possiamo vedere dalle varie fonti grafiche che sono giunte fino a noi, si presenta sotto forma di un essere dal corpo serpentiforme, quattro zampe con artigli, baffi filiformi, una testa dall’aspetto di un coccodrillo con delle corna ed infine una criniera che percorre tutta la schiena della creatura. L’aspetto serpentiforme, che già molto si discosta dalla fisionomia dell’archetipo preso in considerazione della controparte occidentale, si ripete in ogni raffigurazione della creatura, per ogni cultura asiatica, cosa che invece non accade nella cultura occidentale, in cui, come abbiamo già visto, ogni cultura riconosceva sotto il nome di Drago una creatura che non sempre era conforme, dal punto di vista, fisico al drago di un’altra cultura. L’unica eccezione fisica che possiamo trovare nella cultura orientale è il drago chiamato Naga, appartenente alla cultura indù, che a livello fisico si discosta solamente per il suo aspetto che rassomiglia ad un cobra.

Il drago orientale inoltre si differenzia dalla sua controparte occidentale per il suo significato. Nella cultura orientale questa creatura occupa uno spazio di rilievo poiché viene considerato l’incarnazione del concetto spirituale dello Yang, il Bene, o spirito fecondo associato all’acqua fonte di vita.12 Questo essere mitologico è una creatura saggia e benevola, molto

distante dalla concezione mostruosa del drago occidentale. Nella cultura cinese il drago inoltre, era associato alla figura dell’imperatore; c’è un mito che racconta di come un drago, visto come ambasciatore dei cieli e rappresentazione divina in terra, sia stato un aiuto importante per Yu il Grande (il fondatore della dinastia Xia ca. 2070 a.C.) per risanare il regno dalle piogge che lo stavano devastando;13 il legame fra questo essere mitologico e gli

imperatori è sempre stato molto stretto, il simbolo del dragone viene preso come emblema dai regnanti dalla dinastia Qing, e diviene quindi simbolo del potere imperiale e della Cina stessa, tanto che i cinesi si considerano “Discendenti del Drago”. Ciò anche grazie alla leggenda di Yandi, che era considerato un ibrido di uomo e drago, e Huang Di, che ascese

12 Mark Cartwright, “The Dragon in Ancient China”, 29 Settembre, 2017, https://www.ancient.eu/article/1125/the-dragon-in-ancient-china/. 13 Ibidem

Nel precedente regno dell’imperatore Yao la Cina era stata colpita da anni di piogge eccessive che avevano provocato molte morti e ingenti danni all’agricoltura stessa. Yu, dopo il fallimento nell’impresa del padre nel controllare le acque, trovò il modo di dragare le acque nei campi andando a lavorare nei campi con gli stessi contadini. Yu passò alla storia come Il Grande Yu che controllò il Diluvio e venne indicato dallo stesso imperatore Shun come suo successore e così Yu divenne il primo Imperatore della dinastia Xia.

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al cielo sotto forma di drago. Il drago in Oriente viene così considerato come una creatura strettamente legata alla dimensione spirituale e solitamente questi esseri vengono considerati come esseri benevoli e portatori di vita.

Questo esempio pratico mi ha permesso di comprendere come le due macro-categorie conducano e due diverse concezioni dei mostri, così è possibile affermare generalmente che nella cultura occidentale i mostri sono relegati sul piano materiale (ovviamente vi sono degli esempi in cui la religione e/o l’aspetto spirituale relegano i mostri nella sfera spirituale), mentre nella cultura orientale i mostri sono legati soprattutto alla sfera spirituale e da essa si manifestano sulla terra.

1.2.1 – I MOSTRI OCCIDENTALI

In questo paragrafo vedremo come nel mondo occidentale, e nelle varie culture di ogni popolo di questa regione, sia possibile trovare un numero altissimo di mostri, una presenza che si è tramandata di generazione in generazione alimentando le credenze con storie e testimonianze di esseri mostruosi che sfuggivano alle normali leggi della natura. Come ho affermato poco sopra il legame con l’ambiente materiale naturale nella cultura occidentale è forte per la creazione dei mostri. L’ambiente naturale, così avverso per l’uomo e ricco di pericoli, è la principale fonte d’informazione a cui attingere per la comprensione dei mostri occidentali. Fino dai tempi più antichi l’uomo popolava la natura di essere mostruosi per circoscrivere zone di pericolo a cui non avvicinarsi; a questa difesa mentale verso tutti i vari luoghi inesplorati o sconosciuti, i versi degli animali (o gli strani rumori provenienti da questi ambienti) alimentavano le credenze sui mostri che abitavano questi posti. Adesso è interessante prendere in esame alcuni mostri provenienti da varie mitologie, più specificatamente dalla mitologia classica, identificata strettamente con la mitologia greca e romana (dati i vari punti in comune), dalla mitologia norrena e da quella dei nativi americani. La scelta di queste particolari mitologie occidentali è dettata soprattutto dal fatto che fra i mostri che popolano queste ‘mondi’ ci sono creature che si sono tramandate nei secoli e che sono diventate famose al tal punto che nessuno può affermare di non averli sentiti nominare almeno una volta. Oltre ciò, questa scelta vuol testimoniare anche come, nonostante la distanza geografica delle culture che hanno originato le varie mitologie, tutte quante sono accomunate dal fatto che i mostri di queste culture hanno valore materiale terreno e non spirituale (che vedremo esser il punto in comune per i mostri orientali).

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Nella letteratura dell’antica Grecia esseri fantastici, e talvolta mostruosi, erano i personaggi che testimoniavano il legame fra l’essere divino e l’essere materiale, un punto d’incontro naturale del divino in terra. Uno dei mostri che vengono in mente a molti pensando alla mitologia classica, è sicuramente il Minotauro, la creatura mostruosa che abita nel labirinto di Cnosso che viene raccontata da Apollodoro nella Biblioteca. Il Minotauro è il mostro nato dal rapporto fra il Toro di Creta e la regina Pasifae; questo mostro ha il corpo umanoide e bipede, ma ha gli zoccoli al posto dei piedi; il corpo presenta una pelliccia bovina e una coda, mentre la testa è di un toro. L’origine del temine è dato dall’unione di due termini greci ovvero minos, il prefisso che significa re, e taurus ovvero toro. Questo mostro greco è, secondo il mito stesso, frutto della vendetta del dio del mare Poseidone. Il mito narra che il re Minosse, che non era ben apprezzato dal suo popolo, cercò un aiuto divino rivolgendo le preghiere al dio del mare Poseidone, chiedendo che gli inviasse un dono così da poter tornare ad essere apprezzato dal popolo stesso essendo oggetto di attenzioni divine. Poseidone inviò un esemplare di toro bianco come simbolo di apprezzamento che avrebbe dovuto essere sacrificato in onore del dio stesso. Minosse, data la bellezza della bestia, si rifiutò di sacrificare il dono divino e scelse di sacrificare un altro toro di sua scelta. Poseidone, sentitosi offeso dal gesto del re di Creta, decise di far innamorare la regina Pasifae del toro bianco, con il quale riuscirà a soddisfare il suo piacere carnale, dando poi alla luce l’essere mostruoso. Il mito continua con la scelta del re di Creta di rinchiudere il mostro nel Labirinto di Cnosso a causa della sua natura feroce e violenta. La ferocia del mostro divenne inoltre, la “giusta” punizione per gli ateniesi che avevano ucciso il figlio di Minosse. Secondo un altro mito il principe di Creta era riuscito ad emergere vittorioso sugli ateniesi in diversi giochi e per questo ucciso. Minosse decise allora che la città di Atene (che a quel tempo sottostava a Creta) doveva pagare un pegno per l’offesa inflitta ed ogni anno doveva inviare a Creta sette giovani sia maschi che femmine da dare in pasto al mostro del labirinto.14

Questo mito ci presenta l’origine di un mostro che racchiude nella sua fisionomia la fusione di un essere umano e una bestia, un mostro nato dall’ira divina e poi usato come strumento di terrore e vendetta personale del re sulla terra. Il Minotauro è un essere che assume il ruolo di portatore di terrore, è un mostro che sembra un uomo, la cui vera natura risiede nella bestialità dell’animale, proprio per questo motivo Dante mette questo mostro come

14 Apollodoro, Biblioteca, a cura di Giulio Guidorizzi (Milano: Adelphi Edizioni, 1995), Libro III pp.83,124,130.

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guardiano del girone dei violenti nell’Inferno.15 Il Minotauro è il simbolo della parte più

bestiale ed istintiva dell’uomo, quella che accomuna gli uomini agli animali. Il mito greco crea un mostro come simbolo della bestialità insita nell’uomo, ma lo nasconde dentro il labirinto, simbolo dell’ingegno dell’uomo.

Altro esempio di mostri che popolavano i miti classici è dato dai centauri: i famosi esseri ibridi metà uomo metà cavallo. L’origine mitica di queste creature si trova nell’amore fra Issione, re dei Lapiti, e Nefele, dea nata per mano di Zeus da una nuvola, e considerata sosia della dea Era; dall’unione di Issione e Nefele nacque Centauro, essere deforme, che accoppiatosi con le giumente del monte Pelio originò la razza ibrida che popola vari altri miti.16 I centauri sono protagonisti di un mito molto diffuso: la cosiddetta

“Centauromachia”, la battaglia fra i Lapiti e i centauri durante le nozze di Piritoo. I centauri non avvezzi a bere vino si ubriacarono e cercarono di violentare le donne e i fanciulli presenti al banchetto.La battaglia segnò la sconfitta, e la cacciata, di queste creature dalla Tessaglia.17

Oltre a questo episodio nell’opera di Apollodoro viene raccontato come alcuni centauri divennero gli antagonisti di Eracle sempre per colpa del vino. L’eroe greco, mentre si stava dirigendo verso Erimanto per affrontare il cinghiale della quarta fatica, viene ospitato da Folo, un centauro che lo accoglie nella sua dimora per trascorrere la notte. Durante la cena Eracle vuole del vino, ma Folo sconsiglia di aprire la giara per paura che possa attirare gli altri centauri. Non ascoltando il padrone di casa, Eracle apre la giara e i centauri accorrono alla casa di Folo attirati dall’odore del vino iniziando così una disputa con l’eroe che è costretto a ritirarsi. L’eroe fugge inseguito dai centauri che alla fine lo accerchiano. Durante questo accerchiamento Eracle scaglia una freccia che, dopo aver trapassato il braccio del centauro Elato, si conficca nel ginocchio di Chirone causandogli dolori lancinanti, che nonostante le cure prestate dall’eroe, lo porterà alla morte.18

Dal punto di vista dell’origine del mito, il primo reperto archeologico con tali creature lo si individua nei resti della “tomba dell’eroe” di Lefkandi. Qui troviamo i centauri riprodotti

15 Dante, Divina commedia, a cura di Alessandro Marchi (Torino: Paravia Bruno Mondadori Editori, 2005). Canto XII p. 139.

16 Apollodoro, Biblioteca, op. cit. Epitome pp. 132-133. 17 Ibidem

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numerose volte su delle terrecotte risalenti al periodo geometrico, oggi esposte al Metropolitan Museum of Art19. Da un punto di vista scientifico possiamo supporre che il

mito del centauro sia nato nel periodo in cui i greci iniziarono ad addomesticare i cavalli (avvenuta in epoca tarda).20 Possiamo inoltre supporre che queste creature mostruose siano

nate dallo scontro violento che le popolazioni greche hanno avuto con i popoli a cavallo dall’Asia minore che per primi terrorizzarono con la loro furia i popoli mediterranei.21

Quest’ultima ipotesi darebbe senso anche alla natura violenta di questi mostri che agivano spinti da istinti animali. Il centauro, proprio come il Minotauro, è un tipo di creatura mostruosa che sebbene abbia origine da un atto divino, vive sulla terra seminando paura e terrore con i propri atti bestiali.

Un ultimo esempio legato alla mitologia classica, e ben più noto dei precedenti, è sicuramente Polifemo, il ciclope causa del peregrinare per mare di Ulisse. Omero ci presenta Polifemo così:

«Qui un uomo aveva tana, un mostro, che greggi pasceva, solo, in disparte, e con gli altri non si mischiava, ma solo viveva, aveva animo ingiusto. Era un mostro gigante; e non somigliava

a un uomo mangiator di pane, ma a picco selvoso d'eccelsi monti, che appare isolato dagli altri.»22

Un essere gigantesco che non assomigliava ad un uomo, un essere cattivo, ma nella presentazione Omero non cita la sua particolarità di avere solamente un occhio in fronte. Questa dimenticanza del poeta greco può essere derivata dal fatto che per i greci l’origine di

19 R. W. V. Catling and I. S. Lemos, Lefkandi II. The Protogeometric Building at Toumba: Part I. The Pottery, in BSA Suppl., nº 22 Oxford, British School at Athens, 1990.

20 Anthony, David W. The Horse, the Wheel, and Language: How Bronze-Age Riders from the Eurasian Steppes Shaped the Modern World (Princeton: Princeton University Press, 2010).

21 Jean-Pierre Vernant, Le origini sul pensiero greco (Milano: Feltrinelli editore, 2018) Cap. I. 22 Omero, Odissea, libro IX, vv. 187-192. Traduzione di Rosa Calzecchi Onesti

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questa tribù di giganti con un solo occhio risale a tempi più antichi, e quindi non serviva specificare che i ciclopi fossero monoculari. Di queste particolari creature anche Plinio il vecchio afferma di conoscerne l’esistenza; secondo la tradizione da lui riferita, essi abitavano in Scizia, Etiopia e nella penisola indiana e venivano anche chiamati Arimaspi.23

Questi mostri giganti hanno due fonti mitiche: nella Teogonia, il poema religioso di Esiodo, l’autore cita tre ciclopi civilizzati, aiutanti degli dei olimpici: Bronte, Sterope ed Arge che vengono descritti come abili artigiani che forgiavano i fulmini di Zeus24; nell’Odissea, come

abbiamo visto con Polifemo, i giganti non sono più considerati come figli di Urano e Gea, come i titani, ma sono figli del dio Poseidone, e relegati a giganti mostruosi che vivono di pastorizia con indole cattiva e violenta. Se da un punto di vista mitico l’origine di questi giganti ci appare una operazione puramente di fantasia, c’è però da dire che nel corso dei secoli vi sono stati dei casi (per esempio attestati intorno alla fine del XIX secolo) di bambini nati con un occhio solo. Il fatto che ci siano delle testimonianze scritte di questo tipo di malformazione ci può indurre a pensare che all’origine di questi mostri mitologici ci sia un’influenza del mondo reale.

Spostandosi geograficamente nel nord Europa vediamo come anche nella mitologia norrena i mostri abbiano uno stretto contatto con il mondo naturale. La mitologia norrena che ha origine nei paesi del nord Europa è giunta nell’Europa centromeridionale grazie alle invasioni dei popoli del nord o vichinghi che si tramandavano oralmente le credenze originarie. Uno dei fatti più interessanti della mitologia norrena è che i mostri più noti presenti in questa mitologia sono diventati comuni, e definibili come razze classiche, del panorama letterario fantasy: i troll, gli orchi, le fate, i nani e gli gnomi sono tutti originari della mitologia norrena.

I troll sono delle creature mostruose che possono essere sia buone che malvagie. I troll malvagi, secondo la tradizione norrena, discendono direttamente dall’antica razza dei giganti chiamati Jotun, che erano i diretti antagonisti degli dei nordici25. La discendenza dei troll dai

giganti del ghiaccio e della pietra spiega il comportamento malvagio dei mostri presi in

23 Plinio il Vecchio, Historia Naturalis, in C. J. S. Thompson, I veri mostri, op. cit, p.19.

24 Nell’apparato critico della Biblioteca di Apollodoro a cura di Giulio Guidorizzi p.172.Troviamo il riferimento della storia dei ciclopi riportato in Esiodo, Teogonia.

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esame; i Jotun, come possiamo leggere in Norse Mythology, legend of god and heroes di Peter Andreas Munch, erano giganti malvagi e mangiatori di carne umana, simbolo del caos primordiale e della natura selvaggia e distruttiva.26 La mitologia norrena descrive i troll come

esseri enormi, con un’altezza che varia dai due ai tre metri e mezzo, con una corporatura tozza e irsuta, la pelle marrone o nera scagliosa e poco pelosa, una coda pelosa e un grosso naso sul volto. La natura malvagia dei troll li ha resi famosi come esseri spietati; le storie raccontano che queste creature vivono per mangiare carne appartenente ad altre razze e per uccidere e torturare. Spesso questi mostri sono custodi di tesori luccicanti poiché essi stessi sono attratti da tutto ciò luccica. La mitologia norrena li indica anche come ladri di bambini e bestiame; a loro viene data la colpa delle nascite di figli deformi in quanto si riteneva che scambiassero i bambini rapendoli nel sonno lasciando al loro posto un Changeling o un cucciolo di troll stesso. La credenza vuole che questi esseri mostruosi si muovano solamente di notte o in folte foreste in cui la luce del sole non penetra perché per loro sarebbe nocivo esporsi ai raggi solari che li trasformerebbero in statue di pietra.

Per quanto riguarda i troll benevoli, la mitologia li descrive come esseri umanoidi di grandezza variabile, ma assai più minuti rispetto alla controparte malvagia. Anche questi troll devono evitare la luce solare che li trasformerebbe in pietra, ma a differenza degli altri essi non nutrono odio verso gli uomini, ma solamente verso le capre. Questi mostri buoni sono diventati una delle principali razze che popolano le fiabe nordiche grazie al fatto che solamente i bambini riescono a vederli.

Munch nel suo studio sul folclore nordico sostiene che le due specie di troll hanno origine direttamente dalla terra, infatti la discendenza dai Jotun li colloca come esseri primordiali, quelli che per primi hanno camminato sulla terra, i diretti discendenti del gigante Ymir, il gigante nato dal caos primordiale che dette origine alla razza dei giganti.27 In Norvegia anche

la toponomastica è stata influenzata dalla mitologia, molti siti prendono i propri nomi dagli ambienti e dalle creature che popolano i miti: come il parco nazionale Jotunheimen, termine che deriva direttamente da Jotunheimr, la terra mitica popolata dai giganti di ghiaccio e pietra. Il nome riflette paesaggisticamente le descrizioni di quel mondo ghiacciato e popolato

26 Peter Andreas Much, Norse Mythology: Legends of Gods and Heroes, trad. di Sigurd Bernhard Hustvedt (Rockville: Wildside press, 2012).

27 Peter Andreas Much, Norse Mythology: Legends of Gods and Heroes, trad. di Sigurd Bernhard Hustvedt (Rockville: Wildside press, 2012). pp 1-2.

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dai giganti. La Norvegia è un chiaro esempio di come la mitologia sia radicata nell’immaginario collettivo dato che molte credenze vivono tutt’ora su quella terra.28

Gli orchi sono altri esseri che hanno origine nella mitologia norrena, ma sono comuni a varie altre mitologie; il termine orco, infatti si rifà direttamente al nome di una divinità della prima mitologia romana Orco, una divinità dell’Oltretomba che, secondo le varie testimonianze grafiche risalenti all’epoca etrusca, aveva l’aspetto di un gigante ricoperto di peli ed una folta barba29. Questo stesso aspetto fisico caratterizza gli orchi norreni; questi perdono il

ruolo romano di divinità, ma non il proprio legame con gli inferi, legame che conferisce loro un alone demoniaco. Nel poema epico anonimo Beowulf si trova spesso il termine orc, ma scritto come orc-neas, termine con il quale si indica la razza dei non morti a cui appartiene Grendel, l’antagonista dell’eroe Beowulf. Orc-neas, infatti, si può tradurre come “cadaveri di Orco” ovvero “servitore di Orco”, la divinità sopracitata, creando un legame stretto con l’aspetto infernale e demoniaco che aveva l’antagonista di Beowulf. Il personaggio di Grendel viene considerato una sorta di archetipo. La descrizione del personaggio lo connota come “discendente di Caino” ossia come discendente di una progenie malvagia.30 Le azioni

compiute, e minuziosamente dettagliate, prima dello scontro con l’eroe Beowulf, lo vedono come protagonista di omicidi e di altri atti feroci e violenti che compie sempre con il favore della notte nella quale vive.31 La mitologia norrena riprende molti aspetti della natura feroce

che connota Grendel e conferisce all’orco un’ipersensibilità verso la luce del sole condannando la creatura mostruosa a vivere ed agire nella notte. L’orco quindi è un diretto discendente delle credenze etrusche-romane che hanno trovato un seguito nella mitologia nordeuropea dando origine a una razza che ha subito delle trasformazioni concettuali nel corso dei secoli ad opera di vari autori, primo fra tuttiCharles Perrault. Il celebre autore di fiabe crea l’archetipo dell’orco delle fiabe: un essere dall’aspetto umano, ma gigantesco e bruto, connotato da una spiccata stupidità che, nelle fiabe, verrà usata come punto debole dall’eroe per sconfiggerlo. Perrault taglia del tutto il legame con gli inferi che lo

28 Peter Andreas Much, Norse Mythology: Legends of Gods and Heroes, pp. 39-40-41 29 http://www.canino.info/inserti/monografie/etruschi/tombe_tarquinia/culto_morti.htm

Questa divinità romana di origine etrusca si trova raffigurata in vari affreschi, tra i quali quelli della Tomba dell’Orco, a Tarquinia, che prende il suo nome proprio dalla raffigurazione di questa divinità barbuta. 30 Seamus Heaney, Beowulf – Testo originale a fronte, a cura di Massimo Bacigalupo (Roma: Fazi Editore, 2002), p 95.

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accompagnava fin dalla mitologia etrusco-romana. L’autore francese si discosta moltissimo dalla tradizione nordica e solamente alcuni secoli dopo ritroveremo nelle storie popolari l’orco norreno germanico usato come ispirazione degli orchi che sono giunti fino ai giorni nostri, gli orchi del panorama fantasy diffusisi grazie all’opera di J. R. R. Tolkien. L’autore del famoso “Signore degli anelli” popola il suo mondo narrativo con numerose razze fantastiche tra le quali gli orchi stessi. In questo ambiente letterario abbiamo un ritorno alle origini della mitologia norrena come fonte d’ispirazione per questi mostri, che tornano ad essere creature malvagie e dotate di intelligenza e acume soprattutto nell’arte del combattimento e della guerra.32 Tolkien considera gli orchi figli della terra, più

specificatamente figli della natura in quanto diretti discendenti degli Elfi che sono diventati orchi o per colpa di tremende torture33 o forse in seguito all’accoppiamento di Mair, spiriti

divini di questo universo che scesero in terra, con primati di basso rango34.

Infine, per chiudere questa analisi, è necessario spostarsi nel nuovo continente, più specificatamente in Nord America. L’America si può definire come un ‘pentolone’ di tradizioni, infatti sul suolo americano si annoverano varie credenze e vari mostri che derivano da diverse culture, merito delle varie migrazioni e delle esplorazioni che sono avvenute nel corso degli anni. Neil Gaiman è un autore che spesso ha trattato di mitologie e divinità nelle sue opere, in American Gods racconta dell’arrivo di un gruppo di vichinghi sulle coste nord-americane che hanno incontrato avversità divine nell’avventurarsi nei nuovi territori così da spingersi a fare sacrifici e giochi in favore delle divinità norrene.35 Questo

passo, sebbene sia solamente presente in un’opera di narrativa, porta con sé la storia di come le credenze del vecchio continente siano giunte nel nuovo continente e siano andate a coesistere con quelle che già contraddistinguevano le varie tribù dei nativi americani. Una credenza in particolare è tutt’ora fonte di racconti e avvistamenti: il Wendingo, uno dei

32 J. R. R. Tolkien, Beowulf: the monsters and the critics, a cura di Michael D. C. Drout,(Phoenix: Arizona State University, 2002).

È il saggio in cui l’autore inglese affronta una critica sui vari mostri presenti nel racconto epico. Tolkien si sofferma sul personaggio di Grendel per comprendere la razza degli orchi; egli infatti colloca gli orchi come mostri malvagi che non hanno una morale vera e propria e che non si fanno scrupoli ad uccidere, ma da cattolico qual era non si capacita di non dare a questa razza mostruosa una sorta di volontà per redimersi dalla propria natura.

33J. R. R. Tolkien, Silmarillion (Milano: Bompiani Editore, 2013) capitolo 3.

34J. R. R. Tolkien, Myth Transformed in Morgoth’s ring (Crows Nest: Allen&Unwin, 1993). 35 Neil Gaiman, American Gods (Milano: Arnoldo Mondadori Editore, 2015) pp. 67-70.

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mostri più temuti e noti nel nord America, sia presso i discendenti diretti dei Nativi Americani Algonchini, (che per primi hanno descritto questo mostro) che presso le altre tribù e il resto della popolazione36. Il Wendingo, come altri mostri, è una leggenda cautelativa che

questa tribù indiana usava per far capire ai giovani che il cannibalismo è un atto sbagliato.37

Infatti, la leggenda del Wendingo lo ritrae come un uomo che cade nell’atto del cannibalismo e che proprio per questo inizierà a trasformarsi in un Wendingo, un essere “sovrannaturale” condannato a vagare sulla terra per saziare la sua sete di carne umana. Il mostro era visto dagli antichi degli Algonchini come una “possessione” sovrannaturale da parte di uno spirito malvagio che corrompe lo spirito dell’uomo che si è macchiato del tabù del cannibalismo. Gli Algonchini, rispetto alle altre tribù di nativi americani, credono maggiormente nei contatti con gli spiriti e nel culto degli antenati, e la credenza negli spiriti è la fonte d’ispirazione per questa leggenda cautelativa che vede appunto uno spirito malvagio che va impossessarsi di un essere umano. La descrizione di questo mostro presenta alcune differenze a seconda della tribù di apparenza, ma tutti concordano sulla sua natura malvagia e sulla sua sete di carne umana. Il Wendingo ha una figura umanoide, è molto scheletrico e talvolta privo di labbra (che quando presenti coprirebbero solo parzialmente i denti enormi). Secondo le varie credenze il Wendingo è dotato di una grande velocità e forza ed è in grado di camuffare la voce riuscendo ad imitare perfettamente le voci umane e i versi dei vari animali. Questo mostro, che popola le varie credenze dei nativi americani, è uno dei casi limite che possiamo individuare tra i mostri delle varie culture occidentali, infatti, secondo il folklore dei nativi americani, il Wendingo ha le sue origini direttamente nella sfera spirituale, il legame con la “materia” è la manifestazione dello spirito in un corpo umano che si trasforma per colpa di questa entità spirituale malvagia.

Come abbiamo visto le due mitologie di riferimento prese in esame mostrano come il legame fra mostro e piano materiale, inteso come luogo di origine e di manifestazione, sia una caratteristica ricorrente di quando si parla di mostri nelle varie culture occidentali.

36 Gli Algonchini sono una delle tribù più popolose attualmente esistenti. Questa tribù risiede nelle riserve indiane canadesi, mentre in passato il loro territorio si estendeva dalla costa orientale fino alla regione dei grandi laghi, tra gli attuali Stati Uniti e Canada.

37 Robert A. Brightman, The Windigo in the Material World, Ethnohistory vol. 35, No. 4 (Durham: Duke University Press, 1988) pp. 337-379

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1.2.2 – I MOSTRI ORIENTALI

La storia della cultura orientale è molto complessa, sotto questa macro-categoria c’è la presenza di molti popoli, e molte religioni, ognuno delle quali ha, come visto anche per la cultura occidentale, le proprie credenze e, per quanto riguarda questo studio, i propri mostri. Fattore comune in tutte le culture è il legame spirituale insito nell’origine dei mostri. La sfera spirituale fortemente connotato tutte le varie mitologie che troviamo in questa macro-categoria, infatti in tutte le religioni orientali la componente dell’animo e dello spirito è molto ben delineata: la reincarnazione dello spirito, la venerazione spirituale e il legame tra anima e corpo sono i punti cardine delle religioni che caratterizzano le culture orientali. I mostri che saranno presi in esame sono mostri appartenenti alla cultura cinese, giapponese, indù e coreana, che, sebbene ad un occhio non orientale possano sembrare sconosciuti, sono fra i più famosi nelle rispettive credenze.

Il primo mostro da prendere in considerazione è il Rākṣasa, una creatura mostruosa appartenente originariamente alla mitologia Indù, ma che, grazie all’influenza e alla diffusione dell’Induismo, trova una sua collocazione anche nel Buddhismo. I Rākṣasa sono descritti come essere malvagi demoniaci, dall’aspetto bestiale: sono enormi e brutti, hanno due zanne che escono dalla bocca che assomigliano a due artigli di tigre tanto sono affilati ed appuntiti.38 Sono famosi per il loro comportamento malvagio e per la loro fame insaziabile

da cannibali che li rende in grado di percepire l’odore della carne umana. Nelle rappresentazioni grafiche i Rākṣasa più feroci sono ritratti con occhi e capelli rossi mentre bevono sangue direttamente da un cranio umano. Nei racconti dell’epica Indù la razza dei Rākṣasa è molto numerosa; come per gli esseri umani, esistono Rākṣasa sia buoni che cattivi, entrambi, però, guerrieri accomunati dalla ferocia in battaglia. Nonostante tutto però, nell’epica indù emerge che i Rākṣasa che distintisi come eroi nelle battaglie sono pochi, questa razza è incline alla malvagità. Nel Ramayana, uno dei due più importanti poemi epici Indiani, il re demone Ravana, comandante dei Rākṣasa, è l’antagonista principale; è lui che rapisce Sita, la moglie del principe divino Rama che deve intraprendere una dura lotta per poterla salvare dalle grinfie del re demone. In un altro poema epico, il Mahabharata, si narra dello scontro fra l’eroe Bhima e Hidimba, un temibile Rākṣasa cannibale; quest’ultimo si

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infuriò con l’eroe pandava39 di cui sua sorella si era innamorata.40 L’origine dei Rākṣasa è

divina, i testi di riferimento indicano come elemento originario di questa razza mostruosa il soffio del dio Brahma, che stava dormendo sul Satya Yuga (il piano divino a cui si riconduce il legame fra divino ed essere umano). Brahma stesso però rimane vittima della fame insaziabile di questi nuovi esseri che prendono il loro nome dal grido d’aiuto del Dio: “Rakshama!” (traducibile dal sanscrito con “Proteggetemi”). Tutti i Rākṣasa sono banditi da Vishnu che accorre in aiuto di Brahma, anche se restano a vivere sulla terra. Come possiamo già vedere da questo primo esempio, rispetto ai mostri occidentali l’origine e lo sviluppo di questo mostro appartiene al divino, ma alla sfera spirituale, una caratteristica che accompagna tutti i mostri che troveremo in queste culture orientali.

La Cina invece è la ‘patria’ di Janghshi, un mostro presente molte culture orientali. Lo

Jiangshi è comunemente conosciuto come zombie cinese. La scelta di analizzare questa creatura è dovuta anche al fatto che in Occidente questa tipologia di mostro è molto nota grazie soprattutto a George Romero, che per primo lo ha fatto introdotto nel panorama filmico occidentale, anche se con una fisionomia completamente differente rispetto alla forma originaria. Lo Jiangshi è uno zombie, ovvero un corpo senza vita che torna a vagare sulla terra, e trova le sue origini nel XVII secolo durante la dinastia Qing41, mentre il suo

corrispondente occidentale si affaccia nel panorama culturale solo nel XX secolo grazie a libri ed a film.42 In un certo senso lo Jiangshi è un mostro frutto del periodo storico,

strettamente correlato alla società che l’ha prodotto, fosse solo per il suo particolare aspetto

39 Pandava è il termine patronimico con cui si indicano i virtuosi figli del dio Pandu

40 Valmiki, Mahabharata (Modena: Guanda editore, 2017). Valmiki, Ramayana (Assisi: Vidyananda editore, 2009).

Il Mahabharata e il Ramayana sono i due poemi epici sanscriti più famosi e più importanti per la cultura Induista. Entrambi sono scritti dal poeta precursore Valmiki e sono da intendere come storie, ma

rappresentano gli insegnamenti dei saggi Indù sotto forma di allegorie con inframezzi di elementi filosofi ed etici, importanti per formare l’identità culturale delle persone. Il Ramayana è ricco di personaggi che servono da modelli ideali: il marito, il re, il servo, il padre e il fratello; nel Mahabharata ci sono invece materiali filosofici che hanno come fine la ricerca del puruṣārtha, ovvero lo scopo dell’uomo nella vita.

41 La dinastia Qing è la dinastia cinese che ha governato la Cina nell’ultimo periodo imperiale, precisamente dal 1644 al 1912, ad essa è succeduta la Repubblica Cinese.

42 Più precisamente mi riferisco al primo libro e film in cui compare il termine zombi, che sono

rispettivamente La porta sull’estate di Robert Henlein del 1956 e L’isola degli zombies diretto da Victor Halperin del 1932 con Bela Lugosi. In queste opere il termine è usato come aggettivo per indicare lo stato di trance indotto dall’uso di droghe. Solamente dal 1968 con La notte dei morti viventi di Romero cambia la natura stessa del mostro, che passa da trance indotta da droga a defunto che torna in vita.

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fisico e soprattutto per come è vestito. Infatti, questi zombi indossano l’uniforme caratteristica degli ufficiali della dinastia Qing con il berretto caratteristico con attaccato su di esso un sigillo magico scritto su carta. Le descrizioni di questi mostri li ritraggono pallidi, verdastri perla presenza di muffe e funghi che crescono sulla pelle del defunto trasformato; gli Jangshi hanno lunghi capelli bianchi e si comportano in maniera animalesca. Inoltre, sono spinti ad uccidere i viventi perché da essi cercano di assorbire il “qi”, la forza vitale delle persone43. Il termine Jiangshi che si traduce prendendo il carattere cinese (僵) con (corpo)

rigido, rimanda direttamente al rigor mortis, il processo chimico che colpisce i muscoli dei defunti irrigidendoli. Il rigor mortis infatti, è una delle altre caratteristiche fisiche di questi mostri, nel libro “Yuewei Caotang Biji” di Ji Xialoan questi zombi, essendo morti, vengono descritti in una posa fisica rigida che li costringe a tenere i bracci tesi in avanti e a saltellare rigidamente dato che non possono piegare le ginocchia per camminare.44 Questa

caratteristica ha dato luogo alla diffusione della denominazione “zombie salterino”, terminologia che si è diffusa anche grazie ai vari film horror prodotti ad Hong Kong negli anni ’80.

L’origine del Jangshi si trova nel libro di Ji Yun Fantastic Tales by Ji Xiaolan, in cui l’autore riporta la descrizione Ji Xiolan dei vari metodi per cui un defunto, sia che sia morto da poco o da molto tempo, può tornare in vita, spiegando che ogni causa di risveglio presenta sempre un aspetto spirituale o legato all’anima.45 Infatti, si credeva che un defunto potesse

trasformarsi nel Jiangshi se era stato impossessato, se era suicida, se era morto in modo violento, se non è stato sepolto o se il corpo aveva assorbito, in vita, troppo Yang, l’energia negativa. Queste cause sono tutte legate all’ambiente spirituale e non a quello materiale, il corpo diventa semplicemente il veicolo della corruzione dell’anima, lo specchio materiale del Yang che ha corrotto il defunto. Tutte queste cause spirituali in Occidente non stanno alla base della mutazione degli uomini in zombi, infatti come possiamo vedere nei vari film di genere e nei libri, gli zombi che sono giunti a noi sono frutto di un virus, di una mutazione genetica e non hanno nulla a che vedere con l’anima o lo spirito del defunto.

43 Murali Balaji, Thinking Dead: What the Zombie Apocalypse Means (Lanham: Rowman & Littlefield Publishing Group/Lexington Books, 2016).

44 Ji Yun e Hai-ch’en Sun, Fantastic Tales by Ji Xiaolan in Murali Balaji, Thinking Dead: What the Zombie Apocalypse Means, op. cit 108

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Passando dall’India alla Cina arriviamo, infine, nella terra del Sol Levante, una terra in cui i mostri sembrano girare ovunque, ogni giorno e ogni notte, ognuno con la propria caratteristica e la propria spiegazione. In Giappone la religione nativa è lo Shintoismo, o la shintō («la via degli dei»), una religione che prevede l’adorazione dei cosiddetti Kami, che rappresentano la scintilla divina nascosta in ogni cosa, essere o persona. I Kami sono una sorta di divinità, degli spiriti naturali o semplicemente li possiamo comprendere come presenze spiritiche. L’animismo o politeismo naturale che caratterizza lo shintoismo è la stessa fonte di culto, ma soprattutto è l’origine dei mostri che popolano questa terra. In Giappone molte spiegazioni di fatti strani o di semplici usanze è da ricondurre alla presenza di un mostro o di uno yokai, che infesta quei luoghi.46 Un esempio interessante e curioso è

quello dell’Akaname, un mostro che lecca la sporcizia accumulata nei bagni, e che appare di notte quando non c’è nessuno.47 L’origine di questo mostro è sia cautelativa sia storica; da

una parte possiamo immaginare che per la mente di un bambino sapere che se la vasca del bagno è sporca può arrivare un mostro, questo insegna a provvedere all’igiene della casa, dall’altra possiamo considerare da un punto di vista storico che visto che nei tempi passati, soprattutto nelle campagne, queste vasche erano fatte in legno e spesso si trovavano nei posti più bui ed umidi della casa, cosa che rendeva la vasca scivolosa e un habitat per lumache e rospi. Non c’è da meravigliarsi che la creazione di questo mostro sia nata proprio nelle campagne. Un mostro particolare, insolito per il nostro modo di pensare, ma che ben spiega come nella cultura giapponese i mostri siano parte integrante della vita.

Nella cultura di massa giapponese ci sono molte creature mostruose legate ad antiche leggende che hanno alimentato le fantasie popolari, come lo Yamata no Orochi, uno dei più importanti e famosi mostri nipponici. Questo essere che potremmo chiamare Serpente di Yamata è il mostro protagonista della leggenda raccontata nell’antico testo di cronaca Kojiki. Il mostro è descritto come un enorme serpente con otto teste ed otto code, gli occhi rossi fuoco e la pancia rossa come il sangue e le fiamme infernali. Seconda la tradizione è così gigantesco da poter ricoprire otto vallate e otto colline, e il suo dorso è ricoperto da muschi, cipressi e cedri giapponesi. Nella leggenda shintoista, Yamata no Orochi è il principale

46 Con il termine Yokai in Giappone si identificano tutti i vari tipi di spettri che interferiscono con la vita di ogni giorno. Talvolta un mostro può esser definito anche Yokai a seconda della sua natura e presenza spirituale.

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antagonista del dio delle tempeste Susanoo. 48 Si narra che Susanoo scese sulla terra per

andare in aiuto di una coppia di dei anziani che erano soggetti alle condizioni mostruose dello Yamata no Orochi. Quest’ultimo infatti, ogni otto anni richiedeva il sacrificio di una delle figlie della coppia. Il dio della tempesta arrivò in soccorso dei coniugi e dopo essersi rivelato come il fratello di Amatertsu, dea del sole, decise di salvare la loro ultima figlia, Kushinada-hime di cui chiese la mano come ricompensa per la sconfitta del mostro che li opprimeva. Il dio riuscì a sconfiggere il mostro con un abile stratagemma: collocò otto barili di sakè in otto posti differenti, dopo di ché trasformò la futura moglie in pettine e si nascose nella foresta in attesa che Yamata no Orochi si fosse ubriacato e cadesse in un sonno profondo. Una volta addormentato il mostro, Susanoo sferrò il suo attacco, tagliando in pezzi il mostro serpentino. La leggenda narra che l’ultimo pezzo della coda si fosse rivelato il più duro da spezzare, Susanoo riuscì nell’impresa usando la sua spada, ma con sorpresa egli scoprì che nella coda stessa del mostro vi era la spada leggendaria “Ama no Murakumo”, conosciuta in seguito come “Kusanagi no Tsurugi”, la spada leggendaria della religione shintoista. La spada fu donata a Amatertsu che permise il ritorno in paradiso del fratello. Questa leggenda è una delle storie più famose e più importanti per la cultura giapponese; nel corso degli anni infatti si consolidata l’idea popolare che molti dei mostri serpentini che popolano la terra siano direttamente discendenti a Yamata no Orochi. La leggenda narrata è stata fonte per opere filmiche e del teatro popolare nonché di numerosissime rappresentazioni iconiche. È infatti una delle più famose rappresentazioni stampata per

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esempio su di un noto trittico di ukiyo-e (un genere di carta stampata impressa con matrici di legno che ha visto il suo massimo splendore nel periodo Edo) di Toyohara Chikanobu.

Figura 2 - Susanoo slaying the Yamata-no-Orochi. Toyohara Chikanobu,1870. Trittico di ukiyo-e rappresentante Susanoo che combatte con Yamata no Orochi di..

Questo genere di stampe è molto famoso e vi possiamo ritrovare rappresentati molti mostri che hanno interessato lo spirito creativo degli artisti. Una stampa creata da Utagawa Kuniyoshi, uno degli ultimi grandi maestri pittori-disegnatori che hanno praticato questa particolare tecnica, ha come soggetto lo scontro narrato nella leggenda Takiyasha-hime, fra Mitsukuni e il Gashadokuro. Il mostro rappresentato su questa stampa è uno scheletro gigantesco alto oltre i dieci metri, originato dall’unione di ammassi di ossa di persone morte di stenti e di fatiche nei campi, ma anche di morte violenta, che non venivano sepolte o cremate, per questo vaga di notte cercando una rivalsa come mostro. Il Gashadokuro secondo tradizione lo si può incontrare solamente di notte in giro per campi, foreste o strade buie, mentre vaga così silenziosamente da diventare impercettibile ed invisibile. L’unico suono emesso da questo grande scheletro è lo sfregamento dei denti, ma quando il malcapitato passante lo sente è tardi e non c’è via di fuga. Secondo la tradizione questo mostro attacca gli uomini che incontra lungo il suo cammino, staccando loro la testa per berne direttamente il sangue da essa.49 La leggenda, rappresentata sul celebre ukiyo-e di Utagawa Kuniyoshi è

una delle raffigurazioni più famose del mostro ed è grazie a questa rappresentazione che nell’immaginario collettivo giapponese il Gashadokuro viene rappresentato così. Anche l’origine di questo essere è puramente spirituale, la forza dell’animo di un defunto che non

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