• Non ci sono risultati.

La malattia mentale in Cina nel contesto sociale e legale fino alla fine del XIX secolo

Un’analisi del contesto storico e legale antecedente alla costituzione di strutture preposte alla pratica di isolamento del malato di mente alla fine del XIX secolo si rivela interessante dal punto di vista della costruzione dei discorsi intorno alla malattia mentale. Durante il regno della dinastia Qing, nel XVIII secolo, si assiste a una vera e propria produzione di discorsi sulla malattia mentale e soprattutto sull’individuo che ne era affetto che non ha precedenti storici nella Cina imperiale. Si assiste infatti in questo periodo alla ‘criminalizzazione’ del malato di mente e alla sua connotazione come elemento ‘deviante’ e quindi ‘pericoloso’ per la società (Ng 1990).

La figura della persona affetta da ‘malattie dello spirito’2 ha ricevuto particolare attenzione da parte dei legislatori fino dai codici scritti risalenti

2 La scelta del termine «malattia dello spirito» rispetto al precedentemente utilizzato «malattia

mentale» si giustifica in questo paragrafo e nei successivi attraverso una considerazione lessicale di carattere storico. Nei codici legali antichi ai quali farò riferimento si determinano categorie particolari di individui che, sulla base di una serie di considerazioni, venivano definiti come

38

agli Zhou Occidentali (1046 a. C. – 771 d. C.). L’individuo affetto da disturbi dell’animo, qualora commettesse un atto criminale, veniva inclusa nel novero delle sanshe 三赦, letteralmente ‘tre amnistie’. Le sanshe erano riconosciute come casi particolari in cui chi commettesse un reato poteva essere considerato parzialmente responsabile e quindi ricevere una

esenzione dalla pena o una riduzione della stessa rispetto a quanto stabilito dalla legge sulla base di uno stato d’essere considerabile come

un’attenuante (Cavalieri 1999, p. 33). Tali stati particolari erano applicabili a persone molto giovani o estremamente anziane, oppure a individui

incapaci di intendere e di volere, vale a dire chunyu 惷愚. In epoca Han (206 a. C. – 220 d. C.) la legislazione prevedeva una riduzione, escludendo la possibilità di non scontare almeno parzialmente la pena) per le persone che risultassero alla categoria kuang 狂. In epoca Tang (618 – 907) veniva considerata la possibilità di esenzione o riduzione della pena nel caso in cui il reato fosse commesso da una persona nello stato definito come

diankuang 癫狂, inserito all’interno dei disturbi gravi duji 篤疾 (Li Chiu 1980, pp.76-78).

La consuetudine di applicare riduzioni nella somministrazione delle pene o la loro conversione in sanzioni di tipo pecuniario, così come la frequente esenzione dalle condanne a morte sulla considerazione di uno stato spirituale non equilibrato durò fino alla fine della dinastia Ming (1368 – 1644). La legiferazione sotto il regno della dinastia Qing fu invece

caratterizzata da una istanza di controllo della popolazione superiore alle precedenti epoche storiche. Tale tendenza venne dettata dalla sempre maggiore ingerenza da parte di potenze straniere nella costituzione di

‘parzialmente o totalmente non responsabili delle proprie azioni’. Risulterebbe perciò anacronistico e scorretto, essendo in questo caso il sistema medico di riferimento quello della medicina tradizionale cinese, utilizzare definizioni afferenti al campo semantico della diagnosi prodotta in seno alla concezione biomedica dei disturbi descritti.

39

nuove problematiche sociali prima sconosciute o considerabili come marginali all’interno della società della Cina imperiale. Uno degli esempi più rappresentativi di questo genere di tensione sociale è stato il presentarsi di problematiche sociali generate in seguito alla crescente dipendenza da oppio da parte di esponenti di ogni classe sociale (Ng 1990, p.23). Questo genere di «patologia sociale» avrebbe determinato fino alla prima metà del XX secolo l’inserimento della «psicosi da oppio» nelle statistiche

epidemiologiche dei centri di medicina psichiatrica presenti sul territorio cinese (Bermann 1972, pp. 63-64).

L’istanza di controllo della popolazione da parte delle autorità locali nella prima metà del XVIII secolo in poi portò alla produzione di una serie di disposizioni che resero più restrittiva e severa la regolamentazione della mutua responsabilità da parte dei nuclei familiari e nei singoli distretti abitativi, definita con il termine baojia 保甲. Ogni nucleo abitativo doveva recare all’esterno una targa che riportasse l’elenco delle persone che

occupavano l’edificio ed era obbligatoria la registrazione presso le autorità distrettuali dei componenti della famiglia che soffrissero di malattie

considerate come ‘potenzialmente pericolose’, tra cui la malattia mentale. Questo tipo di provvedimenti veniva adottato nel tentativo di porre rimedio alla problematica posta dal crescente numero di persone senza tetto che venivano prelevate dalle autorità e trattenute all’interno delle carceri (Ng 1990, pp. 63-66).

Nella seconda metà del XVIII secolo si assistette alla recrudescenza delle normative riguardanti la custodia dei malati di mente da parte degli altri membri del nucleo familiare di appartenenza. La cura nei confronti del congiunto che presentasse sintomi di malattie dello spirito che le autorità locali pretendevano da parte degli altri membri della famiglia sfociavano di fatto nella comminazione di una pena di arresto domiciliare. Era previsto

che le famiglie disponessero di un locale della propria abitazione adibito esclusivamente alla contenzione del familiare con ogni mezzo necessario per impedirne la circolazione non soltanto all’esterno dell’edificio ma negli ambienti dello stesso. Le famiglie che non avevano i mezzi pratici o

economici per ottemperare a tale regolamentazione ricevevano gli strumenti di contenzione necessari direttamente dalle autorità locali (Ng 1990, p. 67).

La registrazione e la conseguente segregazione dei cittadini malati di mente in quanto considerati a priori come elementi pericolosi per la sicurezza incontrarono una costante opposizione omertosa da parte degli stessi nuclei familiari e dei comitati abitativi. Nella prima metà del XIX secolo tale tipo di contravvenzione alle richieste di collaborazione con le forze dell’ordine sino a quel momento volontaria portò le autorità a

inasprire le regolamentazioni riguardanti la riduzione delle pene nel caso di crimini commessi da un individuo malato di mente (Munro 2000, p. 15). Le esenzioni e le riduzioni potevano essere applicate solamente se il colpevole risultava già iscritto nei registri locali, in caso contrario la pena prevista veniva applicata nella sua interezza. Tale accorgimento rese di fatto obbligatoria la collaborazione con le autorità costituite da parte delle famiglie di individui malati di mente (Ng 1990, p. 104).

La seconda metà del XIX secolo venne caratterizzata da un sostanziale fallimento delle politiche di controllo demografico intraprese dalle autorità imperiali. Il tentativo di garantire l’ordine pubblico attraverso il

confinamento domestico o la segregazione carceraria degli elementi ‘marginali’ della popolazione continuò a non sortire gli effetti desiderati, nonostante la produzione di discorsi atti ad emarginare la figura del malato di mente in quanto elemento potenzialmente pericoloso. Questi presupposti resero possibile un’inedita collaborazione tra le autorità governative e una serie di attori sociali presenti sul territorio che fino a quel momento non

avevano goduto di particolare credito o popolarità agli occhi dell’ordine costituito. La necessità di esercitare un controllo maggiore sugli elementi ‘devianti’ della popolazione e una sostanziale incapacità di perseguire con efficacia tale scopo costituirono i prodromi per l’istituzione delle prime strutture deputate alla presa in cura dei malati di mente ad opera di

missionari e operatori sanitari europei e statunitensi (Diamant 1993, pp. 6- 8).

2.2 L’istituzione degli ospedali psichiatrici e la nascita della clinica in

Documenti correlati