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MARCATORI EMERGENTI PER LA STRATIFICAZIONE PROGNOSTICA

2. Ruolo dell’anemia

2.7. MARCATORI EMERGENTI PER LA STRATIFICAZIONE PROGNOSTICA

Nel tempo è stato suggerito l’uso di altri marcatori per migliorare l’inquadramento prognostico del paziente con SC acuto, ma molti di essi richiedono attualmente ulteriori validazioni.

Un marcatore, per poter essere ideale, deve avere diverse caratteristiche: di facile esecuzione, poco costoso, dare risultati riproducibili, disponibile in poco tempo ed accurato nel definire la prognosi del paziente. Nel corso degli ultimi anni crescente attenzione è stata dedicata ai marker infiammatori, visto il crescente riconoscimento dell’attivazione della risposta infiammatoria nel corso di SC acuto e cronico.

2.7.1. RAPPORTO NEUTROFILI/ LINFOCITI E PROGNOSI DELLO SCOMPENSO CARDIACO

Il rapporto neutrofili/linfociti (NLR) aumenta in presenza di numerosi fattori di rischio cardiovascolare che possono peggiorare la prognosi dei pazienti con SC, come ad esempio nel diabete mellito, nell’ipertensione, nella sindrome metabolica, nell’obesità, con il fumo, ed in presenza di ipercolesterolemia109,110,111. Quindi, NLR potrebbe identificare i soggetti affetti da SC più fragili e potenzialmente, per la presenza di numerose comorbilità, con uno stato funzionale peggiore. Infatti, Cakici e colleghi hanno dimostrato come un elevato NLR sia associato ad un peggior stato funzionale in pazienti con SC e come un valore di 2.74 di NLR possedesse una sensibilità del 79.4% e specificità dell’80% nel predire un peggior stato funzionale in pazienti con SC112.

Un ulteriore meccanismo che potrebbe giustificare la relazione tra NLR e prognosi nel paziente con SC è la sua possibile capacità di riflettere lo stato di attivazione dei meccanismi di compenso nella fase acuta della malattia. È ben

noto infatti come i neutrofili siano rapidamente mobilizzati dalla parete vascolare come risultato dell’iperproduzione di steroidi e mineralcorticoidi da parte delle ghiandole surrenaliche, oltre che nel corso della vasocostrizione indotta dall’attivazione adrenergica. Queste condizioni si vengono tipicamente a verificare nel corso delle fasi acute dello scompenso. Per questo, oltre ad avere un significato di marcatore infiammatorio, il NLR potrebbe anche fornire importanti informazioni circa il livello di attivazione dei meccanismi di compenso emodinamico e quindi circa la severità della fase acuta dello SC. Questo è importante perché potrebbe rendere il NLR più informativo della prognosi del paziente con SC acuto rispetto ai semplici parametri infiammatori, i quali non forniscono alcuna informazione circa il compenso emodinamico del paziente.

1. Infiammazione

L'infiammazione può innescare lo SC impattando sulla patogenesi sia per quanto riguarda le comorbidità (diabete, obesità113,114), sia per quanto riguarda i substrati patologici della malattia cardiaca come la disfunzione endoteliale115,116 e l’aterosclerosi117, arrivando a influenzare negativamente gli esiti della sindrome coronarica acuta118 e dello SC stesso119. Ad esempio, i livelli di monociti del sangue120 e l'attività della milza121 possono predire eventi cardiovascolari, ed elevati livelli di PCR sono riscontrati nei pazienti con eventi cardiovascolari ricorrenti122. Tali pazienti andranno incontro più facilmente a SC, vista la maggior severità della cardiopatia ischemica di base. Oltre a rappresentare un importante fattore coinvolto nei meccanismi patogenetici che favoriscono lo sviluppo di SC, diverse evidenze suggeriscono come l’infiammazione possa avere anche un ruolo nel promuovere l’evoluzione della patologia cardiaca. I livelli di citochine infiammatorie (TNF-α, IL-1ß, IL-6) sono aumentati nei pazienti con SC123, ed esiste una correlazione tra i livelli sierici di TNF-α e la gravità della malattia123 . Molte citochine proinfiammatorie ed i loro recettori sono predittori indipendenti di mortalità nei pazienti con SC avanzato104. La

conferma che l’infiammazione potrebbe svolgere un ruolo importante nello SC deriva da studi sperimentali condotti su modelli animali di infarto miocardico, cardiomiopatia diabetica, sovraccarico pressorio e miocardite utilizzando knockout124,125, topi transgenici126 o topi trattati con strategie antinfiammatorie o immunomodulatorie, compresi anticorpi (ad esempio, anticorpo TNF-α127, anticorpo IL-6R128), inibitori (inibitore dell'enzima di conversione IL-1129),

agonisti / antagonisti di citochine / chemochine (IL-2 agonista130, CCR2 siRNA131), statine132, strategie di innalzamento HDL133,116,134,135, terapie cellulari

comprendenti cellule stromali mesenchimali (MSC) 136,137 e cellule stromali derivate cardiache138,139.

Sebbene queste evidenze suggeriscano un ruolo dell’infiammazione nella patogenesi dello SC, l’attivazione della risposta infiammatoria rappresenta anche una possibile conseguenza dello SC. Lo SC provoca un'infiammazione sterile nel cuore stesso che sembra essere innescata dallo stress di parete. Questo porta all’attivazione di vie di trasduzione di segnale intracellulari che favoriscono l’incremento dello stress ossidativo, l’alterazione delle capacità contrattili delle cellule, il malfunzionamento dei canali ionici, la fibrosi parietale ed, eventualmente, la morte cellulare per apoptosi. Le stesse cellule cardiache, in seguito ad attivazione di specifiche vie di trasduzione del segnale intracellulare, possono produrre citochine proinfiammatorie che, insieme a quelle circolanti, non causano un danno solamente a livello cardiaco ma possono compromettere anche la funzioni di organi distanti. Ad esempio, il TNF-α scatena l'infiammazione nel muscolo scheletrico e nel tessuto adiposo, accelera l'aterogenesi e l’apoptosi. Oltre a indurre una produzione diretta di citochine proinfiammatorie, l’attivazione della risposta infiammatoria nel corso dello SC è anche sostenuta dai diversi meccanismi neuro-ormonali che si attivano a scopo compensatorio (RAAS e sistema nervoso adrenergico), così come dalla alterazioni emodinamiche indotte dagli stessi. Ad esempio, l’azione di adrenalina e noradrenalina sui ß3 recettori e quella dell’angiotensina II inducono

monocitopoiesi nella milza, favoriscono la produzione di stress ossidativo a livello vascolare e delle cellule miocardiche, oltre che nel parenchima renale. Inducendo vasocostrizione cronica e ridotta perfusione, possono favorire l'attivazione della risposta infiammatoria anche a livello del muscolo scheletrico. Al tempo stesso, la riduzione della gittata cardiaca associata e la ridistribuzione della circolazione sistemica possono portare a una diminuzione della perfusione intestinale con conseguente ischemia della mucosa e possibile compromissione della sua capacità di barriera nei confronti del contenuto intestinale. Il conseguente incremento della permeabilità intestinale favorisce la maggior traslocazione di batteri e loro tossine nel sangue. Il tutto potenzierebbe ulteriormente la risposta infiammatoria sistemica.

Indipendentemente dalla sua origine, l’importanza dell’infiammazione nell’evoluzione dello SC è confermata anche dai numerosi studi che hanno dimostrato una relazione tra varie citochine proinfiammatorie e prognosi nei pazienti con scompenso. Rauchhaus e colleghi140 hanno dimostrato come le concentrazioni plasmatiche del recettore solubile 1 del TNF possa rappresentare il più importante indice prognostico in pazienti con SC sintomatico, anche quando l’analisi veniva corretta per ben più noti indicatori di gravità della malattia quali la classe funzionale NYHA e la FE del ventricolo sinistro. Questi dati sono stati successivamente confermati nello studio multicentrico Vesnarinone Trial (VEST)104, che includeva 1200 pazienti con SC grave. Anche in questo studio fu osservato che un incremento dei livelli circolanti di TNF, IL-6 e dei recettori solubili per il TNF erano associati con un incremento della mortalità. In particolare, l’analisi multivariata ha dimostrato come i livelli circolanti del recettore solubile 2 del TNF possa rappresentare il più importante predittore di mortalità. Uno stato proinfiammatorio è stato anche correlato con un maggior rischio di aritmie sopraventricolari e ventricolari in pazienti con SC. A questo proposito, alcuni studi più recenti suggeriscono che la presenza di elevati livelli infiammatori potrebbe aiutare nell’identificazione di quei pazienti con SC

a maggior rischio di aritmie ventricolari maligne. Shehab e colleghi141 hanno studiato prospetticamente una popolazione di 34 pazienti con SC sintomatico, prevalentemente dovuto a cardiopatia dilatativa su base ischemica. Nel corso di un follow up di 20 mesi, 9 pazienti sono deceduti, e di questi 4 per progressione di SC mentre 5 per morte cardiaca improvvisa su base aritmica. I pazienti che erano deceduti per morte improvvisa avevano livelli basali di marcatori infiammatori (ad esempio la conta dei neutrofili o i livelli di PCR) molto più elevati di quelli sopravvissuti. Più recentemente, Biasucci e colleghi142 hanno

riportato una associazione significativa tra livelli di PCR > 3 mg/dl e rischio di aritmie ventricolari maligne quali la tachicardia o fibrillazione ventricolare. Questi risulati hanno portato allo studio CAMI-Guide Trial143, che aveva lo scopo di verificare se, in pazienti ischemici portatori di defibrillatore (ICD), i valori plasmatici di PCR >3 mg/L fossero associati con un aumentato rischio di morte cardiaca improvvisa o tachicardie/fibrillazione ventricolare. Sebbene gli autori non abbiano dimostrato la presenza di una correlazione positiva, livelli di PCR > 3mg/dl risultano, comunque, essere un forte fattore predittivo di mortalità per SC.

Dei vari dosaggi di citochine proinfiammatorie utilizzati in clinica per misurare il livello di esposizione infiammatoria, solamente pochi corrispondono alle caratteristiche di marcatore ideale suggerite precedentemente. Ad esempio, sebbene il TNF-alpha ed i suoi recettori solubili si siano dimostrati utili nella stratificazione prognostica del paziente affetto da scompenso, i loro dosaggi risultano particolarmente costosi ed elaborati, rendendone difficile l’applicazione alla routine clinica di tutti i giorni. I livelli di IL-6, invece, variano molto velocemente e, anch’essi richiedono costi elevati per il dosaggio, rendendone difficile il loro utilizzo nella pratica clinica quotidiana. Nel corso degli ultimi anni, sia la conta delle cellule della serie bianca sia i rapporti tra i vari elementi della crasi ematica sembrano poter diventare possibili predittori prognostici nello

SC acuto. In particolare, il rapporto tra neutrofili e linfociti sembra possedere caratteristiche ottimali per poter rientrare tra i marcatori considerati ideali.

Fig.5. Grafici Kaplan-Meier per (A) mortalità da tutte le cause; (B) mortalità per SC (C) ospedalizzazione per scompenso cardiaco in pazienti stratificati in base a valori di PCR > 3 mg/dl vs. ≤ 3 mg/dl143.

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