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La crasi ematica come elemento predittivo della durata di ricovero nei pazienti con scompenso cardiaco acuto

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle nuove

Tecnologie in Medicina e Chirurgia

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN MEDICINA E

CHIRURGIA

Tesi di Laurea

La crasi ematica come elemento predittivo della durata di

ricovero nei pazienti con scompenso cardiaco acuto

RELATORI

Chiar.mo Prof. Stefano Taddei

Chiar.mo Prof. Lorenzo Ghiadoni

CANDIDATA

Matilde Ogliastro

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A nonna Agnese

“Vivemmo con persone amate senza saperlo, maltrattate senza accorgercene: un giorno qualunque spariscono e non ne parliamo più. Ci hanno lasciato un odore di varechina nella mano che ci strinsero, una carezza ruvida e impacciata, ci hanno lavato i pavimenti cantando per un'allegria che non provammo mai. Fu vita loro irriducibile che ignorammo finché fu con noi

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INDICE

1. RIASSUNTO 5

2. LO SCOMPENSO CARDIACO 9

2.1. DEFINIZIONE 9

2.1.1. Definizione di Scompenso Cardiaco 9

2.1.2. Definizione dei diversi tipi di Scompenso Cardiaco 10

2.2. EPIDEMIOLOGIA 13

2.2.1. Prevalenza e incidenza di Scompenso Cardiaco 13

2.2.2. Trends e impatto economico 15

2.2.3. Mortalità e ospedalizzazioni 17

2.3. FISIOPATOLOGIA 19

2.3.1. Rimodellamento cardiaco 21

2.3.2. Attivazione dei sistemi neurormonali 22

2.4. PRESENTAZIONE CLINICA 30

2.4.1. Sintomi 32

2.4.2. Segni 35

2.5. DIAGNOSI DI SCOMPENSO CARDIACO 37

2.6. COMUNI MARCATORI UTILIZZATI PER LA

STRATIFICAZIONE PROGNOSTICA 39

2.6.1. Ruolo prognostico dei marcatori cardio-specifici 39 2.6.2. Ruolo prognostico dei marcatori non cardio-specifici 40 2.7. MARCATORI EMERGENTI PER LA STRATIFICAZIONE

PROGNOSTICA 46

2.7.1. Rapporto Neutrofili/Linfociti e prognosi dello Scompenso

Cardiaco 46

2.7.2. Ulteriori parametri della crasi ematica associati alla

prognosi dello Scompenso Cardiaco 53

3. SCOPI 55

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4.1. POPOLAZIONE E PARAMETRI 57

4.1.1. Dati anamnestici 57

4.1.2. Parametri vitali ed antropometrici 58

4.1.3. Parametri di severità del quadro clinico di base 58

4.1.4. Dati laboratoristici 59 4.2. ANALISI STATISTICA 60 5. RISULTATI 63 6. DISCUSSIONE 70 7. CONCLUSIONI 75 8. BIBLIOGRAFIA 76 9. RINGRAZIAMENTI 96

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1. RIASSUNTO

Lo scompenso cardiaco (SC) è una delle principali cause di mortalità e di morbilità a livello globale.

Negli ultimi decenni, soprattutto nei paesi Occidentali, si è assistito a un incremento della prevalenza e dell’incidenza di questa importante patologia. Questo dato è imputabile sia all’invecchiamento della popolazione, sia alla ridotta mortalità per cause cardiovascolari in favore della loro evoluzione in SC.

I ricoveri per SC e shock sono divenuti in Italia, già nel 2003, la seconda causa di ricovero dopo il parto. Inoltre, lo SC rappresenta attualmente la più importante causa di ospedalizzazione negli individui sopra i 65 anni.

Il miglioramento dell’efficacia delle terapie e la maggiore conoscenza dei meccanismi patogenetici responsabili dello sviluppo di SC, hanno avuto un importante impatto positivo sulla gestione del paziente e hanno permesso un miglioramento della sopravvivenza. Ciononostante, l’incidenza e la prevalenza di SC sono tutt’oggi in aumento, e la mortalità e le comorbidità ad esso correlate sono ancora rilevanti.

Visti gli elevati costi connessi allo SC, appare fondamentale un’adeguata stratificazione dei pazienti fin dal loro accesso in pronto soccorso, in modo da identificare fin da subito coloro che potrebbero avere un decorso clinico più lungo rispetto a coloro che potrebbero essere dimessi velocemente. Questo consentirebbe di ottimizzare la gestione del paziente, avere una comunicazione più efficace riguardo alla sua aspettativa di ricovero e ottimizzare le risorse a disposizione all’interno dell’Ospedale.

Il BNP è un marcatore efficace nella stratificazione della prognosi del paziente con SC acuto in quanto fornisce importanti informazioni sulla severità del quadro

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clinico di presentazione. Quindi, questo marcatore potrebbe fornire importanti informazioni anche sulla possibile durata del ricovero del paziente affetto da scompenso. Oltre al BNP, altri marcatori ematochimici o parametri antropometrici/vitali riscontrati al momento del ricovero hanno dimostrato un’associazione con la prognosi del paziente con SC acuto. Tra questi, sono da ricordare la creatininemia, i livelli di emoglobina, il valore di BMI (come possibile indicatore di uno stato cachettico), i valori di pressione arteriosa sistolica, la frequenza cardiaca e la presenza di comorbidità come il diabete mellito, la fibrillazione atriale o la broncopneumopatia cronica ostruttiva. Anche il rapporto neutrofili/linfociti (NLR) sembra essere candidato come un potenziale indicatore prognostico della mortalità nel paziente con SC acuto. Esso è un marker ematologico ampiamente disponibile poiché è di facile esecuzione e poco costoso. Per queste sue caratteristiche quindi, potrebbe rappresentare un parametro utile per la stratificazione della lunghezza del ricovero nel paziente presentatosi al pronto soccorso con SC acuto.

Con questa Tesi abbiamo valutato quali, degli indici comunemente associati alla prognosi dello SC, possano fornire informazioni significative circa la durata del ricovero nel paziente presentatosi al pronto soccorso con SC acuto. In particolare, la tesi si è soffermata maggiormente sull’accuratezza dei vari parametri della crasi ematica, in quanto tali parametri sono semplici da ricavare, largamente e rapidamente disponibili in tutti i reparti di emergenza-urgenza, economici e connessi con la prognosi del paziente.

Lo studio ha incluso i dati raccolti retrospettivamente di 83 pazienti ricoverati nel reparto di medicina d’emergenza-urgenza Universitaria (Direttore Prof. L. Ghiadoni) dell’Azienda ospedaliera universitaria pisana (AOUP) con diagnosi di SC acuto. I dati raccolti comprendevano non solo gli esami ematochimici ed emogasanalitici, ma anche informazioni relative alla terapia del paziente, alla

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concomitante presenza di altre malattie che possano influire sulla prognosi. Le informazioni relative ai parametri ematochimici sono state raccolte comprendendo sia gli esami eseguiti in pronto soccorso, sia quelli eseguiti nel corso del ricovero.

I risultati dello studio hanno dimostrato come tra i parametri raccolti in pronto soccorso, elevati valori di neutrofili espressi in percentuale, NLR, il rapporto piastrine/linfociti (PLR), creatininemia, troponinemia e la diagnosi di insufficienza renale cronica fossero significativamente associati alla durata della degenza, mentre una relazione inversa era presente con il valore del pH e la percentuale dei linfociti all’esame emocromocitometrico. Attraverso curve ROC è stato possibile osservare come solamente i parametri NLR e PLR avessero una sensibilità e specificità sufficiente nell’identificare i pazienti con ricovero maggiore o minore ai 7 giorni. Inoltre, il cambiamento di questi parametri durante il ricovero risultava anch’esso associato alla durata della degenza, suggerendo che le loro modifiche possano anche fornire informazioni importanti relative alla risposta alla terapia dei pazienti ricoverati. Il NLR riscontrato al pronto soccorso non era associato né con i valori di proteina C-reattiva (PCR) né con il valore della procalcitonina, mentre risultava maggiore in soggetti con valori più elevati di lattati. Anche il PLR non risultava associato a parametri infettivi (procalcitonina) o infiammatori (PCR), mentre associazioni significative sono state riscontrate con i valori di troponinemia.

Questi risultati suggeriscono che i rapporti NLR e PLR potrebbero rappresentare un utile strumento per la rapida identificazione di quei pazienti a rischio di durata del ricovero più lunga e che quindi dovrebbero essere ricoverati immediatamente in corsie di lungodegenza anziché in corsie di medicina d’urgenza. I risultati inoltre forniscono informazioni sui possibili processi fisiopatologici alla base dell’aumento del NLR e del PLR. Infatti, l’associazione del NLR con il valore dei lattati suggerisce che l’incremento dei neutrofili possa essere dipendente dalla

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loro mobilizzazione periferica dovuta alla probabile iper-attivazione simpatica conseguente allo stato di ridotta perfusione dei tessuti periferici. Questa informazione potrebbe non essere adeguatamente catturata dalla frequenza cardiaca, dato che molti pazienti con SC assumono terapia con beta-bloccanti. Al contrario, la relazione del PLR con i valori di troponina potrebbe suggerire la capacità di questo parametro di identificare i soggetti con una propensione all’ipercoagulabilità, e quindi maggiormente a rischio di sofferenza ischemica del miocardio alla base dell’evento di SC acuto.

In conclusione, il messaggio più importante che emerge dai dati di questo studio è che il rapporto tra i vari elementi della crasi ematica potrebbe rappresentare metodo semplice, rapido e dalla sufficiente specificità e sensibilità per l’identificazione di quei soggetti a rischio di ricovero più lungo dovuto a SC acuto, potendoli quindi indirizzare verso percorsi assistenziali più consoni al loro quadro clinico. Questo eviterebbe il trasferimento dei pazienti da una corsia all’altra, riducendo il rischio di un eventuale errore medico (ad esempio dovuto ad errori nella mancata prescrizione di farmaci), la ripetizione di esami e garantendo al paziente un miglior percorso di cure.

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2. LO SCOMPENSO CARDIACO

2.1. DEFINIZIONE

2.1.1. DEFINIZIONE DI SCOMPENSO CARDIACO

La più autorevole definizione di SC è stata elaborata dal professor Eugene Braunwald, che l’ha descritto quale “stato fisiopatologico in cui un'anomalia della funzione cardiaca è responsabile dell'incapacità del cuore a pompare sangue in quantità adeguata alle richieste metaboliche dei tessuti e/o della sua capacità di svolgere tale funzione solo mediante un aumento delle pressioni di riempimento. La incapacità del cuore a soddisfare i fabbisogni tessutali può essere dovuta a riempimento inefficace e insufficiente e\o ad una anomala contrazione e successivo svuotamento”1.

Questa definizione è stata ripresa della European Society of Cardiology, che la riporta nelle linee guida del 2012. All’interno di queste linee guida lo SC è definito come una sindrome clinica in cui i pazienti presentano sintomi (ad es. dispnea da sforzo e affaticamento) e segni (ad es. edemi declivi, turgore giugulare, crepitii polmonari e battito apicale dislocato) risultanti da un'anomalia della struttura e/o della funzione cardiaca2.

Nella revisione del 2013 delle linee guida della ACC/AHA, lo SC viene definito come una complessa sindrome clinica dovuta ad alterazione strutturale e/o funzionale del riempimento ventricolare o della capacità di eiezione. Le manifestazioni principali sono conseguenti alla ritenzione di liquidi, che può portare a dispnea (dovuta alla congestione polmonare), all’astenia (che insieme alla dispnea può limitare la tolleranza all’esercizio fisico), ad epatomegalia (risultante dalla congestione epatica), al turgore giugulare e all’edema periferico (risultanti da congestione venosa). Nonostante le principali manifestazioni

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cliniche siano spesso legate a segni o sintomi dovuti al sovraccarico di volume, non tutti i pazienti presentano questi segni e/o sintomi, motivo per cui il termine “scompenso cardiaco” dovrebbe essere preferito a quello di “scompenso cardiaco congestizio”3.

Tabella 1. Definizione di SC (Linee guida ESC per la diagnosi e il trattamento dello

scompenso cardiaco acuto e cronico 2008, poi ripresa nelle linee guida del 2013)

Lo SC è una sindrome clinica ed i pazienti che ne sono affetti hanno le seguenti caratteristiche: • Sintomi tipici di SC (dispnea a riposo e sotto sforzo, astenia, edemi declivi).

• Segni tipici di SC (tachicardia, tachipnea, rantoli polmonari, versamento pleurico, elevata pressione giugulare, edema periferico, epatomegalia).

• Evidenza oggettiva di anomalia cardiaca, strutturale e/o funzionale, a riposo

(cardiomegalia, terzo tono cardiaco, soffi cardiaci, alterazioni all’ecocardiogramma, elevati livelli di peptidi natriuretici).

2.1.2. DEFINIZIONE DEI DIVERSI TIPI DI SCOMPENSO CARDIACO

Per definire le varie tipologie di SC, è importante considerare il fatto che sono molteplici le cause e le anomalie strutturali e funzionali che possono dar origine allo SC. La sindrome clinica dello SC può essere dovuta a patologie di tutte le componenti del cuore, quindi pericardio, miocardio, endocardio, valvole cardiache, sistema di conduzione o ad anomalie metaboliche3. Sebbene nella maggior parte dei casi la sintomatologia sia ascrivibile ad un’alterata funzione del ventricolo sinistro, si ha frequentemente una coesistenza di anomalie sia nella funzione diastolica che in quella sistolica.

La principale terminologia usata nello SC si basa sulla misurazione della Frazione di Eiezione (FE) del ventricolo sinistro.

Distinguere i pazienti in base alla FE è importante perché questo spesso implica diverse cause, comorbidità, caratteristiche anagrafiche e risposta alla terapia 4.

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La FE del ventricolo sinistro è definita come la differenza fra il volume telediastolico e telesistolico ventricolare (VTD-VTS) divisa per il volume telediastolico.

Considerando la FE, secondo la European Society of Cardiology (ESC), possiamo individuare 3 tipi di scompenso:

Ø HFrEF: si parla di “Scompenso cardiaco con ridotta frazione di eiezione” quando la FE del ventricolo sinistro è al di sotto del 40% e vi sono associati sintomi (accompagnati o meno da segni) di scompenso.

Ø HFmrEF: lo “Scompenso cardiaco con frazione di eiezione

moderatamente ridotta” è definito dalla presenza di sintomi

(accompagnati o meno da segni) di scompenso, con FE del ventricolo sinistro compresa tra il 40 e il 49%, incremento di peptidi natriuretici (BNP o NT-proBNP) e anomalie strutturali cardiache o disfunzione diastolica.

Ø HFpEF: è definito “Scompenso cardiaco con frazione di eiezione

conservata” quando sono presenti i criteri del HFmrEF, ma associati ad

una FE del ventricolo sinistro >50%5 .

La diagnosi di SC con FE conservata è più complessa, in quanto è piuttosto una diagnosi di esclusione di cause non cardiache come anemia o patologie polmonari croniche, alle quali ascrivere i sintomi dello scompenso. Studi hanno dimostrato che l’incidenza di SC con FE conservata è in aumento, e attualmente sembra ammontare a più del 50% dei casi di scompenso6,7. Spesso in questi pazienti coesistono obesità, diabete mellito, fibrillazione atriale e dislipidemia; nella popolazione generale è più frequentemente riscontrabile nelle donne8,9,

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spesso anziane e con storia di ipertensione arteriosa10, 11, che resta la principale causa di questo tipo di scompenso.

Rispetto all’HFrEF, nel HFmrEF è stata inoltre notata una maggiore prevalenza di alcune comorbidità come l’anemia, le patologie respiratorie croniche e l’insufficienza renale cronica 10.

Oltre a questa definizione, esistono altre classificazioni dello SC:

1. In base alla camera ventricolare disfunzionante, lo SC può essere distinto in Scompenso Cardiaco Sinistro e Scompenso Cardiaco Destro:

Ø Lo SC Sinistro è causato da una compromissione funzionale del ventricolo sinistro ad esempio a causa di un infarto miocardico acuto (IMA), oppure a causa di un sovraccarico pressorio dovuto a stenosi della valvola aortica; è caratterizzato da congestione del circolo polmonare che può portare allo sviluppo di edema polmonare acuto. La congestione polmonare porta ad un progressivo aumento anche delle pressioni venose sistemiche, con comparsa di sintomi simili allo SC destro.

Ø Lo SC Destro è caratterizzato da un deficit di funzione del ventricolo destro che comporta un aumento delle pressioni venose sistemiche con turgore giugulare, epatomegalia ed edemi periferici; è causato spesso da fattori che comportino un incremento del postcarico del ventricolo destro (quali stenosi della valvola tricuspide, un’ipertensione polmonare per embolia), oppure da patologie costrittive (come una pericardite costrittiva).

2. In base alla fase del ciclo cardiaco alterata, lo SC può essere distinto in Scompenso Cardiaco Sistolico e Scompenso Cardiaco Diastolico:

Ø Lo SC Sistolico è causato da una compromissione della contrazione miocardica con conseguente riduzione della FE; corrisponde allo HFrEF.

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Ø Lo SC Diastolico è causato invece da una compromissione del rilasciamento e del riempimento ventricolare ed è causato da una resistenza all’afflusso ventricolare; corrisponde allo HFpEF.

3. In base alla rapidità con cui si instaurano i sintomi, lo SC può essere distinto in Scompenso Cardiaco acuto e Scompenso Cardiaco cronico:

Ø Lo SC acuto è rappresentato dalla comparsa di segni e sintomi nell’arco di poche ore e richiede un trattamento d’urgenza o di emergenza in ambiente ospedaliero; può manifestarsi come un evento acuto ex novo (20% dei casi) o come riacutizzazione di uno SC cronico preesistente (80%)5.

Ø Lo SC cronico riguarda quei pazienti in cui la funzione cardiaca è cronicamente deficitaria e che si associa alla presenza di segni e sintomi cronici di scompenso che non si caratterizzano per un acuto peggioramento.

2.2. EPIDEMIOLOGIA

2.2.1. PREVALENZA E INCIDENZA DI SCOMPENSO CARDIACO

1. Prevalenza dello Scompenso cardiaco

Lo SC è una delle malattie croniche più comuni a livello mondiale; si stima che 23 milioni di persone ne siano affette e che di questi 5,8 milioni solo negli Stati Uniti 12,13.

La prevalenza mondiale dello SC è in aumento. La causa di questo fenomeno trova le sue radici nell’invecchiamento della popolazione, nell’aumento della sopravvivenza dopo un evento coronarico, nel miglioramento delle cure per lo

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SC che consente una maggior sopravvivenza dei pazienti e nella migliore efficacia delle misure preventive adottate per i pazienti ad alto rischio o sopravvissuti a un primo evento (prevenzione secondaria) 14,15.

In Europa sono stati svolti diversi studi per attestare la prevalenza di questa sindrome clinica. Primo tra tutti lo studio MONICA16 in cui venne scelta una popolazione di 2000 individui, di età compresa tra i 25 e i 75 anni. In questo studio, la prevalenza di sintomi ascrivibili a SC o di una FE ridotta asintomatica aumentava nettamente con l’età ed era maggiore negli uomini rispetto alle donne (4,0% vs 2,0%). Dopo lo studio MONICA, altri studi hanno riportato dati relativi alla prevalenza dello SC in Europa. In uno studio condotto in Finlandia è stata studiata una popolazione di 501 pazienti età compresa tra i 75 e gli 86 anni ed è stata riscontrata una prevalenza media dell’8,2%, di cui il 2,3% dei casi era dovuto ad una disfunzione ventricolare sinistra17; un altro studio condotto in Olanda ha preso in considerazione una popolazione di 2267 individui di età compresa tra i 55 e i 95 anni e di questi 5,5% maschi e 2,2% femmine avevano una FE inferiore al 25%18; in un ulteriore studio condotto nel Regno Unito, che ha considerato una popolazione di 817 partecipanti di età compresa tra i 70 e gli 84 anni il 7,5% aveva una disfunzione ventricolare sinistra con un tasso più elevato osservato negli uomini (12,5%)19.

Si stima che in Italia la prevalenza di tale sindrome sia pari al 2% della popolazione adulta e che questa cresca in modo esponenziale con l’età: meno dell’1% fino a 60 anni, il 2% tra i 60 e i 70 anni, il 5% tra i 70 e gli 80, fino ad arrivare a una prevalenza di oltre il 10% dopo gli 80 anni 20.

2. Incidenza dello Scompenso Cardiaco

In Europa il primo studio sull’incidenza di SC è stato condotto a Göteborg, in Svezia. In questo studio sono stati scelti 973 partecipanti che avevano tutti 50 anni al momento del reclutamento (1863); sono stati seguiti per un totale di 17

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anni con visite annuali ed i risultati hanno dimostrato un aumento dell’incidenza di SC con l’età, aumentando da 2,1 per 1000 all'età di 50 a 8,2 per 1000 all’età di 67 anni21.

Negli anni ’90 è stato svolto un altro studio nel Regno Unito 22. I casi di SC sono stati identificati tramite ricoveri d’urgenza nel distretto di Hillingdon. Su un totale di 151.000 pazienti ricoverati d’urgenza nell’arco di 20 mesi sono stati identificati 220 nuovi casi durante lo studio. Utilizzando la radiografia del torace, l’elettrocardiogramma e l’eco-cardiogramma, un gruppo di tre cardiologi è stato in grado di prendere una decisione consensuale sulla diagnosi. L'incidenza è aumentata all'interno della coorte da 0,02 / 1000 all'anno nella fascia di età da 25 a 34 anni a 11,6 / 1000 in quelli di età superiore a 85 anni. L'età media alla presentazione era di 76 anni. I risultati di questo studio erano coerenti con un altro studio basato sulla popolazione ambulatoriale dei medici di base. Utilizzando il database di medici di medicina generale nel Regno Unito, sono stati identificati un totale di 696.884 pazienti di età superiore ai 45 anni che erano nel registro nel 1991 e che erano stati precedentemente registrati nel database per almeno 12 mesi 23. L'incidenza di SC definitivo era di 9,3 / 1000 all'anno con un'età media della popolazione con SC di 77 anni. Questi dati sarebbero stati confermati da uno studio condotto in Scozia che ha dimostrato un aumento dell'incidenza di 2 su 1000 all'anno e 22 su 1000 all'anno in uomini di età superiore a 85 anni 24.

2.2.2. TRENDS E IMPATTO ECONOMICO

La stima del costo annuo complessivo dello SC a livello globale ammonta a 108 miliardi di dollari15. Lo SC costituisce il 5% di tutte le cause di ospedalizzazione in regime di urgenza , è riscontrabile nel 10% dei pazienti ospedalizzati e rappresenta circa il 2% della spesa sanitaria in Italia, sostanzialmente attribuibile ai costi dell’ospedalizzazione 25.

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In Italia i costi per i soli ricoveri ospedalieri in regime d’urgenza ammontano a quasi 550 milioni di euro l’anno; la spesa annuale per paziente è di 11.800 euro, di cui l’85% è rappresentato dai costi di ospedalizzazione26.

Negli USA si prevede un incremento della prevalenza del 25% entro il ventennio 2010-2030 che si stima possa comportare un aumento dei costi diretti e indiretti dell’assistenza fino a +215% circa; in particolare si pensa che i costi annuali passino da 24.7 a 77.7 miliardi di dollari e quelli indiretti dovuti a comorbilità e mortalità da 9.7 a 17.4 miliardi di dollari27. Poiché la prevalenza di SC cresce con

l’età e che nel 2050 un americano su 5 avrà > 65 anni28, le problematiche relative all’aumento dei costi che riguardano lo SC sono destinate ad aumentare sempre di più nel corso degli anni.

Fig. 1. Dati recensiti dal Burou Census degli Stati Uniti dai quali si evidenzia un aumento progressivo, di tipo epidemico, dello SC nella popolazione di età uguale o superiore a 65 anni 28.

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2.2.3 MORTALITA’ E OSPEDALIZZAZIONI

Lo SC, in Italia, causa circa 190 mila ricoveri l’anno. Sempre nel panorama italiano, già a partire dal 2003, l’analisi dei ricoveri ospedalieri nazionali mostra che l’ Insufficienza cardiaca e lo shock cardiogeno sono diventati la seconda causa di ricovero dopo il parto ed è noto che l’assistenza ospedaliera assorbe la grande maggioranza delle risorse impiegate in questi pazienti29. Nei soggetti di

età superiore ai 65 anni, l’insufficienza cardiaca rappresenta invece la principale causa di ricovero.

L’aggravamento dello SC cronico rappresenta la forma più comune di SC che richiede l’ospedalizzazione30; la percentuale di pazienti con un secondo ricovero risulta molto elevata, specialmente tra i pazienti anziani, oscillando dal 10 al 50% entro 3-6 mesi e 57% dopo un anno da una prima dimissione31,32. Il tasso medio di riospedalizzazione è del 38,1%33. In accordo con la casistica europea, la durata media di ospedalizzazione per SC acuto in Italia è di 9 giorni, mentre il tasso di mortalità durante il ricovero risulta del 7,3%. A 6 mesi dalla dimissione, la mortalità globale è del 12,8% per arrivare al 50% entro i 4 anni. Lo SC è dunque gravato da un’elevata mortalità, direttamente proporzionale al grado di compromissione del paziente dal punto di vista funzionale, valutabile attraverso il calcolo della classe funzionale NYHA.

Tabella 2. Classificazione NYHA dello SC (linee guida ESC, 2012)

Classe I : Nessuna limitazione: l’attività fisica abituale non provoca astenia, dispnea, né palpitazioni.

Classe II : Lieve limitazione dell’attività fisica: benessere a riposo, ma l’attività fisica abituale provoca affaticamento, dispnea, palpitazioni o angina.

Classe III : Grave limitazione dell’attività fisica: benessere a riposo, ma attività fisiche di entità inferiore a quelle abituali provocano sintomi.

Classe IV : Incapacità a svolgere qualsiasi attività senza disturbi: sintomi di scompenso sono presenti anche a riposo, con aumento dei disturbi ad ogni minima attività.

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Parte di questa mortalità è legata a deficit di pompa e parte a morte improvvisa aritmica34,35.

Nonostante questi dati forniscano un quadro molto preoccupante, la mortalità per SC è in diminuzione, come dimostrato da diversi studi recenti. Lo studio MADIT II36, condotto in pazienti con cardiopatia ischemica postinfartuale e FE ≤ 30%, ha rilevato una mortalità annua di circa il 10%. Analogamente il recente studio DEFINITE37, eseguito in pazienti con cardiomiopatia dilatativa non ischemica e FE ≤ 35%, riporta una mortalità annua del 7% (15% in classe NYHA III). Infine lo studio SCD-HeFT, condotto in un’ ampia popolazione di soggetti con scompenso di origine ischemica e non ischemica, ha riscontrato una mortalità annua del 7%38.

Il rischio di mortalità sembra differire tra le due forme principali di SC, attestandosi su percentuali maggiori nei pazienti affetti da HFrEF rispetto ai pazienti con HFpEF9,39,40. Mentre nello HFpEF le cause di morte sono prevalentemente di tipo non cardiovascolare, nello HFrEF sono cause per lo più di tipo cardiovascolare40,41.

(19)

2.3. FISIOPATOLOGIA

Quando il cuore non è più in grado di pompare sangue in quantità sufficiente al fabbisogno di ossigeno dell’organismo, parliamo di SC. L’incapacità del cuore di soddisfare i fabbisogni metabolici tissutali può essere dovuta a un insufficiente riempimento oppure a una contrazione inefficiente, a cui segue uno svuotamento incompleto.

Sebbene le manifestazioni cliniche finali dello SC siano pressoché sempre le stesse, le patologie che comportano lo sviluppo della malattia sono numerose. Le principali sono la cardiopatia ischemica, l’ipertensione arteriosa e il diabete. La cardiopatia ischemica rappresenta in assoluto l’eziologia più frequente dello SC, essendo la causa scatenante nel 70% circa dei casi. Inoltre 3/4 dei pazienti affetti da SC hanno un’ipertensione preesistente, rappresentando quest’ultima un fattore di rischio che raddoppia da sola la probabilità di sviluppo di SC rispetto ai pazienti normotesi. Eziologie meno comuni sono, in ordine di prevalenza decrescente: le cardiomiopatie, le malattie infettive (miocarditi virali, malattia di Chagas), l’esposizione a sostanze cardiotossiche (alcool, alcuni farmaci), le patologie valvolari e le aritmie prolungate 42.

(20)

Tabella 3. Cause più frequenti di SC dovuto a disordini del muscolo cardiaco30.

Eziologia Fattori patogenetici

Malattia coronarica Molteplici, principalmente secondari

all’ipossia tissutale

Ipertensione Spesso associata ad ipertrofia ventricolare,

alterato rilasciamento da incrementata rigidità parietale del ventricolo sinistro con FE conservata

Cardiomiopatie Mutazioni genetiche (Forme

familiari/genetiche come ad esempio la

cardiomiopatia pertrofica, dilatativa, restrittiva, aritmogena del ventricolo destro, non

classificata) o non familiari/non genetiche (incluse quelle acquisite come la miocardite)

Farmaci/Tossine Compromissione della funzione contrattile o

della struttura dei miocardiociti (come ad esempio in seguito ad esposizione ad agenti citotossici, alcool e minerali tossici quali mercurio, cobalto, arsenico)

Endocrina Alterato metabolismo miocardico,

gluco-/lipo-tossicità come nel caso di diabete mellito, ipo/ipertiroidismo, sindrome di Cushing, insufficienza surrenalica, ipersecrezione dell’ormone della crescita, feocromocitoma

Nutrizionale Carenza di tiamina, selenio, carnitina. Obesità,

cachessia

Infiltrativa Spesso dovuto ad alterato rilasciamento come

nel caso di sarcoidosi, amiloidosi,

emocromatosi, malattia del tessuto connettivo

Altro Malattia di Chagas, infezione da HIV,

cardiomiopatia peripartum, insufficienza renale terminale

Sebbene questi eventi possano danneggiare la muscolatura cardiaca ostacolando la normale contrazione del cuore, in molti casi i pazienti rimangono asintomatici per tempi abbastanza lunghi. Questo può essere spiegato dal fatto che al peggiorare della funzione circolatoria e dunque dello SC stesso, entrano in gioco numerosi meccanismi di compenso. Questi hanno lo scopo di mantenere la portata cardiaca su valori normali, sebbene il beneficio sia solo momentaneo. Infatti, gli stessi meccanismi messi in atto per mantenere un buon compenso cardiocircolatorio possono, a lungo termine e nelle fasi della loro massima

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attivazione, influire negativamente sulla funzione e sulla struttura ventricolare, causandone, alla lunga, un ulteriore peggioramento.

I principali meccanismi di compenso si dividono in due grandi categorie: il rimodellamento cardiaco e i meccanismi neuroendocrini. Questi ultimi sono rappresentati dall’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS), dall’aumento del tono del sistema nervoso simpatico (SNS) e dall’aumentata produzione di peptidi natriuretici (PN) e di prostaglandine.

2.3.1. RIMODELLAMENTO CARDIACO

Il rimodellamento è definito come l’insieme di modificazioni che si verificano a carico della morfologia, della struttura e della funzione cardiaca, in condizioni di insufficienza cardiaca persistente nel tempo. Lo sforzo di parete aumentato rappresenta il primum movens per indurre un’alterata attivazione di canali ionici, la quale comporta un’alterazione dei segnali intra-cellulari e la possibile attivazione di geni normalmente silenziati. A questo punto si realizzano diverse risposte compensatorie come l’ipertrofia cellulare, l’aumento dell’apoptosi e la fibrosi interstiziale. L'ipertrofia miocitaria è dimostrabile microscopicamente, con un aumento fino al 70% del volume cellulare43. Le fasi iniziali dell’ipertrofia miocardica possono causare cambiamenti nella geometria ventricolare sinistra ben distinti a seconda che si verifichi un’ipertrofia concentrica o eccentrica. La preponderanza di una o dell’altra alterazione può dipendere dal tipo di stress cui è sottoposto il miocardio: in caso di sovraccarico di volume si verificherà un’ipertrofia eccentrica e il cuore assumerà una morfologia maggiormente sferica con parete assottigliata44e dilatazione delle cavità cardiache45; quando è presente sovraccarico pressorio sarà più frequentemente presente un’ipertrofia concentrica, con pareti cardiache ispessite e massa cardiaca aumentata46. Queste differenze di

solito sono riscontrabili nelle prime fasi del rimodellamento per poi essere più sfumate nelle fasi più avanzate di malattia. Le conseguenze del rimodellamento

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ventricolare sono deleterie: esso determina aumento dello stress parietale con conseguente incremento delle richieste metaboliche non supportate da neoangiogenesi, per cui si realizza una situazione di ischemia subendocardica cronica. L’ipertrofia si accompagna a un aumento del rischio di aritmie che, in determinate circostanze, sono associate ad un aumentato rischio di morte cardiaca improvvisa 47,48. Inoltre, la dilatazione non è necessariamente in grado di

ripristinare un’adeguata gittata sistolica: si può avere superamento del meccanismo adattivo espresso dalla legge di Frank Starling. Secondo questo principio, il cuore, entro certi limiti, è in grado di espellere lo stesso volume di sangue che riceve grazie all’allungamento delle fibre muscolari e il conseguente aumento della forza contrattile. Nella fase di scompenso il meccanismo di Starling è però inefficace e l’aumento della pressione telediastolica determina stasi polmonare ed aumento dello stress parietale.

2.3.2. ATTIVAZIONE DEI SISTEMI NEURORMONALI

Come per il rimodellamento cardiaco, anche l’attivazione di meccanismi neurormonali ha lo scopo di compensare le alterazioni emodinamiche a livello dei tessuti periferici, imputabile alla riduzione della gittata cardiaca. Ciò comporta attivazione dei barocettori presenti a livello del ventricolo sinistro, del seno carotideo e dell’arco aortico, oltre all’iperproduzione di renina a livello della zona iuxtaglomerulare renale al fine di indurre vasocostrizione periferica e ridistribuzione del flusso ematico, capace di mantenere un’adeguata pressione di perfusione tissutale ad organi considerati vitali quali il cuore stesso, il rene e il cervello. I principali sistemi di controllo dell’omeostasi vascolare che vengono ad attivarsi in queste condizioni sono:

1. Sistema Nervoso Simpatico

Il rilascio di adrenalina e di noradrenalina causa un’accelerazione della frequenza cardiaca (effetto cronotropo positivo), un aumento della

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contrattilità cardiaca (effetto inotropo positivo), un rilassamento cardiaco accelerato (effetto lusitropo positivo), associati a un aumento delle resistenze vascolari. Questi effetti mirano ad aumentare le prestazioni cardiache e sostenere un’adeguata pressione di perfusione degli organi periferici. Viceversa, il sistema nervoso parasimpatico (colinergico), rallenta la frequenza cardiaca (bradicardia) attraverso impulsi nervosi vagali, con un effetto minimo o nullo sulla contrattilità49,50. Pertanto, mentre la frequenza cardiaca può essere controllata (in modo opposto) da entrambi i rami autonomici, la contrazione ed il rilassamento cardiaci sono controllati pressoché esclusivamente dal sistema nervoso simpatico (SNS). Sebbene l’ipertono simpatico, nel breve termine, possa avere effetti positivi consentendo di mantenere un’adeguata pressione di perfusione tissutale, nel lungo termine ha effetti negativi a livello dei miocardiociti, favorendo la produzione di specie reattive dell’ossigeno, alterando il metabolismo cellulare e inducendo espressione di citochine pro-infiammatorie. Ciò può esitare dell’apoptosi dei miocardiociti51. Inoltre, con l’aumento delle resistenze vascolari, si verificherà un aumento del post-carico, con conseguente incremento del lavoro richiesto al ventricolo sinistro per mantenere un’adeguata gittata sistolica.

2. Il sistema renina-angiotensina-aldosterone

Il sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS) consiste in una complessa cascata enzimatico-proteica che, attraverso la generazione di mediatori cellulari, svolge un ruolo fondamentale nel controllo dell’ omeostasi idrosalina, della pressione arteriosa, della crescita cellulare e della fibrosi tissutale52,53. La principale sede di produzione della renina è localizzata nelle cellule dell’apparato iuxtaglomerulare renale; fisiologicamente la renina è liberata in seguito alla diminuzione dei livelli di sodio nella pre-urina e alla ridotta pressione di perfusione renale attribuibile al decremento della portata cardiaca tipica dello scompenso. La renina svolge

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l’azione di scindere l’angiotensinogeno prodotto dal fegato liberando angiotensina I, la quale a sua volta è scissa ad opera dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE) in angiotensina II. Proprio quest’ultima è responsabile: a) della vasocostrizione a causa della sua azione sui recettori AT1; b) della secrezione di ormone antidiuretico (ADH) attraverso la stimolazione del sistema nervoso centrale (SNC); c) dell’iperattivazione del sistema nervoso simpatico e infine d) dell’aumento del rilascio di aldosterone da parte del surrene. Ma l’angiotensina II ha anche azione a livello renale dove, attraverso la sua azione emodinamica, determina vasocostrizione prevalentemente a carico dell’arteriola efferente con conseguente aumento della frazione di filtrazione52,53. La progressiva attivazione del RAAS nel corso di SC contribuisce a compensare, almeno inizialmente, la riduzione della pressione di perfusione renale dovuta alla ridotta gittata cardiaca. Allo stesso tempo, però, questo meccanismo contribuisce alla progressione della storia naturale dello SC, sia attraverso effetti emodinamici, sia attraverso effetti sfavorevoli su cardiomiociti e vasi. Il ruolo negativo esercitato dall’attivazione del RAAS è dovuto non solamente alla vasocostrizione periferica ed alla ritenzione idrosalina, ma anche al rimodellamento cardiaco (ampiamente studiato negli ultimi anni), causato dall’effetto pro-fibrotico dell’aldosterone. Pertanto, l’attivazione del RAAS svolge un ruolo chiave nella progressione e nello sviluppo dell’insufficienza cardiaca congestizia e il trattamento farmacologico attuale nella malattia è incentrato sull’inibizione dell’iperattivazione del sistema renina-angiotensina sistemico e tissutale54,55.

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Fig. 3. Meccanismi neurormonali alla base del compenso ma anche progressivo

peggioramento dello SC. Il rilascio di ADH e l’attivazione del sistema simpatico e del sistema RAAS sono fattori negativi che peggiorano la condizione di scompenso; altro piatto della bilancia è invece rappresentato da quei meccanismi (sempre neuro-ormonali) che hanno un ruolo protettivo.

3. I Peptidi Natriuretici

Nel 1981 Bold e i suoi collaboratori isolarono dagli estratti di atri del ratto un peptide con attività natriuretica e miorilassante: fu chiamato peptide natriuretico atriale (ANP). In seguito, furono isolati il brain natriuretic peptide (BNP), e il peptide natriuretico tipo C (CNP). I PN presentano tutti la stessa conformazione strutturale con una catena peptidica, caratterizzata da un anello chiuso da un ponte cisteinico. La sequenza aminoacidica di questo anello è molto simile nei diversi ormoni natriuretici e risulta conservata nelle diverse specie animali, poiché è proprio questa porzione della molecola che si lega ai recettori specifici56. La secrezione dei PN dipende da diversi stimoli. L’ANP è prodotto principalmente dai miocardiociti atriali, ma, in condizioni patologiche quali la disfunzione ventricolare sinistra, può essere prodotto dai miocardiociti ventricolari tramite meccanismo di aumento di tensione della parete del ventricolo sinistro. Il BNP è invece prodotto dai

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miocardiociti del ventricolo sinistro sia in condizioni fisiologiche che in condizioni patologiche57. La secrezione del CNP viene stimolata da una serie di fattori di origine “vascolare” come: IL-1, TNF-β, trombina e lipopolisaccaradi. Il CNP, diversamente dai primi due peptidi, non viene prodotto dal cuore ma in caso di SC la sua concentrazione a livello cardiaco aumenta.

Tabella 4. Principali caratteristiche degli ormoni natriuretici: ANP, BNP, CNP.

ANP BNP CNP

Sito di sintesi -Cellule cardiache atriali +++; -Cellule ventricolari ++; -Neuroni centrali e periferici -Cellule ventricolari ++++ -Endotelio vascolare; -Sistema nervoso centrale; -Rene Fattori che causano il rilascio -Dilatazione atriale; -Espansione liquidi extracellulari; -SC; -Iperaldosteronismo primitivo

-Espansione volumetrica -Non chiaro

Azioni -Natriuresi;

-Diuresi; -Dminuzione della pressione arteriosa (vasodilatazione)

-Come ANP -Vasodilatazione; - Minori effetti

natriuretici e diuretici

Usi -Marcatore diagnostico e prognostico di SC

-Marcatore diagnostico e prognostico di SC

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Ø ANP E BNP: L’ANP e il BNP esercitano azioni simili a livello di vari organi ed apparati. A livello renale inducono natriuresi e diuresi attraverso l’inibizione del riassorbimento di sodio e l’incremento della filtrazione glomerulare58. Il rilassamento della muscolatura liscia vasale indotto da questi peptidi, causa dilatazione arteriosa e venosa con conseguente riduzione della pressione arteriosa e del precarico59. ANP e BNP

esercitano un’inibizione del sistema simpatico sia a livello centrale che periferico60,61 e sono in grado di inibire il RAAS. Questi peptidi, inoltre,

sembrano svolgere anche un importante ruolo nel rimodellamento cardiovascolare, nel mantenimento dell’omeostasi volumetrica62 e in risposta all’ischemia63.

Grazie alle attuali conoscenze si può dire che i livelli di BNP tendono ad aumentare con il progredire dell’età e che questa elevazione possa rappresentare l’effetto di una ridotta attività biologica del BNP stesso. Per quanto riguarda il rapporto tra l’aumento di questi peptidi e lo SC, alcuni studi hanno aperto la possibilità all’utilizzo di questi peptidi come marcatori non solo diagnostici, ma anche prognostici. Un ruolo di primo piano è stato attribuito soprattutto al BNP che, essendo prodotto prevalentemente a livello ventricolare, ha un’importante accuratezza nel distinguere una dispnea acuta da causa cardiaca e non cardiaca. Infatti, il BNP ha una migliore accuratezza nel riflettere alterazioni della funzione ventricolare sinistra rispetto all’ANP e al frammento N-terminale del peptide natriuretico atriale (NT-ANP)64. Il rilascio di BNP da parte del ventricolo è direttamente proporzionale al grado di espansione volumetrica ventricolare e al sovraccarico pressorio65, per cui numerosi

studi si sono basati sull’ipotesi che i livelli plasmatici di BNP potessero essere un marker di disfunzione ventricolare. Il BNP non correla soltanto con la presenza di SC, ma anche con la sua gravità, in quanto i valori aumentano in modo direttamente proporzionale al grado della classificazione funzionale NYHA66. Tutto ciò è da ritenersi valido anche

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per l’NT-proBNP67, il quale rappresenta il frammento amino terminale inattivo del BNP. In particolare l’NT-proBNP consente di escludere la presenza di SC nel caso in cui si riscontrino valori normali sia di questo marcatore che del BNP; al contrario, in caso di rilevazione di valori di BNP nella norma, ma presenza di valori elevati di NT-proBNP, si rende utile procedere con ulteriori indagini diagnostiche, quali l’ecocardiografia. Indipendentemente dalle situazioni acute, è stato poi dimostrato come i PN possano avere un ruolo particolarmente rilevante nella pratica clinica quotidiana. Il BNP, infatti, è stato proposto come marker prognostico per individuare i pazienti a rischio di sviluppare SC (diabete mellito, recente infarto miocardico, stadio terminale di insufficienza renale, chemioterapia con antracicline), per ottimizzare la terapia e per evitare la progressione della malattia.

Uno dei problemi principali dei pazienti affetti da SC riguarda i frequenti ricoveri ospedalieri per episodi di riacutizzazione, da cui consegue la necessità di disporre di indicatori che possano definire i pazienti a più alto rischio di ricaduta. Si è visto come i pazienti che presentano significative riduzioni dei valori di BNP durante il ricovero o prima della dimissione possano avere un andamento prognostico migliore con riduzione del tasso di re-ospedalizzazione e della mortalità a sei mesi, rispetto a quelli in cui i valori aumentano o rimangono stazionari68. Inoltre, in pazienti con SC e bassa FE (≤ 35%), dopo analisi di una serie di variabili neuro-ormonali, cliniche e emodinamiche, i valori di BNP si sono dimostrati il solo forte predittore indipendente di morte improvvisa69.

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Tabella 5. Condizioni in cui si verifica un aumento dei livelli plasmatici di BNP .

• Invecchiamento (specie sesso femminile) • Scompenso cardiaco

• Disfunzione ventricolare (dx e sin) • Infarto miocardico acuto

• Ipertensione arteriosa con cardiomiopatia • Cardiomiopatie primitive

• Cardiopatie congenite

• Displasia aritmogena ventricolo sin • Fibrillazione atriale

• Ipertensione polmonare primitiva • Cuore polmonare cronico

• Embolia polmonare • BPCO

• Attacchi ischemici transitori • Ictus ischemico

• Emorragia subaracnoidea

• Insufficienza renale, acuta e cronica • Cirrosi epatica con ascite

• Ipertiroidismo • S. di Cushing

• Iperaldosteronismi (primitivi e secondari) • Diabete mellito

• Obesità

Ø CNP: questo peptide, a differenza dei precedenti, è prodotto solo in misura minore dal miocardio ed è invece rilasciato quasi interamente dall’endotelio vascolare. Il CNP non ha effetti endocrini, ma agisce localmente in modo paracrino e autocrino. Le sue azioni perciò si esplicano soprattutto a livello vascolare, dove agisce come vasodilatatore e inibitore della proliferazione delle cellule della parete vasale70. Come per il BNP e l’ANP, anche per il CNP è possibile riconoscere un frammento ammino-terminale, ovvero l’NT-proCNP. È stato osservato un aumento dei livelli plasmatici sia del precursore NT-proCNP che del CNP nei soggetti con SC rispetto ai controlli71. Il CNP nello SC sembra svolgere un’azione anti-fibrotica e anti-ipertrofica maggiori rispetto all’ANP ed al BNP72. L’aumento della secrezione di CNP sembra inoltre essere in relazione con la severità della patologia (classe NYHA); è stato infatti osservato un progressivo incremento dei livelli di CNP durante il

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peggioramento dei sintomi dello SC, in associazione con la progressiva diminuzione della FE.

2.4. PRESENTAZIONE CLINICA

I sintomi e i segni dello SC sono riconducibili al sovraccarico di fluidi, alla congestione polmonare e periferica o all’ipoperfusione periferica dovuta a una riduzione della gittata cardiaca. I pazienti con SC presentano perciò i seguenti sintomi e segni:

Ø Dispnea (a riposo o sotto sforzo)

Ø Ortopnea/Dispnea parossistica notturna Ø Affaticabilità

Ø Congestione polmonare Ø Crepitii polmonari Ø Edemi declivi

Ø Turgore giugulare/Epatomegalia Ø Edema polmonare acuto

Ø Segni di cardiomegalia

Sulla base di questi sintomi e segni, sono stati proposti criteri maggiori e minori per la diagnosi di SC, come riportato in tabella 6.

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Tabella 6. Criteri di Framingham per la diagnosi di SC

Le anomalie cardiache asintomatiche, siano esse funzionali o strutturali, sono considerate precursori dello SC sintomatico16,73.

In questi pazienti, inoltre, la disabilità (cioè la dipendenza per attività quotidiane come camminare, alimentarsi, vestirsi, lavarsi, ecc.) è il principale determinante del consumo di risorse sanitarie e sociali, nonché della riduzione della qualità di vita74,75. In Italia, in anziani ricoverati in divisioni per acuti è stata rilevata disabilità nel 29% dei soggetti con SC76.

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2.4.1. SINTOMI

1. Dispnea

Questo rappresenta il sintomo principale di SC. All’inizio si manifesta solo per sforzi intensi, poi, con il progredire della malattia, per sforzi di minore entità ed infine, nelle fasi avanzate della malattia e durante l’episodio acuto, si presenta anche a riposo. L’elemento che contribuisce maggiormente all’alterazione della fisiologia polmonare nel corso di SC e che comporta l’insorgenza della dispnea è la congestione venosa, che provoca un aumento del volume ematico polmonare a spese della capacità vitale. Il polmone perciò diventa più rigido e la muscolatura compie un lavoro maggiore per mobilizzare l’aria. Ciò si traduce in una diminuzione della compliance polmonare che comporterà variazioni di pressione idrostatica maggiori per ottenere gradi simili di espansione del parenchima. Quando nei capillari polmonari la pressione idrostatica supera la pressione oncotica si viene a formare un trasudato all’interno degli spazi interstiziali con ulteriore riduzione della compliance e compromissione degli scambi gassosi a livello della membrana alveolo-capillare.

La dispnea nello SC è un sintomo talmente importante da aver portato all’elaborazione di una scala clinica di gravità della malattia basata su questo sintomo: la New York Heart Association (NYHA) nel 1964. Secondo questa classificazione dello scompenso, vengono individuate quattro classi a seconda della sintomatologia del paziente (Tab. 2 - pag.17). I sintomi presi in considerazione sono essenzialmente rappresentati dalla dispnea e dall’eccessivo affaticamento. È una classificazione di tipo anamnestico e basata sull’interpretazione soggettiva, da parte di un medico, di quanto riferito e, in maniera altrettanto soggettiva, di quanto percepito dal paziente.

Accanto a questa classificazione, negli ultimi anni l’American College of Cardiology Foundation/American Heart Association (ACCF/AHA) ha elaborato

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un ulteriore classificazione di gravità della malattia, che si basa non solo sui sintomi ma anche sulle alterazioni strutturali (tabella 7).

Tabella 7: Classificazione ACCF/AHA dello SC77.

Stadio A : rischio di sviluppare insufficienza cardiaca. Non sono presenti alterazioni strutturali o funzionali del miocardio. Assenza di sintomi.

Stadio B : cardiopatia strutturale con probabilità di sviluppare insufficienza cardiaca (ad esempio ipertrofia ventricolare, cardiopatia dilatativa, esiti di infarto del miocardio), in assenza di segni e sintomi clinici.

Stadio C : insufficienza cardiaca sintomatica associata a cardiopatia strutturale sottostante.

Stadio D : cardiopatia strutturale avanzata con sintomatologia severa e refrattaria alla terapia medica massimale3.

La stadiazione dei pazienti secondo l’ACC/AHA si basa su di una valutazione non sono qualitativa, ma anche quantitativa. Presenta però una limitazione non trascurabile, ovvero l’impossibilità di esecuzione in assenza di indagini strumentali, prima tra tutte l’ecocardiografia.

2. Ortopnea

E’ definita come una dispnea che insorge in posizione supina e che va incontro a un miglioramento con il sollevamento del tronco. Questa caratteristica è dovuta al fatto che in posizione supina viene facilitato il ritorno di sangue dalle zone periferiche del corpo al torace, in quanto il flusso venoso non incontra più la resistenza della forza di gravità. Inoltre, durante la posizione supina prolungata vengono riassorbiti i liquidi sconfinati nel terzo spazio, che rientrano nel compartimento vascolare. In seguito a questi eventi ed in presenza di un deficit di contrazione o riempimento del ventricolo sinistro che non riesce ad aumentare la gittata cardiaco a fronte di un aumentato ritorno venoso, il sangue si accumula a

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monte con conseguente aumento della pressione venosa polmonare, causando edema interstiziale, ridotta compliance polmonare e, di conseguenza, ortopnea. Esiste anche la dispnea parossistica notturna, di gravità superiore all’ortopnea. Si verifica per meccanismi simili all’ortopnea prevalentemente nel corso delle ore notturne.

3. Affaticabilità

Quando gli organi periferici ricevono meno ossigeno, hanno difficoltà a svolgere le proprie funzioni. Il ridotto apporto di sangue ai muscoli scheletrici (gambe e braccia) porta a rapido esaurimento energetico e della forza contrattile, con rapido sviluppo di astenia e incapacità della persona di compiere le abituali attività fisiche.

4. Edema polmonare acuto

Questo rappresenta la presentazione clinica più comune dello SC acuto e può esordire de novo (per esempio in seguito ad IMA esteso), oppure costituire una delle possibili evoluzioni dello SC cronico. Quando si verifica in seguito allo SC cronico, esso è imputabile ad una condizione di estrema insufficienza di pompa che porta a shock cardiogeno e conseguente edema polmonare. Il meccanismo fisiopatologico è basato su un rapido aumento della pressione venosa polmonare, la quale eccede le capacità di riassorbimento del liquido in eccesso da parte dei vasi sanguigni e linfatici. A causa della velocità con cui si sviluppa, i meccanismi di compenso vengono meno. Il liquido trasudato dai capillari alle vene polmonari va a riversarsi negli alveoli, impendendo i normali scambi gassosi e provocando una grave ipossiemia.

Tra gli altri sintomi è possibile che si presentino palpitazioni, senso di pesantezza a livello toracico (occasionalmente), oliguria e nicturia. In particolare, le palpitazioni sono attribuibili alla presenza di aritmie cardiache tra cui

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sintomatologia tra cui il rimodellamento del muscolo cardiaco e le alterazioni della struttura cardiaca e del funzionamento del sistema neuroendocrino. Raramente le palpitazioni possono essere scatenate dai farmaci assunti per la terapia dello SC.

2.4.2. SEGNI

1. Edemi declivi

Le alterazioni ormonali associate all’insufficienza cardiaca riducono la capacità di eliminare liquidi che, in eccesso, ristagnano in periferia, provocando congestione venosa e la formazione di edemi a livello delle zone declivi del corpo. L’edema è presente anche a livello polmonare e responsabile delle difficoltà respiratorie suddette.

2. Turgore giugulare, epatomegalia e reflusso epato-giugulare

Il turgore giugulare è espressione di un'aumentata pressione venosa centrale (PVC) che si ripercuote in atrio destro, la cui pressione intracavitaria può raggiungere i 15-20 mmHg dai 2 mmHg fisiologici. L’aumento della PVC può inoltre causare dilatazione dei vasi venosi che sfociano direttamente in atrio destro, quali la vena cava superiore e le vene giugulari e ristagno di sangue a livello del fegato con progressiva epatomegalia. Questo potrà essere evidenziato tramite la manovra di reflusso epato-giugulare che consiste nell’esercitare una pressione a livello epatico in modo da stimolare il sangue presente nel fegato a ritornare in atrio destro. Ciò genera un’onda di polso che viene trasmessa direttamente a livello giugulare, dove verrà valutata l’eventuale positività della manovra sulla base dell’aumento del turgore di questa vena. Per indagare il distretto giugulare è importante effettuare l’ispezione con il paziente con il capo inclinato sullo sterno a 45°, considerando che il limite superiore del turgore delle giugulare non supera i 4 cm di diametro e che esso corrisponde ad una PVC di 10 mmHg. Altrettanto importante segno da indagare a questo livello è il segno di

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Kussmaul: esso consiste nell’osservazione nei pazienti scompensati di un aumento della PVC in ispirazione. Fisiologicamente la PVC cala durante l’ispirazione in quanto la diminuzione della pressione intratoracica permette un più rapido afflusso di sangue venoso ai polmoni.

3. Crepitii polmonari

I crepitii polmonari sono caratteristici dell'insufficienza cardiaca. Essi derivano dalla trasudazione di liquido negli alveoli e nei bronchioli e sono solitamente auscultabili a livello delle basi polmonari.

4. Segni di cardiomegalia

La cardiomegalia è spesso presente nei pazienti con SC. I segni attribuibili a tale alterazione sono i toni aggiunti, i quali, insieme ai toni fisiologici determinati dalla chiusura delle valvole cardiache, vanno a costituire i cosiddetti ritmi di galoppo. Frequentemente si sviluppa il III tono, il quale esprime l’alterata compliance parietale provocata dalla dilatazione delle camere cardiache ed è auscultabile subito dopo il II tono. Corrisponde alla fine del riempimento rapido del ventricolo ed è prodotto dalla vibrazione dell’apparato valvolare mitralico e tricuspidale a causa della brusca decelerazione del flusso sanguigno all’interno dei ventricoli. È apprezzabile meglio alla punta o mesocardio con il paziente in decubito laterale sinistro. Il quarto tono (S4) è meno frequente, ma patognomonico di un alterato riempimento telediastolico. Anche in questo caso è dovuto a un'alterata compliance parietale, la quale è però determinata da un aumento della rigidità parietale che rende necessario il contributo atriale al riempimento ventricolare. È possibile perciò ritrovare la presenza del III tono nelle patologie cardiache che esitano in una dilatazione ventricolare, mentre il IV tono è più frequentemente auscultabile in patologie che causano un irrigidimento parietale come nelle cardiomiopatie restrittive.

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2.5. DIAGNOSI DI SCOMPENSO CARDIACO

Nel 1933, nel suo manuale delle malattie cardiache, Sir Thomas Lewis scrisse che “L’essenza profonda della medicina cardiovascolare sta nell’identificare i primi segni di scompenso cardiaco”78.

La diagnosi nelle fasi iniziali è molto complessa, ma anche durante la fase conclamata, può essere complicata dall’aspecificità dei sintomi, anche quando molto evidenti. Per questo, per una corretta diagnosi differenziale, è fondamentale considerare altre condizioni patologiche che possano determinare la stessa presentazione clinica, in particolare le patologie polmonari. Una buona anamnesi è in grado già da sola di evidenziare eventuali patologie cardiache pregresse che giustifichino la diagnosi di SC.

Per quanto riguarda l’esame obiettivo, esso si rileva particolarmente utile nei casi di SC acuto: edemi periferici, crepitii o rantoli polmonari, sono segni classici di edema polmonare acuto; altri segni che possono essere presenti comprendono reperti auscultatori quali la presenza del III o (in misura minore) del IV tono cardiaco, soffi dovuti a insufficienza valvolare ed epatomegalia.

Soprattutto quando si considera lo SC cronico ci troviamo spesso di fronte a una scarsa correlazione tra i sintomi e la severità della disfunzione cardiaca. A tal proposito è fondamentale basare la diagnosi sull’ ausilio di esami strumentali che ci consentono di avere una conferma del sospetto clinico.

L’ECG è di primaria importanza per fornire informazioni sull’attività elettrica del cuore e sull’eventuale presenza di ischemia o di sovraccarico sinistro/destro; sebbene le alterazioni elettrocardiografiche spesso riscontrate nello SC siano scarsamente specifiche, un ECG normale rende la diagnosi di SC altamente improbabile, soprattutto per quello da disfunzione sistolica (10%).

L’ecocardiografia dà informazioni sull’anatomia e sulla meccanica cardiaca evidenziando eventuali anomalie di contrazione (sistoliche) o di rilasciamento

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(diastoliche) ed eventuali indici di rimodellamento quali ispessimento o assottigliamento parietale. Con l’ecocardiografia viene misurata la FE e dunque consente di distinguere i pazienti con conservata o ridotta FE. Inoltre, dall’analisi della morfologia e della fase di contrazione ventricolare è possibile risalire alle cause più probabili che hanno determinato lo SC.

La radiografia del torace è utile più che nello scompenso cronico, in cui comunque può escludere una patologia polmonare, nello scompenso acuto per evidenziare segni di edema polmonare, identificando reperti quali la presenza di congestione ilare, l’inversione del flusso verso le porzioni più apicali del parenchima polmonare, l’accentuazione del broncogramma e la presenza delle strie di Kerley.

Fig. 4. Algoritmo per la diagnosi di SC con determinazione dei livelli dei PN nei pazienti non trattati, che presentano sintomi suggestivi di SC. NT-proBNP = porzione N-terminale del proBNP; BNP = peptide natriuretico di tipo B. Linee guida ESC 2008 per la diagnosi e

il trattamento dello scompenso cardiaco.

I reperti ottenuti dalla diagnostica strumentale devono essere accompagnati dagli esami di laboratorio che evidenzieranno l’attivazione dei vari sistemi preposti al mantenimento dell’omeostasi cardiovascolare nel corso dello SC: si andranno quindi ad indagare eventuali alterazioni elettrolitiche dovute alla ritenzione

Esame clinico, RX torace, ECG, Ecocardio Pep6di natriure6ci BNP<100 pg/ml NT-proBNP>400 pg/ ml BNP 100-400 pg/ml NT-proBNP 400-2000 pg/ml BNP>400 pg/ml NT-proBNP>2000 pg/ ml SC cronico

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(eGFR, creatininemia) e l’iperproduzione di BNP/pro-BNP. Come precedentemente detto, queste alterazioni, soprattutto nei PN, non solo potranno confermare la diagnosi, ma potrebbero anche dare anche importanti informazioni prognostiche.

2.6. COMUNI MARCATORI UTILIZZATI PER LA STRATIFICAZIONE PROGNOSTICA

Sebbene da una parte i diversi biomarcatori abbiano un significato fisiopatologico, essi rivestono un importante ruolo diagnostico ed informano anche sull’efficacia della terapia e sulla prognosi79,80. I marcatori comunemente utilizzati nella stratificazione prognostica comprendono marcatori cardio-specifici e marcatori cardio-acardio-specifici.

2.6.1. RUOLO PROGNOSTICO DEI MARCATORI CARDIO-SPECIFICI

1. Ruolo dei peptidi natriuretici

Fra i numerosi biomarcatori che hanno dimostrato un significato prognostico nello SC, i PN hanno assunto un ruolo clinico di primo piano, anche per la semplicità ed economicità della loro determinazione. In particolare i PN di tipo B (BNP e NT-proBNP), sono senza dubbio le molecole meglio studiate e validate, avvicinandosi maggiormente alle caratteristiche del biomarcatore ideale81,56. Esistono diverse evidenze a supporto del loro impiego nei procedimenti diagnostici e di valutazione prognostica, oltre che nel disporre un’ospedalizzazione o una dimissione e nell’identificare i pazienti a rischio di eventi clinici. I PN possono infatti rivelarsi utili ai fini della valutazione prognostica prima della dimissione ospedaliera e nel monitoraggio dell’efficacia terapeutica nei pazienti con SC. Al contempo, i livelli di PN durante l’evento

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acuto sono fortemente predittivi di eventi sia intraospedalieri che a distanza (mortalità e riospedalizzazione, anche combinati)82. La riduzione dei livelli di PN durante il ricovero è correlata con la prognosi a breve-medio termine83.

2. Ruolo della Troponina T

I miocardiociti danneggiati rilasciano troponine. Con l’introduzione di metodi più sensibili, ad oggi è possibile misurare concentrazioni di Troponina T relativamente basse e questo ha permesso di associare l’aumento della concentrazione delle troponine cardiache circolanti alla gravità dello SC. Il valore prognostico delle troponine cardiache è stato stabilito dallo studio Val-HeFT, che ha arruolato più di 5000 pazienti con scompenso cronico sintomatico lieve-moderato84. Il rischio di eventi clinici avversi (decesso o ricovero in ospedale per peggioramento dello SC) aumentava progressivamente a partire da concentrazioni di troponina T circolante molto basse, non misurabili con i metodi di dosaggio classici a disposizione. Vista l’introduzione di metodi più sensibili per la determinazione dei livelli di troponina T circolante, l’accuratezza prognostica delle troponine cardiache è nettamente aumentata e, ad oggi, la discriminazione prognostica della troponina T ad alta sensibilità è paragonabile a quella dei PN83.

2.6.2. RUOLO PROGNOSTICO DEI MARCATORI NON CARDIO-SPECIFICI

Oltre a questi marcatori cardio-specifici che riflettono alterazioni fisiopatologiche cui vanno incontro i miocardiociti nel corso di SC, esistono altri marcatori non di origine cardiaca che sono stati utilizzati spesso nel contesto di score clinici volti a definire la prognosi del paziente con SC acuto. Gli score maggiormente utilizzati nel definire la prognosi del paziente con SC sono riportati nella Tabella 8.

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Tabella 8. Caratteristiche principali della popolazione di studio e per stato al follow-up a 1 anno85. Totale (N ¼ 6,161; 100%) Vivi (n ¼ 5,653; 91.8%) Deceduti (n ¼ 508; 8.2%) Valore p CH A R M G I S S I H F M A G G I C S H F M CARATTERISTICHE Probabilità di sopravvivenza CHARM86 83.1+-8.4 83.6+-8.1 76.5+-8.6 <0.001 Ÿ GISSI-HF87 84.9+-12.9 86.1+-11.6 72.8+-18.9 <0.001 Ÿ MAGGIC88 89.4+-7.6 90.0 +-6.9 82.2 +-10.7 <0.001 Ÿ SHFM89 93.3+-9.1 93.8+-8.2 87.6+-14.1 <0.001 Ÿ Età in anni 64.9+-13.2 64.4+-13.1 69.8+-13.2 <0.001 ✔ ✔ ✔ ✔ Maschio 71.8 71.3 77.4 0.003 ✔ ✔ ✔ ✔ Peso in Kg 79.9+-16.8 80.4+-16.7 74.6+-16.4 <0.001 ✔ BMI, kg/m2 28.1+-5.1 28.3+-5.1 26.5+-5.1 <0.001 ✔ ✔ ✔ Storia di SC Totale 91.3 91.4 90.4 0.405

Con ricovero precedente 43.5 42.8 51.4 <0.001

>12 mesi 59.8 60.9 47.3 <0.001 ✔ ✔ Frequenza cardiaca in bpm 72.8+-15.5 72.5+-15.4 76.2+-17.0 <0.001 ✔ Pressione sistolica in mmHg 124.4+-20.6 125.0+-20.5 118.0+-21.0 <0.001 ✔ ✔ ✔ Pressione diastolica in mmHg 73.6+-11.9 74.0+-11.9 69.1+-12.4 <0.001 ✔ Causa primaria di cardiopatia ischemica 42.7 41.8 52.2 <0.001 ✔ Fumo 0.906 ✔ ✔ Attuale 11.4 11.4 10.8 Precedente 42.0 41.9 42.5 Mai 46.6 46.6 46.7

(42)

Fibrillazione atr. 36.8 35.9 46.3 <0.001 ✔

Diabete mellito 32.4 31.9 37.6 0.009 ✔ ✔ ✔

Diabete mellito trattato con insulina 11.9 11.5 16.6 <0.001 Precedente IMA/angina 40.4 39.5 49.4 <0.001 ✔ COPD 15.1 14.8 18.9 0.014 ✔ ✔ Dispositivo CRT-D 10.5 10.1 14.6 0.002 CRT-P 1.9 1.9 1.4 0.369 ICD 16.7 17.1 13.2 0.025 PM 5.6 5.4 7.5 0.047 PRESENTAZIONE CLINICA Classe NYHA <0.001 ✔ ✔ ✔ ✔ I 17.4 18.4 5.7 II 57.6 58.9 44.1 III 23.3 21.4 44.5 IV 1.7 1.4 5.7 Rumori polmonari 15.0 13.6 30.3 <0.001 ✔ Edemi periferici 20.3 18.9 36.2 <0.001 ✔ Rigurgito mitralico 28.1 27.2 38.2 <0.001 ✔ Stenosi aortica 4.3 3.8 9.3 <0.001 ✔ RISULTATI DI LABORATORIO Emoglobina (g/dl) 13.3+-1.9 13.4+-1.8 12.3+-2.1 <0.001 ✔ ✔ Creatinina sierica(mg/dl) 1.30+-2.62 1.28+-2.72 1.56+-1.04 <0.001 ✔ eGFR (MDRD) 65.2+-26.3 66.3+-26.2 52.9+-23.9 <0.001 ✔ Sodio (mEq/l) 139.4+-3.8 139.5+-3.6 138.0+-4.7 <0.001 ✔ Colesterolo totale (mg/dl) 167.3+-44.8 (n ¼ 4,792) 168.1+-44.5 (n ¼ 4,433) 158.3+-47.5 (n ¼ 359) <0.001 Acido urico (mg/dl) 6.9+-2.7 (n ¼ 4,175) 6.8+-2.5 (n ¼3,838) 7.6+-4.3 (n ¼ 337) <0.001 ✔ ✔ VISITA AMBULATORIALE: INDAGINI/PROCEDURE 43.8 42.9 53.5 <0.001

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