Il 1994, anno in cui Silvio Berlusconi scende in campo, è una data cruciale
riguardo ai rapporti mafia-politica. Sull’imprenditore milanese infatti gravano già
numerose prove di contatti più o meno diretti con esponenti di Cosa Nostra su
tutti quelli con lo “stalliere” Vittorio Mangano, noto uomo d’onore della famiglia
di Porta Nuova capeggiata da Pippo Calò, il quale soggiornò più che
provvisoriamente nella villa di Arcore rappresentando l’intermediario finale nel
traffico di droga tra Palermo e Milano. Lo stesso Paolo Borsellino, durante
un’intervista condotta da due giornalisti francesi il 21 maggio 1992, due giorni
prima della strage di Capaci e 59 giorni prima di via D’Amelio, definisce Mangano
come “uno di quei personaggi che erano le teste di ponte dell’organizzazione
mafiosa nel nord Italia
130”.
L’ingresso in politica di Berlusconi e il conseguente successo ottenuto alla
prima tornata elettorale dal neo-partito di Forza Italia, che permise al Cavaliere
di diventare presidente del Consiglio, molto probabilmente non sarebbero stati
eventi realizzabili senza la stretta amicizia e collaborazione intrattenuta con
Marcello Dell’Utri, condannato il 9 maggio 2014 a sette anni di reclusione per
concorso esterno in associazione mafiosa dalla Corte di Cassazione
131, che
confermava in via definitiva la sentenza di secondo grado emessa il 25 marzo
128
Corte di cassazione, Seconda Sezione Penale, Sentenza 2 maggio 2004, pp. 153-154
129 http://antimafia.altervista.org/sentenze2/andreotti/andreotti_cassazione_scansione.pdf 130
http://www.19luglio1992.com/index.php?option=com_content&view=article&id=2274:paolo- borsellino-lintervista-nascosta&catid=20:altri-documenti&Itemid=38
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2013 dalla Corte d’Appello di Palermo
132. Nella sentenza di primo grado
133si
rende noto che Dell’Utri e Berlusconi si conobbero nel 1961 all’Università Statale
di Milano per poi entrare professionalmente in rapporto nel 1974, quando
Berlusconi propose a Dell’Utri di divenire suo segretario personale. Pochi mesi
dopo sarà lo stesso Dell’Utri che si occuperà di assumere Mangano, ritenendolo
la persona più indicata per svolgere ufficialmente il lavoro di manutenzione e
amministrazione della tenuta di Berlusconi
134. A propria difesa, Dell’Utri ha
dichiarato di non essere stato a conoscenza dei precedenti criminali di Mangano,
ma tale affermazione risulta essere poco credibile dal momento che, secondo gli
investigatori, sin dal 1967 il nome di Mangano risulta ben noto alle autorità
giudiziarie per una serie di denunce, tre arresti (di cui uno nel febbraio 1972,
sott’ordine di cattura emesso dalla Procura di Milano, con l’accusa di tentata
estorsione continuata
135) e condanne per reati che vanno dalla truffa alle
ricettazioni, dalle lesioni volontarie alle tentate estorsioni
136. Berlusconi, stando
alle confessioni del collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo, prima ancora di
assumere Mangano aveva avuto degli incontri organizzati nella sede della
Edilnord con i mafiosi allora al vertice di Cosa Nostra, Stefano Bontate e Gaetano
Cinà, per ricevere da loro garanzie per lui e per la sua famiglia in merito ai
numerosi sequestri estorsivi di persona che negli anni ’70 erano all’ordine del
giorno nel capoluogo lombardo. In seguito a quegli incontri, a protezione
dell’emergente imprenditore Silvio Berlusconi si decise di mandare per l’appunto
Mangano ad Arcore in qualità di garante della mafia dell’incolumità della sua
famiglia
137.
Il ruolo di mediatore svolto da Dell’Utri tra Cosa Nostra e l’allora giovane
imprenditore milanese venne descritto anche da Filippo Alberto Rapisarda,
132
http://www.repubblica.it/politica/2014/05/09/news/dell_utri_sentenza_cassazione- 85677592/?ref=HREA-1
133
Tribunale di Palermo, Seconda Sezione Penale, Sentenza 11 dicembre 2004
134
N. Biondo – S. Ranucci, Il patto: da Ciancimino a Dell’Utri. La trattativa Stato e mafia nel
racconto inedito di un infiltrato, Chiarelettere, Milano, 2010, p. 203
135 U. Ursetta, op. cit., pp. 89-90 136
E. Veltri – M. Travaglio, L’odore dei soldi. Origini e misteri delle fortune di Silvio Berlusconi, Editori Riuniti, Roma, 2001, p. 25
55
amico di uomini d’onore e titolare del gruppo immobiliare Inim per cui Dell’Utri
lavorerà come amministratore delegato dopo aver lasciato l’Edilnord. Nel 1981
un rapporto della Criminalpol definirà l’Inim come una società criminale di cui la
mafia si servì per riciclare il denaro sporco provento di illeciti
138. Divenuto
successivamente presidente di Publitalia, società che si occupa della raccolta
pubblicitaria della berlusconiana Fininvest, Del’Utri continuò a intrattenere
rapporti e frequentazioni col mafioso di Porta Nuova che nel frattempo,
precisamente dal 1980 al 1991, scontò la pena carceraria con l’accusa di traffico
di sostanze stupefacenti. I motivi della prosecuzione dei loro rapporti sono
ravvisabili non tanto nella loro amicizia ma per limpide motivazioni politiche dato
che, in seguito agli sconvolgimenti venutesi a creare nel 1993 dall’inchiesta
Tangentopoli, Cosa Nostra rimase priva dei suoi referenti politici, principalmente
della Dc, con i quali stipulare accordi reciprocamente convenienti.
L’organizzazione mafiosa necessitava dunque di trovare nuovi collegamenti che
furono individuati per l’appunto in Dell’Utri e Berlusconi grazie alla figura di
intermediario rappresentata da Mangano, promosso nello stesso anno a capo del
mandamento di Porta Nuova proprio perché garantiva a Cosa Nostra un facile
accesso al campo politico e non certamente per una sua spiccata caratura di
uomo d’onore
139.
La documentazione processuale fornisce altri elementi indicativi del ruolo
svolto dal braccio destro di Berlusconi nella formazione e soprattutto
nell’affermazione del neo-partito di Forza Italia. Salvatore Cucuzza, collaboratore
di giustizia ritenuto attendibile dai magistrati, dichiarò di essere a conoscenza di
un paio di incontri tra Mangano e Dell’Utri, avvenuti intorno alla fine del 1993, in
cui i due si accordarono su una serie di favori: il sostegno elettorale a Forza Italia
da parte di Cosa Nostra in cambio di leggi favorevoli a quest’ultima quali la
modifica dell’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario, riguardante il carcere
duro per i mafiosi, dell’art. 416 bis del codice penale, relativo al reato di
associazione di stampo mafioso, e della normativa in materia di confisca di
138
E. Veltri – M. Travaglio, op. cit., pp. 56-57
56
beni
140. Ulteriore collaboratore di giustizia che rese nota la decisione della mafia
di sostenere elettoralmente Forza Italia fu Antonino Giuffrè il quale riferì che alle
elezioni politiche del 1987 fu dato ordine dalla Cupola di Cosa Nostra di dirottare
il consenso al Partito radicale e al Partito socialista, che in quegli anni si era fatto
portatore di una linea politica fortemente critica nei confronti della magistratura,
sia per “dare una lezione” alla Democrazia cristiana, colpevole di non aver
mantenuto le promesse di impegno nel maxiprocesso, sia perché convinta che
tramite i voti del Psi si potesse arrivare, tramite Dell’Utri, a Berlusconi e da questi
a Craxi per via della loro amicizia. E difatti, allo spoglio dei voti, la Dc assistette a
un inedito e considerevole calo di consensi che si riversarono soprattutto verso il
Psi che a Palermo passò da 9,8% al 16,4%
141. Tale strategia si rivelò
successivamente sbagliata, se si pensa che il ministro della giustizia Caselli eletto
in quella tornata affidò l’incarico di direttore generale degli Affari Penali al
nemico numero uno dei mafiosi, Giovanni Falcone. Ecco dunque che Cosa
Nostra, al cui comando passò Provenzano dopo l’arresto di Riina nel gennaio
1993, si orientò verso un nuovo interlocutore politico, precisamente Forza Italia,
presso cui si avrebbe potuto avere degli “agganci” tramite candidati amici dei
mafiosi
142. La descrizione che emerge dalle testimonianze dei collaboratori di
giustizia non lascia dubbi sulla decisione presa da Cosa Nostra di sostenere e
votare alle elezioni politiche del 1994 e successive il partito di Berlusconi,
considerato il referente più fidato nella protezione degli interessi mafiosi.
Tutti questi elementi rilevano come Dell’Utri avesse mantenuto con
numerosi esponenti mafiosi siciliani dei rapporti non di semplice amicizia, bensì
volti a mediare le relazioni tra Cosa Nostra e il gruppo imprenditoriale, prima, e
politico, poi, di Berlusconi, essendo dunque colpevole secondo i magistrati del
reato di concorso esterno in associazione mafiosa, “reato provato da fatti,
episodi, testimonianze, intercettazioni telefoniche e ambientali di conversazioni
140 Ivi, p. 125 141
S. Lodato – R. Scarpinato, Il ritorno del principe. La testimonianza di un magistrato in prima
linea, Chiarelettere, Milano, 2008, pp. 272-273
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