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Con le inchieste di “mani pulite”, iniziate nel febbraio 1992 a Milano, la rabbia

dei cittadini di fronte all’evidenza di una diffusa corruzione della classe politica,

della quale emergono anche le connessioni occulte con le organizzazioni mafiose,

fa smuovere all’interno dell’opinione pubblica un aperto consenso verso i lavori

dei magistrati. In un tale contesto di caos e di protesta, sarà il neo-procuratore

Caselli ad avviare una decisa lotta alla mafia non più circoscritta alle sole attività

dei mafiosi ma anche a quelle di uomini politici che, travolti nel frattempo

dall’ondata Tangentopoli, fino ad allora non erano mai incorsi in provvedimenti o

indagini giudiziarie.

E’ su queste basi che il 27 marzo 1993 la Procura della Repubblica di

Palermo chiese al Senato l’autorizzazione a procedere nei confronti del senatore

Andreotti, sette volte presidente del Consiglio accusato di associazione a

delinquere fino al 28 settembre 1982 e di associazione a delinquere di stampo

mafioso da allora in poi, a cui viene contestato di “aver contribuito non

occasionalmente alla tutela degli interessi e al raggiungimento degli scopi

109

C. Stajano (a cura di), Mafia. L’atto d’accusa dei giudici di Palermo, Editori Riuniti, Roma, 1986, p. 328

49

dell’associazione per delinquere denominata Cosa Nostra, in particolare in

relazione a processi giudiziari a carico di esponenti dell’organizzazione

110

”. Il 13

maggio dello stesso anno l’autorizzazione venne concessa, non venendo

ravvisato alcun intento persecutorio nei confronti dell’imputato

111

. Per quattro

anni, a partire dal settembre 1995, si svolgerà quello che viene più generalmente

definito il processo del secolo. La sentenza

112

emessa il 23 ottobre 1999 dai

giudici di Palermo si sofferma principalmente sui rapporti, tutt’altro che formali e

accertati da numerose testimonianze di collaboratori di giustizia, che il senatore

Andreotti ha intrattenuto con importanti esponenti di Cosa Nostra oltre che con i

cugini Salvo, l’onorevole Salvo Lima e l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino.

Per quanto riguarda i primi, i giudici hanno comprovato che i Salvo,

profondamente inseriti in Cosa Nostra, furono più volte interpellati da persone

associate all’illecito sodalizio per cercare di ottenere una favorevole soluzione di

vicende processuali, manifestarono a diversi uomini d’onore i loro stretti legami

con l’on. Lima e evidenziarono i loro rapporti, personali e non superficiali, con il

senatore Andreotti. E ancora, sul piano politico offrirono un sostegno aperto ed

efficace, seppur non esclusivo, a diversi esponenti della corrente andreottiana

sulla base dello stretto rapporto di collaborazione e di amicizia personale che essi

avevano instaurato da lungo tempo con l’on. Lima

113

. La condotta processuale

tenuta da Andreotti si contraddistinse per la scelta di negare qualsiasi sua

responsabilità di natura politica anche se questa non avrebbe implicato alcuna

ripercussione a livello penale

114

. Nello strenuo tentativo di difendersi a tutti costi,

Andreotti arrivò a negare fatti di pubblico dominio

115

adottando una strategia

110

L. Zingales, Andreotti assolto! Il processo del secolo. Cronaca dell’appello, Pellegrini, 2004, p.29

111 L. Pepino, Andreotti, la mafia, i processi. Analisi e materiali giudiziari, Gruppo Abele, Torino,

2005, p. 9

112

http://antimafia.altervista.org/sentenze2/andreotti/andreotti_primo_grado.pdf

113

Tribunale di Palermo, Quinta Sezione Penale, Sentenza 23 ottobre 1999, n. 881/99, cap. XIX, pp. 4246-4248

114

U. Ursetta, Mafia e potere alla sbarra. La storia attraverso i processi: da Vizzini ad Andreotti,

da Contrada a Dell’Utri, fino a Cuffaro, Pellegrini, Cosenza, 2012, p. 78

115 A testimonianza dell’amicizia tra i cugini Salvo e Andreotti vi sono una serie di fatti accertati

dalla sentenza di primo grado: nel 1976 l’invio da parte del senatore di un vassoio d’argento come regalo in occasione delle nozze della figlia di Antonino Salvo, nel 1979 l’incontro conviviale svoltosi presso l’Hotel Zagarella in cui i Salvo e Andreotti discussero della campagna elettorale a

50

difensiva talmente paradossale che, secondo Lupo, costituì il maggior indizio di

una qualche sua colpevolezza

116

. Lo stesso Tribunale di Palermo sottolineò tale

ipotesi secondo cui “alla base dell’assoluta negazione, da parte dell’imputato, dei

propri rapporti con i cugini Salvo, vi sarebbe o una precisa consapevolezza del

carattere illecito di questo legame personale e politico o il tentativo di evitare

ogni appannamento della propria immagine di uomo politico per impedire che

nell’opinione pubblica si formasse la certezza dell’esistenza di suddetti

rapporti

117

”. Le due ipotesi prospettate dai giudici presumono che Andreotti

abbia volontariamente negato per motivi di immagine o per non fornire

all’accusa indizi tali che avrebbero potuto portare ad altri gravi accertamenti.

L’assassinio di Lima, come precedentemente accennato, lascia intuire che dietro

a questo gesto estremo ci fosse una serie di richieste e favori che,

evidentemente, sia Andreotti che Lima hanno disatteso. È inoltre improbabile

che il regolare appoggio politico ed elettorale da parte di Cosa Nostra alla

corrente andreottiana siciliana sia stato fornito gratuitamente o semplicemente

per criteri politico-ideologici senza chiedere alcun favore in cambio

118

.

Nonostante questa serie di prove, più o meno accertate, il Tribunale ha

dichiarato che “l’esistenza di diretti rapporti personali e di un intenso legame

politico tra Andreotti e i cugini Salvo non è sufficiente a provare la partecipazione

dell’imputato all’associazione mafiosa Cosa Nostra e che pertanto, non avendo

alcuna prova che il senatore avesse manifestato una permanente disponibilità ad

attivarsi per il conseguimento degli obiettivi propri dell’associazione mafiosa,

non si può affermare che avesse posto in essere condotte tese a favorirla

119

.

sostegno di Lima. I loro rapporti emergono anche dal fatto che nel 1984 fu sequestrata a Ignazio Salvo un’agendina nella quale era annotato il numero telefonico dell’on. Andreotti il quale, inoltre, per i suoi spostamenti in Sicilia utilizzò in più occasioni un’autovettura blindata intestata ad Antonino Salvo.

116

S. Lupo, Che cos’è la mafia. Sciascia e Andreotti, l’antimafia e la politica, Donzelli, Roma, 2007, p. 67

117

Tribunale di Palermo, Quinta Sezione Penale, Sentenza 23 ottobre 1999, n. 881/99, cap. XIX, p.4250

118 N. Tranfaglia, La sentenza Andreotti. Politica, mafia e giustizia nell’Italia contemporanea,

Garzanti, 2001, pp. 46-47

119

Tribunale di Palermo, Quinta Sezione Penale, Sentenza 23 ottobre 1999, n. 881/99, cap. XIX, p.4252

51

L’incapacità mostrata dai giudici nel provare i fatti ricostruiti e denunciati dai

pubblici ministeri della Procura di Palermo non elimina il problema, tanto che la

Procura generale criticò al collegio accusatorio per non aver compiuto

adeguatamente le indagini necessarie, sostenendo che le prove e i forti indizi

disponibili sarebbero stati sufficienti per consentire una sentenza di condanna e

non di assoluzione dell’imputato

120

.

Il Tribunale in seguito prese in considerazione i rapporti intrattenuti con

Salvo Lima e Vito Ciancimino. In relazione al primo si ritenne non attendibile la

non conoscenza, da parte del senatore, dei legami di Lima con i suoi referenti

mafiosi dato che lo stesso Lima aveva informato il braccio destro di Andreotti,

l’on. Evangelisti, della sua amicizia col capomafia Buscetta

121

. In merito al

secondo, già noto per la sua vicinanza alla criminalità organizzata e condannato

in via definitiva per associazione a delinquere di stampo mafioso, i giudici

affermarono che “dagli elementi di prova acquisiti è emerso che l’ex sindaco di

Palermo instaurò rapporti di collaborazione con la corrente andreottiana, sfociati

poi in un formale inserimento in tale gruppo politico, e che i medesimi rapporti

ricevettero, su richiesta dello stesso Ciancimino, l’assenso del senatore Andreotti

nel corso di un apposito incontro organizzato a questo scopo

122

”. Sin dall’inizio

degli anni ’70 Ciancimino era ritenuto uno dei pilastri del potere mafioso a

Palermo ma ciò non precluse alla corrente andreottiana di accettare il suo

appoggio elettorale e di stringere con lui un’alleanza strategica. Accettare

l’appoggio di un uomo come Ciancimino significava accettare con piena

coscienza un sistema fondato sulla corruzione e sulla violenza. Ciononostante

Giulio Andreotti venne assolto per “un quadro probatorio caratterizzato

complessivamente da contraddittorietà, insufficienza e, in alcuni casi, mancanza

delle prove in ordine ai fatti di reato addebitati all’imputato

123

”.

120

N. Tranfaglia, op. cit. [2001], p. 77

121 Tribunale di Palermo, Quinta Sezione Penale, Sentenza 23 ottobre 1999, n. 881/99, cap. XIX,

p.4253

122

Ivi, pp. 4259-4260

52

Tale stato di cose convinse la Procura generale del fatto che Andreotti

avesse svolto effettivamente un’azione di appoggio e di consolidamento

dell’organizzazione mafiosa siciliana tanto è vero che, presentando un ricorso di

appello sorretto dal nuovo procuratore Pietro Grasso, ribadì che l’imputato non

poteva essere all’oscuro che la sua corrente in Sicilia avesse assunto le

caratteristiche di “struttura di servizio” di Cosa Nostra e che personaggi principali

del partito, Lima e Ciancimino, fossero collusi con suddetta organizzazione

criminale. Anzi, in riferimento a Lima, egli gli garantì sempre di restare a capo

della corrente siciliana concedendogli persino carta bianca nella scelta dei

candidati locali, mentre in riferimento a Ciancimino gli concesse aperto ed

effettivo sostegno soprattutto in termini di finanziamenti volti al pagamento

delle tessere e all’organizzazione dei congressi nazionali di partito

124

.

Dalla sentenza della Corte d’appello

125

viene confermata la

manifestazione di “una autentica, stabile e amichevole disponibilità” di Andreotti

nei confronti dei più importanti uomini d’onore anche se questa “non si è

protratta oltre la primavera del 1980

126

”, dichiarazione che conferma la

precedente sentenza del Tribunale ma limitatamente al predetto periodo. Dato

che la sentenza d’appello fu pronunciata soltanto il 2 maggio 2003, ovvero più di

22 anni e 6 mesi dopo la commissione del reato, ai magistrati non restò altro che

confermare “la statuizione di non luogo a procedere per essere il reato

concretamente ravvisabile a carico del sen. Andreotti estinto per

prescrizione

127

”. La Procura generale ricorse nuovamente, stavolta contro la

sentenza della Corte d’appello, responsabile secondo la pubblica accusa di aver

applicato la legge in modo errato e di essere incorsi in vizio di motivazione. La

Procura non concordò con la motivazione, emessa dalla Corte d’appello, di

esclusione della disponibilità di Andreotti verso la mafia dopo il 1980 poiché, ad

eccezione dell’incisiva normativa repressiva assunta dal suo governo nel 1991,

124

N. Tranfaglia, op. cit. [2001], p. 55

125 http://antimafia.altervista.org/sentenze2/andreotti/andreotti_secondo_grado_part1.pdf 126

Corte d’appello di Palermo, Seconda Sezione Penale, Sentenza 2 maggio 2003, n. 1564, vol. III, p. 469

53

non si registrò alcun tangibile e inequivocabile comportamento volto a troncare

il rapporto con l’organismo criminale

128

. La richiesta della Corte d’appello però

non venne accolta in Cassazione dove i giudici emisero la definitiva sentenza

129

che considerava Andreotti colpevole per il periodo in cui il reato era ormai

prescritto e innocente per il successivo periodo non coperto da prescrizione.

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