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1.6 Metodi per lo studio funzionale dei meccanismi di difesa della vite

1.6.2 Meccanismi cellulari e microdissezione laser

Gli organi delle piante sono strutture costituite da diversi tessuti con distinti tipi di cellule. Ciascuna cellula ha una funzione precisa definita dal proprio trascrittoma, metaboloma e proteoma (Day et al. 2005). Gli approcci di analisi tradizionali, che utilizzano gli organi interi, possono mascherare le differenze cellule-specifiche nell’espressione genica, nel livello di proteine e metaboliti. Per questo motivo, per comprendere al meglio il contributo di cellule individuali nella biologia dell’organismo, sono state sviluppate diverse tecniche per l’isolamento di specifiche cellule da piante. Queste includono l’uso di microcapillari, fluorescence-activated sorting (FACS) e la microdissezione laser (laser microdissection, LMD). L’uso di microcapillari ha permesso di isolare cellule superficiali, come per esempio cellule dell’epidermide o cellule di guardia (Karrer et al. 1995), oppure cellule del mesofillo (Brandt et al. 1999) e cellule del floema (Raps et al. 2001) grazie all’espressione di un marcatore come la green fluorescent protein (GFP) sotto il controllo di un promotore tessuto-specifico. Tuttavia, lo svantaggio di questa tecnica consiste nella scarsa quantità di materiale raccolto e nella limitata disponibilità di promotori tessuto-specifici (Schnable et al. 2004, Galbraith and Birnbaum 2006). La metodologia FACS si basa sulla separazione dei protoplasti, ossia cellule vegetali prive della parete cellulare, mediante l’uso

di un citofluorimetro (Galbraith and Birnbaum 2006). Le cellule possono essere separate in base alle dimensioni, al contenuto di clorofilla oppure per la presenza di un marcatore, come la GFP (Schnable et al. 2004). Tuttavia, i protoplasti possono avere caratteristiche e processi cellulari ben diversi da quelli attivati nelle cellule di un tessuto intatto e possono avere un’espressione genica alterata dalla manipolazione richiesta per la preparazione degli stessi (Galbraith and Birnbaum 2006). Recentemente la tecnica FACS è stata applicata in A. thaliana per studiare la risposta nelle cellule infettate dal patogeno Hyaloperonospora arabidopsidis (Coker et al. 2015). La microdissezione laser permette di isolare in maniera precisa cellule singole o gruppi di cellule da un tessuto eterogeneo in modo da poter essere utilizzati per l’estrazione di RNA, DNA e proteine (Emmert-Buck et al. 1996) senza la necessità di usare dei marcatori. Lo strumento per la microdissezione laser è costituito da un microscopio che permette la visualizzazione del campione accoppiato ad un laser che permette il taglio della porzione di tessuto di interesse (Balestrini et al. 2009). Il laser ad UV ha una lunghezza d’onda (337-340 nm) leggermente più alta del picco di assorbimento delle proteine e degli acidi nucleici, evitandone il danneggiamento. I campioni sono adagiati su vetrini che presentano una speciale membrana di polyphenylene sulfide (PPS) o di polyethylene naphthalate (PEN) e, in seguito al taglio, le sezioni cadono per gravità all’interno dei tubi posti in un apposito alloggiamento posizionato sotto il vetrino (Day et al. 2005) (Figura 1.21).

Figura 1.21: Schema rappresentativo del processo di microdissezione laser.

La selezione della regione di interesse avviene mediante l’ausilio di un software (immagine a sinistra). Il laser ad UV viene usato per tagliare la regione di interesse (immagine al centro). La sezione cade per gravità all’interno di un tubino posto sotto

il vetrino (immagine a destra) (http://www.leica-microsystems.com/products/light-microscopes/life-science-research/laser- microdissection/).

Un importante prerequisito per la maggior parte delle applicazioni della microdissezione laser è la capacità di ottenere buoni preparati istologici dei tessuti, che consentono l’identificazione della regione di interesse mantenendo acidi nucleici e proteine in buono stato per la successiva estrazione. La preparazione del campione per la microdissezione laser è quindi la fase più importante del processo di microdissezione (Day et al. 2005). Occorre dunque un bilanciamento tra la preservazione della morfologia del campione e il massimo recupero degli acidi nucleici o proteine dalle cellule isolate. Non esiste un protocollo utilizzabile per tutti i tessuti vegetali ed è quindi necessaria l’ottimizzazione del protocollo in base al tessuto di partenza (Nelson et al. 2006). Generalmente la preparazione richiede la fissazione del campione e l’inclusione in paraffina (Balestrini and Bonfante 2008). La fissazione ha lo scopo di bloccare il campione in un momento preciso e preservare l’integrità del campione. I metodi di fissazione possono essere chimici o fisici. Esistono diversi tipi di fissativi chimici, che possono essere divisi in due categorie: fissativi cross-linking (glutaraldeide, formaldeide) che danno dettagli istologici superiori ma comportano una scarsa resa di acidi nucleici e proteine; e fissativi precipitanti (etanolo,

metanolo, acido acetico, acetone) che permettono dettagli istologici buoni mantenendo un recupero delle macromolecole discreto (Kerk et al. 2003). I metodi fisici includono il congelamento rapido (criofissazione). Sfortunatamente, se si usano campioni vegetali il congelamento porta svantaggi a livello dell’aspetto istologico del campione a causa della formazione di cristalli di ghiaccio nei vacuoli e negli spazi tra le cellule che possono modificare la morfologia (Nelson et al. 2006). L’inclusione in paraffina è un’alternativa al congelamento che permette di mantenere una buona istologia del campione, ma il processo è molto laborioso e lungo (Day et al. 2006, Balestrini and Bonfante 2008).

La tecnica della microdissezione laser è stata usata ampiamente in campo medico. Tuttavia, negli ultimi anni numerosi studi hanno impiegato la microdissezione laser anche ai tessuti vegetali. La microdissezione laser è stata usata con successo per studiare la regolazione trascrizionale della cellula della pianta durante l’interazione con microrganismi, quali, ad esempio, batteri azoto-fissatori (Damiani et al. 2012, Roux et al. 2014), funghi patogeni (Tang et al. 2006, Hacquard et al. 2010, Klug et al. 2015), tra cui l’oidio (Chandran et al. 2010), micorrize arbusculari (Balestrini et al. 2007, Fiorilli et al. 2009, Gaude et al. 2012) ed ectomicorrize (Hacquard et al. 2013).

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SCOPO

L’obiettivo generale di questo progetto di dottorato è stato quello di comprendere i meccanismi cellulari della vite attivati in risposta all’infezione di due importanti malattie, quali la peronospora e l’oidio. Queste malattie sono controllate dall’uso frequente di fungicidi chimici che, oltre ad avere un elevato costo economico per il produttore, possono avere effetti nocivi sull’uomo e sull’ambiente. L’obiettivo finale è stato quello di identificare i processi cellulari e i geni chiave coinvolti nei meccanismi di difesa e suscettibilità della vite per in seguito sviluppare metodi sostenibili per il controllo di queste due gravi malattie, come l’ottenimento di varietà resistenti attraverso programmi mirati di miglioramento genetico.

Gli obiettivi specifici del progetto di dottorato hanno riguardato:

l’ottimizzazione del protocollo per la microdissezione laser di foglie di vite per l’analisi dell’espressione genica nel sito di infezione della peronospora (gli stomi), nelle regioni circostanti gli stomi e nei tessuti distali non infetti dal patogeno;

l’analisi dell’espressione dei geni legati alla risposta della vite all’infezione della peronospora per identificare le diverse regolazioni trascrizionali attivate localmente nei siti di infezione e nell’intera foglia;

lo sviluppo di piante con una ridotta suscettibilità ad oidio mediante il silenziamento di geni putativamente coinvolti nella suscettibilità della vite (geni MLO);

l’identificazione delle isoforme di MLO responsabili dei processi di suscettibilità della vite all’oidio e la comprensione del meccanismo di resistenza mediante analisi molecolari e istologiche.

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MATERIALI E METODI