La mediazione penale minorile
3.3 La mediazione in fase pre-processuale
Il primo ambito applicativo da prendere in considerazione è quello pre-processuale o anche extraprocessuale. Il punto di partenza è contenuto nell’art. 9 del DPR 448/88, che impone al pubblico ministero e al giudice di acquisire elementi circa le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali del minorenne, al fine di accertarne l’imputabilità e il grado di responsabilità, e poter valutare la rilevanza sociale del fatto, nonché disporre le adeguate misure penali e adottare gli eventuali provvedimenti civili. Il secondo comma dell’art. 9 prevede la possibilità per l’autorità giudiziaria di assumere informazioni da persone che abbiano avuto rapporti con il minorenne e sentire il parere di esperti, senza alcuna formalità di procedura. Orbene, è proprio questo ultimo comma a costituire l’appiglio normativo che consente di introdurre la mediazione nella fase delle indagini preliminari, poiché in forza di tale disposizione, l’autorità giudiziaria procedente può richiedere agli operatori dell’Ufficio di mediazione di assumere informazioni sul minore atte a valutare l’opportunità di giungere ad una mediazione con la persona offesa dal reato. L’opportunità di ricorrere alla mediazione nel corso degli
110Correra M. – Riponti D., La vittima nel sistema italiano della giustizia penale, CEDAM, Padova, 1990,
72 accertamenti sulla personalità, muove dal considerare questa non un’entità statica, ma in continua e rapida evoluzione. Pertanto, se si deve valutare correttamente l’imputabilità del ragazzo e il suo grado di responsabilità si deve intervenire immediatamente dopo il fatto, non appena perviene all’autorità giudiziaria la notitia criminis. In caso contrario, risulterebbe estremamente difficoltoso, per l’esperto, l’osservazione sulla personalità, perché i risultati non sarebbero soddisfacenti, ma approssimativi111. In quest’ottica, lo svolgimento della mediazione nell’ambito delle indagini rappresenta anche una modalità educativa immediata. Questa consente al minore di prendere coscienza delle conseguenze derivanti dall’agire deviante e facilita un processo di responsabilizzazione nei confronti della vittima, restituendole un ruolo più attivo nel procedimento penale e attenuandone quel senso di frustrazione che, spesse volte, si accompagna alla lentezza dell’azione giudiziaria. D’altro canto, l’intervento mediativo non deve essere eccessivamente prossimo all’evento, perché le parti potrebbero non essere ancora disponibili ad un percorso di avvicinamento. Infatti, se non si valuta attentamente la situazione emotiva e psicologica delle parti, vi è il concreto rischio di far sembrare la pratica mediativa come dettata da esigenze contingenti, quali la necessità di deflazionare il carico giudiziario o la solerzia nell’approntare progetti di recupero nei confronti dell’autore di reato, senza dare il giusto rilievo alle domande di cui la stessa vittima è portatrice. Parimenti, attuare la mediazione dopo un notevole arco di tempo ne compromette la fattibilità, perché attenua la motivazione della vittima a coinvolgersi attivamente per superare il conflitto prodotto dal reato.
La collocazione della mediazione nella fase delle indagini preliminari consente al giudice di avvalersi di quegli istituti processuali che consentono una rapida fuoriuscita del minore dal circuito penale. Quali il non luogo procedere per irrilevanza del fatto e il
perdono giudiziale. Queste due pronunce possono essere disposte dal giudice all’esito
positivo di un percorso di mediazione intrapreso dal minore, che partecipando agli incontri con la persona offesa, da prova concreta di una maggiore responsabilizzazione. L’esito positivo della mediazione e l’eventuale riconciliazione tra il minore e la persona offesa può restituire al fatto-reato una consistenza diversa in termini di rilevanza sociale del fatto. La mediazione, lavorando dall’interno del conflitto, ha in sé la capacità di gettare una nuova luce sull’intero fatto-reato. La stessa riparazione, se maturata e se
111Pinna M.G., La vittima del reato e le prospettive di mediazione nella vigente legislazione processuale
penale, in Molinari F., (a cura di), Criminalità minorile e mediazione. Riflessioni pluridisciplinari, esperienze di mediazione e ricerche criminologiche sui minori, Milano, Franco Angeli, 1998, pag. 117.
73 avvenuta prima dell’inizio del dibattimento, riduce significativamente la dimensione del danno, attenuando perciò l’efficacia ostativa di uno dei parametri per la valutazione della tenuità del fatto112. Accanto alla tenuità, il giudice, nel formulare l’irrilevanza, deve poter attribuire alla condotta anche i requisiti dell’occasionalità del comportamento e del pregiudizio per le esigenze educative del minore, derivante dalla prosecuzione del processo. Tali requisiti, possono trovare adeguati riscontri attraverso le osservazioni dei mediatori, unici soggetti che hanno modo di verificare l’atteggiamento del minore nel corso della mediazione. L’avvenuta maturazione dimostrata attraverso le forme della riparazione e della conciliazione, può elidere il grado di offensività del reato, e sostenere quindi una possibile richiesta, da parte della pubblica accusa, di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto ( ai sensi dell’art. 27 del D.P.R. 448/88). D’altro canto, ricorrere a percorsi di mediazione in fase pre-processuale offrirebbe l’opportunità di evitare l’utilizzo automatico e meramente deflativo dell’istituto
dell’irrilevanza del fatto, frequentemente rilevabile nella prassi. In tal senso, la
consapevolezza che anche i reati di tenue gravità od occasionali possono costituire il sintomo di un profondo e pericoloso disagio individuale può rendere particolarmente opportuno associare ad una sentenza di irrilevanza, strumenti che consentano al minore la presa di coscienza del disvalore sociale del comportamento tenuto113. In questa prospettiva, l’immediatezza dell’incontro garantisce una risposta tempestiva alla situazione di disagio e di conflitto suscitata dal reato e consente un incontro tra un minore, che è ancora quello che ha commesso il reato, e una vittima, che ha ancora desiderio di lavorare sulle angosce provocate dal comportamento deviante114. Infatti, se questa immediatezza, o almeno una certa tempestività, facesse difetto, verrebbe vanificato il risultato dell’attività stessa, sia perché la vittima, dopo un certo tempo, non ha più interesse a dissotterrare le angosce provocate dal reato e sia perché il minore, quanto più passa il tempo tanto più si presenterà come un individuo diverso da quello che ha compiuto il reato.
La possibilità di ricorrere alla mediazione nell’ambito delle indagini preliminari trova un reale riscontro nelle pratiche svolte presso l’Ufficio di mediazione di Torino, Milano e Bari. In queste realtà si ritiene che il pubblico ministero, ai sensi dell’art. 9 d.p.r.
112
Moro C.A. (a cura di), Manuale di diritto minorile, Bologna, Zanichelli, 2002, pag. 484.
113 Picotti L., La mediazione nel sistema penale minorile italiano. Il quadro normativo e le indicazioni
della prassi, in Cromlech, modelli di mediazione penale minorile, op. cit., pag. 23.
114 Brunelli F., La mediazione nel sistema penale minorile e l’esperienza dell’Ufficio di Milano, in Pisapia
74 448/88, possa richiedere una valutazione sull’opportunità dell’esperimento di ipotesi mediative. Gli operatori incaricati avvicinano dunque il minore indagato e, con tutti gli accorgimenti del caso, lo preparano ad un eventuale incontro con la vittima per un tentativo di mediazione115.Tuttavia, in difetto di una specifica norma che regolamenti l’interazione tra la mediazione e il processo penale, si rileva come i principi e le regole che disciplinano i due contesti collidono. In modo particolare, stride la posizione del minore che, indagato per un certo reato, viene invitato, già nella fase procedimentale, a confrontarsi con la vittima in un contesto non strettamente giudiziario e, peraltro, contravvenendo al diritto al silenzio, cioè a non essere obbligato a nessuna dichiarazione contra se e alla presunzione di innocenza. Altro contrasto emerge dal raffronto con l’art. 112 della Costituzione, il quale impone al pubblico ministero di iniziare il processo ogni qualvolta sussistano elementi sufficienti per sostenere l’accusa in giudizio e quindi per un proseguimento sino al suo esito. Va da sé che il principio di obbligatorietà, nella assenza di un qualsiasi spazio normativo che consacri anche processualmente l’esito positivo dell’opera mediativa attuata nel corso delle indagini, rappresenta un forte vincolo per l’applicazione della mediazione.
Rispetto al primo dei contrasti citati, una soluzione in uso nelle prassi mediative è di non trasmettere al magistrato le affermazioni auto-incriminanti rese dal minore nel corso degli incontri. Gli operatori che procedono al tentativo di mediazione si limitano pertanto a relazionare il giudice sugli esiti della stessa, senza alcuna più specifica allegazione sulla natura di quanto dichiarato dai partecipanti. E’ pur vero che la mediazione per essere espletata richiede che il minore si assuma la paternità di un fatto, almeno che riconosca di essersi trovato nella circostanza del reato, ciò non implica trasformare la mediazione in un luogo deputato all’accertamento dei fatti. La mediazione percorre la finalità di trovare una soluzione alternativa al conflitto, decostruendo i ruoli processuali per lavorare sulle dinamiche relazionali che intercorrono fra autore e vittima. Dinamiche che, nella misura in cui sono caratterizzate da complessità e ambiguità, richiedono il preliminare accertamento del fatto. La mediazione nella fase delle indagini comporta dunque la creazione di una “zona franca” rispetto ai principi che regolamentano il processo penale. La conseguenza: il giudizio di colpevolezza, anche se virtuale, è circoscritto al giudizio relativo all’opportunità o meno di svolgere il tentativo di mediazione e ogni dichiarazione dell’indagato in quella sede è
115 Ruggeri F., Obbligatorietà dell’azione penale e soluzioni alternative nel processo penale minorile, in
75 sottratta alla disponibilità del magistrato116. Per ciò che invece riguarda il secondo degli ostacoli all’implementazione della mediazione penale, in attesa di una apposita disposizione normativa, la soluzione immediatamente percorribile è quella di sfruttare gli interstizi presenti negli articoli 9 e 27, rispettivamente l’accertamento della personalità e la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto. Mentre, una soluzione definitiva potrebbe essere quella di introdurre nel nostro ordinamento giuridico la discrezionalità dell’azione penale secondo il modello tedesco, che prevede la possibilità per la pubblica accusa di archiviare, previo assenso del giudice, quei procedimenti il cui conflitto ha dato luogo alla notizia di reato. In tal modo si supererebbe il problema di incostituzionalità, perché il riconoscimento di mediazioni esperite con successo attraverso l’archiviazione del pubblico ministero, non violerebbe il principio di uguaglianza, base del principio di obbligatorietà dell’azione penale. Ovvero le situazioni concluse nel suddetto modo, sarebbero soggette alla medesima disciplina. Spetterebbe comunque al legislatore specificare, in via generale e per legge, in quali casi l’ordinamento riconosce forme alternative di risoluzione del conflitto117
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