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Quali benefici per le parti mediate?

Aspetti emotivi-relazionali nell’incontro tra autore e vittima di reato

4.4 Quali benefici per le parti mediate?

Il percorso di mediazione permette alle parti di ottenere benefici e pervenire a dei vantaggi. Infatti, la vittima o persona offesa ha la possibilità di poter essere ascoltata e di poter esprimere i propri sentimenti (siano questi vergogna, angoscia, incredulità, rabbia ecc.), dando voce alla sofferenza ma anche trovando risposta a quelle domande ( perché proprio a me? Cos’ho fatto per meritare questo?), domande che nella procedura penale dentro le aule di giustizia spesso non trovano risposta e che alimentano, a volte, il senso di colpa nella vittima. I sensi di colpa che nascono da una domanda interna che mira a scandagliare le ragioni per le quali si è diventati vittime e nel contempo esprimono un dubbio su se stessi, la preoccupazione di possedere le stigmate della vittima designata156. D’altra parte, l’autore di reato, può cogliere l’occasione per iniziare un cammino volto ad una effettiva reintegrazione sociale, a partire dal riconoscimento delle proprie responsabilità per il gesto compiuto, potendo, nel confronto con l’altro, esprimere le proprie ragioni e venire a conoscenza delle reali conseguenze dell’azione deviante. In quest’ottica, la mediazione crea un “terreno comune” che offre pari dignità ad offeso e offensore, riconoscendoli come persone ed accordando loro eguale spazio di parola e di

155Antonucci D., Mediazione e intervento psicologico, in AA.VV.. La sfida della mediazione, pag. 54,

CEDAM, Padova.

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98 ascolto, nel tentativo di individuare una risoluzione al conflitto generatosi nella circostanza del fatto-reato, partendo, primariamente, dall’ammissione del reo di una propria responsabilità nella sofferenza dell’altro, o se si vuole, dal riconoscimento dell’altro quale individuo ferito nella propria dimensione umana. Analogamente la mediazione, restituendo un ruolo partecipe alla vittima, la sostiene lungo il percorso d’individuazione di eventuali proprie responsabilità. La mediazione penale offre quindi la possibilità di accedere ad uno spazio relazionale condiviso nel quale le parti possono ripensarsi nella loro umanità, certo umiliata e sofferente ma anche desiderosa di recuperare una situazione di maggior controllo sulla propria vita e di sentire di potersi ri-affidare alla comunità d’appartenenza, ripristinando quel senso di connessione sociale che il fatto-reato ha interrotto. Infatti, accade frequentemente che il coinvolgimento delle parti nella dinamica del reato genera una condizione di vuoto, di assenza di comunicazione, anche per il tramite dell’intervento degli apparati del “comparto sicurezza” e della Giustizia che nel ricostruire i fatti per l’attribuzione della responsabilità penale separano i soggetti. L’imprigionamento in ruoli precostituiti di “autore” e “vittima” di reato acuisce i sentimenti di odio, di rancore e di reciproco bisogno di vendetta, producendo un fenomeno di

spersonalizzazione: il volto dell’altro diventa invisibile e diventa impossibile il

riconoscimento come persona umana157.Si crea in buona sostanza una situazione di isolamento dei soggetti che favorisce il trincerarsi sulle proprie posizioni e la chiusura rispetto alle relazioni con l’esterno. Si struttura ciò che gli Autori definiscono come “atto di separazione”158, condizione fra le più dolorose che l’essere umano possa esperire, preambolo di quella solitudine avvertita tanto da chi subisce un crimine quanto da chi lo commette. Quest’ultimo è infatti sottoposto ad una procedura che prevede interrogatori, provvedimenti restrittivi della libertà personale che alimentano vissuti di vergogna, di stigmatizzazione connessi alla disapprovazione sociale della comunità d’appartenenza, d’isolamento affettivo. Una delle più frequenti conseguenze psicologiche sull’imputato derivante dall’imprigionamento nei ruoli processuali è la c.d. neutralizzazione, cioè la negazione del danno o dell’ingiustizia causata. Questo processo psichico che rientra nel meccanismo difensivo della negazione, si rinsalda per il fatto che il soggetto,

157 Mazzuccato C., La mediazione nel sistema penale minorile, in Barbero Avanzini B., Minori, Giustizia

e intervanto dei servzi, Franco Angeli, Milano, 2007, pag. 123

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99 nell’ordinario svolgimento del processo penale, non ha occasione di confrontarsi direttamente con la vittima e con le conseguenze del fatto-reato. L’incontro mediativo comporta, invece, la messa in discussione della percezione fondata su immagine stereotipiche che reo e vittima hanno l’uno dell’altra. Nell’interrompere il meccanismo dei pregiudizi e degli stereotipi, la mediazione produce un effetto responsabilizzante in capo ad entrambi i soggetti: l’offensore, attraverso il racconto della vittima, l’espressione dei sentimenti di paura, lo stress e del trauma vissuto, sperimenta concretamente le conseguenze della sua azione delittuosa su un altro essere umano; la vittima, dal canto suo, pur rimanendo in un ambiente protetto, è posta realisticamente a contatto con le fragilità e le vicissitudini, attraverso la narrazione dei fatti e delle condizioni di vita del reo. L’incontro faccia-faccia fa cadere molti pregiudizi e apre la via al dialogo, poiché si attivano dei canali comunicativi che permettono alle parti di vedere nell’altro la persona umana con i rispettivi vissuti e altrui sofferenze. La mediazione offre la possibilità di uscire dal passato per affrontare il presente, abbandonando i pregiudizi attraverso i quali interpretiamo l’altro e l’evento reato, giungendo infine ad incontrare l’essere umano nella sua realtà più profonda. Le parti sperimentano l’empatia, per cui ciascuno dei due soggetti accede al vissuto dell’altro restituendosi la dignità di essere umano. In quest’ottica si pone maggiore attenzione al ripristino della relazione fra le parti piuttosto che alla riparazione delle conseguenze materiali del reato. Riparare, infatti, significa anche ricostruire l’autostima, la fiducia in se stessi e negli altri, ciò presuppone un passaggio importante, ovverosia attuare processi di reciproco e libero riconoscimento tra le parti. Infatti, quando le parti giungono spontaneamente a riconoscersi vicendevolmente come persone che il fatto-reato ha, seppur con modalità differenti, ferito nella propria integrità ed umiliato nella propria dignità, si può attribuire un buon esito all’incontro mediativo, al di là dell’avvenuta conciliazione e della riparazione/ristorazione materiale del danno. Questo perché la richiesta di riconoscimento posta reciprocamente dalle parti, qualora venga accolta, significa, in ultima analisi, ammettere l’umanità dell’altro e questo gesto svolge una potente funzione rinnovatrice che permette a colui che la compie, così come a chi la riceve, di sentirsi nuovamente rigenerato, perché libero dagli effetti disgregativi dell’interazione conflittuale.

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Capitolo V