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Medicina e calvinismo tra Venezia e Basilea Casi a confronto

Nel documento Medici ed eresie nel Cinquecento italiano (pagine 184-200)

Nonostante la professione medica fosse particolarmente esposta, e predisposta, alla ricezione del discorso riformato, sarebbe del tutto errato ritenere che la relazione tra medicina ed eresia si sviluppasse in una sorta di rapporto causa-effetto – tant’è vero che, come è naturale, non tutti gli operatori sanitari attivi nell’Italia del ‘500 furono attratti dalle idee d’oltralpe. Allo stesso modo, risulterebbe superficiale costringere sotto la stessa categoria di “medici eretici” (sebbene per comodità di esposizione essa venga adoperata in queste pagine) tutte le differenti esperienze di uomini che, praticando l’arte terapeutica, furono coinvolti nel movimento eterodosso; e altrettanto improduttivo sarebbe considerare come univoca la natura del nesso che andava a stringersi tra il discorso medico e quello teologico-riformato. Numerose e singolari potevano essere le modalità di adesione alle (e riformulazione delle) dottrine ereticali; numerosi e singolari gli approcci alla scienza medica.

Non è possibile descrivere in questo studio tutte le esperienze che compongono tale variopinto panorama. L’analisi e il raffronto tra alcuni casi particolarmente significativi di medici gravitanti nel contesto veneto, o da quest’ultimo partiti alla volta delle terre protestanti, consente tuttavia di individuare importanti affinità e divergenze nell’esperienza scientifica e teologica dei terapeuti eterodossi e, in uno scenario articolato e multiforme, di mettere in luce la complessità del legame tra medicina ed eresia. I casi presentati in questo capitolo condividono la stessa inclinazione dottrinale calvinista, e sono quindi particolarmente rappresentativi poiché il credo ginevrino era, tra quelli aderenti alla riforma magistrale, il più diffuso in Italia, mentre la Svizzera fu meta di una consistente migrazione religionis causa. Tuttavia, come si è già messo in luce, la configurazione dottrinale dei medici riformati italiani aveva spesso caratteristiche sincretistiche, risultando in sensibilità religiose peculiari, irriducibili alle etichette teologiche appropriate per descrivere la Riforma europea. La specificità del nesso tra Riforma e medicina si esprimeva di volta in volta secondo modalità diverse, e dava adito a esperienze intellettuali eterogenee, tanto dal punto di vista dell’elaborazione teologica, quanto da quello dell’attività culturale e scientifica.

Allo scopo di mostrare come da una stessa base dottrinale e dalla stessa formazione medica potessero svilupparsi vissuti intellettuali molto diversi, in queste pagine verranno approfondite e messe a confronto le vicende del medico vicentino, emigrato in Svizzera e autore di un’importante opera anti-inquisitoriale, Girolamo Massari; del bergamasco appassionato di alchimia Guglielmo Grataroli, attivo a Basilea e corrispondente di Bullinger e Calvino; del terapeuta operante a

Venezia Teofilo Panarelli, esemplare dell’intreccio tra ricerca culturale e indagine teologica nell’Italia faro della Riforma medica e patria della Controriforma religiosa; e del medico condotto Agostino Vanzo, lettore di Erasmo e condannato a morte dal Sant’Uffizio di Belluno nel 1580. Con lo stesso obiettivo, nel prossimo capitolo si narrerà nel dettaglio la vicenda dell’umanista, medico e filosofo eterodosso Girolamo Donzellini, attivo tra il Veneto e il nord Europa e, per la ricchezza del suo profilo religioso e intellettuale, meritevole di costituire un case-study a sé stante.

Girolamo Massari tra medicina e teologia

Girolamo Massari nacque ad Arzignano, vicino a Vicenza, tra il 1480 e il 1485, e fu quindi esponente della prima generazione di medici eterodossi considerati in questa ricerca. Secondo una tradizione risalente a Pierre Bayle, egli studiò medicina come il padre Domenico e, tra il 1508 e il 1515, praticò l’arte ad Arzignano e Brogliano. Non sono molte le notizie che lo riguardino fino al 1544, quando appare come canonico regolare dell’ordine agostiniano nel convento di San Pietro di Cremona, sotto il nome di Giovanni Antonio vicentino. Tale informazione non deve stupire. Come si è già messo in evidenza, infatti, non era inusuale per i membri degli ordini sacri nutrire un interesse per la teoria e la pratica medica, in virtù dell’intimo rapporto tra dimensione spirituale e corporale, e in conseguenza della tradizione medievale che aveva visto i monaci operare in prima linea nell’attività curativa. Per quanto riguarda Massari, la dinamica pare ribaltata, giacché egli approdò al mondo clericale muovendo dalla professione medica; ciò che in ogni modo merita notare è che la compenetrazione tra azione terapeutica e riflessione sui misteri divini fu presente fin dalle prime battute della sua esperienza intellettuale e dovette accompagnarlo per il resto dell’esistenza. La vita ascetica non avrebbe comunque rappresentato l’esito ultimo del suo percorso. Negli anni in cui la Riforma si diffondeva in territorio vicentino1, Massari si unì al cenacolo legato alla figura di Giangiorgio Trissino, all’interno del quale, secondo Achille Olivieri, «era possibile leggere medicina»2, e si orientò al calvinismo. Abbandonò l’abito sacro nel 1551, quando lasciò l’Italia religionis causa e si trasferì in Svizzera per praticare la professione terapeutica. Anche in seguito a questa scelta, tuttavia, Girolamo non rinunciò a interessarsi di teologia e a intervenire nella controversia dottrinale.

La continuità tra la dimensione medica e quella spirituale proposta da Massari risulta, ai fini di questo lavoro, la più rilevante caratteristica della sua vicenda. Si è già avuto modo di accennare a questo medico vicentino nel primo capitolo, laddove si è fatto riferimento a un passo della sua più significativa opera di argomento teologico, l’Eusebius captivus, sive modus procedendi in curia romana contra luteranos, in quo praecipua christianae religionis capita examinantur, trium dierum actis absolutus, fonte preziosa per ricostruire la percezione che i dottori avevano del

1 Sul tema si veda OLIVIERI, Riforma ed eresia a Vicenza. 2 OLIVIERI, L'Eusebius Captivus, p. 360.

proprio compito intellettuale ed etico. In questa sede, merita soffermarsi più approfonditamente sulla testimonianza offerta da Girolamo in merito al rapporto tra cura del corpo e cura dell’anima e sul contributo che egli apportò al vivace dibattito teologico che animava Basilea alla metà degli anni cinquanta.

Nell’opinione di Massari, i medici erano incaricati di occuparsi sia della salute fisica sia di quella spirituale e, su questa base, erano non solo autorizzati, ma addirittura tenuti a ricercare «la verità delle cose», a prendere parte alla discussione religiosa, e a indicare la via per la salvezza eterna. Nell’ultima parte della dedica ai rettori di Berna in apertura all’Eusebius captivus, infatti, l’autore spiegava le ragioni che lo avevano indotto ad occuparsi di questioni relative alla fede, affermando chiaramente che non solo il medico doveva conoscere e comprendere il funzionamento del corpo, ma suo specifico compito era anche quello di mostrare quale fosse la medicina dell’anima. Citando Galeno, egli aggiungeva che, dal momento che l’ottimo medico era anche filosofo, era suo dovere perseguire lo scopo ultimo della filosofia, vale a dire la ricerca della verità. Infine, proprio come se medicina e religione fossero due facce di una stessa medaglia, Massari ribadiva che coloro che erano in grado di somministrare farmaci utili alla salute del corpo potevano, allo stesso modo, rivelare la vera medicina celeste, sulla scorta dell’esempio di san Luca apostolo, il cui impegno nella scrittura del Vangelo non oscurò mai la sua professione terapeutica. Girolamo era consapevole che la sua opera avrebbe suscitato le ire dei suoi nemici, i quali avrebbero cercato di sopprimerla con il fuoco – funesta premonizione dei roghi di libri che di lì a poco si sarebbero succeduti con sempre maggiore frequenza nell’Europa divisa dalle barriere confessionali. Egli comunque, forte della protezione di patroni tanto giusti e pii, avrebbe proceduto alla pubblicazione del volume, fedele al proprio compito intellettuale e spirituale.3

Tra medicina e religione non vi era dunque soluzione di continuità; al contrario, le due dimensioni si intrecciavano perfettamente. La sovrapposizione tra cura del corpo e cura dell’anima e il riferimento all’evangelista Luca, patrono dei medici, erano diffusi nella cultura terapeutica del sedicesimo secolo ed erano ampiamente utilizzati anche nella pubblicistica eterodossa. Alphonsus Lyncurius Terraconensis, ad esempio, nel difendere ed elogiare l’ingegno teologico di Serveto, fece riferimento proprio all’esempio di san Luca, sostenendo che lo sforzo dello spagnolo di estendere il proprio contributo intellettuale dalla medicina alla religione, con lo scopo di rivelare la

3 Vale la pena di citare per intero il passo, già parzialmente riportato al capitolo 1, in cui Massari esprime queste

considerazioni: «Quanquam ne corporis quidem humani medicum dedecere arbitror ut agnoscat unamque ostendat, quae vera animorum sit medicina. Medico namque qui et optimum philosophus sit oportet, ut inquit Galenus, philosophiae scopum, qui ipsa est verits rerum, ac morum probitas pertractare non denegatum est. Neque enim Lucae medicam professionem obscuravit historia sanctissima de gestis Apostolorum scriptio, sed potius illustravit ut qui corporibus medela afferre noverat, idem quoque animis coelestem indicaret. Cum igitur consilio opus meum in lucem emittam, compertum habeo, in illud insurrecturos hostes: illudque ad ignem usque si poterunt persecuturos. Verum nullo concutiar timore, donec Deu optimo maximo tales in causa sua (quales estis vos) patronos habebit, pietate, fide, iustitia, veritate, adde et potentia, illustres ac fortes.», MASSARI, Eusebius captivus, pp. 7-8.

vera natura della dottrina cristiana, acquisisse valore precisamente dall’imitazione dell’attività dell’apostolo.4 Nel caso di Girolamo Massari, il riferimento a san Luca, insieme con l’accenno alla base filosofica della medicina, era ciò che legittimava la sua pretesa di occuparsi del sacro e investigare in maniera razionale i fondamenti del cristianesimo.

Massari interpretò tale compito alla lettera. Giunto a Basilea nel 1551, si inserì immediatamente nel vivace circuito culturale della città, prendendo parte alle discussioni scientifiche e teologiche che ne animavano gli ambienti intellettuali. Immatricolatosi presso l’università, fu accolto nella casa dell’illustre botanico Conrad Gesner, che lo mise in contatto con i medici attivi a Padova Gabriele Falloppia e Melchiorre Guilandino. Con Gesner, Massari collaborò alla redazione della Bibliotheca instituta5, e il botanico rimase suo protettore anche negli anni a venire, quando il vicentino dimorò tra Berna, Zurigo e Strasburgo (in questa città Girolamo sarebbe morto nel 1564). Nel corso del suo esilio, Massari continuò a essere attivo tanto in campo medico, quanto nella disputa e nella propaganda teologica. Da Strasburgo, egli inviava infatti a Vicenza Bibbie stampate a Ginevra o Lione; mentre, insieme con Girolamo Zanchi e altri esuli italiani, partecipò alla discussione sul tema dell’eucarestia dalla quale doveva emergere un memorandum da presentare al concilio, come testimonianza dei dibattiti che animavano il mondo dei profughi italiani.6 Massari si occupò inoltre del commento al trattato di Ippocrate De natura hominis, che fu pubblicato nel 1564 (e venne inserito nell’Indice spagnolo del 1640); e lavorò a una serie di opere di argomento linguistico, rimaste inedite, quali la Hebreae linguae grammatica, quam tamen non edit in publicum, eiusdem germanicae linguae grammatica luculenta e la Linguae sanctae grammatica absolutissima, ex praecipuis eiusdem linguae scriptoribus collecta ac in quinque libris pulcherrimo ordine digesta, indicative del suo interesse «per una storia filologica delle principali lingue che attengono alla Sacra Scrittura»7. Questa curiosità lo inseriva nella tradizione filologica che da Lorenzo Valla giungeva fino a Serveto8; e proprio la riflessione sul pensiero e sulla vicenda di Serveto costituisce uno dei principali motivi di interesse in merito alla figura di Girolamo Massari.

Nel periodo in cui risedette a Basilea, il medico si diede infatti da fare per fare conoscere l’opera dell’antitrinitario spagnolo agli altri esuli italiani. Nel 1552, egli entrò in contatto con il

4 «Michael Servetus Villanovanus Tarraconensis, medicae artis peritissimus, Lucam illum medicum, cuius plurima in evangelio laus est, imitatus, quum plurimum ingenio valeret, et de veritate religionis mundum tumultuari nec non plurimorum scriptis et voluminibus infarciri satis aegre conspiceret, animum suum ad sacras literas subinde transtulit, in eisque omne suum Studium et ingenium collocavit”. Alphonsi Lyncurii terraconensis, Apologia pro M. Serveto, in CALVINUS, Opera quae supersunt omnia, vol. XV, p. 53. Tradizionalmente la storiografia ha identificato Lyncurius con

Matteo Gribaldi o Celio Secondo Curione. Secondo Ángel Alcalà, tuttavia, non è possibile escludere che si trattasse di un non meglio identificato antitrinitario spagnolo, anche se questa ipotesi non è stata ad oggi verificata, cfr. SERVET, Obras completas, p. 287.

5 OLIVIERI, L'Eusebius Captivus, p. 360. 6 OLIVIERI, voce Massari, Girolamo. 7 Ibidem.

collega bergamasco da poco giunto in Svizzera Guglielmo Grataroli e a quest’ultimo consegnò il De trinitatis erroribus di Serveto, insieme con altri due dialoghi sulla Trinità attribuiti allo spagnolo. Negli anni successivi, tale coinvolgimento nella distribuzione di opere servetane avrebbe valso al vicentino un’accusa di eresia da parte di Grataroli, che avrebbe accomunato l’operato di Massari a quello di Perna e Gribaldi, fautori di anabattisti e libertini9; già nel 1552, inoltre, Girolamo venne erroneamente confuso con il «Marrinus» al quale Serveto scrisse a proposito della sua Christianismi restitutio.10 Massari comunque poteva contare sulla protezione di Gesner e Bonifacio Amerbach contro quanti lo tacciavano di essere un antitrinitario, e, ancora per tutto il 1552, poté mantenere con Grataroli una discussione in merito al tema della Trinità.11 Fu la condanna capitale e l’esecuzione di Serveto a gelare i rapporti tra i due medici italiani, laddove Massari si allineò con il gruppo di quanti a Basilea rivendicavano il valore della tolleranza e della libertà di coscienza - tra i quali, in testa, Sebastiano Castellione e Celio Secondo Curione.

È significativo che proprio nel 1553 Massari pubblicasse il suo testo più importante, il già menzionato Eusebius captivus, feroce pamphlet di critica alla repressione inquisitoriale e protesta contro ogni forma di coercizione delle coscienze. Il testo racconta la vicenda di un personaggio immaginario, Euserbio Uranio, sottoposto per tre giorni a processo di fronte al Sant’Uffizio romano e infine condannato a morte da Giulio III in persona.12 Nel Modus solenni set autenticus ad inquirendum et inveniendum et convincendum luteranos, edito nel 1553 come l’Eusebius, Massari aveva già denunciato le premesse dell’azione inquisitoriale come ottuse e ricche di pregiudizi, esaltando al contrario il valore del dubbio metodologico: stimolo alla ricerca della verità e sprone per un’autonoma e genuina interpretazione delle Scritture, esso era considerato incompatibile con l’atteggiamento fideistico che gli inquisitori ingiungevano ai fedeli italiani. Tuttavia, se in questo pamphlet13 Massari aveva sviluppato tali temi con vena satirica, completamente diverso era il tono utilizzato nell’Eusebius, che intrecciava alla polemica antiecclesiastica riflessioni che lasciavano trasparire l’influsso di Erasmo e del «poliedrico universo culturale degli eretici italiani».14 Dall’umanista olandese, Massari traeva in particolare una concezione rinnovata della Chiesa, fondata su concetti di «patientia et tollerantia»: essi

9 ROTONDÒ, Pietro Perna, p. 284.

10 OLIVIERI, voce Massari, Girolamo. Grataroli raccontò della propria ricezione dell’opera di Serveto per tramite di Massari 8 anni dopo lo svolgimento dei fatti, nel 1560, in una lettera a Ulrich Iselin, pubblicata in PERINI, Note e

documenti, p. 162; mentre nel 1554, il bergamasco aveva scritto a Bullinger: «Legi egregium ac fortissimum Calvini librum contra Servetum et unum Massario ltalo, apud Gesnerum habitantem mitto. Mirum est quod adhuc sint qui factum illud, nempe mortem illius abyssi et sentinae haeresium omnium improbent, nec doctrinam etiam aspernentur sed retineant, uteunque omnia clam et in angulis agant.», cfr. CALVINUS, Opera quae supersunt omnia, Vol, XIV,

lettera n. 1914.

11 OLIVIERI, voce Massari, Girolamo.

12 Il testo usciva sotto lo pseudonimo di Hieronymum Marium; sarebbe stato ripubblicato in una seconda edizione a Zurigo nel 1597, presso Jean Volsius.

13 Per una presentazione di quest’opera, cfr. VALENTE, Contro l’Inquisizione, pp. 35-38. 14 Ivi, p. 39.

avrebbero dovuto dare origine a una «Christi Ecclesiae structura» alternativa a quella romana, che orientando i fedeli alla pietas e all’amore reciproco avrebbe garantito loro ampi spazi di libertà spirituale e mantenuto l’ecclesia scevra da ogni corruzione tirannica.15 La Chiesa romana, quella dei papi, del fasto e delle indulgenze, dell’oscurantismo e dei roghi, rappresentava, infatti, agli occhi di Massari, un’istituzione dispotica e anticristiana. Su questa base, costanti nel testo erano l’accusa nei confronti dei superbi che si arrogavano il diritto di amministrare la giustizia di Dio, e la polemica riguardo alla pretesa autoritaria di imporre con le torture e con le esecuzioni un credo confessionale. Certo, l’inquisizione romana era il principale bersaglio del J’accuse massariano, tuttavia la data, la sede e la tipografia della pubblicazione (i tipi di Pietro Perna) suggeriscono che il medico di Vicenza intendesse attraverso questa opera inserirsi nel generale dibattito sul tema della costrizione delle coscienze scaturito dal rogo di Serveto. Sebbene la gestazione dell’opera fosse precedente all’uccisione dello spagnolo, infatti, la «tensione intellettuale» che attraversava l’intera riflessione, e che contrapponeva le ragioni della persuasione a quelle dell’odio teologico, la inseriva a pieno titolo nell’orizzonte più ampio della discussione sulla legittimità di punire con la violenza la dissidenza religiosa.16 Non è una coincidenza che un esemplare dell’Eusebius captivus si trovasse nella biblioteca di Matteo Gribaldi Mofa, principale agente della circolazione dei testi di Serveto17; mentre la datazione della lettera dedicatoria al senato di Berna, 10 giorni dopo l’esecuzione dello spagnolo, avvalora l’ipotesi di un progetto editoriale volto a estendere l’intento polemico dell’autore dalla Chiesa di Roma a un più ampio e pericoloso orizzonte di intolleranza.18

Non solo, quindi, l’Eusebius si configurava come un efficace strumento di propaganda protestante, ma, tra le sue pagine, era possibile cogliere un appello alla pace religiosa e un’esplicita condanna di ogni forma di imposizione e violenza nelle questioni di fede. Da una parte, contestando l’avidità e la tirannide romana, il testo si concentrava sulla decostruzione delle pretese temporali e autoritarie della gerarchia ecclesiastica e confutava la legittimità stessa della Chiesa di Roma, dal pontefice (vicario del diavolo e non di Cristo, come mostravano le sue azioni nefande) fino alle fondamenta dell’istituzione. Dall’altra, sulla base della rivendicazione di una lettura autentica e libera delle Scritture, per bocca di Eusebio Girolamo sottolineava come nei testi sacri non esistessero passi che invitassero alla condanna capitale degli eretici. Il compito della vera Chiesa, che non conosceva armi se non lo «spiritualem gladium», era quello di «vivificare» e non di uccidere.19 Appellandosi a una risoluzione delle contrapposizioni dottrinali fondata

15 OLIVIERI, L'Eusebius Captivus, p. 364. 16 VALENTE, Contro l’Inquisizione, p. 44. 17 PERINI, Note e documenti, p. 167. 18 VALENTE, Contro l’Inquisizione, p. 44. 19 Ivi, p. 42.

sull’imitazione del modello Cristo, che aveva appunto insegnato a dirimere le controversie con la parola e non con la spada, Eusebio invitava ad affrontare le diatribe teologiche attraverso la disputa e l’esame dei testi, senza mai cedere alla tentazione di eliminare con la violenza gli oppositori. Inoltre, mentre proponeva una genealogia degli abusi ecclesiastici, una vera e propria ricostruzione storica dello sviluppo del dispotismo romano e del suo tradimento dei precetti evangelici20, il prigioniero rifletteva sulla necessità della «correzione fraterna» dell’eretico. Essa era volta a recuperare il dissidente alla vera fede, e solo laddove il deviante fosse risultato pertinace, sarebbe stato accettabile allontanarlo dalla comunità; da questo punto di vista, in ogni modo, la minaccia della scomunica avrebbe avuto uno scopo educativo e non punitivo.

Emanata la sentenza, poi, Eusebio esponeva la propria dottrina della predestinazione; sostenuto dallo spirito santo e facendo riferimento alla teologia di Agostino egli contrapponeva la misericordia divina alla (in)giustizia umana. Merita notare che la concezione della predestinazione qui enunciata da Massari addolciva enormemente quella proposta nella dottrina riformata. Dio era anzitutto dotato di «praescientia», in virtù della quale aveva potuto dare origine alla creazione del mondo e alla perfezione della natura; dopo la creazione, tuttavia, la potenza divina non si era annichilita in una realtà immobile, che già tutto aveva deciso e pre-destinato. Se in un primo momento era stato il «Dio giusto» a prevalere, in seguito, «nel corso della storia e a contatto con l’uomo», aveva avuto il sopravvento la misericordia divina, che aveva modificato il quadro della creazione.21 Dio superava la sua praescientia e liberava così i credenti, che, invocando22 la sua pietà, erano «electi in Christo», giustificati e glorificati.23 Sulla scia della lezione erasmiana, il «Dio medicus» di Massari, «guaritore di cuori aridi e induriti»24, non obbligava il fedele a vivere nella paura del peccato e nell’ansia della dannazione: quello che ispirava l’Eusebius era un Dio

Nel documento Medici ed eresie nel Cinquecento italiano (pagine 184-200)

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