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Medicina ed eresia nella Repubblica di Venezia

Nel documento Medici ed eresie nel Cinquecento italiano (pagine 139-183)

«Hora essendo questa nostra città tanto curiosa nelle cose della fede, che non si contentando né si quietando nella fede dei suoi maggiori, va cercando nuove sette e massime gli huomini dotti e letterati, non è gran meraviglia che in tanti amici e persone de quali ho avuto conoscenza molti ve ne siano stati per la loro dottrina condannati» Girolamo Donzellini (ASV, Sant’Uffizio, Processi, Bu. 39, f. 48v)

«Questa nostra città tanto curiosa nelle cose della fede»

Così il medico Girolamo Donzellini, nell’apologia che indirizzò ai giudizi del Sant’Uffizio veneziano nel 1560, descrisse la città tra i cui ponti e canali aveva trovato asilo dopo aver destato per la prima volta, a Roma, l’attenzione dell’Inquisizione alla metà degli anni quaranta. Come si è già avuto modo di notare, la scelta del medico bresciano fu tutt’altro che eccezionale. Venezia accolse infatti un elevato numero di medici eterodossi, che assunsero in molti casi il ruolo di guide intellettuali all’interno delle conventicole ereticali della città. Il documento citato in apertura di questo capitolo getta luce sul clima di libero dibattito religioso che si respirava nella capitale, e rivela il protagonismo degli uomini di cultura nel movimento di Riforma. Nel corso di questa sezione, facendo riferimento alle fonti inquisitoriali veneziane, si avrà modo di approfondire ulteriormente la specificità della figura del medico e di riflettere sul modo in cui essa favoriva l’esercizio di una propaganda religiosa particolarmente pervasiva. Vale comunque la pena di ribadire, fin dall’esame di questa prima testimonianza, che nel caso di Venezia una parte di primo piano nella formazione e nel consolidamento della sensibilità riformata dei terapeuti era giocata dal teatro stesso nel quale si svolgevano le loro vicende ereticali. Fiera oppositrice delle pretese politiche e giurisdizionali di Roma, abitata da uomini e donne provenienti da tutta Europa, accogliente e in certa misura tollerante (se comparata ad altre realtà italiane), centro internazionale per la pubblicazione e distribuzione delle principali novità editoriali - tra le quali non mancavano naturalmente testi medici e religiosi -, e snodo fondamentale nella geografia intellettuale e teologica italiana, la Dominante partecipava al movimento di Riforma come una forza centripeta, che attraeva le personalità intellettuali più curiose e versatili e le metteva in condizione di entrare in relazione tra loro, di scambiarsi stimoli culturali e riflessioni teologiche, di apprendere i fondamenti della religiosità riformata e di formulare con un ampio grado di libertà opinioni personali in merito al dibattito dottrinale.

Se Venezia esercitava un’attrazione particolare sui dissidenti, il movimento riformato si estendeva in tutta la Repubblica, da Padova alle terre istriane, da Brescia, Bergamo e le aree montagnose a ridosso delle Dolomiti fino a Candia e lo Stato da Mar. Proprio a Candia era nato il già citato medico Manusso Maran, attraverso il cui processo le autorità veneziane poterono conoscere quanto l’eresia si fosse radicata anche oltre i confini geografici italiani. Manusso, «di rito greco e di legnaggio basso, cioè de contadini, schiesmatico e nemico del nome latino, alli antiqui errori de Greci» aveva aggiunto «queste eresie moderne»1, conoscendole prima di tutto per tramite di un maestro Francesco Gentil da Fermo detto «lucchese» - che si era trasferito a Candia con il probabile scopo di fuggire da una città nella quale le sue idee compromettenti dovevano essere note e di propagare il nuovo Vangelo anche al di là del mare Adriatico. Ricevuta questa prima formazione eterodossa, di stampo calvinista2, Maran aveva acquisito a Padova piena consapevolezza teologica; in seguito alla laurea si era poi occupato di medicina e filosofia «conversando sempre con li primi medici di Padova e di Venetia e nelli hospidali e nelle prigioni e nelle case di gentiluomini e povere e riche»3: un terreno particolarmente fecondo per lo sviluppo di un sempre maggiore coinvolgimento nel panorama ereticale. Le fonti raccontano che in questo periodo Manusso redasse di proprio pugno un trattato sul purgatorio4 e mise insieme una ricca biblioteca di volumi proibiti5; tornato in patria, è noto che diede scandalo al vicinato, ad esempio frantumando davanti agli occhi esterrefatti delle madre un’immagine della Vergine Maria, ed entrò in contatto, per motivi professionali e religiosi, con il medico calvinista6 Giovanni Cassinati,

1 ASV, Sant’Uffizio, Processi, Contro Giovanni Cassinati, Francesco Gentil da Fermo e Manusso Mariano, Bu. 27, lettera dei rettori di Candia agli inquisitori di Venezia datata 5 aprile 1569.

2 Tra i libri posseduti da Maran si trovava un esemplare del «De haereticis a civili magistratu puniendis, aucotre Theodoro Beza, dove nella coperta è scritto di mano del maestro lucchese (come lui ha confessato nel suo constituto) “legendus totus”»: questo appunto mostra che l’azione pedagogica di Gentile era orientata in senso calvinista. Ivi, «inventario delli scritti et libri eretici ritrovati in mano di Manusso Maran».

3 Ivi, scrittura di difesa di Manusso Maran, senza data, ma risalente all’autunno 1568.

4 A dire il vero, Maran dichiarò che non si trattava di una produzione originale; al contrario, egli si era limitato a trascrivere un testo trovato in un orinatoio, desideroso di recuperarlo dalla sporcizia e conoscerne il contenuto. Quale che sia la verità, se il medico si preoccupò di restaurare un libello rinvenuto in un contesto così poco igienico («perchè quel scartafaccio era mal fatto e consumato di fango e di piscio», Ivi, costituto del 18 luglio 1568), il contenuto doveva essere per lui di grande importanza.

5 Ivi, «inventario delli scritti et libri eretici ritrovati in mano di Manusso Maran».

6 Queste le proposizioni che Cassinati abiurò nel 1569: «Io Giovanni Cassinati de Constantin fisico abitante qui in Candia costituto personalmente in giudicio avanti de voi [...] giuro che io credo con il cuore e confesso con la bocca che nel santissimo sacramento dell’altare vi sia veramente il corpo et il sangue di Cristo redentor nostro e che detto santissimo sacramento debba essere da qualunque fedel cristiano adorato [...]; Item giuro [..] che il pane e il vino offerti nell’altare dopo la consacrazione del sacerdote sono il vero corpo e sangue di nostro Iesu Christo et non sono in figura ovvero per commemorazione solamente; Item giuro che credo con il cuore e confesso con la bocca come Giesù Cristo essendo per passare da questo mondo al suo eterno patre in doi modi si offerse in sacrificio, l’uno fu sacrificio non cruentato sotto specie del pane e del vino nell’ultima cena fatta con li discepoli suoi, l’altro fu sacrificio cruentato sopra l’ara della santa croce [...] et però conseguente abiuro detesto e revoco quella heresia dannata dalla Santa madre Chiesa la quale heresia asserisce che li giudei una volta sola hanno crocifisso et morto Cristo e li papati ogni giorno lo crucifigono e ammazzano nella quale io misero sono incorso e quella ho tenuto. Item giuro che credo [...] che quantunque per la giustificazione de fideli Cristo se habbi degnato di effondere el suo precioso sangue non demeno il santissimo sacrificio della messa nella Chiesa catholica necessariamente deve essere da tutti li cristiani devotamente accettato et frequentato essendo per quello a noi applicato il merito della sua sanguinolenta passione et

legato a sua volta al vecchio maestro di Maran, Francesco lucchese. Quando le autorità giunsero a stanare i tre, si accorsero subito che si trattava di personaggi in grado di costituire, con la loro azione propagandistica, un concreto rischio per la tenuta dell’ortodossia nella cittadina cretese. Come i rettori di Candia ammisero nella lettera ai giudici veneziani in cui spiegavano le ragioni e le modalità della detenzione, «sono state efficaci le persuasioni di questi doi heretici condennati l’un come fisico praticando per tute le case e ville de nobili e l’altro come maestro delli figlioli loro»7: per 17 anni Cassinati e Gentile avevano diffuso idee ereticali in tutta la città, e al loro operato si era poi aggiunto quello di Maran. La questione del resto aveva un delicato risvolto politico: «la natura di questi populi è anche senza eresie assai difficile da reggersi»8. Nei domini greci la popolazione detestava i veneziani (tanto da aspettare con ansia, in qualche caso, la venuta dei Turchi); l’adesione alle dottrine ereticali coniugata all’ostilità politica costituiva per le autorità della Dominante una miscela esplosiva. Per queste ragioni i rettori decisero di «levar del tutto de qui questi cattivi soggetti»: i prigionieri furono tradotti a Venezia, per essere isolati da un contesto nel quale venivano rispettati e «favoriti» (scelta nella quale si può nuovamente notare l’elemento relativo alle protezioni politiche che i medici erano in grado di ottenere). Francesco lucchese e Cassinati, che si erano sottoposti all’abiura nel 1569 ed erano stati rispettivamente condannati a dieci anni di carcere e all’ergastolo, scontarono a Venezia la pena loro imposta (Cassinati sarebbe morto in prigione); per Manusso invece si aprì una seconda fase processuale. Il giovane resistette per circa due anni fino a che si piegò all’abiura nel 1571: costretto al bando perpetuo da Candia egli fu condannato a 5 anni di prigione e a varie pene spirituali.

Questa vicenda illustra come nuclei riformati fossero attivi in tutta la Repubblica veneta e come i medici fossero coinvolti nel movimento eterodosso in modo ampio e capillare: sembrerebbe quasi di poter sostenere che, laddove era presente un gruppo ereticale, nella maggior

conseguentemente abiuro [..] che essendosi degnato Cristo Giesù per la salute nostra di effondere il suo sangue percio non accasca cercar altro; Item giuro [...] che oltre il credere, et essere battezzato, sono anco necessari alla salute dei fedeli cristiani il sacramento della penitenza, che è seconda tabula post naufragium, et l’osservanza delli digiuni, e tutte le altre buone e pie opere frutto della penintentia [...]; Item giuro che la chiesa cioè il tempio materiale dove li fedeli convergono al sacrificio della messa e alli divini officii esser il luogo dove principalmente si deve orare e abiuro che [...] non si deve orare in detta chiesa ma in casa, nei monti e in ogni altro luogo come piace a ciascuno, e abiuro quella eresia che asserisce che la chiesa non è casa di Dio, ma casa del demonio dove si bestemmia Dio e che li abiti dei religiosi sono abiti del demonio; Giuro che io credo che i santi e le sante devono essere venerati e intercedono per la remissione delli nostri peccati e per la salute nostra e abiuro quello che ho creduto dicendo che non staria che se io Cassinati vivesse giustamente et facessi opere buone che per questo io fossi chiamato san Cassinati e ho soprattutto ho ripreso e biasimato quelli che si mostravano devoti verso santa Veneranda; Item giuro che io credo con il cuore et confesso con la bocca che le sacre immagini di Cristo, della gloriosa vergine e di tutti i santi e sante della Chiesa cattolica celebrate devono essere da tutti li fedeli christiani [...]; Giuro che io credo [...] che tutti noi abbiamo da Dio havuto et avremo il libero arbitrio [...]; item giuro che io credo [...] che le epistole di san Paolo vaso di elettione siano in tutte le parti loro rettamente scritte et con retti e santi sentimenti dal Spirito santo dotati e abiuro [...] che le lettere di san Paolo devono essere in molta parte rettate.» Ivi, «abiuratio» di Giovanni Cassinati, pronunciata l’8 luglio 1568.

7 Ivi, lettera dei rettori di Candia agli inquisitori di Venezia, 5 aprile 1569.

8 Ibidem: «Per spatio ambi duo de anni 17 e più che hora ritroviamo in questa città in termini che ne farò tenere, e tanto più quanto che per esperienza sapiamo che la natura di questi populi è anche senza eresie assai difficile da reggersi pero habbiamo giudicato cosa necessaria di incidere e levar del tutto de qui questi duo cattivi soggetti, sperando che con il castigo loro altri che già tribulavano si reprimeranno et cosi si consentirà la solita quiete e pace di santa Chiesa».

parte dei casi in esso non mancava la componente medica. La capitale poi, come si è detto, la faceva da protagonista nello scenario della Riforma italiana; lo stesso Manusso, introdotto alle dottrine ereticali in patria, aveva poi consolidato la propria sensibilità eterodossa a Padova e, in seguito alla laurea, nella stessa Venezia. La Riforma faceva proseliti in tutta la Repubblica, ma la capitale restava il principale polo di attrazione per i dissidenti.

Ciò non significa che la religiosità ufficiale della città protetta da san Marco fosse in discussione. Il conflitto con lo Stato pontificio9 si giocava semmai su ragioni di rivalità politica, sul rifiuto veneziano di prestare ossequio incondizionato alla potestà ecclesiastica10 e sul diverso allineamento di Roma e Venezia in relazione alla presenza spagnola sul suolo italiano11. L’ortodossia delle autorità e della comunità veneziana era ostentatamente difesa: se nella seconda metà del secolo la Serenissima costruì, nella lotta ingaggiata contro il Turco e nel racconto di Lepanto, il mito della propria potenza cristiana, nel tardo ‘500 non mancarono dogi, come il pio Pasquale Cicogna, più che disposti ad accondiscendere al nuovo clima inaugurato a Trento, pronti a proteggere a spada tratta i gesuiti e a suggellare con l’esecuzione di eretici, quali il medico Donzellini, una stagione, se pur breve, di piena armonia con la santa sede. Anche al di fuori di questi eventi, la vita a Venezia era scandita dalle celebrazioni religiose e dalla fede cattolica. Il culto di san Marco rappresentava il nucleo della coscienza civica cittadina grazie al quale i valori politici e religiosi divenivano inseparabili12, mentre con le sue 70 parrocchie, le sue 33 chiese di chierici regolari e i 31 conventi di monache, con la sua abbondanza di reliquie (come il corpo di santo Stefano, quello di san Rocco e naturalmente quello di san Marco, venerabili nei luoghi di culto della città), e con la sua coreografica messa in scena di processioni, feste titolari e voti collettivi, Venezia attribuiva all’osservanza dei precetti cattolici piena centralità nella quotidianità degli abitanti.

Le fonti archivistiche del fondo Savi all’eresia testimoniano comunque che nel corso del ‘500 la vita religiosa veneziana non si ridusse affatto a una ossequiosa reverenza al cattolicesimo. Più di mille persone furono processate per eresia a Venezia tra il 1541 e il 1580, come emerge da un esame dell’inventario del suddetto fondo (esso comunque tiene conto anche dei prigionieri tradotti nella capitale da altri luoghi della Repubblica). Mercanti, patrizi, uomini di chiesa, librai, barcaioli, artisti, artigiani, bottegai, speziali, avvocati, orefici, notai e, naturalmente, medici, nei decenni centrali del secolo diedero vita a un movimento spontaneo, «creativo e disordinato»13, che conobbe al suo interno diverse articolazioni dottrinali e diversi gradi di radicalità (nella stessa

9 Su cui cfr. COZZI, I rapporti; IDEM, Stato e Chiesa. 10 ZORZI, La vita quotidiana a Venezia, p. 254. 11 CRISTELLON,SEIDEL MENCHI, Religious Life, p. 399. 12 Ivi, p. 394.

Venezia si tenne il noto sinodo anabattista del 1550). Il dissenso veneziano raggiunse l’apogeo in termini di consapevolezza e radicamento tra gli anni quaranta e cinquanta del ‘500 e, gradualmente, nei decenni successivi, ripiegò nella sfera privata, in risposta alla dura repressione alla quale fu sottoposto e che condusse entro la fine del secolo a una sua pressoché totale soppressione.

La storiografia ha ampiamente affrontato il tema dell’eresia a Venezia, sia attraverso studi dal respiro ampio14, sia muovendo da angolazioni specifiche15 o prendendo in considerazione il ruolo svolto da diversi gruppi sociali16 o professionali17. Non è quindi il caso di soffermarsi in queste pagine su una ricostruzione dettagliata del panorama eterodosso veneziano. Per rilevare il peso dei terapeuti nell’orizzonte del dissenso religioso della città lagunare, e verificare l’incidenza che le idee riformate esercitarono su questa categoria, occorre tuttavia mettere in relazione il dato inerente al numero di medici eterodossi, con quello riguardante il numero totale di dottori attivi in città. Solo in questo modo sarà possibile ottenere una stima, perlomeno approssimativa, degli operatori della salute coinvolti nel movimento di Riforma.18

Medicina ed eresia a Venezia: il campione

La cifra di terapeuti eretici ipotizzata a partire dallo studio delle fonti è il risultato di un’approssimazione che difetta di tutti i medici che non furono processati, nè vennero denunciati come complici o sospetti, oppure seppero nascondere abilmente la propria sensibilità riformata, pur essendosi avvicinati a opinioni ereticali. Oltretutto, è necessario ricordare che l’attività inquisitoriale del Sant’Uffizio di Venezia non fu costante.19 Come mostra il grafico alla pagina seguente, essa conobbe momenti di minore aggressività e picchi repressivi – in corrispondenza, ad esempio, degli anni del papato di Paolo IV e Pio V, o in connessione con le indagini relative ai seguaci dell’ex-vescovo di Capodistria Pier Paolo Vergerio o alla delazione di Pietro Manelfi -, e tale discontinuità deve essere tenuta presente nell’analizzare un campione costruito sull’esame dei documenti inquisitoriali. Cionondimeno, il dato emerso dallo spoglio del fondo Savi all’eresia permette di avanzare qualche ipotesi sulla consistenza quantitativa della “Riforma dei medici” a Venezia.

14 MARTIN, Venice’s Hidden Enemies. 15 GRENDLER, The Roman Inquisition, 1975. 16 AMBROSINI, Storie di patrizi e di eresia. 17 FIRPO,Artisti, gioiellieri, eretici.

18 Naturalmente, sarebbe importante compiere questo tipo di operazione per tutte le maggiori città italiane; solo per Venezia, però, grazie alla ricchezza del fondo archivistico inquisitoriale, è stato possibile fare emergere un numero sufficientemente ampio e solido di medici eretici.

19 I due grafici presenti in questo paragrafo saranno riportati, per comodità di fruizione del lettore, anche nell’appendice n. 1.

Trend repressivo a Venezia 1541-1580 0 10 20 30 40 50 60 70 anno 154 1 anno 154 2 anno 154 3 anno 154 4 anno 154 5 anno 154 6 anno 154 7 anno 154 8 anno 154 9 anno 155 0 anno 155 1 anno 155 2 anno 155 3 anno 155 4 anno 155 5 anno 155 6 anno 155 7 anno 155 8 anno 155 9 anno 156 0 anno 156 1 anno 156 2 anno 156 3 anno 156 4 anno 156 5 anno 156 6 anno 156 7 anno 156 8 anno 156 9 anno 157 0 anno 157 1 anno 157 2 anno 157 3 anno 157 4 anno 157 5 anno 157 6 anno 157 7 anno 157 8 anno 157 9 anno 158 0 anni n u m e ro p ro c e s s a ti Serie1

Come si è già visto, la ricerca archivistica ha portato al rilevamento di 40 casi di medici eretici attivi nella capitale per i decenni 1541-1576. Se lo spoglio delle buste si è spinto fino al 1576, il calcolo del numero totale di medici operanti a Venezia, e la definizione della percentuale di eterodossi tra essi, ha come termine il 1574. L’arco temporale è stato scelto sulla base delle fonti disponibili e della rilevanza storica del periodo in questione: il 1574 è l’ultimo anno per il quale si abbiano notizie certe in relazione al numero di medici (collegiati) operanti a Venezia; inoltre, a quella data il dispiegamento della politica controriformistica era già pienamente avvenuto e a buona ragione il 1574 può essere considerato come anno limite.

Non è stato infatti facile definire il numero totale di terapeuti che lavorarono nella capitale nel ‘500, poiché le fonti relative all’attività degli uffici sanitari cittadini concedono scarse informazioni a riguardo e si concentrano, appunto, solo su determinati anni. Non sono conservate, come accade invece per i secoli XVIII e XIX, liste contenenti i nomi dei terapeuti che furono membri del Collegio o vennero da esso licenziati. Ne consegue che le ipotesi di calcolo imbastite per determinare il numero totale di medici attivi in città nel trentennio in questione sono basate su dati frammentari, e sull’incrocio delle informazioni reperite grazie all’esame dei manoscritti della Biblioteca Marciana20 (contenenti notizie relative all’attività dei Collegi dei medici e dei chirurghi) con quelle offerte dalla storiografia. Si è inoltre cercato di ragionare su quale potesse essere il tasso di sostituzione dei terapeuti che medicavano in città: le loro carriere, come mostrano i casi di almeno 24 medici i cui nomi vengono elencati nei documenti marciani in riferimento alle riunioni collegiali, erano durevoli, aggirandosi su una media di almeno21 28 anni. A meno che il

20 Venezia, Biblioteca Marciana, Ms Ital VII (2342=9695), Notizie cavate dai libri dei priori; Ms Ital VII (2328-9722)

Libro dei priori B; Ms Ital VII (2329-9723) Libro dei priori D.

21 La stima è calcolata per difetto: per la maggior parte dei medici di cui si sia reperita notizia in relazione alla durata

Nel documento Medici ed eresie nel Cinquecento italiano (pagine 139-183)

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