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Medicina e reliquie in ceroplastica nella prima metà del XIX secolo

Massimiliano Ghilardi

Venerdì 20 luglio 1827, con un apposito breve apostolico, Leone XII conferiva ad Andrea Belli – «pei suoi distinti requisiti e per le mo-rali qualità ond’è fornito», come testimoniato anche dal Diario di Ro-ma di cinque giorni dopo1 – l’Ordine dello Speron d’Oro, più propria-mente detto Ordine della Milizia Aurata, prestigioso riconoscimento conferito a coloro che si fossero distinti per diffondere il messaggio della Chiesa o contribuire a propagare la gloria del suo nome con ar-mi, scritti o altri atti illustri. Chirurgo pontificio e poligrafo eclettico, Belli – «medico e chirurgo per professione, dedito alle lettere per ge-nio», come era solito definirsi2 –, spesso confuso dai contemporanei con il celebre scrittore romano Giuseppe Gioachino Belli3, si era già

1 Cfr. Diario di Roma, numero 59, anno 1827, p. 1.

2 Cfr. G. Cugnoni, Andrea Belli, “La Scuola Romana. Foglio periodico di Letteratu-ra e di Arte”, anno II, fasc. 11, 1884, pp. 249-253, citaz. a p. 250.

3 Fu lo stesso poeta romanesco a lamentarsene pubblicamente in due occasioni, entrambe databili attorno all’anno 1851. Dapprima, in modo rapido e incidenta-le, in una poesia in italiano dal titolo L’uom di consiglio («Sonmi un arcade insom-ma e un tiberino / senza pur ombra di prosopopea, / sonmi infine un Giuseppe-Giovacchino / assai diverso dal dottore Andrea; / ché costui sa di greco e di latino / e la fa in barba all’avvocato Fea, / ed io so appena in pessimo toscano / infradi-ciar di me qualche cristiano»; cfr. R. Vighi [a cura di], Belli italiano, I-III, Editore Carlo Colombo, Roma 1975, III, pp. 40-41, vv. 17-24), poi, in modo più ampio e diretto, in una lunga lettera Alla cittadinanza romana («Se non è un giorno è l’altro, vado io ricevendo complimenti e congratulazioni per colpa di certi eru-diti e spiritosi articoletti che di tempo in tempo si trovano stampati […]. Tutto l’imbroglio è nato fra noi da error di persone, per quel benedetto nome di Belli che portiamo entrambi. Ma non per questo noi siamo un unum et idem, che anzi neppure apparteniamo ad un medesimo albero, ad una medesima progenie. L’au-tore degli articoletti fa razza a parte. Forse discendiamo ab antiquo da un ceppo

distinto per la pubblicazione di una grande quantità di scritti eruditi, solo in minima parte legati alla propria attività di medico. Se, ad ogni modo, la sua attività di chirurgo pontificio e di erudito sono già in parte note4, del tutto dimenticato è il suo impegno quale paleopato-logo e ricompositore dei corpi dei martiri per conto della Congregatio pro sacri ritibus et caeremoniis. Eppure, a quanto sembra possibile de-sumere da alcuni indizi del tempo, il suo ruolo per molti anni non fu del tutto secondario nel riconoscimento e nell’attribuzione della cer-tificazione ufficiale di martirialità di numerosi corpisanti cavati nel-le viscere delnel-le catacombe del suburbio romano5. È il caso, ad esem-pio, del corpo del presunto martire di nome Gemello, cavato presso il

solo, ma oggi, a buon conto, passa da lui a me tanta differenza quanta un giorno dai Bianchi ai Neri, dai Lambertazzi ai Geremei. Eppoi egli è cavaliere e dotto medico chirurgo, ed io un omiccino nudo e crudo senza addosso né privilegio di alloro, né fregio di nastro: egli sa di antiquaria, ed io non ho potuto ancor capire che cosa sia la Greco stasi né il Templum-pacis né il Truti della statua di Todi, né l’Apparet di Vergilio Eurisace, cose più chiare che non la luce delle candele steari-che: egli conosce le case di tutti i morti ed io non so nemmeno quai vivi mi abitino incontro: egli ha scritto sul Sal cibario ed ha condito quel suo sale con (cento) altri saletti (di sua fabbrica privativa) ed io, se (talor) mi scappa una lepidezza, fo, come si dice calar il latte alle ginocchia. Insomma egli è un uom dotto, ed io (mi sono) un povero bietolone che ho a caro e grazia di non fiatare […]. Finiamola una volta»; cfr. G. Spagnoletti [a cura di], Giuseppe Gioachino Belli. Le lettere, I-II, Cino del Duca Editore, Milano 1961, II, n. 667, pp. 451-452 [corsivi originali del testo]).

4 Nato a Roma il 7 aprile del 1789, dopo i primi studi presso il Collegio Roma-no, Belli intraprese studi legali e medici e, per molti anni, fu chirurgo primario presso l’Arcispedale di Santa Maria della Consolazione. Autore di un consistente numero di studi su diversi argomenti, Belli morì il 23 febbraio del 1867 e fu se-polto nella chiesa di San Bonaventura al Palatino. Manca, ad oggi, una biografia completa del Belli: si vedano in sintesi i Cenni biografici del Dot. Cav. Andrea Belli,

“Giornale medico di Roma”, fasc. 6, anno III, giugno 1867, pp. 369-399; e G. Al-berti, Di Andrea Belli, strano medico scrittore e delle prime medicazioni in Roma col cloruro calcico (1833), “Policlinico (sezione pratica)”, XLVIII, 1941 (non vidi).

5 Per i criteri di riconoscimento dei corpi dei martiri catacombali mi sia consentito rimandare a quanto già proposto in M. Ghilardi, Quae signa erant illa, quibus putabant esse significativa Martyrii? Note sul riconoscimento ed autenticazione delle reliquie delle catacombe romane nella prima età moderna, “Mélanges de l’École française de Rome - Italie et Méditerranée”, 122, 1, 2010, pp. 81-106.

cimitero di Callisto – dunque, le catacombe di san Sebastiano allora credute essere il cimitero di Callisto – il 13 gennaio del 1835 e poco più tardi, il 2 agosto del 1837, giunto al Collegio di San Bartolomeo dei padri gesuiti di Modena per intercessione di mons. Giovanni Au-gustoni, Praefectus Sacrarii Apostolici. Un «vaso di sangue», l’ampolla unguentario che era murata nella calcina di chiusura del loculo6, a di-spetto dell’epigrafe, in cui non si coglievano elementi minimi di mar-tirialità presentando il semplice elemento nominale in caratteri greci ΓΕΜΕΛΛΌΣ, spinse i cavatori a ritenere il corpo del defunto appar-tenere alla schiera eletta dei martiri di Cristo7. Si richiese però, come era consuetudine, anche per poter in qualche modo confezionare un racconto agiografico del martire in assenza assoluta di dati biografi-ci desumibili dall’iscrizione, l’intervento di un medico – Andrea Belli, per l’appunto – che ne certificasse il martirio e, soprattutto, ne

stabi-6 Si tratta, come è noto, del recipiente – solitamente vitreo – nel quale, secondo la vulgata del tempo, sarebbe stato raccolto dai fedeli il sangue dei testimoni della fede subito dopo il martirio. Molto è stato scritto – e quasi sempre non cogliendo nel vero – su tali ampolle che, affisse nella calce di chiusura dei loculi, decoravano le tombe dei comuni defunti e non è certamente questa la sede più idonea per tornare ad affrontare l’argomento. Ma vale appena la pena di rammentare che si trattava unicamente di balsamari e non certo di fialette ematiche e che la loro frequenza nei corredi sepolcrali tardoantichi – quasi sempre in contesti ipogei

“esplosi” all’esterno dei loculi per motivi decorativi – è comunissima nei cimi-teri ipogei romani: ciò significa, chiaramente, che il numero di presunti martiri riconosciuti esclusivamente in base a tale signum – e sono la maggioranza – non fu realmente martire in antico: in sintesi, oltre alla bibliografia citata nella nota seguente, si veda quanto suggerito da U.M. Fasola, Il culto del sangue dei martiri nella Chiesa primitiva e deviazioni devozionistiche nell’epoca della riscoperta delle ca-tacombe, in Sangue e antropologia nella letteratura cristiana, atti della settimana di studi del Centro Studi Sanguis Christi a cura di F. Vattioni, (Roma, 29 novembre - 4 dicembre 1982), I-III, Pia Unione Preziosissimo Sangue, Roma 1983, III, pp.

1473-1489.

7 Sul «vaso di sangue» quale indicatore di martirio il rimando ancora oggi obbliga-to è al volume Sulla questione del vaso di sangue. Memoria inedita di Giovanni Bat-tista de Rossi con introduzione storica e appendici di documenti inediti del P. Antonio Ferrua S.I., Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, Città del Vaticano 1944.

In sintesi sulla questione si perdoni anche il rimando al mio saggio: Sanguine tumulus madet. Devozione al sangue dei martiri delle catacombe nella prima età mo-derna, Aracne editrice, Roma 2008.

lisse l’età al momento del decesso. Il racconto della ricognizione del-le ossa, piuttosto interessante, è tramandato da un passo del cedel-lebre erudito levizzanese Venanzio Celestino Cavedoni8:

L’età, scriv’egli, ella è certo di giovane, ma non così facile a deter-minarsi. Il Sig. Cav. Andrea Belli Chirurgo primario della Consolazio-ne in Roma, e Decano dei periti votanti pel sacro foro, quando Consolazio-nella Casa de’ Professi della Compagnia di Gesù, alla presenza di più testi-monii, trasse fuori d’una cassetta, dove stavano, le Ossa del Santo Martire, e come potè meglio le ordinò e ricompose, giudicò, che stan-te il diametro delle Ossa sstan-tesse cilindroidi e simmetriche, e secondo la compattezza ed osteogenia delle ossa piane e lamellari, fosse quel-lo Scheletro di giovinetto di anni 15: nondimeno il valente artefice, che dovea colla cera tornargli le sembianze della carne e della pelle, uso com’è a maneggiar di simili ossa, e pratico in rilevarne l’età, si avvisò potersi senza fallo aggiungere un due o tre anni di più, e con lui s’accordarono altri periti. Può dunque più verisimilmente creder-si, che il nostro S. Gemello fosse in età d’anni 17 o 18 allor che morì Martire di Cristo9.

Come è evidente dal racconto, si tratta di un corposanto compo-sto in ceroplastica, tipologia di reliquie oggi ancora poco studiata – ad eccezione di qualche accenno in contributi di più ampio respiro sulla ceroplastica artistica e devozionale10 – ma che ebbe

grandissi-8 Sul quale – oltre a quanto raccolto da F. Parente, s.v. Cavedoni, Venanzio Celesti-no, in Dizionario Biografico degli Italiani, 23, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1979, pp. 75-81 – si veda ora la dettagliata scheda di C. Noviello, s.v.

Venanzio Celestino Cavedoni, in Personenlexikon zur Christlichen Archäologie. For-scher und Persönlichkeiten vom 16. bis 21. Jahrhundert, I-II a cura di S. Heid e M.

Dennert, Schnell & Steiner, Regensburg 2012, I, pp. 293-295.

9 Cfr. C. Cavedoni, Considerazioni sopra l’iscrizione sepolcrale di s. Gemello martire il cui sacro corpo si conserva e venera nell’oratorio della congregazione degli scolari de’ Rr. Pp. della Compagnia di Gesù in Modena, in Continuazione delle memorie di religione, di morale e di letteratura, tomo VII, Dalla reale tipografia eredi Soliani, Modena 1839, pp. 321-351, citazione alle pp. 323-324, nota 1.

10 Penso, ad esempio, agli interessanti studi di Roberta Ballestriero. In particolare, con riferimento ai corpisanti, si veda ora il suo saggio Maschere funerarie e “Corpi Santi”. Per una storia della ceroplastica artistica e devozionale, “Annuario

dell’Acca-ma diffusione tra l’ultimo venticinquennio del diciottesimo secolo e la prima metà del secolo successivo. Particolarmente interessante è per noi sottolineare la collaborazione strettissima che, come appare chiaro dal passo di Cavedoni, intercorreva in questo genere di opera-zioni tra il medico ricompositore dei resti ossei e il ceroplasta che era chiamato a restituire al defunto «le sembianze della carne e della pel-le». Peraltro, non è del tutto privo di significato evidenziare che il pa-rere del medico, che si esprimeva evidentemente in base a parametri scientifici, poteva essere corretto dal giudizio – forse anche più au-torevole – dell’artista, la cui dimestichezza con i resti scheletrici era senza dubbio dovuta alla familiarità, e dunque alla frequenza, con cui era chiamato a ricomporre tali presunti corpi di martiri.

La ricognizione delle reliquie del martire Gemello, ad ogni modo, non dovette rappresentare per Andrea Belli un caso isolato. Egli in-fatti, sempre su commissione dei padri gesuiti con i quali doveva ave-re un rapporto privilegiato11, pochi anni più tardi, nel 1841, esaminò

demia di Belle Arti di Venezia”, 2012, pp. 327-358. Riflessioni di carattere gene-rale sull’argomento si vedano ora nell’articolo di M.A. Báez Hernández, El cuer-po relicario: mártir, reliquia y simulacro como experiencia visual, in Valor discursivo del cuerpo en el Barroco hispánico, a cura di R. García Mahíques e S. Doménech García, Universitat de València, València 2015, pp. 323-333. Di grande interes-se, in ultimo, è lo studio di G. Sánchez Reyes, J.L. Velázquez Ramírez, A.L.

Montes Marrero, La radiología digital para relicarios de ceroplástica: estudio in-terdisciplinar para identificar el sistema constructivo y la ubicación de los restos óseos,

“Ge-Conservación”, 10, 2016, pp. 54-65. Per una messa a punto della questione, con un tentativo di periodizzazione tipologica di tal genere di reliquie, rimando al mio contributo: The Saint with two left feet, and other saints. Appunti sulla genesi dei corpisanti in ceroplastica, di prossima pubblicazione. Osservazioni preli-minari sull’argomento le ho già formulate nello studio Paolino e gli altri martiri. Il culto dei «corpi santi» nella prima età moderna, in Il “Cardinal Montelpare”. Giornata di studi su Gregorio Petrocchini, agostiniano di Montelparo, a quattrocento anni dalla morte (1612-2012), atti della Giornata di Studi (Montelparo, 17 giugno 2012), Archivio Diocesano San Benedetto del Tronto, Teramo 2013, pp. 99-123. Ulte-riori approfondimenti sulla tipologia dei corpisanti, in M. Ghilardi, Filomena e gli altri martiri: la devozione ai corpisanti in Irpinia in età moderna, in Giuliano di Eclano e l’Irpinia Cristiana. Tradizione biblica, Santi e devozioni popolari, atti del Congresso internazionale, Mirabella Eclano (Avellino), 22-24 Ottobre 2015 (in corso di stampa).

11 Cfr. F. Alfieri, La Compagnia di Gesù e la medicina nel primo Ottocento. Ipotesi di

le spoglie mortali del presunto martire Sabiniano, rinvenuto nel ci-mitero di Lorenzo sulla via Tiburtina il 21 aprile di quell’anno, giudi-candole appartenere, anche in questo caso in assenza di dati biogra-fici ricavabili dall’iscrizione – semplicissima nel formulario SABINIA-NUS IN PACE –, ad un giovane di circa diciotto anni. A riferirlo in que-sto caso è un altro illustre gesuita, Giovanni Pietro Secchi12:

nel giorno stesso della fondazione di Roma ai ventuno d’apri-le dell’anno quarantesimo di questo secolo uscì benedetto dalla sua tomba con due ampolle del suo sangue, e con abbondanza straordi-naria ed ammirabil bellezza delle mortali sue spoglie. La perizia che in tanta copia d’ossa non potea fallire, legalmente eseguita colla sua maestria dal dottissimo professore sig. Andrea cav. Belli, chirurgo in Roma della sacra congregazione de’ riti, accertò con pienezza di pro-ve che quando il nostro giovane fu martire, o vipro-vea tuttora nell’anno diciottesimo, o non oltrepassava il dicianovesimo dell’età. Conoscia-mo adunque dagli avanzi stessi del suo corpo sacrificato a Dio che questi è fiore mietuto in primavera, o nel crescente fervore della sua vita13.

Il corpo di Sabiniano, destinato agli scolari del Collegio Romano, era stato concesso alla Compagnia di Gesù dal cardinale vicario Giu-seppe Della Porta Rodiani – per tramite dunque del Custode delle Re-liquie e dei Cimiteri e non, come nel caso di Gemello, grazie all’inter-cessione del Sacrista Apostolico14 – e presentava, quali segni

incon-ricerca, “Mélanges de l’École française de Rome - Italie et Méditerranée”, 126-1, 2014, pp. 83-100, in particolare p. 97.

12 Sul quale si veda ora quanto raccolto da F. Feraudi-Gruénais, s.v. Giampietro Secchi, in Personenlexikon zur Christlichen Archäologie. Forscher und Persönlichkei-ten vom 16. bis 21. Jahrhundert, I-II, a cura di S. Heid e M. Dennert, Schnell &

Steiner, Regensburg 2012, II, pp. 1154-1155.

13 G.P. Secchi, Memoria di Archeologia Cristiana per la invenzione del corpo e pel culto di S. Sabiniano martire che si venera nella congregazione delle scuole minori in Colle-gio romano, Tipografia delle Belle Arti, Roma 1841, p. 22.

14 Non è certamente questa la sede per entrare in dettaglio sulla questione, ma di sicuro non è inutile chiarire in breve quali fossero i canali attraverso i quali fosse possibile ottenere le reliquie cimiteriali nella prima età moderna. Solitamente

trovertibili di martirio, ben due ampullae sanguinis oltre, a quanto

pa-infatti, ed in modo del tutto improprio anche negli studi più recenti e più ap-profonditi, si tende a generalizzare sui “produttori” delle reliquie catacombali, individuando nelle più ampie e generiche gerarchie ecclesiastiche i creatori e di-spensatori dei sacri antichi resti ossei. In verità, dopo un primo momento – nei decenni finali del Cinquecento e nella prima metà del Seicento – in cui la ricerca e la successiva distribuzione delle reliquie conobbe canali di casualità e dispersività (e venne gestita in apparente autonomia da diversi ordini religiosi), a partire dal pontificato di Clemente X si volle accentrare l’incombenza dell’estrazione e della dispensa delle reliquie, cavate secondo i criteri distintivi identificati dalla Congre-gatio indulgentiarum et sacrarum reliquiarum, nella figura del Cardinale Vicario, al-lora Gaspare Carpegna, al quale, il 13 gennaio del 1672, il pontefice con apposito breve apostolico indirizzò Diversae Ordinationes circa extractionem Reliquiarum ex Coemeteriis Urbis, & Locorum circumvicinorum, illarumque custodiam, & distributio-nem (cfr. Bullarium Romanum seu novissima et accuratissima collectio Apostolicarum Constitutionum. Ex autographis, quae in Secretiori Vaticano, aliisque Sedis Apostoli-cae Scriniis asservantur. Cum Rubricis, Summariis, Scholiis, & Indice quadruplici, to-mus septito-mus, Complectens Constitutiones a Clemente X. editas, Typis, et Expensis Hieronymi Mainardi in Platea Montis Citatorii, Roma 1733, XCII, pp. 161-162).

Il Cardinale Vicario, secondo quanto indicato nel breve clementino, aveva la fa-coltà di nominare un suo ministro che sovraintendesse a tutte le operazioni di esumazione e conservazione dei resti ossei dei martiri dalle catacombe romane:

è, in sostanza, l’atto di fondazione della Custodia delle Sacre Reliquie e dei Cimi-teri e, di conseguenza, della figura del Custode delle reliquie. Tuttavia, a norma del breve di Clemente X, una parte delle reliquie cavate dai fossori del Custode dipendente dal cardinale vicario sarebbe dovuta andare al Praefectus Sacrarii Apo-stolici, il Sacrista Pontificio, un agostiniano sin dal 1367, che le avrebbe dovute custodire e gestire direttamente per conto del Pontefice. Riconosciuta presto la poca praticità di questo metodo che implicava un difficile riconoscimento delle rispettive autorità in materia di reliquie ed un non sempre chiaro ed immediato passaggio di consegne, si stabilì che il Sacrista Pontificio possedesse una propria squadra di cavatori ed autonome autentiche prestampate – uscite, come quelle della Custodia, dai torchi della Stamperia Apostolica – sulle quali apporre il pro-prio sigillo di autentica. La confusione, come è facilmente immaginabile, non dovette essere poca, soprattutto agli inizi, anche perché spesso le squadre di ca-vatori si servirono degli stessi cimiteri, veri e propri giacimenti di santità. E i contrasti tra Custodi e Sacristi furono spesso molto accesi. Alle ricerche ufficiali, visto l’indotto economico derivato dalla sempre crescente richiesta di resti ossei dei martiri delle persecuzioni, vanno poi aggiunte quelle illecite, non meno in-frequenti di quelle riconosciute dalle autorità competenti, almeno a giudicare dai numerosi documenti d’archivio relativi a processi intentati ai danni di falsari e cercatori non autorizzati di reliquie.

re di intuire dal racconto del Secchi, ad «altri segni, come i ferri che diedero morte al martire ancor fitti nelle ossa, o le ferite che lasciaro-no traccia di sè nelle ossa maggiori»15. Il simulacro in ceroplastica del presunto martire della persecuzione dioclezianea, prima di raggiun-gere la destinazione finale, come detto il Collegio Romano, rimase esposto per tre giorni, tra il 20 ed il 22 maggio del 1841, nella chiesa del Gesù, prima di essere portato trionfalmente per le vie della città nella chiesa di Sant’Ignazio. Un gran concorso di popolo intervenne in quei giorni per venerare le sacre spoglie del martire, che giacevano ricomposte in una ricchissima urna ed erano rivestite di «velluti a ri-cami d’oro, lavoro della maestria e pietà di alcune dame romane che vollero concorrere a glorificare il glorioso giovinetto martire coll’ar-te loro»16.

La ricognizione più prestigiosa eseguita dal Belli in quel torno di anni, oltre a quelle già menzionate di Gemello e Sabiniano, fu sen-za dubbio quella eseguita sulle spoglie mortali di san Giacinto, unico martire realmente tale – anche perché menzionato, con il germanus frater Proto, nelle antiche compilazioni martirologiche17 – che l’ar-cheologia ci abbia restituito dalla riscoperta dei cimiteri cristiani nel-la prima età moderna ad oggi. Il corpo di san Giacinto, infatti, per un puro caso – ovvero il rialzamento, già avvenuto in antico, in età da-masiana, del piano pavimentale del cubicolo nel quale il martire era stato deposto alla metà del III secolo18 – era sopravvissuto, celato

al-15 Secchi, Memoria di Archeologia Cristiana per la invenzione del corpo e pel culto di S.

Sabiniano martire cit., p. 24.

16 Ivi, p. 64.

17 Sono, ad esempio, ricordati nella Depositio martyrum al giorno 11 settembre (III.

17 Sono, ad esempio, ricordati nella Depositio martyrum al giorno 11 settembre (III.