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La “riscoperta” degli Etruschi e dei loro monumenti in età leonina

Filippo Delpino

Il Museo gregoriano etrusco del Vaticano, inaugurato il 2 febbra-io del 1837, fu l’esito di un rinnovato interesse per la civiltà degli Etruschi variamente manifestatosi nello Stato della Chiesa agli inizi dell’Ottocento ed esploso nel corso degli anni ‘20, in piena coinciden-za temporale col pontificato di Leone XII, con una serie di clamorose scoperte nelle necropoli di Tarquinia e di Vulci.

Le premesse di quella rinnovata attenzione risalgono per altro al Settecento, senza andare a più remote origini1, legate al diffondersi, specie in Toscana, della etruscheria. L’interesse per il retaggio etrusco godeva in quella regione di una lunga tradizione che negli anni intor-no alla metà del Cinquecento, con Cosimo de’ Medici proclamatosi Magnus dux Etruriae, aveva acquisito una forte valenza ideologica. Il retaggio degli Etruschi era assunto da allora a retorica fondativa del potere mediceo, aspetti rispecchiati nel De Etruria regali di Thomas Dempster il cui ultimo libro, dedicato alle origini e alla storia dei Me-dici, istituendo un’ideale correlazione tra l’antico regno d’Etruria e il governo granducale proiettava su di esso un’aura di prestigio e ne le-gittimava le aspirazioni di espansione territoriale. Rimasto inedito per circa un secolo il De Etruria regali, pubblicato a Firenze nel 1726 a cura di Filippo Buonarroti, incrementò quella fioritura d’interes-se per gli Etruschi, denominata etruscheria, che caratterizzò con lar-ghezza la cultura toscana del XVIII secolo ed ebbe estesa diffusione anche altrove grazie al rilievo rapidamente conseguito dall’Accade-mia etrusca di Cortona, sorta in quello stesso torno di tempo2.

1 Vale a dire alle Antiquitates di Annio da Viterbo da cui ebbe origine una visione degli Etruschi mantenutasi a lungo viva e produttiva nella cultura toscana (e non solo): G. Cipriani, Il mito etrusco nel rinascimento fiorentino, Olschki, Firenze 1980; Idem, Il De Etruria regionis di Guillaume Postel, in G. Postel, De Etruriae regionis, a cura di G. Cipriani, Cnr, Roma 1986, pp. 11-23.

2 Fra la vasta bibliografia su questi temi fondamentali: M. Cristofani, La

scoper-Nella settecentesca Roma del Grand Tour3, in cui una febbrile at-tività di scavo alimentava l’espansione del collezionismo artistico ed antiquario, coinvolgente ora in modo crescente i viaggiatori stranieri in particolare britannici, l’etruscheria comportò un ampliamento de-gli interessi antiquari alle antichità preromane, con esiti importanti anche a livello del gusto e delle arti applicate.

Ad attrarre l’attenzione furono in particolare gli ipogei di Tarqui-nia con le loro sorprendenti figurazioni ed iscrizioni dipinte. Grazie a Giannicola Forlivesi, un religioso agostiniano residente a Corneto fervido appassionato di cose etrusche, due fra i maggiori esponenti della cultura antiquaria di quel tempo, il veronese Scipione Maffei e il fiorentino Anton Francesco Gori, poterono visitare alcune delle tom-be allora note ed accessibili (Maffei) od avere di esse descrizioni cir-costanziate (Gori). Con le pubblicazioni dei due studiosi, apparse tra la fine degli anni ‘30 e i primi anni ‘40 del XVIII secolo, s’iniziò a dif-fondere la conoscenza delle «grotte cornetane»4; ad esse diedero poi notorietà internazionale gli scavi intrapresi nel 1761 dall’antiquario Thomas Jenkins, «first and only Englishman who ever visited it», che stimolarono l’avvio di ulteriori iniziative tra cui, promossa dallo scoz-zese James Byres, l’esecuzione di copie delle pitture che venivano ri-portate in luce5.

ta degli Etruschi. Archeologia e antiquaria nel ‘700, Cnr, Roma 1983; L’Accademia Etrusca, catalogo della mostra a cura di P. Barocchi, D. Gallo (Cortona, 19 maggio - 20 ottobre 1985), Electa, Milano 1985.

3 Cfr. Grand Tour: il fascino dell’Italia nel XVIII secolo, catalogo della mostra a cura di A. Wilton, I. Bignamini (Roma, 5 febbraio - 7 aprile 1997), Skira, Milano 1997.

4 S. Maffei, Della nazione etrusca e degli Itali primitivi, in Osservazioni letterarie che possono servire di continuazione al giornale de’ letterati d’Italia, V, Verona 1739, pp.

255-395, 309-312 in particolare; A.F. Gori, Museum etruscum exhibens insignia veterum etruscorum monumenta, III, Florentiae MDCCXXXXIII, pp. 90-91. Cfr.

inoltre da ultimo, con riferimenti bibliografici: M. Harari, Le tombe ‘inventate’

di padre Forlivesi, in Segni e colori. Dialoghi sulla pittura tardoclassica ed ellenistica, atti del colloquio a cura di M. Harari, S. Paltrinieri (Pavia, 9-10 marzo 2012), L’Erma di Bretschneider, Roma 2012, pp. 107-114.

5 J. Wilcox, An account of some subterraneous apartments with etruscan inscriptions and paintings discovered at Civita Turchino in Italy, “Philosophical Transactions”, 53, 1763, pp. 127-129. Su James Byres e la sua iniziativa di riproduzione delle pitture tarquiniesi: D. Ridgway, James Byres and the ancient state of Italy, atti

Fra quanti, italiani e soprattutto stranieri, si spinsero in quegli anni da Roma a Corneto per visitare gli ipogei etruschi affrontando un viaggio di un giorno e mezzo, tra i disagi di strade malagevoli e le insidie della malaria, vi fu alla metà degli anni ‘60 Giovanni Batti-sta Piranesi; una presenza molto significativa considerando che di lì a poco Piranesi propugnò e introdusse, con l’amico Robert Adam, il gusto all’etrusca nelle decorazioni di interni e negli arredi6. Una moda che ebbe notevole successo in Europa, molto meno a Roma ove vanno menzionate in particolare alcune realizzazioni piranesiane eseguite tra la fine degli anni ‘60 e i primi anni ‘70 del XVIII secolo per la mar-chesa Margherita Gentili Boccapaduli7: una carrozza all’etrusca con pannelli dipinti, una camera da letto e un gabinetto pure all’etrusca nel palazzo di via in Arcione, altri ambienti del quale avevano ecletti-che decorazioni alla turecletti-chesca e all’egizia, ulteriore espressione queste ultime di quel gusto egittizzante, non privo di suggestioni massoni-che, già sperimentato da Piranesi con il Caffè degli inglesi di Piazza di Spagna8.

del secondo congresso internazionale etrusco a cura di G. Maetzke (Firenze, 26 maggio - 2 giugno 1985), I, Giorgio Bretschneider, Roma 1989, pp. 213-229.

6 M. Cristofani, Le opere teoriche di G.B. Piranesi e l’etruscheria, in Piranesi e la cul-tura antiquaria, atti del convegno a cura di A. Lo Bianco (Roma, 14-17 novembre 1979), Multigrafica, Roma 1985, pp. 211-217 [= M. Cristofani, Scripta selecta, III, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, Roma 2001, pp. 1273-1280];

M.G. Rak, Il modello etrusco: falso e moda nelle arti applicate tra il tardo Settecento e il primo Ottocento, in Bibliotheca Etrusca, catalogo della mostra (Roma, 5 dicem-bre 1985 - 5 gennaio 1986), Istituto poligrafico e zecca dello stato, Roma 1985, pp. 147-192.

7 I. Colucci, Il salotto e le collezioni della marchesa Boccapaduli, “Quaderni Storici”, 116, 2, 2004, pp. 449-493; M. Bevilacqua, Piranesi’s ironies and the egyptian and etruscan dreams of Margherita Gentili Boccapaduli, in Giovanni Battista Piranesi:

predecessori, contemporanei e successori. Studi in onore di John Wilton-Ely, a cura di F. Nevola, “Studi sul Settecento romano”, 32, Quasar, Roma 2016, pp. 211-244.

8 Le perdute decorazioni piranesiane all’egizia per il Caffè degli inglesi, variamen-te datavariamen-te agli anni ’60 del XVIII secolo, sono concordemenvariamen-te rivariamen-tenuvariamen-te all’origine della diffusione del gusto egittizzante a Roma, in Italia e in Europa: cfr. M. Pan-tazzi, Le voyage d’Italie, in Egyptomania: l’Égypte dans l’art occidental 1730-1930, catalogo della mostra a cura di J.M. Humbert et al. (Paris-Ottawa-Vienne, 20 gen-naio 1994 - 15 gengen-naio 1995), Paris 1994, pp. 36-45, con le relative schede di

ca-Lo storico livornese Giuseppe Micali, recatosi a Corneto nel 1809, non ebbe a registrare grandi novità circa gli ipogei etruschi come at-testa la legenda posta alla prima delle tre tavole dei suoi Antichi mo-numenti dedicate ai «sepolcri di Tarquinia, volgarmente detti grotte cornetane»9:

Trovansi questi nelle colline che da Corneto si distendono per due miglia incirca fino al poggio più eminente, su cui sorgeva Tarquinia […]. In tutte quelle rupi […] furono incavate moltissime stanze sepolcrali, la massima parte delle quali è perita per incuria, o pure spogliata per avidità. Opera grandemente lodevole sarebbe oggidì il far ricercare quelle grotte che ancora rimangono intatte, donde si potrebbero trar fuori pitture, scolture, vasi dipinti, iscrizioni, e altre molte cose proprie ad aumentare le notizie della storia etrusca e delle arti. All’incontro tutto ciò che ora discopresi perisce o si disperde, talché malgrado le diligenze da me usate sul luogo […], non posso dare contezza se non di due sole grotte allora aperte […].

L’auspicio di Micali si realizzò non molti anni dopo. Ristabilito il governo pontificio, le necropoli di Tarquinia nel secondo e terzo decennio dell’Ottocento furono oggetto di varie attività di scavo10 culminate nel 1823 con il rinvenimento di un’intatta tomba di guerriero il cui corpo andò in breve dissolvendosi sotto gli occhi

talogo pp. 46-115. Sugli aspetti esoterici del gusto egittizzante: A. ni, Suggestioni massoniche: l’Egitto tra moda ed esoterismo nel XVIII secolo, in La

lupa e la sfinge, catalogo della mostra a cura di E. Lo Sardo (Roma, 11 luglio - 9 novembre 2008), Electa, Milano 2008, pp. 196-208.

9 G. Micali, Antichi monumenti per servire all’opera intitolata l’Italia avanti il domi-nio dei Romani, Firenze 1810, p. IX; le tre tavole (LI-LIII) presentano illustrazioni e rilievi della tomba della Mercareccia, conosciuta da gran tempo, e di quella del Cardinale, tornata in luce intorno alla metà degli anni ‘80, descritta dal cardinal Garampi (da cui l’ipogeo ha derivato il nome) in una lettera del 1786 pubblicata l’anno successivo: G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, I, Modena 17872, pp. 14-16.

10 Ricordo tra gli altri quelli eseguiti nel 1820 dai fratelli Giovanni Francesco e Gio-vanni Vincenzo Falzacappa i cui reperti andarono nella Biblioteca apostolica va-ticana: C. Avvolta, Rapporto intorno le tombe di Tarquinia, “Annali dell’Instituto di corrispondenza archeologica”, I, 1829, pp. 91-101, p. 95 in particolare.

dell’attonito osservatore; una scoperta che suscitò una grande emozione ancor viva, a sei anni di distanza, nel racconto dello scopritore del monumento11:

Resa visibile la tomba per questa apertura, quasi estatico mi fermai a vedere tutto ciò che poteva vedersi in quella posizione, e particolarmente fissai lo sguardo sul guerriero giacente sopra il letto, che mi si presentava di contro, ed in pochi minuti lo vidi quasi sparire sotto i miei occhi; mentre più l’aria s’introduceva dentro la tomba, più l’ossidata armatura andava in minutissimi pezzi, non restando sopra il letto che il segno di quanto avevo veduto. […]

Postomi pertanto nella posizione, come se fossi entrato per la porta, mi fermai sopra la soglia di quella, per tutto il tempo che credei bastasse ad osservare il tutto insieme, e ne fui talmente sorpreso, che non posso esprimere quale effetto cagionasse nell’animo mio quanto avevo veduto; ma posso assicurare essere stato questo il più bel momento della mia vita.

Il clamore suscitato da quel ritrovamento eccezionale contribuì ad accendere un forte interesse per gli Etruschi e i loro sepolcri e de-terminò un fervore di indagini in larga parte del territorio dell’Etru-ria compreso nello Stato Pontificio. Quanto a Tarquinia basti men-zionare gli scavi, debitamente autorizzati, praticati nel 1825 da Lord Kinnaird, da Melchiade Fossati e da Vittorio Massi nella tenuta dei Monterozzi; nel 1826, sempre ai Monterozzi, quelli di Vittorio Mas-si proseguiti nel 1827 da August Kestner e da Otto Magnus von Sta-ckelberg, scavi che portarono al rinvenimento delle tre notevolissime tombe dipinte delle Iscrizioni, delle Bighe e del Barone, le prime ad essere protette da una chiusura ed affidate ad un custode, che attras-sero a Tarquinia in un solo anno numerose comitive di visitatori12.

Nello stesso periodo venivano progettate esplorazioni anche nel-le necropoli di Vulci, già oggetto di indagini negli anni ’70 e ’80 del

11 Avvolta, Rapporto intorno le tombe di Tarquinia cit., pp. 95-96.

12 A. Kestner, Rapporto intorno le pitture antiche di Tarquinia scoperte nel 1827 con un cenno di quelle scoperte in Chiusi, “Annali dell’Instituto di corrispondenza ar-cheologica”, I, 1829, pp. 101-120.

XVIII secolo13. Propugnatore di quelle ricerche fu nel 1825 Vincen-zo Campanari di Toscanella14 che, intuite le ricchezze celate nei suoli dell’antica città etrusca, richiese una licenza di scavo al card. Camer-lengo Pietro Francesco Galleffi15. L’iniziativa non ebbe seguito imme-diato a causa di controversie che bloccarono a lungo il rilascio della concessione poiché «per porre d’accordo i diversi pretendenti alle ra-gioni dello scavo» dovettero «varie pratiche usarsi, non senza alcu-ne giudiziali questioni»16. Risolta la vertenza, nel 1828 vennero fi-nalmente date quattro licenze di scavo17; dall’ottobre di quell’anno

13 Sugli scavi eseguiti a Vulci tra il 1776 e il 1778 dall’architetto camerale Filippo Prada: F. Buranelli, Si sarebbe potuta chiamare «vulcente» la cultura villanoviana,

“Bollettino monumenti musei e gallerie pontificie”, XI, 1991, pp. 5-50; su quelli promossi nel 1783 dal cardinal Guglielmo Pallotta, i cui reperti furono depositati nei Musei vaticani: G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, CIII, Venezia 1861, p. 152. I materiali ritrovati negli scavi Prada andarono per la gran parte nella Biblioteca apostolica vaticana aggiungendosi a quelli della collezione del cardinal Filippo Antonio Gualtieri (su di essa cfr. E. Fileri, La «stanza delle terrecotte» del museo del cardinal Gualtieri, “Archeologia Classica”, LII, 2001, pp.

343-384) colà collocati nel 1732: gli uni e gli altri furono tra i primi nuclei del Museo gregoriano etrusco (su cui da ultimo: M. Sannibale, Il Museo gregoriano etrusco: le sue trasformazioni e il suo ruolo nella storia dell’etruscologia, in I Musei Vaticani nell’80° anniversario della firma dei Patti lateranensi (1929-2009), a cura di A. Paolucci e C. Pantanella, Città del Vaticano 2009, pp. 57-79).

14 Per un ben documentato profilo, con ampia bibliografia, di Vincenzo Campanari e del ruolo di primo piano che ebbe, insieme ai figli, nelle ricerche sugli Etruschi della prima metà dell’Ottocento cfr. G. Giontella, La famiglia Campanari di To-scanella nell’Ottocento, “Quaderni dell’Associazione di studi Vincenzo Campana-ri”, I, 2002, pp. 21-56.

15 Pietro Francesco Galleffi (Cesena 1770 - Roma1837), creato cardinale da Pio VII, fu nominato camerlengo da Leone XII il 20 dicembre 1824. Nelle competenze del Camerlengato rientravano tra l’altro le antichità e belle arti: ad esso e agli organi dipendenti spettavano il rilascio delle licenze di scavo, il controllo sullo svolgimento delle ricerche, la valutazione dei reperti, l’eventuale formulazione di proposte d’acquisto, la concessione della nulla osta per le esportazioni.

16 Moroni, Dizionario cit., CIII, p. 153. Dell’inazione profittarono scavatori clande-stini che vendettero a Wilhelm Dorow, consigliere del re di Prussia, un cospicuo lotto di ceramiche dipinte rinvenute nei fondi di Luciano Bonaparte e dei fratelli Antonio e Alessandro Candelori.

17 Rilasciate alla società Campanari (Vincenzo Campanari, Antonio e Alessandro

le vaste necropoli vulcenti divennero un immenso cantiere di scavi da cui uscì un’ingente messe di reperti, tra cui un gran numero di ceramiche greche figurate, apprezzatissime e ricercatissime, che an-darono ad arricchire le collezioni private e pubbliche di mezza Eu-ropa (il governo pontificio ne acquistò un lotto cospicuo). In un bi-lancio provvisorio dei risultati conseguiti nel primo anno di ricerche Odoardo Gerhard, riferendosi proprio a quelle ceramiche, scrisse di

«nuove scoperte dell’arte antica, stupende, ammaestrevoli e copiose quant’altre mai si fecero nel nostro secolo»: ben tremila erano i vasi greci figurati riportati in luce, un numero molto superiore a quello degli esemplari posseduti dal Museo borbonico di Napoli, il più ricco fino allora di quel genere di materiali18.

Senza indugiare su altri scavi e rinvenimenti di antichità etrusche avvenuti durante il pontificato di Leone XII nei territori dell’Etruria rientranti nello Stato della Chiesa, mi soffermo invece brevemente sulle ricerche topografiche effettuate a Veio nel corso degli anni ‘20 dell’Ottocento. L’attenzione sull’antica città etrusca era stata richia-mata dagli scavi praticati tra il 1810 e il 1813 nell’area occupata dal municipio romano ove oltre a molti materiali trasferiti a Roma19 era stata rinvenuta «una stanza ceneraria» con stucchi sulla volta e

pa-Candelori, Melchiade Fossati) per la tenuta di Camposcala; a Luciano Bonaparte, principe di Canino, per quella di Piano della Badia; ad Agostino Feoli per quella di Campomorto; ai fratelli Felice e Benedetto Guglielmi per quella di S. Agostino.

18 O. Gerhard, Rapporto intorno i vasi volcenti, “Annali dell’Instituto di corrispon-denza archeologica”, III, 1831, pp. 5-218. Sulle ricerche archeologiche effettuate a Vulci esiste una estesa bibliografia, rinvio compendiosamente a F. Buranelli, Gli scavi a Vulci della società Vincenzo Campanari - Governo Pontificio (1835-1837), L’Erma di Bretschneider, Roma 1991; Idem, Gli scavi a Vulci (1828-1845) di Lucia-no e Alexandrine Bonaparte principi di CaniLucia-no, in LuciaLucia-no Bonaparte: le sue collezioni d’arte, le sue residenze a Roma, nel Lazio, in Italia (1804-1840), a cura di M. Natoli, Istituto poligrafico e zecca dello stato, Roma 1995, pp. 81-218; Citazioni archeo-logiche: Luciano Bonaparte archeologo, catalogo della mostra a cura di G.M. Della Fina (Orvieto, 10 settembre 2004 - 9 gennaio 2005), Quasar, Roma 2004.

19 Acquisiti per i Musei vaticani al termine di una lunga e ingarbugliata vertenza conclusasi con una transazione approvata da Leone XII il 15 settembre 1824: F.

Delpino, Cronache veientane: storia delle ricerche archeologiche a Veio, I, dal XIV alla metà del XIX secolo, Cnr, Roma 1985, pp. 29-62.

vimento a mosaico lasciata «intatta […] per l’ammirazione dei curio-si, ed il concorso di ogni ordine di persone vi è molto grande»20. Nel 1818, e ripetutamente tra il 1822 e il 1827-1828, Veio fu oggetto di perlustrazioni da parte di Antonio Nibby e di William Gell nell’ambi-to della preparazione dei loro importanti e innovativi lavori nell’ambi- topogra-fici21; in quelle indagini, alle quali collaborò insieme ad altri il giova-ne Luigi Canina, furono per la prima volta rilevati molti monumen-ti etruschi tra i quali, con tutta probabilità e nonostante le contrarie apparenze, la tomba Campana la cui scoperta venne poi annunciata con clamore nel 184322.

20 Così in una lettera di Filippo Giuseppe Galli a Gaetano Giorgi del 14 maggio 1811: Delpino, Cronache veientane cit., p. 165.

21 Culminati nella pubblicazione della Carta de’ dintorni di Roma secondo le osser-vazioni di sir William Gell e del prof. Ant. Nibby, Roma 1827, riedita più volte; si veda inoltre W. Gell, Sur un essai topographique des environs de Rome, “Annali dell’Instituto di corrispondenza archeologica”, II, 1, 1830, pp. 113-127 (ove è annotata la partecipazione di Edward Dodwel alle ricerche). La prima escursione a Veio di Nibby era avvenuta nel 1818 nell’ambito della preparazione del suo Viaggio antiquario ne’ contorni di Roma, Roma 1819 e, forse, della collaborazione ad una riedizione della fortunata guida di M. Vasi, Itinerario istruttivo di Roma antica e moderna ovvero descrizione generale de’ monumenti antichi e moderni […] di questa alma città e delle sue vicinanze, Roma 1819-18207 (per un accenno a quel-la colquel-laborazione: G. Bendinelli, Luigi Canina (1795-1856): le opere e i tempi, Alessandria 1953, pp. 10-11). Su Antonio Nibby, William Gell e l’importanza della Carta de’ dintorni di Roma: A. Wallace-Hadrill, Roman topography and the prism of sir William Gell, in Imagining ancient Rome: documentatio, visualization, imagination, procedings symposium a cura di L. Haselberg e J. Humphrey (Roma, 20-23 maggio 2004), “Journal of Roman Archaelogy”, supplementary series, 61, London 2006, pp. 285-296; M.T. Schettino, Le charme des ruines et le voyage archéologique dans le Latium entre XVIIIe et XIXe siècles: Antonio Nibby, “Anaba-ses”, 5, 2007, pp.77-99; B. Riccio (a cura), William Gell, archeologo, viaggiatore e cortigiano: un inglese nella Roma della Restaurazione, Gangemi, Roma 2013; C.

Masetti, A. Gallia, La Carta de’ dintorni di Roma di William Gell e Antonio Nibby (1827). Diffusione cartografica, trasformazione, conservazione e valorizzazione dei beni territoriali e culturali, “Bollettino dell’Associazione italiana di cartografia”, 156, 2016, pp. 46-58.

22 Adorna di singolari pitture, più antiche di quelle degli ipogei funerari di Tarqui-nia, la tomba venne fraudolentemente presentata da Giampietro Campana, suo scopritore, come un sepolcro inviolato con un ricco corredo (rivelatosi in anni recenti frutto di commistioni) e, deposte su uno dei letti funebri, le spoglie di un guerriero con l’elmo trafitto da un colpo di lancia: Delpino, Cronache

veien-Tra le circostanze che nel corso del terzo decennio dell’Ottocento resero possibile e favorirono la “riscoperta” degli Etruschi e dei loro monumenti nello Stato Pontificio è da menzionare il ruolo avuto da nuove generazioni di studiosi con i quali le angustie dell’erudizione antiquaria del XVIII secolo vennero definitivamente superate. Basti la semplice menzione dei nomi di Giovanni Battista Vermiglioli (1769-1848), docente di archeologia a Perugia, tra i fondatori della etrusco-logia modernamente intesa23; di Vincenzo Campanari (1772-1840), colto provinciale che con moderno spirito imprenditoriale promosse e con i figli realizzò a Londra nel 1837 la prima mostra europea su-gli Etruschi, iniziativa che fu di potente stimolo ad affrettare l’aper-tura a Roma nello stesso anno di un museo specificamente dedica-to ad essi (la cui istituzione era stata auspicata da Campanari fin dal 1824)24; di Francesco Orioli (1783-1856), docente di fisica a Bologna, di archeologia a Parigi e a Roma, primo editore delle fino allora igno-te tombe rupestri del viigno-terbese dai grandiosi prospetti archiigno-tettoni- architettoni-ci25; di Antonio Nibby (1792-1839), docente di archeologia all’Archi-ginnasio romano, tra i rinnovatori degli studi di topografia antica26.

veien-Tra le circostanze che nel corso del terzo decennio dell’Ottocento resero possibile e favorirono la “riscoperta” degli Etruschi e dei loro monumenti nello Stato Pontificio è da menzionare il ruolo avuto da nuove generazioni di studiosi con i quali le angustie dell’erudizione antiquaria del XVIII secolo vennero definitivamente superate. Basti la semplice menzione dei nomi di Giovanni Battista Vermiglioli (1769-1848), docente di archeologia a Perugia, tra i fondatori della etrusco-logia modernamente intesa23; di Vincenzo Campanari (1772-1840), colto provinciale che con moderno spirito imprenditoriale promosse e con i figli realizzò a Londra nel 1837 la prima mostra europea su-gli Etruschi, iniziativa che fu di potente stimolo ad affrettare l’aper-tura a Roma nello stesso anno di un museo specificamente dedica-to ad essi (la cui istituzione era stata auspicata da Campanari fin dal 1824)24; di Francesco Orioli (1783-1856), docente di fisica a Bologna, di archeologia a Parigi e a Roma, primo editore delle fino allora igno-te tombe rupestri del viigno-terbese dai grandiosi prospetti archiigno-tettoni- architettoni-ci25; di Antonio Nibby (1792-1839), docente di archeologia all’Archi-ginnasio romano, tra i rinnovatori degli studi di topografia antica26.