Come sapientemente afferma Paola Italia, gli appunti scritti da Savinio sui rapporti tra arte e memoria che sviluppano la "filosofia delle arti" delineata poi negli articoli di «Valori plastici», costituiscono il retroterra teorico di Tragedia dell'infanzia, pubblicato nel 1937 ma scritto negli anni Venti.
Rileggiamo alcune parti di questi appunti:
«L’arte pertanto è figlia della memoria: è della memoria la figlia più bella. Gli stessi mezzi dell’arte nascono nella memoria, perché solo nella memoria ritroviamo l’immagine della perfezione, perché solo nella memoria gli aspetti si compongono e si dispongono in ordine, trovano la fermezza e la gravità che li fa duraturi. Nella memoria nasce la linea, che è come il segno della perfezione. […]
Nella realtà non è calma: essa fugge di continuo. Forse è obbligata a fuggire, per isfuggire alla morte che la incalza. E forse la cagione di ogni movimento è il timore della morte: questo è forse il mistero della formazione.
L’arte che si illude di riprodurre e di fermare questa realtà attiva, è un’arte condannata: nasce cadavere».173
Questa “poetica della memoria” è ovviamente avversa al realismo e al naturalismo; infatti per Savinio è impensabile un rapporto diretto tra
173 Paola Italia, Il pellegrino appassionato, op. cit. , p. 448, 449. Il testo di Paola Italia
l’uomo e la realtà in quanto essa è «mobile e transitoria»174 e non può
essere pertanto fermata in una forma duratura e fissa quale è l’arte. Proprio in Tragedia dell’infanzia Savinio scrive che «l’arte coglie lo spettro delle cose e lo fissa per sempre».175 Ma Savinio non crede nella
possibilità di ricostruire il passato attraverso i ricordi. Nel primo capitolo dei Primi saggi di filosofia delle arti lo scrittore afferma che «l’idea plastica» è «l’illustrazione di una completezza raggiunta: è la glorificazione del presente».176 In Tragedia dell’infanzia i ricordi che
Savinio riporta sulla carta non sono volti a “ricostruire” il passato ma creano una nuova realtà, essendo il ricordo, proprio in quanto tale, filtrato dallo scrittore adulto che racconta e reinventa se stesso. Se il tempo della vita si identifica con la durata bergsoniana e se esso continuamente muta e cresce su se medesimo, grazie all’utilizzo del ricordo, la forma d’arte che nasce riceve quella parte di eterno che è la liricità propria dell’arte plastica. È quindi chiaro come quest’ultima si possa definire «rappresentazione della vita non come è, ma come dovrebbe essere»,177 cioè fissata nell’eternità dell’arte e non più soggetta
ai cambiamenti dovuti allo scorrere del tempo tipico della realtà del presente. Solo in questo modo è possibile dare corpo a un’arte metafisica.
Infine, nell’ultimo paragrafo dei Saggi, Savinio scrive che il compito delle arti plastiche sta nella presentazione di «un ricordo immutabile e
174 Ibidem.
175 Alberto Savinio, Tragedia dell’infanzia, in Hermaphrodito e altri romanzi, op. cit. , p.
513; Paola Italia ha curato una ristampa dell’opera che contiene il testo Sul dorso del
centauro, Appendice a Tragedia dell’infanzia, Milano, Adelphi, 2001, pp. 131-202.
176 Alberto Savinio, Torre di guardia, op. cit. , p. 227. 177 Ivi, p. 229.
definitivo delle cose»;178 essa potrà dare il senso «di quella particolare realtà plastica che è l’aspetto ineffabile dell’eternità terrestre».179
Inoltre, a proposito di “eternità”, in un articolo del 1950 pubblicato sul «Corriere d’informazione» troviamo queste parole:
«Il tempo dell’infanzia e dell’adolescenza. Il solo passato che «resista». Il solo passato chiuso e fermo per cristallizzazione. E brillante come un diamante sul velluto nero. Come una sfera di luce nel buio. La sola parte del nostro passato che ha qualità di eternità».180
Questa «qualità di eternità» è tanto più forte nell’opera di Savinio perché egli vi unisce il mito: rievocare l’infanzia è rievocare la Grecia e rivivere nella propria storia, con la naturalità della percezione infantile, l’eternità e l’universalità dei suoi miti. È importante notare poi come il ricordo del passato sia un evento passivo, un richiamo del tutto involontario. In uno dei block notes conservati nel Fondo Alberto Savinio si trova un appunto intitolato Passato.181 Vi si leggono queste
parole: «Di quando in quando il passato mi richiama. Il mio passato. Meglio: mi si ripresenta; mi si ricompone intorno. Quale passato? Il tempo dell’infanzia e dell’adolescenza».182
Se il romanzo prende forma grazie ai ricordi, è attraverso un continuo dialogo con se stesso bambino che lo scrittore adulto porta a
178 Alberto Savinio, Primi saggi di filosofia delle arti, op. cit. , p. 245. 179 Ivi, p. 246.
180 Alberto Savinio, Passato, «Corriere d’informazione», 15-16 maggio 1950.
181 Dall’appunto Savinio ha poi tratto, sviluppando e ampliando quell’idea, l’articolo
omonimo edito nel «Corriere d’informazione».
182 Alberto Savinio, Block notes, in Archivio Contemporaneo “Alessandro Bonsanti”.
compimento la sua opera. Ma qual è il rapporto tra questi due interlocutori? L’onirico fa capolino e diventa parte integrante della realtà:
«Mentre ricalco in compagnia della pia Mnemosine le orme di quello che fui, e rotti gli ormeggi del presente navigo i mari favolosi dell’infanzia, un crudele genietto si compiace talvolta a rompere il mio pietoso inganno. Fugge il passato spaventato dalla luce.
Sono io dunque quello stesso Signor Peché?
Riemergo da un sogno sovrumano: un sogno vergognoso. La mia disperata curiosità chiede soccorso allo specchio.
Accanto alla mia persona, investo quel piccolo fantasma di me stesso e gli grido.
“Vane sono le tue istanze, signor Peché. Noi non ci somigliamo più. Dobbiamo separarci”».183
Se quello di rivivere il passato è un inganno, allora lo scrittore si separa da esso vivendo questa separazione in un «sogno vergognoso». Lo specchio, che richiama la figura di Narciso, è l’emblema dell’uomo che crea se stesso; lo scrittore diventa Dio della propria realtà, chiede soccorso al mondo onirico e questo diventa memoria. Leggiamo nell’introduzione:
«Ho dubitato per molti anni che alle vicende reali si fossero mischiati frammenti di sogni che a quelle si connettevano. Ma come determinare dove cessa la realtà e a questa subentra il sogno?
Ora non me lo domando più. Il dubbio si è placato.
Tutti i ricordi stimo memorabili, che a mano a mano si vanno deponendo in noi con la gravità delle cose eterne.
Quanto è corrotto dalla falsità, l’oblio lo cancella e lo distrugge».184
Il sogno, strumento di conoscenza, è parte della vita che la memoria fa riaffiorare, è reale giacché accompagna l’artista nella strada della creazione.
Lungo tutto il romanzo ci sono allusioni al mondo onirico. Questo si confonde con i ricordi e spesso prende il suo posto. E in questa realtà è la notte a prevalere:
«Della città marittima nella quale soggiornammo alcuni giorni, serbo un ricordo come di città veduta in sogno. La sua immagine, dalla quale uno squisito sceveramento della memoria ha escluso qualsiasi reminescenza diurna, è tutta chiusa in una notte luminosa».185
La città marittima, che è la «città scomparsa» dell’infanzia, è avvolta da una notte «luminosa», metafora dello sguardo dell’artista che in sogno illumina l’oscurità.
184 Ivi, p. 465.