Vita dei fantasmi è un racconto pubblicato per la prima volta nel 1925 sulla «Rivista di Firenze»142 e poi, nel 1962, nel volume omonimo
postumo143 comprendente anche Les chants de la mi-mort, l’atto unico
poi ripubblicato insieme a Hermaphrodito nell’edizione del 1988; Delle cose notturne, articolo pubblicato già ne «La Ronda» del maggio 1920 e La morte di Niobe.144
Il prologo inizia con una chiara e significativa indicazione temporale: è notte. La realtà si trasfigura con la fantasia, cede il posto a rarefatte atmosfere metafisiche e le statue scendono dai loro zoccoli:
«Ermete scende lo zoccolo basso e mi muove incontro. Il corpo del giovane dio lentamente si anima, nasce dolcissimo lo sguardo.
-Tepida è la tua mano stasera, o Ermete
-Una misteriosa, profondissima sorgente rampolla in me e scorre a rami
sul «Convegno» nel 1920 il narratore era anonimo. Non si assiste, inoltre, a nessuna morte cosmica e il romanzo si chiude con una profonda nota di desolazione dovuta alla morte di Marcello. Amigoni pone la morte del narratore e il paradosso narrativo che ne consegue, presente nella versione del 1925, come motivo di inserimento del romanzo nel genere del fantastico. Conclude quindi: «Siamo davanti al caso abbastanza insolito di un testo che cambia genere, nel passaggio da una prima ad una seconda stesura» (Ferdinando Amigoni, Nel grave silenzio della casa ispirata, op. cit. , p. 60).
142 Alberto Savinio, Vita dei fantasmi, in «Rivista di Firenze», febbraio 1925, pp. 6-11. 143 Vanni Scheiwiller (a cura di), Vita dei fantasmi, Roma, La tipografica, 1962,
(l’edizione è limitata a mille copie numerate).
nel mio corpo, come le vene sul dorso della foglia. La morte mi diventa amica: già il suo volto mi sorride di lontano. Ma dimmi: questi nostri convegni nessuno li ha scoperti ancora?
-Quel che d’imperscrutabile la gente pratica e felice annette alla notte, qui è inderogabile legge:la nostra amicizia la protegge il mistero».145
La statua del dio prende vita, lo sguardo, in prima istanza, «nasce dolcissimo» e la morte, segno dell’ingresso nella vita mortale, fa la sua trionfale apparizione. Tutto ciò è nascosto dal mistero che avvolge la notte.
Inizia la scena. Siamo nella stanza del narratore e Mercurio, dio prediletto da Savinio, è seduto alla sua tavola, nel buio, e la finestra, occhio che incornicia la stanza, così frequente sia nei dipinti che nei racconti saviniani, è «sparsa di stelle».146 Poi il narratore si desta e
rivede le stesse cose: la finestra, il dio seduto e si sente addosso qualcosa di «mostruoso e impalpabile»147 che gli si è «avvinghiato
addosso sul margine del sogno».148
Il riferimento al filosofo tanto amato da Savinio, Schopenhauer, è qui espresso chiaramente. Il filosofo tedesco, nel saggio Sulle visioni degli spiriti, parlava dello stato del dormiveglia come «un diventare svegli nel sonno stesso. Io la chiamerei piuttosto un sognare il vero» 149. In questo stato noi dormiamo e sognamo ma facciamo questo vedendo «la nostra camera da letto, con tutto ciò che vi è contenuto, ci accorgiamo anche
145 Alberto Savinio, Vita dei fantasmi, op. cit. , p. 55. 146 Ivi, p. 56.
147 Ibidem.. 148 Ibidem..
eventualmente delle persone che vi entrano[…]. Eppure noi dormiamo, con gli occhi chiusi, e sognamo; senonché ciò che sognamo è vero e reale».150
Ma che cosa si è «avvinghiato addosso» al protagonista? Nel dormiveglia, la saviniana mezza morte, un fantasma è apparso a lui e proprio Mercurio, lo psicopompo, farà da tramite tra il protagonista e la presenza spirituale proveniente misteriosamente dal sogno. Questa, essenza fluttuante senza corpo, ansiosa di scappare, sbatte contro i muri.
«Domandagli perché mi si avvinghiava addosso?» 151 chiede il
protagonista impaurito e curioso, e Mercurio rivela «il segreto più geloso dei fantasmi» che «Oppressi da una malinconia disperata (ascoltalo: sospira)» sentono il bisogno di «aggregarsi a qualche creatura viva e farsi rimorchiare».152
Spiega Mercurio che se la vita dopo la morte si esaurisce nell’eternità, non è così che capita a tutte le anime. Alcune, quelle più vili, «Muoiono e rimuoiono, tentano a più riprese le porte dell’Erebo, scacciati sempre. Vagolano intanto per il mondo: ombre, larve, fantasmi».153 E soffrono,
perché «Taluni sentimenti, e il dolore particolarmente, di tutti più radicato e profondo, durano dopo la morte».154
Infine un’amara previsione coglierà l’ascoltatore. Quando i fantasmi invecchiano, sentendo il peso sempre più grave della sofferenza, emigrano dai climi troppo settentrionali e felici e si dirigono verso le 150 Ibidem. 151 Ivi, p. 57. 152 Ivi, p. 58. 153 Ivi, p. 59. 154 Ivi, p. 61.
contrade più sterili, popolano i deserti e attorno a loro «il suolo si asciuga […], la terra si sbianca e ricopre d’ossami. […] Un giorno le larve delle creature che l’eternità rifiuta, avranno consumato ogni vita sul nostro pianeta».155 Detto questo, il corpo del dio riprende, a poco a poco,
l’immobilità della statua.
Il racconto offre, a mio parere, una delle visioni più esplicite dell’arte saviniana. Lo stato di dormiveglia che porta all’apertura del terzo occhio, tema centrale nell’opera dello scrittore, si concentra qui come principale materiale tematico. È interessante leggere un appunto inedito in cui lo scrittore ci parla proprio di questo stato:
«Nello stato tra sonno e veglia – nel momento che siamo usciti dal profondo del sonno, ma non siamo ancora entrati nello stato di veglia, i problemi più ardui si presentano a noi e si risolvono con facilità sorprendente […]. E siamo profondamente soddisfatti. Ma quando usciamo da questa anticamera della veglia ci accorgiamo con profondo disappunto che la logica dell’amara veglia non opera più e che le soluzioni che ci erano sembrate chiare, si riducono a niente.
Alcuni uomini vivono “naturalmente” in una condizione mentale che somiglia alla condizione di dormiveglia ma sono in piena veglia, o almeno credono di essere in piena veglia».156
Per alcuni uomini dunque, che sono gli artisti, capaci di mantenere quello stato di ermafroditica perfezione propria dell’età della fanciullezza, è possibile mantenere le speciali capacità percettive proprie del
155 Ivi, p. 63
156 Alberto Savinio, Block notes, in Archivio Contemporaneo “Alessandro Bonsanti”.
dormiveglia e “vedere” oltre la realtà apparente.