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Arte come mestiere: il nuovo ruolo dell’artista nella società contemporanea Una delle prime questioni che Munari affronta — muovendo dalle

4. La rivoluzione teorica di Bruno Munar

4.1 Arte come mestiere: il nuovo ruolo dell’artista nella società contemporanea Una delle prime questioni che Munari affronta — muovendo dalle

riflessioni nate all’interno del MAC — è strettamente legata al suo lavoro d’artista: dopo le esperienze degli anni Trenta e Quaranta con il futurismo, il surrealismo, l’astrattismo e il dadaismo, Munari comprende che l’arte non è utile alla società nella misura in cui lo era un tempo. Arte come mestiere — il primo dei testi didattici del milanese dedicati ad un pubblico adulto, pubblicato nel 1966 da Laterza — è il risultato di questo primo e fondamentale ragionamento teorico, che porrà le basi per la concettualizzazione di una nuova figura dell’artista di epoca contemporanea. L’incipit del libro pone immediatamente in risalto il tema:

Si rende oggi necessaria un’opera di demolizione del mito dell’artista-divo che produce soltanto capolavori per le persone più intelligenti. Occorre far capire che finché l’arte resta estranea ai problemi della vita, interessa solo a poche persone. È necessario oggi, in una civiltà che sta diventando di massa, che l’artista scenda dal suo piedistallo e si degni di progettare l’insegna del macellaio (se la sa fare). È necessario che l’artista abbandoni ogni aspetto romantico e diventi un uomo attivo fra gli altri uomini, informato sulle tecniche attuali, sui materiali e sui metodi di lavoro e, senza abbandonare il suo innato senso estetico, risponda con umiltà e competenza alle domande che il prossimo gli può rivolgere7.

Munari spiega, con un linguaggio tanto semplice da risultare quasi disarmante, che l’artista di oggi deve rimettere in discussione il suo ruolo e il suo modo di intendere l’arte poiché ciò che produce interessa una cerchia ristretta di “addetti ai lavori” e non risponde ai bisogni o alle necessità della società contemporanea. La soluzione al problema è presto trovata:

Il designer ristabilisce oggi il contatto, da tempo perduto, tra arte e pubblico, tra arte intesa in senso vivo e pubblico vivo. Non più il quadro per il salotto, ma l’elettrodomestico per la cucina. Non ci deve essere un’arte staccata dalla vita: cose belle da guardare e cose brutte da usare8.

La risposta dell’artista al problema è dunque il design, nuovo linguaggio artistico che risponde ai bisogni reali del pubblico. L’origine di questa intuizione arriva dall’esperienza del Bauhaus — filtrata attraverso il MAC e le Gallerie milanesi9 che promuovevano l’arte delle avanguardie — nella quale Walter

Gropius voleva «formare un nuovo tipo di artista creatore e capace di intendere qualunque genere di bisogno»10.

Munari, del designer, mette in primo piano il metodo di lavoro che pone al centro la forma dell’oggetto, la quale «ha un valore psicologico determinante al momento della decisione di acquisto da parte del compratore»11. Tale metodo di

progettazione procede attraverso «la stessa naturalezza con la quale in natura si formano le cose», segue un ragionamento logico, quasi scientifico, nella misura in cui «aiuta l’oggetto a formarsi con i suoi propri mezzi»12 ed è definito

da Meneguzzo “astilistico” — lo studioso parla di «metodicità “astilistica”» — poiché il fine ultimo dell’artista è «disegnare oggetti senza tempo, tanto essenziali da non poter essere modificabili»13.

Il milanese non manca di sottolineare il fatto che oggi non esiste più la differenza tra arte pura e arte applicata:

8 Ibid.

9 Ricordiamo la Galleria Il Milione, importante per la promozione dell’arte contemporanea italiana ed europea, soprattutto negli anni tra il primo e il secondo conflitto mondiale, vedi il primo capitolo di questa tesi, p. 19.

10 Citazione tratta dal programma del Bauhaus, di Walter Gropius, utilizzata da Bruno Munari in

Arte come mestiere, cit., p. 21. 11 Id., p. 26.

12 Id., p. 27.

13 Vedi M. Meneguzzo, Bruno Munari, cit., p. 58. La ricerca dell’oggettività formale da parte di Munari è certamente un aspetto ambiguo della sua poetica e sarà oggetto di una riflessione critica nelle conclusioni a questa tesi, p. 153.

l’arte sta ritornando un mestiere come ai vecchi tempi antichi, quando l’artista era chiamato dalla società a fare delle comunicazioni visive (che allora si chiamavano affreschi) per informare il popolo di un certo avvenimento religioso. Oggi il designer [...] viene chiamato dalla società per fare una comunicazione visiva (che oggi si chiama manifesto) per informare il pubblico che c’è una novità in un certo settore14.

Dunque, per Munari, con il cambiare dei bisogni della società, è cambiato il modo di intendere e fare arte: un tempo la collettività necessitava di un certo tipo di comunicazione visiva poiché il basso grado di alfabetizzazione rendeva la gente incapace di assorbire informazioni se non attraverso le immagini diffuse per mezzo della pittura. Oggi è il designer «l’artista della nostra epoca» poiché egli «conosce i mezzi di stampa, le tecniche adatte, usa le forme e i colori in funzione psicologica» e «con il suo metodo di lavoro riallaccia i contatti tra arte e pubblico»15.

Bruno Munari inventa e codifica un nuovo mestiere: l’artista, da genio-divo, diventa un operatore visuale, in grado di rispondere ai bisogni veri della società in cui vive attraverso un logico metodo di lavoro. Questa riflessione munariana sottintende un cambio di prospettiva rispetto alla visione filosofica della figura tradizionalmente intesa come genio16, elaborata prima da Kant nella Critica del

giudizio e ripresa successivamente da Schopenhauer. Per il filosofo tedesco «la conoscenza geniale [...] è quella che non segue il principio di ragione»17 ed è

dunque in assoluta antitesi rispetto all’idea del milanese di intendere il lavoro dell’artista, ovvero l’operatore visuale. Secondo Munari il designer deve

14 Vedi B. Munari, Arte come mestiere, cit., p. 28. 15 Ibid.

16 Per approfondire il tema del genio in ambito filosofico, vedi J. S. Clegg, On genius. Affirmation

and Denial from Schopenhauer to Wittgenstein, New York, 1994.

17 Vedi A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, vol. II, Bari, 1968, p. 261. Rimando a A. Schopenhauer, Sul genio, Genova, 2013, per un ulteriore approfondimento rispetto al concetto di genio nella filosofia di Schopenhauer.

procedere seguendo un metodo logico e metodico, quasi scientifico, che giustifichi le scelte formali, le quali non devono essere il risultato di una ispirazione, ma la conseguenza di un ragionamento che tenga conto di tutte le componenti dell’oggetto.

Muovendo da tali riflessioni, Munari definisce il design:

progettazione, più oggettiva possibile, di tutto ciò che forma l’ambiente dove l’uomo di oggi vive. [...] Progettazione fatta senza preconcetti di stile, senza la preoccupazione di fare dell’arte, cercando solo di dare ad ogni cosa la sua logica struttura, la sua logica materia e di conseguenza la sua logica forma18.

Secondo la riflessione munariana il mestiere d’artista è oggi necessario tanto quanto lo era un tempo, la differenza sta soprattutto nel variare dei bisogni della società, la quale, oggi, «chiede un bel manifesto pubblicitario, una copertina di un libro, la decorazione di un negozio, i colori per la sua casa, la forma di un ferro da stiro o di una macchina per cucire»19.

Il milanese, consapevole del fatto che ogni prodotto richiede competenze specifiche, distingue il design in quattro settori: il visual design «si occupa delle immagini che hanno la funzione di dare una comunicazione visiva»; l’industrial

design riguarda «la progettazione di oggetti d’uso»; il graphic design «opera nel mondo della stampa, dei libri, [...], dovunque occorra sistemare una parola scritta»20; infine il design di ricerca, certamente il più sperimentale, che si

occupa di strutture plastiche e visive, mettendo alla prova le possibilità dei diversi materiali.

18 Vedi B. Munari, Arte come mestiere, cit., p. 31.

19 Vedi B. Munari, “L’arte è un mestiere fatto a regola d’arte”, in AZ arte d’oggi, anno II, n. 1, gennaio 1950, p. 1.

Ma Munari non manca di sottolineare anche l’esistenza dello styling, uno degli aspetti più diffusi e facili del design, il tipo di progettazione industriale più effimero e superficiale, poiché «si limita a dare una veste di attualità o di moda a un prodotto qualunque»21. Naturalmente lo stilista opera in maniera diversa

dal designer, limitandosi a recuperare stili e forme dell’arte pura — operando per contrasti, ovvero se prima si usavano forme curve, adesso si usano forme quadrate — per conferire una nuova immagine agli oggetti: «senza cambiare nulla dell’interno, si cambia il vestito, si lancia come una nuova moda e si dice, attraverso la propaganda, che la forma vecchia non usa più»22.

Il designer, consapevole del fatto «che una scultura e una carrozzeria d’auto sono due problemi diversi»23, mira all’oggettività formale nell’atto di

progettazione, poiché «l’unica preoccupazione è di arrivare alla soluzione del progetto secondo quegli elementi che l’oggetto stesso, la sua destinazione ecc., suggeriscono»24. Tale riflessione deve però tenere conto del fatto che la risposta

individuale del designer a un bisogno comune sottintende inevitabilmente delle scelte personali, le quali, in un certo qual modo, definiscono uno stile. In questo senso, dunque, è necessario ragionare attorno all’idea che anche il metodo di lavoro proposto da Munari, per quanto miri ad un risultato formale obiettivo e ambisca ad essere esso stesso privo di stile, comporta inevitabilmente una stilizzazione25.

Munari non si limita a separare il lavoro del designer da quello, certamente meno logico e oggettivo, dello stilista. In un articolo pubblicato su

La Stampa, egli pone in evidenza le differenze tra il lavoro del designer e quello dell’artista, sottolineando i due diversi modi di operare. Non potendo

21 Id., p. 41. 22 Id., p. 43. 23 Ibid. 24 Id., p. 44.

semplificare ulteriormente la descrizione chiara e lineare proposta dal milanese, che riguarda i compiti dell’artista e del designer, proponiamo un estratto dell’articolo nel quale vengono spiegate tali diversità:

L'artista è l'autore di opere rare e produce esclusivamente per se stesso oppure per una élite. [...]

II designer è un «operatore visuale» che lavora in gruppo e produce per la comunità.

L'artista produce opere di Arte Pura e opere di arte minore, dove applica le idee dell'Arte Pura. Per l'artista c'è molta differenza tra un'opera di Arte Pura, dove lui può produrre forme e colori nati da una libera ispirazione e un'opera di arte applicata o arte minore, attività che viene poco considerata.

Il designer produce comunicazioni visive o oggetti a funzione pratica o estetica, a due o più dimensioni. Non ha nessuna categoria artistica preconcetta [...] e mette lo stesso impegno a progettare ogni cosa.

L'artista ha una cultura classica (se è tradizionalista) o inventa nuove culture (ismi) dalle quali nasce l'Avanguardia che consiste nella rottura delle regole del passato e nella creazione di nuove regole.

Il designer ha una cultura interdisciplinare, una conoscenza tecnologica, uno spirito di ricerca e di sperimentazione continui.

L'artista disprezza il pubblico, o perlomeno non si preoccupa di essere compreso. Il designer deve tener conto del codice del fruitore altrimenti non viene capito. L'artista ha uno stile personale, qualunque cosa che debba realizzare, sia nel campo dell'arte pura che in quello della decorazione, viene fatta nel proprio stile. Il designer non ha nessuno stile, egli lavora con un metodo oggettivo e la soluzione dei suoi problemi è frutto di una logica che comprende anche un certo tipo di creatività: ogni oggetto o comunicazione visiva hanno la loro forma propria secondo le funzioni, le materie, le tecniche.

L'artista ha i suoi segreti del mestiere, gelosamente custoditi. Il designer scambia le sue esperienze con gli altri designers. L'artista produce pezzi unici, non ripetibili, fatti a mano dall'autore.

Il designer produce oggetti in serie. Se per l'artista dei pezzi unici c'è il pericolo della falsificazione a scopi commerciali delle sue opere, per il designer questo pericolo non esiste.

Per il designer esistono giudizi di giusto o sbagliato, provvisoriamente, secondo i principi formatori noti.

Per l'artista c'è la critica di arte, linguaggio per iniziati che dovrebbe spiegare le opere dell'artista al pubblico ignorante. Per il designer ci sono le istruzioni per l'uso, anche se l'oggetto prodotto è a funzione estetica.

Per l'artista ci sono negozi specializzati, Gallerie d'Arte, per un pubblico di collezionisti e lo scopo più alto di un artista è quello di arrivare al Museo.

Per i designers ci sono i punti di vendita normali, per un pubblico indifferenziato e lo scopo più alto per un designer è di arrivare ai Grandi Magazzini per una maggior diffusione del prodotto che si ritiene più giusto26.

Munari sottolinea il fatto che entrambe le professioni sono utili alla società, ciò che è importante è che il designer non operi pensando da artista, ovvero «anteponendo forme e colori nati nell’arte pura alla progettazione di un oggetto che chiede solo di essere vero secondo la sua epoca»27, senza cadere

nella “trappola” dello styling. Un anno dopo, a partire dal suo percorso professionale in cui è stato sia artista che designer, con la pubblicazione di

Artista e designer, recupera e approfondisce la distinzione tra le due professioni e aggiunge:

personalmente ritengo valide entrambe le posizioni, sia quella dell’artista che quella del designer, purché l’artista sia un operatore vivente nella nostra epoca e non un ripetitore di formule passate sia pure di un recente passato, e il designer sia un vero designer e non un artista che fa dell’arte applicata28.

In fondo, come abbiamo visto all’inizio di questo capitolo, ciò che interessa a Munari dell’arte è che essa possa ritrovare la sua funzione all’interno della società, che sia utile e necessaria all’uomo per migliorarne la vita, sia dal punto

26 Vedi B. Munari, “Designer e artista due compiti diversi”, in La Stampa, n. 109, anno 104, Venerdì 29 maggio 1970, p. 7. Le stesse informazioni, ampliate e approfondite, si possono recuperare nel testo di Munari, Artista e designer, cit.

27 Vedi B. Munari, “Designer e artista due compiti diversi”, cit. 28 Vedi B. Munari, Artista e designer, cit., pp. 10-11.

di vista concreto, sia da quello psicologico, così come dichiarato nei bollettini del MAC da diversi intellettuali29: «Io credo che quando l’arte tornerà ad essere di

nuovo un mestiere, necessaria all’uomo come il pane del fornaio, allora potremo dire di aver ritrovato l’arte»30. E, in Arte come mestiere, Munari non

dimentica di dare una personale opinione rispetto all’arte del suo tempo, la quale, purtroppo, altro non è che «lo specchio della nostra società, dove gli incompetenti sono ai posti di comando, dove l’imbroglio è normale, dove l’ipocrisia è scambiata per rispetto dell’altrui opinione, dove si fanno mille leggi e non se ne rispetta nessuna»31.