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Il Ross 230 ci rinvia a un passo di Metaph A 9 in cui Aristotele attribuisce esplicitamente la concezione delle linee indivisibili a Platone: tali linee indivisibil

sarebbero un espediente per poter ammettere l’esistenza del punto, ai suoi occhi

una mera invenzione, ipotesi dei geometri

231

. Ora, però, come osserva Giovanni

Reale nel suo commento alla Metafisica

232

, il passo solleva grosse questioni

storico-esegetiche, dal momento che non si hanno altre testimonianze di tale

dottrina in Platone. Più valida sembra, quindi, essere l’esegesi di Simplicio

233

, il

quale rimanda, invece, allo scritto pseudo-Aristotelico De Lineis Insecabilibus,

interamente rivolto alla confutazione delle cinque prove a favore dell’esistenza

delle ἄτομοι γραμμαί

234

, dietro alle quali si nasconde non Platone, ma

Senocrate

235

, suo allievo.

230 Cfr. Ross (1955: 554), su questa scia si colloca anche Ugaglia (2012:158)

231 Così Aristotetele in Metaph. A 9, 992 a 19-24: «inoltre, da che cosa deriveranno i punti

contenuti nella linea? Platone contestava l’esistenza di questo genere di enti, pensando che si trattasse di una pura nozione geometrica: egli chiamava i punti «principio della linea», e spesso anche usava l’espressione «linee indivisibili». D’altra parte, è necessario che ci sia un limite delle linee; e, di conseguenza, l’argomento che dimostra l’esistenza della linea, dimostra anche l’esistenza del punto». A questo proposito si vedano anche Metaph. M 8, 1083 b 13-15; DC. III 1 e 8 e GC I 2.

232 Cfr. Reale (2009: 773 n.17). 233 Cfr. Simplicio (492, 2 e ss).

234 Lo scritto pseudo-Aristotelico sulle linee indivisibili, περί ἄτομόν γραμμῶν, è l’unica “operetta”

del Corpus Aristotelicum in cui il dibattito tra sostenitori e oppositori delle linee indivisibili ha luogo esplicitamente. Il trattato consta essenzialmente di due parti: nella prima vengono presentate le cinque prove a favore dell’esistenza delle linee indivisibili (cfr. LI 968 a 2-9; 968 a 9-14; 968 a 14-18; 968 a 18-b 5; 968 b 5-22), attraverso le quali vengono presumibilmente presentati i capisaldi della dottrina di Senocrate; il resto dell’opera (cfr. LI 968 b 22-972 b 34) è interamente rivolto alla confutazione di tale dottrina mediante argomentazioni antitetiche di impronta prevalentemente matematico-geometrica. Per maggiori approfondimenti sulla struttura del trattato rimandiamo alla seconda parte dell’introduzione di Timpanaro-Cardini (1970: 19-34); sul senso e il significato delle diverse argomentazioni rimandiamo, invece, al commento della stessa (ibid., 75-108). Ma a questo proposito si veda anche Sorabji (1983: 343-345), di grande utilità per la comprensione dei passi centrali del De Lineis Insecabilibus.

235 Aristotele presenta nella Metafisica le dottrine di Senocrate senza, però, mai nominarlo, citarlo

espressamente. Si vedano a questo proposito i numerosissimi passi in cui l’obiettivo polemico implicito dello Stagirita dovrebbe essere Senocrate: A 9, 990 b 10-31; B 3, 99b b 30-999 a 12; Z 2, 1028 b 24-27; Z 11, 1036 b 12-17; Λ 1, 1069 a 33-35; M 1, 1076 a 19-21; M 6, 1080 b 21-23; 1080 b 23-30; M 8, 1083 b 2-3; 1083 a 31-b 8; 1084 a 37- b 2; M 9, 1086 a 5-9; N 1, 1087 b 4-31;

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È, allora, attraverso Senocrate che, adesso, il Filosofo ci introduce alla sua

posizione sul significato dell’infinito, e al suo ruolo all’interno del mondo

naturale: combattere la concezione secondo la quale non solo le linee, ma anche le

figure piane, i solidi e, in generale, tutti i quanta geometrici sono riconducibili a

un atomo indivisibile significa far emergere la propria posizione all’interno del

dibattito sulla costituzione delle grandezze geometriche, del corpo fisico e dello

spazio

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: «da due indivisibili non può generarsi nessun continuo, per la ragione

N 2, 1088 b 28-35; N 3, 1090 b 21-32. Per maggiori approfondimenti sul rapporto tra Senocrate e Aristotele si veda Berti (2004: 236-248), ma anche Isnardi Parente (1979) e (1982).

236 Aristotele, come ha osservato la Timpanaro-Cardini (1970: 15), si pone al vertice di questo vivo

ed intenso dibattito che riguarda la struttura della materia e dello spazio fisico: «non c’è dubbio che il problema della costituzione dello spazio, postosi ormai in modo irreversibile alla coscienza scientifico-filosofica come eredità della riflessione matematica dei Pitagorici, della critica eleatica, delle intuizioni geometriche di Democrito, s’imponesse ad Aristotele, e in modo tanto più urgente, quanto più egli sentiva l’esigenza della definizione rigorosa dei concetti». Per quanto riguarda i momenti cruciali di riflessione all’interno di tale importante dibattito che segnò l’inizio della riflessione scientifica del pensiero filosofico greco e occidentale rimandiamo, ancora, all’introduzione di Timpanaro-Cardini, (ibid., 9-19). Senocrate non è, dunque, l’unico interlocutore con cui Aristotele immagina di discutere in merito a questi problemi. Sempre all’interno della Fisica, il Filosofo apre un confronto esplicito e diretto con Zenone di Elea, zelante difensore del suo maestro Parmenide, del quale riporta e confuta i suoi molteplici paradossi contro il movimento (cfr. Phys. Z 2, 9 e Θ 8), definiti dalla Timpanaro-Cardini (ibid., 10) come «i primi germi della ricerca»; attraverso il dialogo con Zenone, attraverso questo momento dialettico Aristotele presenta uno dei momenti decisivi sulla sua dottrina del συνεχές e della divisibilità all’infinito che attraversa allo stesso modo le grandezze, il tempo e il movimento, realtà isomorfe: «per questo anche l’argomento di Zenone – che per altro è falso – ritiene che sia impossibile percorrere grandezze infinite in un tempo definito, toccando uno per uno gli infiniti punti. Tuttavia sia la lunghezza sia il tempo - e così pure in generale ogni forma di continuo – si dicono infiniti in due sensi: o per la divisione, o per gli estremi. Di conseguenza non è possibile raggiungere in un tempo definito punti infiniti nell’ordine della grandezza, però è possibile <raggiungere punti infiniti> nell’ordine della divisione, dato che anche il tempo in quanto tale è infinito in questo senso Per questa ragione si dà il caso che l’infinito possa essere percorso in un lasso di tempo infinito e non in un tempo definito, e che infiniti punti si possano raggiungere solo con un numero infinito <di istanti>, e non con un numero limitato. Dunque non si può percorrere uno spazio infinito in un tempo finito, ma neppure si può percorrere uno spazio finito in un tempo infinito» (cfr. Phys. Z 2, 233 a 20-34). Il principale assunto di base attraverso il quale lo Stagirita confuta i paradossi di Zenone contro il movimento è quello di un ἄπειρον che non deve essere pensato come grandezza infinitamente estesa, ma come grandezza infinitamente divisibile: la continuità, che garantisce il non venir mai meno del movimento in natura, è propria solo dell’infinito per divisione e non è relativa all’infinita distanza degli estremi. Sul modo in cui Aristotele affronta i paradossi di Zenone si veda la chiara spiegazione che offre Bostock (2006b: 118-122) e Furley (1974). Tra i contributi critici condotti sui paradossi di Zenone e sull’interpretazione che di questi fornisce Aristotele notevole è quello di R. Sorabji (1983: 321-335); ma su Zenone di Elea e il suo pensiero si vedano anche Von Fritz (1988:48-53) e Mondolfo (1956: 237-249). Vi è, poi, un altro luogo del

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che ogni continuo ammette divisioni; e poiché ogni linea è continua tranne