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Methodus, op cit., pp 134-35: « In quo genere magnum etiam Cornelius

Tacitus nobis attulit adiumentum. cum enim a Tiberio usque ad Nervam unius seculi res gestas conscripserit, omnia maxima, mediocria, minima studiose persecutus est ... est autem orario Taciti mirum in modum arguta et prudentiae piena ... nullus profecto historicus magistratui ac judici utilior videtur ». Su Bodin e Tacito,

v. G. Toffanin1, Machiavelli e Tachismo, op. cit., pp. 116-17, che ha giustamente

messo in luce l’importanza dei rapporti Bodin-Tacito onde precisare il nuovo concetto di storia in Bodin.

mente tutte le istituzioni civili e politiche debbono essere oggetto di attento studio volto ad intendere le relazioni che si istituiscono fra tutte queste manifestazioni della vita dell’uomo quali si esplicano nell’ambito dell’ordine statale. Per mezzo di questi autori Bodin in­ tende la politica come il mondo umano delle nazioni, cioè come la concreta e reale dimensione della personalità dell’uomo quale si rea­ lizza nel corso degli avvenimenti umani, cioè nella storia 56.

Ed ancora questa nuova avvertenza della storia consente a Bodin di avviare a soluzione un problema che a lui giurista stava particolar­ mente a cuore e che doveva poi ritrovare una profonda « risonanza » in Vico: il problema cioè di istituire fra diritto naturale e diritto universale un rapporto tale che consentisse di comprendere le sostan­ ziali connessioni che collegano fra di loro in un tutto ordinato e siste­ matico le diverse esperienze giuridiche dei popoli che erano riusciti ad esprimere un ordine politico « significativo » dal punto di vista della storia universale. Per Bodin il diritto naturale costituisce in definitiva il fondamento del diritto universale inteso come la to­ talità delle esperienze giuridiche positive: il suo dichiarato antiro- manesimo, nella Methodus, assume il significato di una decisa 36

36. Methodus, op. cit., pp. 131^30-132342. Il giudizio di Bodin su Dionigi di Alicarnasso è particolarmente indicativo per quanto riguarda il suo interesse per uno studio sistematico delle fonti relative soprattutto ai periodi più « oscuri », cioè a quelli delle origini delle comunità politica, in questo caso, di Roma, e nel contempo indica chiaramente come lo studio della storia deve estendersi a tutte le attività di una determinata collettività politica, cioè deve cercare di comprendere nella sua analisi la totalità delle istituzioni e delle manifestazioni della vita civile e quindi non solamente gli istituti giuridici e politici, ma anche gli usi, i costumi, le forme del culto, accompagnandola con uno studio comparativo di analoghe istituzioni di altri popoli: « Ac primum quidem occurrit Dionysius Halicarnassaeus, qui praeter moderatum dicendi genus et Atticam puritatem, antiquitates Romanorum ab ipsius Urbis origine tanta diligentia conscripsit, ut Graecos omnes ac Latinos superasse videatur.nam quae Latini quasi pervulgata neglexerunt, puta sacriftcia, ludos, triumphos, magistratuum insignia, tum universam Romanorum in gubernanda Republica discì- plinam, censum, auspicia, comitia, totiusque populi difficilem in classes ac tribus partitionem: postremo Senatus auctoritatem, iussa plebis, magistratuum imperia, populi potestatem unus omnium accuratissime tradidisse mihi videtur. quae ut planius intelligerentur, Graecorum leges ac ritus cum Romanis institutis comparat. ut cum jura clientelarum quae Romulus instituit (quanquam ea quoque Gallorum communia fuisse tradit Caesar) ab Atheniensibus et Thessalis altius repetit ... leges autem Romuli, Numae, Servii una cum antiqua Romanorum origine sine hoc auctore penitus interiissent: quae Latini quasi pervulgata negligenter omiserunt ».

polemica contro chi pretende di ridurre tutto il mondo dell’esperienza giuridica positiva al diritto romano quale espressione della vera ed autentica ragione universale, tagliando fuori dalle considerazioni del giurista e del politico il ricchissimo mondo degli usi, delle consue­ tudini, dei costumi, delle leggi di tutti gli altri popoli e mortificando nel contempo le esigenze più vive della società del tempo nei sistemi giuridici di un ordine politico ormai non più esistente: il diritto romano che viene presentato dai suoi esaltatori come una realtà me­ tastorica deve invece essere calato nella storia, e quindi messo conti­ nuamente a confronto con tutti gli altri diritti storici, perché sola­ mente da questo studio comparativo delle diverse istituzioni giuri­ diche è dato rendersi conto della ragione più vera che rende fra loro solidali e omogenee quelle esperienze giuridiche formalmente così diverse. Per tal motivo si tratta per Bodin di comprendere con mag­ gior precisione il rapporto che intercorre fra la comune natura che unisce tutti gli uomini e le istituzioni giuridico-politiche, per per­ venire, così come voleva Platone, ad intendere quella ragione o diritto universale vera espressione della sintesi di tutti i diritti e leggi parti­ colari 57. Proprio per questo più profondo motivo il diritto univer­ sale in Bodin assume già l’aspetto del « vero » mediante il quale i fatti, cioè tutti gli avvenimenti, tutte le azioni degli uomini riescono a istituzionalizzarsi, a comporre cioè la trama concreta mediante la quale si realizza la storia umana: perciò per Bodin, la politica, il diritto e tutte le altre manifestazioni dell’attività dell’uomo in quanto tutte espressioni della sua stessa natura, pur realizzandosi con ma­ nifestazioni così diverse l’una dalle altre presuppongono alla fine

57. Methodus, op. cit., p. 10 7 -b n : « ... omitto quam sit absurdum, ex Romanis legibus, quae paulo momento mutabiles fuerunt, de universo iure statuere velie: praesertim cum edictorum ac legum infinita multitudine, post etiam Aebutia rogatione omnes pene duodecim tabularum leges, ac subinde veteres novis renascentibus sublatae fuerint. quinetiam Justiniani pene ius, omne a consequentibus Imperatoribus abrogatum videmus. omitto quam multa sunt, in illis quae restant legibus, absurda: quam multa iustis populorum pene omnium decretis, usuque diuturno antiquata: nullius tamen populi, praeterquam Romani leges, et quidem ordine perverso, descripserunt. legissent Platonem, qui legum tradendarum ac moderandae civitatis unam esse formam putavit, si omnibus omnium, aut magis illustrium Rerumpublicarum legibus in unum collectis, viri prudentes eas inter se compararent, atque optimum genus ex iis conflarent ».

delle costanti comuni: è proprio su questo fondamento che si giusti- fica lo studio comparato delle istituzioni58 59. Perciò per Bodin lo studio della natura dei popoli, del loro carattere, della loro indole è assolutamente necessario, perché proprio da questa natura dipen­ dono in ultima analisi le istituzioni giuridiche, le quali contengono tutte una parte di vero, cioè sono espressioni della comune natura umana. Bodin, come si è visto, rifiuta una concezione deterministica del rapporto ambiente-natura dell’uomo, ma si preoccupa nel contem­ po di individuare quali siano i caratteri fondamentali delle popola­ zioni a seconda della diversa posizione geografica dei luoghi: in altri termini Bodin cerca di rendersi conto dei modi concreti nei quali si esprime la natura dell’uomo proprio perché su quest’ultima si fon­ dano i costumi, le leggi, le istituzioni civili e politiche 39.

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Le osservazioni che abbiamo svolte intorno allo schema che Bo­ din svolge nella Methodus per dimostrare le intime connessioni che

58. G. Fassò ha giustamente messo in rilievo l’importanza che riveste nella formazione del sistema vichiano lo studio filosofico del diritto, soprattutto per quanto riguarda l’individuazione del rapporto vero-certo, che ritrova la sua vera fonte di ispirazione nel De iure belli ac pacis di Grozio (op. et., pp. 107-8). Ma nei limiti in cui si riconosce che l’interesse vichiano per il diritto si precisa ulteriormente in quello di ritrovare l’autentica dimensione politica del diritto e quindi, in ultima analisi, di capire i suoi rapporti con la comune natura umana quale si esprime nella molteplicità delle sue manifestazioni, cioè nella storia, si deve di conseguenza riconoscere accanto all’opera di Grozio quella di Bodin, come una delle fonti di ispirazione più valide della concezione vichiana del rapporto filosofico fra il vero e il certo. Si rileva infine, a tal proposito, che il criterio di « accertare » le norme e gli istituti giuridici quali si desumono dalla ragione naturale mediante i dati ricavati dalla storia di cui parla Grozio nei Prolegomeni al De iure aveva trovato la sua prima esposizione sistematica proprio nella Methodus, come studio dei criteri che legittimano lo studio comparato del diritto.

59. Methodus, op. cit., p. 140-330: « ... qui de populorum variis legibus, reli- gionibus sacrificiis, epulis, institutis, levissime scripserunt, de quibus tamen, quod in infinita sunt varietate ac paulo momento per sese vel principum arbitrio mutabilia, nihil certum statui potest. quaeramus igitur illa quae non ab hominum institutis sed a natura ducuntur, quoque stabilia sunt, nec unquam nisi magna vi, aut diuturna disciplina mutantur; et mutata nihilhominus ad pristinam redeunt naturam; quo de genere nihil a veteribus scribi potuit, cum regionum ac locorum, quae non ita pridem patuerunt, penitus essent ignari ».

sussistono fra la religione, la filosofia, il diritto e la politica, quali si evidenziano proprio sul piano della storia, che a sua volta ritrova la sua interna coerenza per la particolare « societas » che si realizza di volta in volta fra la natura, l’uomo e Dio e che ha come suo costante punto di riferimento la universale « Respublica mundana » — schema che doveva essere ripreso e riempito di un più ricco contenuto poli­ tico ne la République — ci consentono di intendere il ruolo che deb­ bono aver svolto le opere di Bodin nello svolgimento della speculazio­ ne vichiana. Vico trovò indubbiamente in esse una considerazione sufficientemente ordinata e sistematica, avallata da quella erudizione storico-fìlogica che gli stava tanto a cuore e che considerava lo stru­ mento indispensabile per la « nuova scienza », dei problemi che at­ tenevano ad una valutazione veramente umana della politica, che come si è visto era diventata, dopo il 1709, un punto nodale della sua polemica anticartesiana. Poiché la politica, nel senso più profon­ do in cui l’aveva descritta Machiavelli, significava ormai per Vico il mondo umano, cioè l’ordine istituzionale fatto dall’uomo, per espri­ mere compiutamente la sua umanità e quindi per « celebrare » la teologia e la filosofia. Le tesi, le affermazioni di Bodin non potevano trovare, pertanto, che una immediata, e per un certo verso, incondi­ zionata adesione: si consideri la definizione della politica riportata nel De nostri temporis studiorum ratione: essa è praticamente rica­ vata dalla Methodus, quale studio sistematico, scientifico non sola­ mente degli ordinamenti statuali, quand’anche dell’indole, della na­ tura, delle tradizioni, dei costumi dei popoli, e nello stesso tempo è riferita ad una prudenza intesa come arte di saper valutare il proba­ bile e il verisimile, di saper adeguare di volta in volta il proprio com­ portamento al mutare delle situazioni onde pervenire al fine propo­ stosi, intesa alla fine come disciplina civile, come scienza architetto­ nica che considera e valuta le supreme ragioni dello stato. Il diritto, la giurisprudenza, sono, per l’appunto, considerati nella precisa pro­ spettiva politica, al fine di indicare quali gli scopi fondamentali che si prefiggono e che li costituiscono in una scienza sistematica dell’agi- re umano in società e nello stesso tempo vengono riferiti, almeno per quanto riguarda il diritto romano, ad uno schema storico che tiene conto dei loro fondamentali momenti di svolgimento. Già in

queste prime considerazioni del De studiorum ratione Vico riprende da Bodin la convinzione dell’intimo rapporto che lega la politica il diritto e la storia e soprattutto il concetto della politica come cono­ scenza che abbraccia in una visione sintetica tutte le manifestazioni della vita di un determinato popolo.

I problemi nascenti da questo modo di concepire la politica do­ vevano essere ulteriormente approfonditi e sostanzialmente risolti da Vico nel Diritto universale e più particolarmente nel De uno. In que­ sta opera il rapporto con Bodin appare più chiaro, più evidente, anche se Vico a differenza che nella Scienza nuova, non ha ritenuto oppor­ tuno di richiamare le opere del politico francese: in effetti, come si vedrà, alcune tesi sono di netta derivazione bodiniana.

Intanto lo scopo fondamentale dell’opera, dimostrare cioè che il principio di unificazione del diritto e della politica risiede sostan­ zialmente in Dio, che l’uomo, e quindi la società, muovono da Dio ed a Dio ritornano, e che questa dimostrazione è possibile darla sola­ mente se ci rendiamo conto del processo mediante il quale la volontà dell’uomo, per sua natura corrotta, e quindi incertissima, si rende invece « certa » dei fini che le sono propri, è il coerente e sistematico approfondimento di quanto Bodin aveva sostenuto, come si è visto, per tutta la Methodus. La costante affermazione di Bodin è che l’or­ dine umano, civile-politico, l’ordine naturale, dovessero tutti, alla fine, dipendere dall’ordine divino, il quale pur essendo eterno, per la sua identificazione con il vero, ammetteva la pluralità degli ordina­ menti positivi, i quali, nel disporsi sul piano della storia umana, di­ mostravano con ciò stesso l’attuosa presenza dell’ordine divino prov­ videnziale. In altri termini, Bodin aveva messo in evidenza che l’or­ dine umano, per sussistere in quanto tale, doveva necessariamente partecipare dell’ordine naturale e divino: ed una delle prime fonda- mentali constatazioni di Vico nelle pagine introduttive del De uno consiste proprio nel mettere in chiaro che il potere, come autorità, partecipa in qualche modo della ragione e quindi del vero e che non è espressione del capriccio dell’uomo: e che pertanto, come si è ac­ cennato, è necessario, se vogliamo comprendere il reale rapporto fra il diritto naturale e quello umano, accertare la filosofia con la filologia, cioè con la scienza dei fatti, e nello stesso tempo inverare la filologia

con la filosofia cioè con la scienza del vero 60 : orbene nella Methodus ed anche nella République Bodin ha tentato una scienza sistematica di tutti i fatti umani al fine di dimostrare le sue fondamentali tesi fi­ losofiche e nello stesso tempo ha cercato di evidenziare come il fatto potesse essere conosciuto secondo un ordine sistematico solamente se si presupponevano quelle stesse tesi. In tal modo per Vico il rapporto filosofia-filologia fonda sostanzialmente la storia, proprio perché è nella concreta azione dell’uomo che si attua l’accertamento del vero e la legittimazione, sul piano della verità, del fatto. Vico sostiene pertanto che la intima coerenza mediante la quale si realizza e si organizza il diritto risulta dal principio che tutte le cose umane deri­ vano da Dio, tendono a Dio e ritornano a Dio: « Atque adeo de divi- narum atque humanarum notitia haec agam tria, de origine, de circu- lo, de constantia; et ostendam, origine omnes a Deo provenire, circulo ad Deum redire omnes, constantia in Deo omnes constare, omnesque eas ipsas praeter Deum lapsus esse et errores » 61 : alla stessa guisa tutti i giudizi, tutti i principi che formula l’uomo sono possibili in quanto tutti espressione della idea dell’ordine, mediante la quale l’uomo organizza la sua attività, che si richiama necessaria­ mente all’ordine eterno, alla mente infinita che lo concepisce e quin­ di nuovamente a Dio. Per tal modo Vico riprende in sostanza da Bodin il primato dell’idea dell’ordine, che nella realizzazione storica umana è intimamente connessa con quella dell’ordine naturale divino. Bodin aveva già osservato che questa connessione si rivela nel pro­ cesso di istituzionalizzazione della volontà dell’uomo, cioè nella sto­ ria. Vico segue questo medesimo indirizzo: l’uomo ha una struttura metafisica che ripete quella di Dio, è volontà, sapienza, potenza. In Dio e nell’uomo incorrotto queste facoltà si compongono immedia-

60. G. B. Vico, De universi iuris uno principio et fine uno, ed. F. Nicolini, Bari 1968, p. 3 1: « In cuius dissidii et incostantiae caussas inquirens, eam tandem esse animadverti, quod pluribus atque aliis, non uno eodemque principio, iurispru- dentiam niti hactenus putavere, nempe ratione et auctoritate, quasi auctoritas ex libidine nasceretur, nec rationis pars quaedam esset. Ex qua ipsa caussa universim philologiae et philosophiae dissidium factum est, neque philosophi auctoritatum rationes unquam investigarunt, et philologi vel ipsa philosophorum dogmata tanquam historias spectant ».

tamente in una attuosa unità: nell’uomo corrotto dal peccato origi­ nale (l’uomo storico, concreto) l’unità invece deve essere praticamente conquistata, superando gli ostacoli posti dai sensi, dalla concupi­ scenza. Anche Vico, come già Bodin, platonicamente mette l’accento sul « peso », sulla condizionatezza, sul limite gravissimo che rap­ presenta per l’uomo il corpo, la materia, e perciò afferma, come già

Bodin, il primato della volontà, cioè dell’impegno assoluto, conti­ nuato, per il quale l’uomo deve vincere la natura. Perciò la ragione è definita da Vico come « vis veri », cioè come forza, continua ten­ sione che l’uomo pone in essere per raggiungere la verità. Ed an­ cora, anche Vico sostiene che l’uomo, benché corrotto, benché im­ merso nella materia, rimane pur sempre uomo, perché in lui per­ mane un barlume della luce di Dio, cioè l’aspirazione alla verità ed al bene, per cui qualsiasi cosa faccia, osserva profondamente Vico, segue se non la verità la sua immagine, anche falsa, o persegue il bene, anche se illusorio: Vico usa lo stesso termine di Bodin per indicare questo impulso, questa « spinta », connaturata alicorno, verso la verità: « Hinc aeterni veri semina in homine corrupto non prorsus extincta, quae, gratia Dei adiuta, conantur contra naturae corruptionem » 62.

Ora se nell’uomo incorrotto, cioè nell’uomo dello stato di na­ tura, di pura ragione, preso a modello dai giusnaturalisti, sopratutto dal Grozio, la ragione comanda immediatamente alla volontà e que- st’ultima ha l’immediata possibilità di attuarsi, nell’uomo corrotto, cioè in quello storico, questo rapporto è estremamente più complesso nel senso cioè che la volontà, signoreggiata dalle passioni, non rico­ nosce il fine che le è proprio, cioè quello indicato dalla ragione, ma si prospetta e segue i molteplici fini che le sono indicati dalle sensa­ zioni e dalle passioni: la volontà disgiunta dalla ragione non può che vivere l’esperienza della pura dispersione.

Ecco perché anche per Vico, come già per Bodin, il problema da risolvere si riduce a quello di indicare il modo mediante il quale la volontà si rende sicura dei propri fini, cioè li « accerta » per usare l’espressione vichiana e questo modo non si riduce ad altro che a ren­

dersi conto di come l’ordine giuridico-politico partecipa della verità, dell’ordine eterno: Vico in tal modo perviene alla critica consapevo­ lezza che il processo di istituzionalizzazione della volontà umana, quale era stato indicato da Bodin, ha alla fine una sua riposta filo­ sofia, cioè ha un profondo contenuto di verità che si tratta di chiarire.

In questa precisa prospettiva si pone l’originale concezione vi- chiana del rapporto fra il vero e il certo, dell’autorità, quale sostan­ ziale principio di legittimazione del potere, della connessione che lega fra di loro il diritto naturale, la politica e l’ordinamento giuridico po­ sitivo, considerati non quali astratte esigenze della ragione metafisica, ma come « dimensioni » del concreto agire dell’uomo, che non vive nella ideale repubblica di Platone ma in quella barbara e feroce di Romolo: « quando non in Platonis republica sed in hac Romuli foece versamur » 63; Vico riprende in sostanza il tema della forza, quale era stato svolto da Bodin.

Il problema del valore e del significato della forza, che era stato posto al dottrinarismo politico moderno dal Machiavelli, costituisce indubbiamente il momento centrale della speculazione bodiniana, nel senso che intorno alla sua soluzione si concentrano per così dy:e tutti i problemi relativi al modo di intendere la storia umana come realizzata in tutto e per tutto dalla volontà assolutamente libera nelle sue determinazioni e ai suoi rapporti con l’ordine politico e con quello naturale eterno. Bodin avverte chiaramente che il problema non è limitato alle sole questioni politiche, ma che impegna la stessa