CAPITOLO 7 IMPLEMENTAZIONE DEL MODELLO NLCD
7.1 Metodo computazionale
L’obiettivo del presente lavoro consiste nell’applicazione del metodo NLCD, esposto nella sua trattazione teorica al Capitolo 6. Nelle analisi si utilizza un programma agli elementi finiti per il calcolo del campo tensionale, mentre il modello di Lemaitre e Chaboche viene implementato attraverso un codice di calcolo e utilizzato nella fase di post-processamento dei risultati; un analogo impiego del modello come post-processore, ma con differenti scopi e modalità, si ritrova in [6], [37], [51].
Il programma agli elementi finiti impiegato è Abaqus 6.12 [1].
Il metodo NLCD fornisce un valido strumento per il calcolo dell’incremento di danno all’aumentare del numero di cicli di carico, tuttavia l’utilizzo della sola equazione differenziale comporta il mancato accoppiamento tra il danneggiamento indotto nel materiale e il comportamento dello stesso, nella presente trattazione scelto come elastico.
Per includere questo effetto, seguendo quanto riportato in [51], al termine di ogni ciclo di carico e per ciascun elemento, si aggiunge il calcolo del modulo elastico ridotto del materiale danneggiato, utilizzando il valore ottenuto per lo stato di danno incrementato, secondo la relazione ricavata sfruttando la definizione di tensione effettiva e l’ipotesi di equivalenza delle deformazioni, già riportata al paragrafo 6.2.5:
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o: Œ = 1 $ : Œ = o: =
Questo accorgimento, che realizza di fatto l’accoppiamento tra lo stato di danno e la legge di elasticità del materiale, presenta un duplice vantaggio:
- cogliere il degrado del materiale attraverso il decadimento delle proprietà meccaniche; - tenere conto della ridistribuzione delle tensioni dovuta al danneggiamento.
Tali aspetti sono approfonditi e messi in evidenza attraverso il confronto dei dati ottenuti dalle analisi al paragrafo 7.3.
Per l’implementazione si è utilizzata la subroutine UMAT, che consente di definire leggi costitutive non standard, nella quale, durante tutta la storia di carico, il danno è calcolato in corrispondenza di ciascun punto di integrazione per ogni incremento temporale e accumulato continuamente, modificando di conseguenza il modulo elastico.
7.1.1 Condizioni iniziali
L’espressione del rateo di danno
³ ¿1 $ :1 $ =½Œ Àµ ÔÕÕ,¶SÖ,¶×Ø,·¸¹
º» jÌÌ
k:1 $ 3Ê 6Ð=:1 $ =¼ ½
è un’equazione differenziale non lineare, che richiede una soluzione di tipo numerico.
Per la sua risoluzione è richiesto un valore iniziale della variabile di danno: al primo ciclo di carico per cui si verifica il danneggiamento, su esempio di quanto suggerito da Zhang in [51], si sceglie un valore pari a D = 1/Nf, , dove Nf è la vita a fatica calcolata, a partire dai valori tensionali forniti dal programma di calcolo al primo ciclo di carico, con la formula integrata:
1
à 1 »1k-½
〈 ¤$ 'Ó, 〉
〈jÌÌ$ jÌÌ∗: 6Ð=〉 ™1 $ 3Ê 6šjÌÌ -½
7.1.2 Cicli di carico equivalenti
Poiché, ai fini del calcolo, derivare l’accumulazione del danneggiamento per ciascun ciclo di carico risulta troppo oneroso, al solo scopo di ottenere vantaggi dal punto di vista computazionale, si introducono dei cicli di carico equivalenti, indicati con ∆N. Ad ogni ciclo calcolato corrispondono pertanto ∆N cicli di fatica: in questo modo è possibile diminuire i tempi dell’elaborazione e ridurre le dimensioni dei risultati prodotti, rendendoli più gestibili.
Si considera che, durante ciascun incremento di cicli di fatica ∆N, il danneggiamento sia contenuto e lo stato tensionale possa quindi essere ritenuto costante.
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L’equazione che esprime l’incremento di danno, riscritta in funzione dei cicli equivalenti invece che per ogni ciclo di carico, assume la forma seguente:
∆ ¿1 $ :1 $ =½Œ Àµº» jÌÌ
k:1 $ 3Ê 6Ð=:1 $ =¼ ½
∆
L’ampiezza del salto ∆N influenza la qualità della soluzione ed è perciò necessario studiarne con attenzione l’effetto, ai fini di un’opportuna scelta della dimensione del passo di integrazione da utilizzare nelle analisi.
Figura 7.1: Evoluzione del danno, per un provino senza intagli con σmax= 800 MPa e R = -0,5 [45]
La curva D-N di Figura 7.1, che rappresenta l’evoluzione del danneggiamento, mostra come il danno sia inizialmente di poca entità, ma si accumuli rapidamente all’avvicinarsi di N a Nf [51]. Pertanto l’impiego di un valore costante per ∆N non risulta del tutto efficiente, in quanto troppo oneroso per N bassi e non abbastanza preciso in prossimità di Nf. È possibile, perciò, adottare un
∆N variabile, utilizzando, ad esempio, un algoritmo di controllo della pendenza della curva, come
in [51].
Tale pendenza è data da:
Î : Œ =∆$ : =
Nella presente trattazione si è adottato per semplicità un valore costante di ∆ , ma, come spiegato al paragrafo 7.3.4, sufficientemente piccolo da fornire risultati che ben si adattano alla previsione di vita a fatica teorica fatta attraverso la formula che fornisce il numero di cicli a rottura
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7.1.3 Metodi alle differenze finite
La variabile di danno D è funzione del numero di cicli N. U: =
Nel modello NLCD presentato, le derivate prima e seconda sono rispettivamente:
³ ¿1 $ :1 $ =½Œ Àµº» jÌÌ k:1 $ 3Ê 6Ð=:1 $ =¼ ½ Û ³ º jÌÌ »k:1 $ 3Ê 6Ð=¼ ½ ܾ:à 1=¿1 $ :1 $ =½Œ Àµ- Ã:1 $ =-:½Œ =¿1 $ :1 $ =½Œ ÀµÝ Per l’integrazione numerica dell’equazione differenziale di Chaboche si possono scegliere diversi schemi di integrazione; si riportano di seguito le alternative possibili.
Lo schema alle differenze in avanti, o metodo esplicito, è espresso da:
: Œ = : = ∆ : Œ = ³: =
Lo schema alle differenze centrali è dato da:
: Œ = : = ∆ : Œ = ³p Œ q
dove il termine ³p ŒÞßq si ottiene nel modo seguente:
³p Œ q ³: = ³: - =
2 ∆ : Œ = Û: =
Lo schema delle differenze all’indietro, o metodo implicito, è:
: Œ = : = ∆ : Œ = ³: Œ =
dove il termine ³: Œ = viene stimato implicitamente attraverso il metodo di Newton-Raphson. Nella presente trattazione si è scelto di adottare lo schema alle differenze in avanti, poiché esso, attraverso un’adeguata scelta di ∆N, fornisce buoni risultati, in accordo con la soluzione teorica, presentando contemporaneamente il notevole vantaggio di un onere computazionale decisamente inferiore rispetto ai due casi delle differenze centrali e all’indietro.
Si osserva che quest’ultimo metodo è in generale il più conservativo al crescere del passo di integrazione ∆N rispetto alla vita a fatica Nf, come mostrato dalla Figura 7.18al paragrafo 7.3.4, ma richiede tempi di calcolo maggiori.
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7.1.4 Schema computazionale
L’algoritmo implementato prevede le seguenti fasi: 4. inizializzazione di tutti i parametri;
5. lettura dei valori tensionali in corrispondenza dei punti di integrazione, a seguito dell’analisi agli elementi finiti;
6. inizializzazione della variabile di danno D = 1/Nf ;
7. calcolo, in ogni punto di integrazione, del valore incrementato del danneggiamento : Œ = dopo ∆ cicli, a seconda dello schema di integrazione adottato;
8. controllo del valore raggiunto dalla variabile di danno;
9. calcolo del modulo elastico ridotto o: Œ =, modificato a seguito del deterioramento a fatica del materiale.
Fintanto che D si mantiene inferiore al valore unitario si prosegue con l’accumulazione del danneggiamento, ripartendo dal punto 4; una volta che il danno, in un qualsiasi punto di integrazione, raggiunge valore pari a 1, si considera avvenuta la nucleazione della macrocricca per fatica in corrispondenza di tale punto e si arresta l’analisi.
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