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Previsione della vita a fatica

CAPITOLO 6 IL DANNO PER FATICA

6.1 Previsione della vita a fatica

L’obiettivo principale dello studio del fenomeno della fatica consiste nella determinazione della vita a fatica del pezzo o del dettaglio costruttivo, ai fini della progettazione, della valutazione della sicurezza e dell’ottimizzazione di componenti e strutture.

La determinazione della vita residua sotto l’azione di sollecitazioni cicliche richiede la comprensione dell’evoluzione che porta alla rottura per fatica: quest’ultima, infatti, risulta essere l’esito di un processo di accumulo di danno, progressivo e irreversibile, in cui le proprietà meccaniche del materiale degradano in modo continuo sotto l’azione di carichi ciclici e il danneggiamento dipende dall’entità di tensioni e deformazioni.

È quindi noto che la fatica si manifesta come un progressivo deterioramento del materiale che si accumula al procedere dei cicli di carico, tuttavia il problema della rappresentazione di tale danneggiamento è di non facile soluzione.

Per lo studio di questo processo si rende necessaria la formulazione di un metodo che consenta di valutare e quantificare l’accumulo del danno per fatica.

L’interesse per questo aspetto del fenomeno è maggiore dopo gli anni ’70, determinando un aumento delle pubblicazioni in tal senso; in generale le trattazioni sviluppate prima di questa data sono principalmente di carattere fenomenologico, mentre quelle successive sono semi-analitiche. Esse possono essere classificate nel modo seguente:

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- legge di accumulazione lineare, LDR (Linear Damage Rule), introdotta da Miner nel 1945 sulla base delle osservazioni fatte da Palmgren vent’anni prima;

- curve di danno non lineari e approcci bilineari, che comprendono DCA (Damage Curve

Approach), RDLDR (Refined Double Linear Damage Rule), DDCA (Double Damage Curve Approach), sviluppati da Manson e Halford negli anni ’80;

- approcci basati sulle curve S-N modificate; - approcci basati sull’accrescimento della cricca; - approcci basati sull’energia;

- modelli basati sull’approccio della CDM (Continuum Damage Mechanics Approach), che descrivono il danno nel continuo.

I confini tra alcuni di questi approcci non sono sempre ben distinguibili; una presentazione più estesa e completa delle diverse teorie è contenuta in [24].

In ogni caso nessuna di esse è universalmente accettata, poiché ciascuna riesce a considerare solo alcuni dei fattori che influenzano il fenomeno, come la dipendenza dal carico, gli effetti della sequenza delle sollecitazioni e della loro interazione, la non linearità dell’accumulazione, i cicli con ampiezza inferiore al limite di fatica e la tensione media. L’applicabilità di ciascun modello dipende quindi dal particolare problema che si intende studiare.

Figura 6.1: Confronto tra gli approcci DCA, DLDR e DDCA

In particolare ci si sofferma sulla distinzione tra le teorie di accumulo di danno lineari e quelle non lineari.

La prima formulazione matematica per quantificare il danno per fatica è la legge di accumulazione proposta nel 1945 da Miner, sulla base della teoria lineare di Palmgren del 1924, e nota come legge di accumulazione lineare (LDR) o regola di Palmgreen-Miner o, più semplicemente, legge di Miner.

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6.1.1 Legge di accumulazione lineare di Miner

L’approccio di Miner si basa sulle seguenti assunzioni:

- il tasso di accumulo del danno rimane costante per ogni ciclo di carico, indipendentemente dal livello di carico;

- il danneggiamento a fatica si verifica e si accumula solo quando la tensione dovuta al carico è superiore al limite di fatica;

- l’accumulazione è di tipo lineare rispetto al numero di cicli;

- i cicli sono estratti e disposti in ordine crescente senza considerare l’ordine con cui si presentano realmente.

Il danno per fatica è rappresentato da una variabile scalare D tale che:

0 per 0 intera vita a fatica rimanente

1 per vita a fatica esaurita

Si indica con Ni il numero di cicli di ampiezza ∆σi necessario per provocare la rottura per fatica del materiale, ricavato dalla curva S-N in corrispondenza del livello tensionale d’interesse.

Figura 6.2: Ottenimento della vita a fatica Ni corrispondente ad un dato livello di carico attraverso la curva S-N

Si ricavano quindi le espressioni del danno secondo questa trattazione. Per un solo ciclo di carico di ampiezza ∆σi:

1 Per ni cicli di carico di ampiezza ∆σi:

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Assumendo la linearità dell’accumulazione, il danno per fatica di componenti sottoposti a carichi ad ampiezza variabile, con k diversi livelli di carico, può essere stimato come:

a ˜ dove:

danno totale, assunto pari all’unità in corrispondenza della fine della vita a fatica;

ni numero di cicli di carico ad un dato livello di tensione ∆σi;

Ni numero di cicli a rottura per il dato livello di tensione ∆σi.

L’espressione proposta da Miner ha riscosso grande successo ed è presente nella normativa di riferimento come metodo per il calcolo del danno per fatica come riportato al paragrafo 5.1.3, grazie alla sua semplicità e alla facilità di applicazione, poiché essa richiede, oltre alle proprietà a fatica del materiale, solamente la conoscenza dei livelli tensionali agenti sul componente strutturale.

Tuttavia, essa fornisce buoni risultati solo per carichi caratterizzati da piccole variazioni dell’ampiezza e del valore medio della tensione; considerando i casi reali, in cui l’accumulazione non avviene in modo lineare, la formulazione risulta inadeguata per descrivere l’effettivo progredire del danno.

6.1.2 Limiti della legge di accumulazione lineare

Le assunzioni alla base della formulazione di Miner ne costituiscono anche i limiti. La legge di accumulazione lineare proposta, infatti, presenta i seguenti difetti:

- indipendenza dal livello di carico, dal momento che si considera che tutti i carichi provochino lo stesso danno D;

- assenza dei contributi, in termini di danno, dovuti a tensioni inferiori al limite di fatica, che sono una delle cause principali degli errori delle previsioni teoriche rispetto ai risultati ottenuti sperimentalmente;

- mancanza di sensibilità nei confronti della sequenza dei carichi, trascurando l’interazione dovuta alla successione delle sollecitazioni.

Per questi motivi la legge di Miner spesso porta ad una discrepanza tra la vita prevista e quella sperimentale. Essa è stata pertanto oggetto di modifiche da parte di diversi autori, nel tentativo di impiegare con successo, per la stima del danno, la semplice formula proposta.

Un esempio è costituito dai modelli bilineari, che prevedono la separazione dello sviluppo del danno in due fasi distinte, quella di formazione e quella di propagazione della cricca in stato I,

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proponendo l’applicazione di una legge, sempre lineare, a ciascuna delle due fasi, ma con pendenze differenti.

Tuttavia, a causa delle carenze intrinseche, la previsione di vita a fatica basata sull’accumulazione lineare alla Miner è spesso insoddisfacente.

Figura 6.3: Effetti della sequenza di carico sulle curve di accumulazione di danno a fatica (a) sotto carico

high-low, (b) sotto carico low-high, (c) con legge di accumulazione lineare di Miner

6.1.3 Leggi di accumulazione non lineari

Per tenere conto degli effetti dovuti alla successioni dei carichi sono state proposte diverse leggi di accumulazione del danno non lineari, molte delle quali basate su formule empiriche o semi empiriche, senza fondamento teorico.

Una delle prime formulazioni è quella di Marco e Starkey, pubblicata nel 1954, che prevede una struttura simile a quella di Miner, ma in forma esponenziale:

™ š } a

˜

in cui mi è un coefficiente dipende dall’i-esimo livello di carico.

L’espressione fornita considera gli effetti della sequenza di carico, tuttavia le ricerche hanno dimostrato che solo in alcuni casi e per alcuni materiali la vita di fatica prevista dal modello di Marco e Starkey mostra un buon accordo con i risultati sperimentali; inoltre, il coefficiente mi risulta di difficile determinazione. La formulazione, pertanto, ha un uso limitato nelle applicazioni ingegneristiche.

Un altro approccio proposto si occupa del comportamento meccanico di un mezzo continuo sottoposto a danneggiamento, sulla base della meccanica del danno del continuo e del concetto di tensione efficace, introdotto da Kachanov nel 1958 nell’ambito dello studio del fenomeno di creep e poi esteso anche alla fatica.

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Negli anni ’80 Chaboche e Lemaitre applicano questi principi per formulare un’equazione che descrive l’evoluzione non lineare del danno:

U , , , , ›, …

dove le variabili nella funzione f possono essere la tensione, deformazione totale, deformazione plastica, la variabile di danno, la temperatura e le variabili di hardening.

Dal confronto con le teorie precedenti, i punti di forza della trattazione sono:

- la capacità di descrivere un’accumulazione non lineare del danno, derivante dal fatto che la variabile di danno e i parametri di carico risultano non separabili;

- la considerazione del danno provocato anche da cicli di carico bassi, associati a tensioni inferiori al limite di fatica;

- la sensibilità agli effetti dovuti alla tensione media.

Successivamente alla pubblicazione di questi studi, l’approccio di Chaboche è stato adottato, con varie modifiche ed integrazioni, da molti autori al fine di ricavare nuove equazioni per descrivere il danno a fatica [20], [21], [33], [45].