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Metodologia e strumenti per l’analisi degli interventi Modalità di ricerca

Nel documento Disegno e realtà in un lapbook (pagine 32-39)

Nel corso di questo lavoro di ricerca la raccolta dati è stata di tipo qualitativo, viste anche le particolarità del progetto da me elaborato. La metodologia consiste nell’indagine approfondita di aspetti legati alla raffigurazione, da parte degli alunni, di oggetti della realtà.

Si tratta in parte anche di una ricerca-azione, considerato il ruolo centrale ricoperto dagli studenti nel ricercare, tramite collaborazioni, risposte idonee al soddisfacimento di problemi / esigenze specifiche. Colui che conduce l’indagine si basa sull’osservazione dei fatti (è una ricerca empirica secondo L. Ricolfi perché l’osservazione sarà la prova della realtà e il ricercatore opera direttamente sul contesto interagendo con il campione di riferimento). La mia ricerca ha dato importanza ai bisogni dei bambini mettendo le loro peculiarità al centro dell’indagine.

Metodologia di lavoro e strumenti di raccolta dati

Per la rilevazione dei dati mi sono basata principalmente su due strumenti: le raccolte concezioni (poste nei momenti antecedenti alla tematica che si voleva andare ad affrontare) e il questionario personale conclusivo (uno strumento che mi ha permesso di confrontare i singoli allievi con le loro produzioni iniziali e finali).

Qui di seguito illustrerò brevemente le caratteristiche dei due strumenti di raccolta dati e la motivazione per la quale ho deciso di attivarmi in questo modo.

Le raccolte concezioni

Le raccolte sono state di due differenti tipologie, qui di seguito le illustro nell’ordine in cui sono state proposte agli allievi nel corso del progetto (quelle svolte prima di cominciare un nuovo argomento e quella svolta al termine del percorso, una volta affrontati tutti e cinque i sensi).

Per entrambe le tipologie di raccolte gli allievi non avevano a disposizione altro al di fuori di materiali “artistici” (colori di vario tipo, righello, compasso e via dicendo).

Il tempo di esecuzione nei due casi è stato differente (visto anche lo spazio a disposizione per l’inserimento della risposta e il periodo dell’anno in cui facevo la richiesta, inizio e fine anno); nel caso

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della prima raccolta, quindi, per le singole compilature dei riquadri, è stato di quindici minuti, invece per la seconda raccolta la classe poteva lavorare fino a un’unità didattica di tempo.

Le raccolte concezioni prima di inoltrarsi lungo una nuova tematica.

Come spiegato nel capitolo “descrizione interventi pedagogico-didattici e disciplinari” (p. 20), le raccolte concezioni3 prima dell’introduzione alla tematica, per non rischiare di influenzare le rappresentazioni dei bambini, sono state presentate ai bambini ogni qual volta si trattava di iniziare un nuovo senso; questo per permettere a me docente di verificare le conoscenze dei bambini in entrata e per consentire un primo approccio degli allievi con l’argomento che avremmo trattato di lì a breve.

La scheda che avrebbe raccolto i saperi dei singoli era stata da me suddivisa in quattro riquadri.

Nel primo riquadro chiedevo all’alunno di inserire “quello che si ricordava” (nel caso in cui avesse già avuto modo di trattare la tematica, superficialmente o nel dettaglio, in un contesto extrascolastico o non), o “quello che sapeva” a proposito della vista. Le altre tre parti della scheda erano suddivise nello stesso modo ma ciascuna con l’interrogativo relativo al nuovo senso.

Appositamente avevo scelto di non predisporre dei quadretti o delle righe nello spazio di risposta ma lasciarlo vuoto (in bianco quindi) per non suggerire all’allievo una risposta scritta. Lo spazio bianco si prefiggeva per l’appunto lo scopo di lasciare libertà di scelta al bambino sulla modalità di restituzione del compito assegnato.

Ritengo opportuno aprire qui un breve inciso sulla mia volontà, fin dai primi interventi, di rompere il contratto didattico esistente fra docente e allievo.

Il contratto didattico, secondo la Teoria delle situazioni didattiche (Brousseau, 1986), mette al centro le aspettative (spesso implicite) che una data situazione didattica può provocare nel docente, così come negli allievi. D’Amore riporta l’affermazione di Brousseau a questo proposito: “In una situazione

d’insegnamento l’accesso a un compito si fa attraverso un’interpretazione delle domande poste, delle informazioni fornite, degli obblighi imposti che sono costanti nel modo di insegnare del maestro. Queste abitudini del maestro attese dall’allievo e i comportamenti dell’allievo attesi dal docente costituiscono il contratto didattico.” (D’Amore, 2006, p. 1).

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Il mio intento nel corso di tutto l’itinerario è stato quello di non forzare gli allievi a esprimere su carta, tramite scrittura, le loro conoscenze, bensì di lasciare che fossero i bambini stessi a scegliere la modalità espressiva che meglio avrebbe fatto al caso loro (che si trattasse di scrivere, disegnare o le due assieme). Come allievi si è abituati a interpretare la presenza di “righe” o “quadretti” su un foglio come la richiesta, da parte del docente, di fornire una risposta scritta secondo il codice alfanumerico e, viceversa, interpretare la presenza di uno spazio bianco su un foglio da disegno come la richiesta (implicita) di schizzare qualcosa.

È per questo che si riconosce al contratto didattico un ruolo centrale e per nulla trascurabile nell’apprendimento degli allievi. È auspicabile che come docenti ci si interroghi, nel momento in cui vi è l’intenzionalità di proporre un’attività da svolgere in classe, su cosa gli allievi si aspettano di dover fare e, specialmente, si presti attenzione ai comportamenti individuali affinché si possano riconoscere atteggiamenti del tipo: “come mi devo comportare / cosa devo fare per soddisfare la richiesta del maestro?”. È altresì utile essere chiari con gli allievi su quali siano le modalità di lavoro che si vogliono adottare (da entrambe le parti) nel corso di un progetto e quali le aspettative di fronte a determinati compiti; in sostanza, è doveroso affrontare in sede di discussione con la classe il tema delle aspettative attese. È in quest’ottica che ho progettato la serie dei miei interventi, così da mettere il più possibile al centro l’allievo e le sue conoscenze, senza che nella risoluzione dei compiti la mia presenza di docente influisse troppo sulla risposta data dai bambini.

La scheda della raccolta concezioni era sempre la medesima (questo anche per favorire una continuità del lavoro, facilmente accessibile per la raccolta dei dati in un secondo momento) e, di volta in volta, si provvedeva a riempire il nuovo riquadro tematico. Ho deciso di procedere in questo modo per mostrare agli allievi che la scheda non veniva da me corretta (quindi valutata) ma che erano loro stessi a costruire le basi del loro percorso.

Al termine di ciascuna compilazione prevedevo un momento di messa in comune, dove i bambini avevano modo di presentare al resto della classe quello che si erano segnati sulla scheda in merito al determinato senso. Dopo ogni fase di messa in comune, lasciavo che la scheda fosse conservata in classe dagli allievi (ancora una volta per non esternare miei atteggiamenti giudicanti di fronte alle loro conoscenze, ancora in divenire). Ho notato con piacere che intervenivano nella discussione in maniera costruttiva, con la voglia di scoprire cose nuove e proseguire nel “percorso lapbook” per arricchire il loro bagaglio di conoscenze. Allieva E., nel corso di uno dei momenti di discussione con il vicino di banco: “Ma magari dopo è vero che è fatto così per davvero con questa forma o forse anche no (riferendosi a un compagno che commentava l’occhio che aveva disegnato) ma poi lo vedo quando lo

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Le raccolte concezioni al termine del percorso sui cinque sensi.

Una volta concluso il percorso sui cinque sensi, ho presentato agli alunni una serie di fogli (uno per ciascuno dei sensi) con la domanda: “cosa sai del senso…?”

Anche in questo caso lo spazio per la risposta consisteva in un riquadro bianco, predisposto alla libera interpretazione della consegna da parte dell’alunno. Al momento della distribuzione del fascicoletto, non ho specificato che fosse da compilare nella sua interezza (avrei preteso molto, forse troppo, rischiando che gli allievi rispondessero di fretta a tutte le domande senza veramente applicarvisi).

I questionari personali

Un altro utile strumento che mi ha permesso di procedere con la raccolta dei dati di questo progetto, oltre alle raccolte concezioni, alle osservazioni degli alunni durante il percorso e alla loro produzione di materiale in generale, è stato il questionario individuale4, allestito per ciascuno allievo a partire dai materiali da lui prodotti. In pratica ho preparato per ogni allievo un foglio, con la stampa dell’insieme delle raccolte concezioni svolte prima di affrontare un nuovo senso e con le fotografie dell’ultima raccolta effettuata (quella quindi al termine del percorso). In questo caso il bambino poteva vedere, nell’ordine da sinistra a destra, le sue prime e ultime produzioni (con le diciture “prima” e “dopo”). Sotto le fotografie dei suoi disegni ho lasciato spazio per rispondere all’interrogativo: “qual è secondo te la grande differenza fra quanto da te prodotto prima e dopo il percorso sui cinque sensi?”

Agli allievi avevo dato il compito di osservare bene le loro produzioni (abbiamo ripreso assieme le tappe principali del nostro percorso scientifico) e provare a scrivere nello spazio predisposto i loro commenti. Il tempo fornito per svolgere questa consegna individualizzata è stato di trenta minuti (anche se i primi allievi avevano già consegnato dopo una quindicina di minuti). Ho cercato, nel corso di tutte le raccolte dati, di tenermi il più in disparte possibile, senza girare tra i banchi o fornire loro consigli in merito alle risposte.

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Valutazione e analisi dei dati

Riflessione generale

Prima di inoltrarmi nell’analisi di tre casi individuali, vorrei sottolineare che nel corso della raccolta dati tutti gli allevi hanno dimostrato una buona capacità di riflessione e di messa in atto delle conoscenze apprese lungo l’itinerario. Gli esempi riportati vogliono fungere da “rappresentanti” di tre differenti modalità di restituzione delle conoscenze, che qui di seguito menzionerò come “categorie”. Nella prima categoria rientrano tutti gli allievi che, nel corso della prima raccolta concezioni, hanno riposto alle domande con dei disegni (per lo più semplici e senza l’impiego di tecniche particolari). Nella seconda categoria rientrano invece le produzioni che, nella medesima raccolta, hanno risposto solo in forma scritta. Della terza categoria infine fanno parte tutte le raccolte che presentano sia scritti, sia disegni (senza però un reale collegamento tra quanto disegnato e scritto).

Prima categoria: Le raccolte finali dei medesimi allievi:

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Terza categoria:

Ciò che si osserva di primo acchito in tutte e tre le categorie è che, nella restituzione finale, la strategia per rispondere al quesito è di fare capo a una rappresentazione grafica accostandovi delle scritte (quindi un modo “articolato” di dare significato alla realtà). Nei tre casi i disegni degli allievi, così come di tutti gli altri, sono chiaramente migliorati, e chi ha deciso di servirsi delle matite colorate dimostra di ricorrere alle tecniche apprese nel corso dell’anno (es. sfumature e accostamento di colori differenti) per conferire un’impressione volumetrica e realistica alle figure; si coglie la volontà dell’allievo di richiamare i saperi acquisiti non solo grazie al supporto visivo del disegno, ma anche decretandone il ruolo compositivo centrale all’interno della pagina. In taluni altre raccolte, se presente, l’illustrazione svolgeva quasi un ruolo marginale alla spiegazione del fenomeno trattato.

Nel caso della seconda categoria traspare chiaramente la volontà dell’alunno di dare significato alla realtà simbolicamente, utilizzando cioè il linguaggio anziché l’immagine (riferimento alla teoria di Bruner), ma forse senza sapere di poter ricorrere anche ad altri livelli d’interpretazione (come sceglie di fare nel corso della seconda raccolta) o senza ricorrere pienamente all’intelligenza artistica. Ci si chiede quindi cosa abbia indotto l’allievo a passare da un linguaggio concettuale all’altro. Ho cercato di sviscerare questo interrogativo tramite i questionari personali conclusivi (svolti al termine del percorso), che analizzo nel prossimo paragrafo. Dai disegni degli allievi emergono i differenti profili di competenza e la ricchezza delle rappresentazioni concettuali infantili; il disegno non va quindi sottovalutato, ma preso come indice di un’evoluzione delle concezioni nella raffigurazione della realtà da parte dell’allievo. Gli esempi riportati nelle tre categorie non fanno riferimento a uno stesso livello di competenza, il disegno non funge quindi da banale facilitatore dell’apprendimento curricolare; è un’attestazione preziosa della capacità cognitiva personale di rappresentazione della realtà: un disegno realistico dimostra che l’allievo-esecutore è un buon osservatore, un allievo che intravede la complessità di ciò che lo circonda ma, nonostante ciò, ne tenta la rappresentazione iconica (disegno) e la spiegazione in forma scritta (didascalie), come si può vedere nelle raccolte finali. In tutti e tre i casi è evidente il

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tentativo di dare un senso volumetrico ai disegni, nella prima raffigurazione l’allieva dimostra una grande abilità nel rendere realistica la parte interna dell’organo (forse il particolare la cui resa è quella che presenta più problematicità nella rappresentazione). L’allieva del secondo disegno (seconda raccolta finale), dimostra bravura anche nella rappresentazione della parte interna dell’orecchio; gli schizzi sono eseguiti a matita, senza il completamento con il colore, a causa del tempo investito già nel tratteggio (caso emblematico, vista la sua scelta antecedente di rispondere alle domande per iscritto). Gli esiti grafici raggiunti, autonomamente, al termine del percorso, si traducono in una conquista sia pratica che intellettiva da parte degli allievi.

Ecco quanto emerge dai questionari conclusivi (prendo come esemplificazione i tre questionari degli allievi di cui sopra):

Dagli scritti emerge che la differenza più importante è quella relativa allo sviluppo della produzione grafico-pittorica (utilizzo della sfumatura, dell’ombreggiatura, dei colori, ecc.). Traspare molto nel primo caso, come il disegno abbia permesso agli allievi di “esplorare” le varie parti del corpo umano trattate, cosa che le parole non riuscirebbero a fare senza un supporto visivo. Scrivono di aver imparato a disegnare in maniera più realistica e di conseguenza sanno nominare le parti raffigurate. Il disegno funge quindi da veicolo di conoscenza per una comprensione autentica.

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Risposta all’interrogativo di ricerca e confronto con il

Nel documento Disegno e realtà in un lapbook (pagine 32-39)

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