La fine della guerra, secondo le attese di molti combattenti, avrebbe dovuto portare con sé un grande periodo di prosperità e cambiamenti. I contadini in particolare ricordavano bene le promesse loro fatte alla vigilia delle grandi battaglie sulla garanzia del possesso della terra a guerra finita. Essi, secondo il Serragli, erano quindi tornati dalle trincee imbevuti di «teorie nuove» e, salvo eccezioni, con un «sentimento di rivolta nell’animo come reazione alle fatiche e ai disagi della guerra». Nelle campagna toscane del resto era abbastanza unanime la convinzione che essa fosse stata voluta dai “signori”, anche se poi a combatterla ed a morirvi erano stati soprattutto i contadini152. Si diffondeva quindi nelle campagne quello che il Serragli chiamava «spirito bolscevico», il desiderio, ancora abbastanza confuso in verità, di una vita diversa, che rompesse con la passata atmosfera di rassegnazione e di subordinazione, assieme alla coscienza – anch’essa acquistata in guerra – dell’importanza dell’associazione e dell’azione collettiva, che spingeva i mezzadri verso le leghe socialiste e cattoliche.
A fronte di tali attese l’intervento statale si face sentire soprattutto al Nord: il decreto del 17 novembre 1918 creò infatti un organismo volto a coordinare l’opera degli esistenti uffici di collocamento, i quali in qualche modo venivano riconosciuti. In questo modo si tentava di arginare la disoccupazione
151
AVPe, Colle di Buggiano, Pieve di San Lorenzo Martire, n. 116, Libro dei Ricordi iniziato dal Piev. Mori don Ugo e raccolta di memorie antiche dal med.° trascritte, [1908- …], LIV Triste ricordo della guerra europea 1914-1918.
152
bracciantile, annoso problema dell’agricoltura in area padana, e regolamentare l’avventiziato agricolo attraverso sistemi più o meno concordati di imponibile di manodopera153.
Il 2 settembre 1919 fu poi varato il decreto Visocchi, dal nome del ministro controfirmante, che si componeva di 7 articoli che regolavano l’occupazione delle terre incolte ed i casi in cui essa era da ritenersi legittimata. Il decreto perseguiva al contempo un intento produttivo, stimolando la produzione con una più efficiente sanzione, ed uno scopo di pacificazione sociale. Le critiche opposte al decreto fin dai suoi contemporanei e le opposte letture che di esso sono state date in sede storiografica154, niente tolgono al rilievo di quell’intervento, che però venne concepito soprattutto in riferimento alla realtà laziale ed al Mezzogiorno, mentre nella Toscana mezzadrile, fatto salve alcune limitate zone del medio e basso Valdarno, ebbe conseguenze pressoché nulle. Sicuramente di maggior effetto per le regioni centrali fu la scelta del governo Nitti di procedere al progressivo rinnovo del decreto luogotenenziale dell’8 agosto 1915 che, come si ricorderà, prorogava i contratti di salariato fisso, di colonia parziaria e di affitto. Tale misura, in Toscana, significava di fatto il congelamento delle disdette e degli escomi. Giudicata necessaria nell’urgenza bellica e nelle fasi seguenti, la proroga dei contratti non mancò di suscitare crescenti opposizioni da parte dei proprietari, che diverranno violentissime nel 1921 allorché il gabinetto Bonomi prorogherà per l’ultima volta il decreto luogotenenziale all’annata agraria 1921-1922, incontrando la nettissima resistenza dell’Associazione Agraria Toscana155.
Oltre a ciò, a seguito di decreti legge o stipulazione di nuovi concordati a livello locale, mandamentale o regionale vennero approvate importanti modifiche che introducevano – come meglio vedremo nella terza parte di questa ricerca – il principio della “giusta causa” per le disdette, l’introduzione nel 1919 della pensione per i mezzadri (un provvedimento poi abrogato nel 1923)156, l’assicurazione sul bestiame, sulla vita del capoccia, sulla sua
153
R. Zangheri, Lotte agrarie cit., pp. XXXVIII e ss.; I. Barbadoro, Storia del sindacalismo italiano, Firenze, La Nuova Italia, 1973, vol. I, pp. 236-241.
154
Per due opposte letture del decreto cfr. R. Vivarelli, Storia delle origini del fascismo cit., vol. II, pp. 762 e 772-774; R. Bianchi, Pane, pace, terra cit., pp. 57-60. A queste pagine si rimanda per le critiche al decreto formulate dai contemporanei, fra cui Serpieri, Ciasca ed Einaudi. Critico anche Serragli, cfr. P. F. Serragli, Le agitazioni dei contadini e l’avvenire della mezzeria, in “Atti della Reale Accademia dei Georgofili”, 1920, serie V, vol. XVII, disp. II-IV, pp. 106-109.
155
Cfr. Supra par. 1.2 per la prima promulgazione del decreto ed Infra par. 6.6 per l’ultima proroga effettuata dal governo Bonomi. Si veda anche A. Serpieri, La guerra e le classi rurali cit., p. 129, nota 1; L. Einaudi, La condotta economica cit., pp. 297-299; G. Giorgetti, Contadini e proprietari cit., pp. 441-442.
156
Cfr. D. Marucco, Note sulla mezzadria all’avvento del fascismo, in “Rivista di Storia contemporanea”, n. 1974, pp. 386-387.
famiglia, l’assicurazione obbligatoria contro l’invalidità e la vecchiaia, contro gli infortuni sul lavoro157.
Anche in Toscana poi vennero introdotte forme di imponibile di manodopera avventizia per le proprietà padronali in relazione alla loro estensione ed alle modalità della loro conduzione agraria. Nei comuni dove c’erano più disoccupati si arrivò a fare delle Commissioni paritetiche che «procedevano all’assegnazione a ciascuna proprietà agricola di un determinato numero di braccianti da occupare»158. Ma già il 22 dicembre 1920 l’Associazione Agraria Toscana denunciava l’accordo raggiunto con le autorità e chiedeva ai suoi aderenti non solo di non assumere più braccianti, ma anche di iniziare «nella misura di un minimo del 10% al mese, l’alleggerimento della proprietà terriera dal peso insostenibile del bracciantato, cominciando dalla epurazione della classe dei braccianti di coloro che tali parimenti non sono»159. Analoghe critiche all’imponibile di manodopera sarebbero state rivolte al governo dal conte Alessandro Martelli al Congresso Agrario Nazionale tenutosi a Roma nel febbraio 1921160, mentre una valanga di proteste di singoli proprietari, oggi conservate negli archivi storici comunali, venivano inviate a sindaci e prefetti di tutta la Toscana161.
157
Cfr. “L’Agricoltura Toscana”, 15 gennaio 1919, n. 1, Per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro in agricoltura., istituita con il decreto legge 23 agosto 1917; Ibidem, 15-30 novembre 1919, nn. 21-22, L’assicurazione obbligatoria contro la invalidità e la vecchiaia, istituita con il Decreto Legge n. 603 del 21 aprile 1919.
158
Cfr. Dispaccio del prefetto di Firenze al ministro dell’Interno in data 23 dicembre 1920 in ACS, PS, a. 1920, b. 59 A, cat. C 1, Ordine pubblico affari per province. Si veda anche G. Lorenzoni, Relazione finale sull’Inchiesta sulla piccola proprietà coltivatrice formatasi in Italia nel dopoguerra, Roma, Tip. Operaia, 1938, p. 356.
159
Cfr. Deliberazione in data 22 dicembre della «associazione Agraria» sezione di Firenze, in ACS, PS, a. 1920, b. 59A. Secondo il documento della Agraria, il provvedimento doveva iniziare a partire dal 15 gennaio nei comuni di Montelupo e Montopoli, il 15 febbraio a San Miniato, Castelfiorentino, Certaldo e Montaione; il 1° marzo a Fucecchio e Montespertoli; il 15 marzo a Pontassieve, Figline e Reggello; il 10 aprile a Borgo San Lorenzo ed in tutti i restanti comuni, compresi quelli della Romagna Toscana.
160
A. Martelli, La questione del bracciantato agricolo nella Toscana. Relazione al Congresso Agrario Nazionale tenuto in Roma nel febbraio 1921, Firenze, Vallecchi, 1921, pp. 14-20. Si veda poi Infra, par. 6.6.
161
ACSc., Postunitario, fasc. 188, Cat. XI, Agricoltura, Industria e Commercio, Classe 1 Agricoltura – caccia – pesca – pastorizia – bachicoltura – malattia delle piante, a. 1920, Sottofasc. Oggetto : Tariffe di mercedi giornaliere agli operai: la lettera del 27 dicembre 1920 inviata al sindaco di Scandicci dal proprietario terriero Gelasio Nozzoli di San Vincenzo a Torri protesta per il pagamento dell’indennità agli operai agricoli non impiegati sul proprio fondo; il proprietario giudica «non solo ingiusto, ma arbitrario il voler imporre il pagamento di detta indennità». Inoltre ricorda che i suoi operai hanno lavorato «per tutto il periodo dell’inverno, e cioè quando gli altri operai, che debbono per forza di cose adattarsi ai lavori agricoli, hanno lavoro solo che saltuariamente a causa dell’istabilità della stagione, mentre i miei operai, all’infuori di qualche breve fermata, che può accadere per guasto alle macchine, o inconvenienti del genere, hanno un lavoro continuo che si protrae fino ad Aprile epoca nella quale anche all’aperto si può agevolmente operare». ACSc, Postunitario, fasc. 186, Cat. XV Sicurezza pubblica, classe 8 Avvenimenti straordinari, a.
Se le iniziative del governo, ad eccezione del blocco delle disdette, ebbero scarso effetto sulle economie familiari, non altrettanto si può dire dell’andamento dei prezzi, ed in particolare di quello del bestiame da lavoro. Come noto nella mezzadria toscana la contabilità relativa al bestiame annesso al podere veniva tenuto nel “conto stima”, in maniera distinta dal “conto corrente” che invece era destinato ai rapporti di debito e di credito. Il “conto stima” veniva acceso iscrivendo a debito del colono il valore della dotazione di bestiame consegnata dal proprietario, a cui si aggiungevano le spese sostenute dal proprietario per l’acquisto di altro bestiame e delle altre spese di stalla (mangimi, veterinario, altri attrezzi, ecc.); in accredito venivano segnati i ricavi ottenuti dalla vendita del bestiame e dei prodotti, costituiti essenzialmente dal latte. Alla fine dell’annata agraria, il bestiame veniva valutato nuovamente e si accreditava al colono l’importo finale del conto stima, il cui saldo, attivo o passivo, costituiva l’utile o lo scapito di stalla. La metà dell’utile o della perdita di spettanza al colono veniva infine riportato nel conto corrente, assieme a tutte le altre voci in dare e in avere.
In condizioni normali il conto stima risultava sempre pressoché in pareggio poiché il valore di ciascun capo alla fine dell’anno (in credito al colono) era pressoché identico a quello dell’inizio dell’anno (in addebito al colono). Nei periodi di instabilità economica invece vi poteva essere un notevole divario fra i due valori a inizio e fine anno, e fu proprio ciò che avvenne durante e dopo la guerra.
Da dopo Caporetto infatti il prezzo del bestiame cominciò a crescere notevolmente e se quello dei bovini da macello veniva posto sotto controllo dai calmieri alimentari, quello del bestiame da allevamento continuò a crescere senza alcun controllo. L’utile di stalla era perciò in crescita costante e faceva lievitare il credito colonico, a tutto vantaggio dei mezzadri.
Se ne può fornire un esempio di lungo periodo attingendo i dati dei “conti colonici” del colono Salvatore Natali, mezzadro di don Bernardo Giannetti, parroco di San Jacopo maggiore a Cozzile (diocesi di Pescia, allora in provincia di Lucca)162. Riporto nel grafico le oscillazioni dei prezzi di compravendita dei
1919: «19 gennaio 1919 / Viene segnalato al Sig Prefetto che in qualche località della provincia si andrebbe manifestando nella classe dei coloni mezzadri la tendenza a coltivare in pochi i poderi loro affidati escludendo così la mano d’opera dei braccianti che per conseguenza resterebbero disoccupati. / Mentre il Sig. Prefetto ha richiesto su tale fatto l’attenzione del Commissario Agricolo Provinciale perché veda di spiegare opportuna efficace azione da parte sua, sia presso i mezzadri, che presso i proprietari, ad evitare il pericolo derivante dalla disoccupazione dei braccianti. / Prego la S. V. d’informarmi se ed in quale misura siasi detta tendenza manifestata nel territorio di sua giurisdizione e Le raccomando, in caso affermativo, di volere Essa pure adoperarsi affinché siano fatti presenti i danni e pericoli agrari e sociali che si risentirebbero ove si attuasse il proposito di negare alla terra le braccia occorrenti. / Il Questore».
162
AVPe, Cozzile, S. Jacopo Maggiore, busta bordeau Conti colonici 1763-1948, Libretto colonico n. 7, quaderno con copertina nera deteriorata ed etichetta Registro del terreno Giardino Podere 1903-1922.
vitelli fra il 1915 e il 1922 in scudi toscani, l’unità di moneta ancora in uso nel primo dopoguerra:
Prezzi dei vitelli sul mercato di Cozzile (Lucca) 1915-1922
0 50 100 150 200 250 300 350 P re z z o i n s c u d i
Prezzo di acquisto Prezzo di vendita
1915 1916 1917 1918 1919 1920 1921 1922
Fonte : Mia elaborazione sulla base dei dati contenuti nei conti colonici in AVPe
Vacchetta con compra-vendita di vitelli del colono Salvatore Natali, mezzadro del piovano don Bernardo Giannetti. Come si legge in soli sette mesi, dal 14 gennaio al 30 luglio 1920, il prezzo stimato di un vitello è passato da 130 a 226 scudi. Fonte: AVPe.
L’ipervalutazione del bestiame d’allevamento, come si vede, subì un nutrito aumento a partire dal 1917, ed un nuovo picco nel 1920, mantenendosi a livelli altissimi fino a tutto il 1922, contribuendo ad elevare in misura assai consistente il credito del colono verso il proprietario. Finché però il mezzadro restava sul podere il credito non veniva liquidato, ma veniva segnato a credito («a nuovo») per l’anno seguente; solo in caso di abbandono del podere i proprietari avrebbero dovuto pagare il credito dei loro coloni. Per questo motivo i proprietari tendevano a non saldare annualmente i conti, specialmente quando essi erano a vantaggio dei coloni – e ciò provocava in questi ultimi un acuto malcontento, dal momento che vedevano sfumare in cifre vergate sulla carta la possibilità di incassare realmente i loro guadagni. Si trattava di un fenomeno non nuovo, ma che nel
dopoguerra assunse proporzioni sconosciute, con conseguenze potenzialmente destabilizzanti per le relazioni mezzadrili, come misero in luce numerosi agronomi e georgofili del tempo163.
Nel breve periodo così, secondo i calcoli effettuati da D’Ancona e Pontecorvo su 291 poderi della provincia di Firenze, vi fu una crescita del credito dei coloni del 38% nel 1919, del 33% nel 1920, e del 25% nel 1921164. E parte cospicua dei crediti ottenuti era proprio da imputare non tanto dai vantaggi ottenuti con la revisione dei patti, ma proprio con l’ipervalutazione del prezzo delle stime vaccine. Così, anche gli studi su alcune fattorie o su alcune singole famiglie contadine effettuati da Mario Bandini165, Dal Pane166 o, più recentemente, Giovanni Contini167 lo evidenziano in maniera inequivocabile.
163
“L’Agricoltura Toscana”, 31 gennaio 1919, n. 2, S. Chiostri, Un giustificato allarme; Ibidem, 15-28 febbraio 1919, nn. 3-4, C. Papi, Un giustificato allarme in cui si condivide la proposta del precedente articolo di «pretendere dal colono entrante il deposito di una somma a titolo di garanzia per le stime consegnategli» ed in particolare «almeno una parte del credito che questi vantano presso l’azienda che abbandonano». A. Dini Traversari, La situazione economica tra proprietario e colono creata dall’attuale ascesa del prezzo del bestiame e gli opportuni rimedii, in “Atti della Reale Accademia dei Georgofili”, 1919, serie V, vol. XVI, disp. II-III, p. 125 propone invece che i lucri e le perdite per il bestiame siano esclusivamente a carico del proprietario, e non diviso a metà col colono. G. Tassinari, Le recenti agitazioni agrarie nell’Italia Centrale e le condizioni economiche dei mezzadri, in “Atti della Reale Accademia dei Georgofili”, 1920, serie V, vol. XVII, disp. II-IV, p. 161-169: nelle aziende da lui osservate rispetto all’anteguerra i redditi risultano raddoppiati nel 1916; poco meno che triplicati nel 1917 e addirittura quintuplicati nel 1918. L’incremento è stato «relativamente più forte per i poderi di collina» a causa del «più forte utile bestiame». «Simili aumenti di reddito non sono soltanto nominali», dovuti cioè al forte deprezzamento subito dalla moneta, ma reali. «Bisogna però ben guardarsi dall’esagerare tale aumento», poiché spesso il maggior utile del bestiame non viene liquidato a fine anno, e col decrescere del prezzo degli animali i facili guadagni ben presto si potrebbero trasformare in perdita». In ogni caso secondo Tassinari il guadagno si fa assai rilevante nel conto stima (tra 7,5 e 11 volte l’anteguerra) che nel conto dei prodotti delle colture (fra 2,5 e 4 volte l’anteguerra). Quindi «l’utile bestiame entra in fortissima proporzione a costituire l’aumento del reddito colonico».
164
A. D’Ancona – G. Pontecorvo, I debiti e i crediti colonici in provincia di Firenze cit., pp. 334, 344-345.
165
M. Bandini, Inchiesta sulla piccola proprietà coltivatrice formatasi nel dopoguerra in Toscana, in “Annali dell’Osservatorio di Economia Agraria per la Toscana”, Firenze, Tip. Ricci, 1931, v. II. p. 34 in cui afferma che in Valdelsa nel dopoguerra «è aumentato moltissimo il prezzo delle stime in consegna al colono».
166
L. Dal Pane, Per la storia dei libretti colonici, in Studi in onore di A. Fanfani, Milano, Giuffré, 1962, vol. V, pp. 45-80. Lo studio riguarda la famiglia Renzi, coloni nel podere di Infrantoio o Frantoio, della fattoria di Montefalconi, nel comune di Poggibonsi. La documentazione dei libretti colonici rivela negli anni della guerra un aumento notevole del credito colonico, dovuto in particolare alle stime vive. Il numero dei bovini passa da 7 (1912), 10, 7,7,6,6,9,8 (1919) ed anche il numero dei suini rimane costante negli anni passando da 5 (1912), 4, 10, 12, 7, 21, 23, 5 (1919). Quindi l’ultimo anno non aumenta, anzi diminuisce, ma nonostante questo il conto stima si impenna a causa delle plusvalenze derivate dall’aumento del valore del bestiame. In particolare il valore della stima delle scorte vive (il bestiame, senza contare gli attrezzi, cioè le scorte morte, il cui valore rimane
Si trattava però di crediti nominali che spesso il colono vedeva solo sulla carta, giacché i proprietari a fine annata agraria non chiudevano i loro conti, e segnavano il saldo attivo dei coloni in credito sul libretto per l’anno successivo. Proprio il rinvio delle liquidazioni dei saldi e la mancata chiusura dei conti da parte dei proprietari più indebitati fu nel 1920, come vedremo meglio, fra le cause di alcune occupazioni di fattorie da parte dei coloni. I mezzadri cioè desideravano, come del resto era in loro diritto, la monetarizzazione del credito a loro favore. Al contrario di quanto avvenuto ad altre classi sociali, invece, i maggiori profitti ottenuti con tanto sforzo non si traducevano per loro in un reale mutamento né delle condizioni di benessere economico né della subordinazione sociale delle loro famiglie. Inoltre, in caso di crisi – come in effetti avvenne a partire dalla seconda metà degli anni Venti – il «giuoco» del conto stima avrebbe potuto penalizzare notevolmente il colono così come lo aveva nominalmente avvantaggiato negli anni dell’immediato dopoguerra168.
I profitti che i coloni realizzarono anche grazie alle stime bovine avrebbe fatto parlare, nel dopoguerra, di cospicui risparmi accumulati presso casse rurali e casse di risparmio postali169. Molti di tali risparmi sarebbero quindi
costante) passa da 4170 lire del 1912 a 4055, 3540, 3975, 4670, 5770, 14.575 (1918) e addirittura 19.730 del 1919 provocando così l’impennata del credito colonico che passa da 8.117,06 del 1912 a 7833,20; 7694,55; 7566,53; 7806,74; 8174,26; 9834,34 (1918) e 16.299,92 (nel 1919).
167
Contini analizza l’andamento del conto corrente della famiglia Caroti, coloni a san Gersolè presso Impruneta, fra il 1895 fino agli anni Trenta, notando come fra il 1918 e il 1919 il conto passi dal passivo all’attivo restandovi fino al 1927. Utilizzando le tabelle di riconversione ISTAT Contini indica proprio nell’elevato valore della stalla la ragione del benessere economico di questa famiglia contadina negli anni Venti. Cfr. G. Contini, Aristocrazia contadina cit., pp. 197-198. Per la riduzione del debito dei poderi della fattoria dei Corsini a Mezzomonte cfr. Ibidem, pp. 141 e ss.
168
E’ quanto avvenne a partire dalla seconda metà degli anni Venti e per tutti gli anni Trenta. Secondo Cianferoni, sulla scorta dei dati raccolti da A. D’Ancona e G. Pontecorvo sui debiti e crediti colonici dal 1919 al 1935 in provincia di Firenze e pubblicati nel 1938, mentre nel 1921 i conti correnti tra concedente e colono erano passivi per i mezzadri nel 20% dei casi, negli anni successivi i saldi passivi aumentarono continuamente fino a raggiungere il 50% dei casi nel 1933-1935. Cfr. R. Cianferoni, I redditi dei mezzadri nella provincia di Firenze, in AAVV., La Toscana nel regime fascista, Firenze, Olschki, 1922- 1939, Convegno di studi promosso dall'Unione regionale delle province toscane, dalla Provincia di Firenze e dall'Istituto storico per la Resistenza in Toscana: Firenze, Palazzo Riccardi, 23-24 maggio 1969, Firenze Olschki, 1971, vol. II, p. 504.
169
P. F. Serragli, Le agitazioni dei contadini cit., p. 121-122: Serragli riporta un calcolo effettuato sui coloni della Valdelsa riguardo il guadagno medio giornaliero, concludendo in linea col Faina che fra 1914 e 1918 i redditi colonici spendibili (detratte cioè gli utili delle stime morte e del bestiame) sono aumentati del 90% circa. Ecco allora che «i nostri contadini hanno largamente migliorate le loro condizioni e i compensi che percepiscono sono proporzionati alle nuove esigenze della vita e migliori sostanzialmente, anche per la loro stabilità, a quelli degli altri operai» cosicché i contadini han potuto «accumulare larghi crediti verso i proprietari, migliorare di assai il loro regime di vita e costituire tutti quei
stati reinvestiti dai contadini più agiati mediante l’acquisto di poderi, causando un sensibile incremento della piccola proprietà contadina170. Mario Bandini, estensore per la Toscana della Inchiesta sulla piccola
proprietà coltivatrice formatasi nel dopoguerra promossa dall’INEA all’inizio degli anni Trenta, evidenziava lo smembramento di molte famiglie contadine e la formazione di una piccola proprietà contadina, con fenomeni di compra-vendita e di speculazione in provincia di Firenze, specialmente nei comuni di Campi Bisenzio, Brozzi, Sesto, Peretola, Reggello171. Secondo il Bandini la formazione della piccola proprietà privata «è stata piuttosto una formazione improvvisa dovuta ai rapidi guadagni fatti durante e dopo la guerra, complicata da moti sociali, da agitazioni, da imposizioni».