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Sebbene all’interno della società contadina esistessero i motivi di tensione strisciante che abbiamo fin qui descritto, è pur vero che quella stessa società era caratterizzata da una particolare capacità di assorbimento e di sedimentazione dei fattori di crisi. Il lineare cammino della mezzadria nei secoli, in realtà composto da tratti tortuosi e non rettilinei, era comunque sottoposto ad un processo di compensazione per cui ogni elemento di disordine veniva ricondotto all’equilibrio originario. Il tempo si confondeva con il ritmo della natura, in una dimensione temporale apparentemente priva di «storia» agli occhi del contadino, in una compiutezza che parrebbe escludere il mutamento progressivo delle strutture materiali e mentali. Così viene da pensare, per la società mezzadrile, a quel «tempo ecologico» o «tempo strutturale» che gli antropologi scoprono nelle società primitive e

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Oltre ai già ricordati studi di Roger Absalom, già negli anni Ottanta alcuni saggi comparsi sugli “Annali dell’Istituto Alcide Cervi” indicavano queste piste alla ricerca storica. Particolarmente importante è stata per me la lettura di C. Pazzagli, Dal paternalismo alla democrazia: il mondo dei mezzadri e la lotta politica in Italia, in “Annali dell’Istituto Alcide Cervi”, 8/1986, pp. 13-35; E. Basile – C. Cecchi, Innovazioni organizzative e istituzionali nella crisi agricola del sistema mezzadrile, in “Annali dell’Istituto Alcide Cervi” 14/15, 1992-1993, pp. 205-229.

che secondo Lévy-Strauss caratterizzerebbe le «società fredde», la cui «temperatura storica è vicina allo zero».

A sconvolgere questo quadro, con gli effetti epocali sulla mentalità contadina che vedremo nel capitolo successivo, giunse nel 1915 la Prima Guerra Mondiale.

La Toscana fu certamente, fra le regioni italiane, una di quelle che a causa della guerra registrò le perdite più numerose. Dei 450.525 “tenuti alle armi”, l’83,5% degli idonei registrati al censimento del 1911, in 47.000 non tornarono più a casa - più di uno su dieci. La cifra appare ancora più terribile considerando le diverse classi di età; le più colpite infatti risultarono quelle comprese fra il 1887 e il 1896, coloro cioè che allo scoppio della guerra avevano tra i 19 e i 28 anni92. A completare il quadro di quella che fu una carneficina senza pari, si aggiunga che solo il 42% di quelle giovani vittime perirono sul campo o per ferite da bombe e granate, fucili e cannoni, mentre un altro 41 % morì per malattie contratte sotto le armi a causa di disagi e epidemie93.

Né si deve ritenere che la guerra fu più equa nello scegliere il ceto sociale delle sue vittime. A livello nazionale su una popolazione di 4,8 milioni di uomini di età superiore ai 18 anni che lavoravano in agricoltura, 2,6 milioni furono tratti dai campi per andare al fronte. Dei 5,7 milioni di uomini spediti al fronte erano così contadini il 46%, un dato che rispecchiava abbastanza fedelmente la preponderanza dei lavoratori della terra sulle altre categorie professionali. Restarono attivi sulla terra quindi solo 2,2 milioni di uomini con più di 18 anni, 1,2 milioni di maschi fra i 10 e i 18 anni, contro ben 6,2 milioni di donne di età superiore ai 10 anni, su cui gravavano 4,52 milioni di bambini di ambo i sessi94. E le cifre sugli orfani di guerra dimostrano come i contadini fossero di preferenza mandati a morire in prima linea giacché a fronte di una presenza nell’esercito del 46% gli orfani dei contadini erano il 64%95.

La percentuale dei caduti toscani registra – come si può osservare dalla tabella sottostante – una cifra particolarmente alta per le province il cui territorio coincideva con il cuore della Toscana mezzadrile (Firenze, Siena, Arezzo), scendendo sotto il 10% soltanto in quelle come Livorno o Massa Carrara a vocazione non agricola. E la consapevolezza di versare un tributo

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In questa classe d’età le vittime raggiunsero - sempre entro il 1920 - il 14,2 %, con un picco fra i nati negli anni 1888-91 che giunse al 15,2%. Un morto ogni 6 tenuti alle armi.

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I dati qui riportati sono tratti da S. Soldani, La grande guerra lontana dal fronte, in G. Mori (a cura di), Storia d’Italia. Le Regioni dall’Unità ad oggi. La Toscana, Torino, Einaudi, 1986, pp. 345-452.

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Cfr. A. Serpieri, La guerra e le classi rurali italiane cit., p. 50, pp. 3 e ss., p. 18, p. 49; S. Lanaro, Da contadini a italiani, in Storia dell’agricoltura italiana cit., vol. III, p. 956.

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Ibidem, p. 956. Gli orfani di guerra erano in totale 280.096 di cui 179.326 figli di contadini (64%), 83.817 figli di operai (29,9%), 9.153 figli di imprenditori e commercianti (3,3%), 7.700 figli di professionisti e impiegati (2,7%).

massiccio ad una guerra che pure essi avevano accolto con una freddezza superiore a quella delle altre classi, era un dato intuito dagli stessi contadini combattenti. Ricorda un ex-mezzadro del Chianti fiorentino:

Mio nonno e poi anche mio padre mi raccontavano della guerra del quindici diciotto e mi diceva che alla guerra c’era solo masse di contadini, masse di contadini che morivano in trincea. Di questa guerra la va bene a chi non la fa, mi dicevano sempre il mio nonno e il mio babbo (…) Mi ricordo che mio zio, mio babbo, c’era tre o quattro fratelli nella guerra del quindici diciotto, poi uno morì, mio zio è tornato mutilato ad un occhio, mio zio l’altro maggiore è tornato mutilato, con una pallottola che gli era passata dalla pancia e gli era passata di dietro, e si è salvato per miracolo. Allora io proprio la guerra… Mi ricordo mi raccontavano: “Lo sai che a volte domandano: chi è che sa fare i disegni, l’ingegnere, il geometra, contabile? C’era tutto il reggimento schierato e c’era uno o due che alzavano la mano. Poi chiedevano: Chi è contadino? E sembrava un canneto, tutti con la mano alzata!” Ci siamo altri che noi, mi diceva mio nonno, la guerra non va fatta96

Tabella relativa ai Militari e caduti in Toscana.

Il numero dei maschi di ogni età è derivato dal censimento della popolazione del 1911. MASCHI IN ETA' MILITARE A A/MASCHI DI OGNI ETA' (%) A' TENUTI ALLE ARMI B MORTI C C/B (%) Arezzo 55406 38,34 67447 7720 11,48 Firenze 206605 41,52 107439 10 846 11,35 Grosseto 32112 42,18 - - - Livorno 29770 43,98 61433 5971 9,82 Lucca 55607 35,76 64715 6849 10,58 Massa Carrara 37375 36,33 40987 2996 7,31 Pisa 71337 40,95 - - - Pistoia - - 49567 5009 10,10 Siena 51210 41,03 59210 6100 10,30 Toscana 539422 40,22 450595 46911 10,41

N.B. I dati sono per province in A e A', per distretti militari in B e C. - Caduti dei comuni della Romagna Toscana che nel 1923 furono aggregati alla provincia di Forlí. ' Caduti indicati a parte con l'indicazione "Provincia di Pisa". L'ipotesi piú probabile è che si tratti di caduti di cui si conosceva solo approssimativamente la zona di provenienza, ma non il distretto militare di appartenenza. Fonte: http://www.nove.firenze.it/guerra/toscana.htm

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Non più consolante era la situazione di coloro che erano rimasti sui propri poderi. “L’Agricoltura Toscana”, il periodico del Comizio Agrario Fiorentino, nel 1917 così descriveva la situazione delle campagne toscane durante la guerra:

Le famiglie sono state smembrate e dissolte; molta terra priva del lavoro ha dovuto giacere incolta e sterilita; e in molti poderi non rimangono che vecchi, donne e bambini. Ma per buona ventura in molti poderi le faccende sono state compiute, se non alla perfezione, per lo meno in modo da evitare serie perdite, mercè la buona volontà, l’energia e l’intelligenza delle massaie e delle ragazze delle famiglie coloniche. (…) Un severo raccoglimento, in tutto quest’anno, ha presieduto al compimento delle pratiche agresti perché un solo pensiero sembrava compenetrasse lo spirito delle valenti donne, spose e sorelle dei contadini soldati; quello di poter mostrare ai loro uomini arrischianti la vita sui campi di battaglia e nelle trincee o doloranti di stenti sulle cime nevose e piani allagati per assicurare alla grande Italia la prosperità futura, che nessuno sforzo esse avevan risparmiato per conservare la prosperità presente alla piccola Italia – la famiglie e il podere – che ciascun soldato porta nel cuore ! 97

Gli effetti della guerra sulle dinamiche delle famiglie contadine furono pesanti. Calarono gli indici di matrimonio, ma non quelli di natalità e, soprattutto, di mortalità, cosicché nel complesso nelle campagne continuarono a «crescere ulteriormente i preesistenti squilibri» rispetto alle aree di città98.

Per alleviare lo stato di prostrazione delle famiglie contadine e tutelarne, se non i livelli di produzione, almeno uno status di sopravvivenza accettabile, durante gli anni di guerra si dispiegarono alcuni interventi a sostegno delle famiglie contadine. Una legislazione specifica, emanata con alcuni decreti luogotenenziali, garantiva ai soldati contadini particolari congedi o esoneri per il ritorno ai propri poderi, il blocco delle disdette fino alla conclusione del conflitto99, il rimborso alla famiglia mezzadrile della metà delle spese

97

“L’Agricoltura Toscana”, 31 marzo 1917, fasc. 6.

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Gli indici di matrimonio segnarono un -20,1% in campagna fra il 1914 e il 1916 e -32,7% in città. Per le morti invece fatto a 100 l’indice di mortalità nel 1914, esso cresceva nel 1916 a 106,9 nei comuni urbani e a 113,5 in quelli rurali. Cfr. S. Soldani, Donne senza pace. Esperienza di lavoro, di lotta, di vita tra guerra e dopoguerra (1915-1920), in “Annali dell’Istituto Alcide Cervi”, 13/1991, pp. 38-41. Cfr. G. Mortara, La salute pubblica durante e dopo la guerra, Bari, Laterza, 1925.

99

Si trattava del decreto luogotenenziale dell’8 agosto 1915, art. 3, n. 1220 che venne progressivamente rinnovato per tutta la durata della guerra ed anche nei primi anni del dopoguerra. Cfr. L. Einaudi, La condotta economica e gli effetti sociali della guerra italiana, Roma-Bari, Laterza, 1933, pp. 297-299. Cfr. ad esempio in ACBaRi, filza 469, cat. 2, fasc. I, anno 1916: Ministero dell’Agricoltura e del Commercio, Provvedimenti per

straordinarie sostenute per le opere avventizie durante la guerra, anche se a richiederle fosse stato solo il colono100. Si trattava di decreti con cui lo stato interveniva dal di fuori della cerchia di paternalismo che legava il proprietario alle sue singole famiglie coloniche e che pertanto vennero valutati con una certa diffidenza dalla classe padronale. Per quanto riguarda poi il ricorso alla manodopera avventizia, il mancato o ritardato rimborso di questa quota da parte di molti proprietari sarebbe stato un ulteriore motivo di scontento per quei mezzadri – non la maggioranza, in verità – che avevano sostenuto la spesa101. Nel complesso quindi l’intervento dello Stato «soprattutto in agricoltura, [fu] insufficiente, tardivo, privo di organicità, spesso producente effetti opposti a quelli desiderati»102.

Forse più efficaci furono le iniziative del clero parrocchiale che si trovò in prima linea nel sostegno alle famiglie coloniche che avessero richiamati alle armi e nell’assistenza a vedove e orfani di guerra. Si trattava di un’opera che, in maniera più capillare di quella pubblica, riusciva a raggiungere quelle famiglie rurali – fossero esse coloniche o pigionali – che solo difficilmente riuscivano a ottenere il “soldo”, il sussidio statale103.

la proroga e la rescissione dei contratti agrari. «Decreti luogotenenziali, circolare ministeriale e norme interpretative – Roma, 1916. Art 1) I contratti agrari, verbali o scritti (…) con scadenza dal 1/8/1915 al 1/12/1915 sono prorogati di un anno anche se sia già intervenuta la disdetta, quando il colono o affittuario che si trovi sotto le armi ne farà richiesta (…). Tale provvedimento fu preso anche l’anno precedente ed è probabile che sia esteso per tutto il periodo bellico».

100

Decreto 30 maggio 1916, art. 2; decreto 6 maggio 1917, n. 871. Venne inoltre varato un progetto di indennizzo sugli infortuni in agricoltura, e istituite commissioni provinciali e mandamentali per l’arbitrato. A. Serpieri, La guerra e le classi rurali italiane cit., p. 59.

101

G. Tassinari, Le recenti agitazioni agrarie cit., p. 171. Sul ricorso ai braccianti da parte di famiglie mezzadrili con richiamati alle armi cfr. G. Contini, Aristocrazia contadina. Sulla complessità della società mezzadrile, fattorie, famiglie, individui, Siena, Protagon, 2005, pp. 201-202. Ancora alla fine del 1920 molti proprietari non avevano corrisposto ai propri coloni i rimborsi per le spese straordinarie. Proprio questo fu uno dei punti su cui le Unioni Coloniche scesero in lotta: cfr. “L’Amico del Popolo”, 27 maggio 1920, n. 22, Per il rimborso delle opere di guerra in cui si riporta che «sono stati citati in pretura anche quei proprietari che si sono rifiutati di rimborsare ai loro coloni la metà delle spese occorse per le opere avventizie durante la guerra». Il rimborso delle opre di guerre fu poi uno degli elementi che portò all’occupazione di alcune fattorie come quella di Schifanoia nel dicembre 1920, cfr. Infra, par. 6.4 b).

102

G. Procacci, La protesta delle donne delle campagne in tempo di guerra, in “Annali dell’Istituto Alcide Cervi”, 13/1991, p. 62. Come denunciava l’onorevole Cabrini alla Camera, «le popolazioni ammesse alle sue cure, onorevole ministro dell’agricoltura, sono semplicemente abbandonate. L’assistenza civile non arriva ai centri minori, dove le classi ricche non vogliono la applicazione della legge per la imposta a favore della assistenza». Atti parlamentari, Camera dei deputati, XXIV legislatura, Discussioni, p. 12705, tornata dell’8 marzo1917.

103

Sull’opera di assistenza di parroci di campagna alle famiglie contadine durante la guerra si veda Infra, par. 4.2.

La Grande Guerra travolse quindi drammaticamente non soltanto i richiamati alle armi, ma anche un mondo contadino solo apparentemente «lontano dal Fronte», in realtà fortemente coinvolto nelle vicende belliche, tanto a livello emozionale104, quanto nelle proteste contro la guerra105, quanto infine nella mobilitazione industriale106. Furono così principalmente i giovani e le donne ad essere straordinariamente assunte in industrie e manifatture come avventizie per compensare le assenze dei richiamati al fronte e la domanda scaturita dalla guerra, specialmente nel settore della lavorazione a domicilio di confezioni militari107.

Tale emergenza non si esauriva nella sola produzione industriale, ma conosceva un altro terreno di sfida nella “mobilitazione agricola”, volta a garantire, in assenza degli uomini, un adeguato livello produttivo a poderi ed aziende agricole. Le famiglie coloniche dovettero quindi sottoporsi durante la guerra a sforzi straordinari per assicurare la produzione, con un più intenso lavoro delle donne, dei fanciulli e degli anziani e ricorrendo

104

A. Molinari, Storia delle donne e ruoli sessuali nell’epistolografia popolare della Grande Guerra, in M. L. Betri – D. Maldini Chiarito, Dolce dono graditissimo. La lettera privata dal ‘700 al ‘900, Milano, Franco Angeli, 2000.

105

S. Soldani, La grande guerra lontana dal fronte cit., pp. 345-452 ed in particolare le pp. 433-435 sui movimenti popolari per la pace, composti essenzialmente da donne. Sul protagonismo delle donne durante la Guerra si veda G. Procacci, La protesta delle donne delle campagne in tempo di guerra, in “Annali dell’Istituto Alcide Cervi”, 13/1991, pp. 57- 86; A. Pescarolo, La donna che comanda. Il mutamento del ruolo femminile nei momenti di protesta, in Il femminile tra Potenza e Potere, Firenze, Arlem, 1995; G. Procacci, Dalla rassegnazione alla rivolta. Mentalità e comportamenti popolari nella grande guerra, Roma, Bulzoni, 1999, pp. 96-103.

106

B. Curli, Italiane al lavoro, 1914-1920, Venezia, Marsilio, 1998; L. Tomassini, Lavoro e guerra. La Mobilitazione industriale italiana 1915-1918, Napoli, ESI, 1997; L. Savelli, Reclute dell’esercito delle retrovie. La “nuova” manodopera femminile nell’industria di guerra (1915-1918), in P. Nava (a cura di), Operaie, serve, maestre, impiegate, Torino, Rosenberg & Sellier, 1992. Sul tema anche M. Isnenghi – G. Rochat, La Grande Guerra 1914-1918, Bologna, Il Mulino, 2008, pp. 335-342, Le donne e la guerra. Sul lavoro

femminile nella prima guerra mondiale cfr. anche

http://cronologia.leonardo.it/storia/a1918w.htm .

107

M. Palazzi, Donne della campagne e delle città, in Storia d’Italia dall’Unità a oggi. Le Regioni. L’Emilia Romagna, Torino, Einaudi, 1997, pp. 375-412; A. Bravo (a cura di), Donne e uomini nelle guerre mondiali, Bari, Laterza, 1991. Sul confezionamento di indumenti militari cfr. B. Pisa, Un’azienda di Stato a domicilio: la confezione di indumenti militari durante la Grande Guerra, in “Storia Contemporanea”, 1989, n. 6. Da Pieve Santo Stefano scriveva una proprietaria alla figlia: «Non ho trovata ancora nessuna donna né giovane né vecchia perché quelle di campagna in mancanza di uomini ne fanno le veci, ed ora che è sceso l’inverno se ne stanno volentieri a casa loro. Queste del paese lavorano tutte per maglia per soldati, camice, mutande, e vestiario dai sarti, dunque non vi è da contarci». ADN, Avunti famiglia, 1903-1929, Carissima Lusina, E/93, lettera n. 117, [Pieve, 1 marzo 1917].

spesso allo scambio di opre108. Negli anni della Guerra sulla propaganda e sulla stampa riconducibile agli agrari toscani fu tutto un elogio del lavoro femminile109, fino a raggiungere forme francamente ridicole laddove si asseriva che per le «buone e brave massaie» il campo di battaglia ove avrebbero dovuto sacrificarsi al pari dei loro uomini era nientemeno che il pollaio110.

Si trattava di una letteratura da cui emerge l’intensità e la multiformità dell’apporto femminile in agricoltura, che “salvò” il raccolto del 1916111, ma da cui trapelano storie straordinarie di fatica, di ingiustizia, di lavori incessanti. In realtà, ad esclusione forse delle donne braccianti, occorre ricordare che «per gran parte di esse l’esperienza della guerra costituì solo un ampliamento dei ruoli svolti in tempi di pace»112. L’allargamento delle mansioni femminili comportò però, in assenza degli uomini, l’assunzione di nuove responsabilità; gli epistolari di guerra, in molte occasioni, conservano missive in cui le donne chiedevano consiglio ai loro uomini sul prezzo di rivendita dell’olio, del vino, domandavano spiegazioni su come comportarsi coi rivenditori, informavano i loro uomini sulla nascita dei vitelli e sulla quantità di uova prodotte113. Con la guerra insomma quel vasto lavoro

108

S. Soldani, Donne senza pace cit., pp. 11-56. Cfr. I. Giglioli, Mobilitazione agraria per la guerra e per la pace, in “Atti della Reale Accademia dei Georgofili”, 1918, serie V, vol. XV, disp. I-IV.

109

Sullo sforzo delle donne durante la guerra: “Agricoltura Senese”, n. 7, 1916, p. 120, La direzione, Per le Donne lavoratrici; “L’Italia Agricola”, 1917, n. 11, novembre 1917, Le donne nei lavori agricoli; “L’Agricoltura Toscana”, n. 15, 15 agosto 1917; “L’Italia Agricola”, n. 1, 15 gennaio 1916, F. Coletti, Le potenzialità di lavoro della mezzadria e l‘ora presente: «Ho visto persino donne che aravano, vangavano, conducevano i buoi aggiogati al carro (…) e costringere a maggiori e più svariati lavori specialmente le donne e i giovanetti».

110

“L’Agricoltura Toscana”, 15 marzo 1917, fasc. 5, Le nostre Massaie e le loro galline: «Buone e brave Massaie, producete polli e producetene tanti. La base dell’alimentazione dei polli novelli non mancherà, la primavera è imminente e con essa l’erba; l’erba che, come la speranza, più si falcia più ricresce. Massaie, mettete a covo le tacchine, utilizzate tutte le chiocce». Se i loro figli offrivano il sangue sulle trincee ed invocavano il nome delle madri al fronte, il campo di battaglia delle Massaie era il pollaio, e loro compito per il bene della Patria non poteva essere che «produrre più carne» e «mettere a covo più uova che potete», «rendendovi ancora maggiormente benedette collaboratrici della resistenza economica del Paese».

111

Durante la prima guerra mondiale non si ebbe un calo della produzione per un più massiccio uso dei concimi e soprattutto per il lavoro femminile. S. Anselmi, Letami, concimi, fitofarmaci e veleni nell’agricoltura delle regioni italiane: cenni storici, in “Proposte e ricerche”, XXIII, 1989, p. 11.

112

G. Procacci, Dalla rassegnazione alla rivolta cit., p. 246.

113

Si veda ad esempio ADN, Avunti famiglia, 1903-1929, Carissima Lusina, E/93: «Simone, l’ultimo olio diviso, non avendo dove metterlo, ha dovuto venderlo, e non ha trovato chi gli desse più di 500 lire al quintale, per cui a questo prezzo ho pensato di aspettare. Che dici, sarà bene o male? In qualunque modo faccio, ho sempre paura di sbagliare; però anche il fattore mi ha consigliato di aspettare nella speranza che i prezzi

sommerso delle donne in agricoltura acquisì dignità e pregio, poté manifestarsi ed essere misurato; ne aumentò insomma la percezione dell’importanza, anche per quei settori considerati come prettamente maschili114.

L’intervento assistenziale pubblico e privato alle famiglie agricole con richiamati o con caduti assunse forme concrete – dai premi ai sussidi, dalle doti per le nubili alle opere caritative ed assistenziali – di cui sono state messe in luce le ambivalenze e la modestia. In genere tutti i provvedimenti di soccorso, i premi in medaglie, denaro o diplomi, si iscrivevano ancora una volta nel solco di quella rete di paternalismo caritativo che proprietari e parroci rurali riservavano alle loro colone115.

Il Comizio Agrario di Firenze, l’istituzione che sarà alla base dell’Associazione Agraria Toscana, istituì un grande concorso a premi destinato a quelle «famiglie coloniche che prive di valide braccia maschili e rimaste con le sole donne», avevano proceduto con grandi sforzi alla mietitura del 1916. «Abbiamo veduto – scriveva il periodico del Comizio - contadinelle toscane potare e legare viti con l’intelligenza di vignaioli provetti; hanno mietuto e legato aduste manne, rotte le stoppie, seccati e rimessi i fieni; assuefatte a lunghe nottate di sonno, hanno, dopo così duri travagli, ritardato l’ora del meritato riposo acciò le bestie non soffrissero indugio nell’essere governate. (…) Le contadine toscane hanno ben (…)

debbino rialzarsi. Si sbaglierà?» (lettera 142 di Emma a Tito, ancora sotto le armi, il 24 febbraio 1919). Numerose le comunicazioni sull’andamento della vendemmia (lettera 155),

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