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P Mich inv 1599

2. Il Nilo nei papiri

2.3 P Mich inv 1599

Provenienza: sconosciuta 12.5 x 9.3 cm II sec. d.C.1

LDAB 128542 MP³ 2271.01

Il papiro che si prenderà qui in esame entrò a far parte della collezione dell’Università del Michigan tramite acquisto e faceva inizialmente parte di un gruppo di documenti in possesso del notissimo commerciante di antichità Nahman2. Il testo è stato edito unicamente da Timothy Renner (2010), dopo essere stato da lui presentato al venticinquesimo Congresso Internazionale di Papirologia tenutosi ad Ann Arbor nel 20073.

La superficie che presenta scrittura perfibrale conserva la parte inferiore di una seconda colonna – della quale si può vedere un margine inferiore di discreta ampiezza (2.4 cm) – e resti assai esigui di una colonna precedente (col. 1) e di una colonna successiva (col. 3). Il margine destro della col. 2 appare irregolare e – ove rilevabile – l’intercolumnio oscilla tra 1 e 1.3 cm4. Solo poche tracce si possono scorgere sulla superficie ove le fibre corrono verticalmente, secondo l’osservazione dell’editore del testo (cf. Renner 2010, 663; l’immagine allegata dallo studioso al suo contributo riproduce unicamente il lato ove la scrittura è perfibrale: sulla natura e sulla consistenza delle tracce poste sull’altro lato non è pertanto possibile esprimersi in nessun modo).

Per quel che riguarda il contenuto, esso appare difficile da definire in maniera univoca, anche in considerazione di alcune difficoltà di ordine sintattico che coinvolgono in modo particolare i primi righi (1-6). La col. 2 – che sarà di fatto al centro dello studio

1 Si corregge in tal senso la datazione proposta dal primo editore del papiro (I sec. a.C.-I sec. d.C.; cf. Renner 2010, 663 e infra 176s.).

2 Queste le informazioni biografiche contenute nella voce a lui dedicata da Dawson-Uphill (1972, 213): «Egyptian antiquities dealer; formerly chief cashier at the bank of Crédit Foncière in Cairo, from which he resigned and became one of the principal dealers in Cairo; he died Mar. 1948». 3 Renner segnala un report a cura di H.I. Bell e C.T. Lamacraft, risalente al settembre del 1924, in cui i due studiosi rendono conto dell’entità degli acquisti effettuati in quell’anno presso Nahman, prima della distribuzione dei reperti alle singole istituzioni. Il report è consultabile

online:

http://www.lib.umich.edu/files/collections/papyrus/exhibits/MPC/Reports/1924/1924_report_b ell.html.

4 Le misurazioni riportate sono quelle effettuate da Renner (2010, 634); l’immagine da lui allegata all’edizione di P. Mich. inv. 1599 non consente purtroppo una verifica di simili dati (dei quali in ogni caso non vi è ragione di dubitare), né permette puntuali riscontri sulle letture proposte dall’editore; risulta nondimeno utile per farsi un’idea generale del frammento.

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relativo a P. Mich. inv. 1599, in quanto unica delle tre superstiti a conservare porzioni di testo tali da consentire riflessioni sul contenuto del papiro – parrebbe ospitare una discussione sul cielo e le acque del Nilo in piena, la cui reciproca relazione è tutt’altro che chiara. A partire dal r. 6 inizia invece una narrazione – definita dal verbo μυθο[λογοῦ]ϲ (rr. 8s.) – relativa alla costellazione del Capricorno e agli effetti da essa dispiegati. Le coll. 1 e 3, che preservano null’altro che singole lettere, «although little can be read from them […], appear to belong to the same text as column II. We may thus envision a composition or extract of at least some lenght» (Renner 2010, 663). In merito a quest’ultima affermazione, si può osservare che non paiono esservi argomenti decisivi e dirimenti né contro, né a favore di essa; difficilmente, infatti, le poche lettere leggibili sulle coll. 1 e 3 possono fornire indizi sul contenuto delle colonne medesime (e dunque sull’opportunità di considerarle o meno un continuum rispetto alla narrazione ospitata nella col. 2). In linea generale, anche se non è possibile escludere l’ipotesi contraria, l’impressione che si ricava dal layout del frammento è che le tre colonne possano ben appartenere a una medesima narrazione; a meno di non supporre di trovarsi di fronte alla coincidenza – singolare, ma non impossibile – per cui nella col. 1 finisca una sezione e a partire dalla col. 2 ne inizi un’altra (che però si deve immaginare prosegua anche nella col. 3; in ogni caso, almeno due colonne consecutive devono essere accomunate dal medesimo contenuto: sarebbe probabilmente bizzarro un prodotto che conservi in tre colonne poste una di séguito all’altra una miscellanea di altrettante opere diverse).

La scrittura non pare nel suo complesso particolarmente accurata; Renner (2010, 663) ne dà il seguente giudizio: «the writing is in a fairly rapid but awkward book hand. Some letters, such as omicron and nu – but note also the enormous alpha in line 4 – fluctuate greatly in size, and often they are distorted or ungracefully formed. An individual character may vary considerably in shape». A ciò si aggiunga la difficoltà dello scriba – parimenti rilevata dall’editore (ibid.) – nel mantenere una certa uniformità nella disposizione delle linee di scrittura e nell’allineamento dei margini. Renner propone una revisione della datazione della scrittura di P. Mich. inv. 1599 – da collocarsi, secondo le indicazioni fornite dall’APIS (Advanced Papyrological Information System dell’Università del Michigan), al II-III sec. d.C. – osservando che «its general ambience would seem to be a couple of centuries earlier, especially in view of such letter forms as kappa, mu and nu, the latter with its “add-on” horizontal at the top right» (Renner 2010, 663). I paralleli addotti a sostegno di questa rettifica nella datazione del manufatto sono P. Oxy. XXIV 2399 = GMAW² 55 (datato alla metà del I sec. a.C.), P. Oxy. XII 1453 (30-

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29 a.C.) e P. Oxy. II 216 (prima metà del I sec. d.C.): da questi Renner conclude che P. Mich. inv. 1599 può datarsi al più tardi al I sec. d.C. Come già rilevato, l’immagine del papiro riportata nell’edizione principe non consente purtroppo una verifica puntuale da un punto di vista paleografico, e non è pertanto possibile un rigoroso confronto lettera per lettera tra P. Mich. inv. 1599 e i paralleli addotti da Renner. Tuttavia, appaiono piuttosto evidenti alcune differenze nel ductus del papiro qui oggetto di esame soprattutto nel confronto con P. Oxy. II 216, un esercizio retorico vergato in una maiuscola dal modulo largo e particolarmente aggraziata, che anche a un esame superficiale delle tavole sembra aver ben poco in comune con P. Mich. inv. 1599. Ad opporre ancora quest’ultimo testo a P. Oxy. XXIV 2399 è invece la rapidità del tratto: veloce nel primo caso, lento nel secondo. Alla luce di queste considerazioni, pur con l’estrema cautela imposta dai limiti che presenta l’immagine del testo a disposizione per un confronto, si ritiene di poter ritornare alla datazione proposta in prima battuta, e assegnare così la scrittura del manufatto al II sec. d.C. Tenute nel debito conto le importanti divergenze esistenti tra i testi in esame, si considerino per un confronto P. Oxy. XXVII 2452 = GMAW² 27 (seconda metà del II sec. d.C.) e P. Oxy. LX 4040 (II-III sec. d.C.). Almeno limitatamente ai glifi chiamati in causa da Renner – kappa, my, ny – per correggere la datazione verso l’alto, si può osservare la somiglianza tra i ny finali delle parole Νεῖλον (col. 2 r. 4), καταφοράν e ὅθεν (entrambe col. 2 r. 6) di P. Mich. con la medesima lettera nella sequenza υπεναντι del r. 8 di P. Oxy. LX 4040, per fare solo un esempio; o, relativamente a my, la vicinanza tra le due occorrenze della lettera in P. Mich. inv. 1599 col. 2 r. 8 (nel participio αἰνιϲϲόμενοι) e i due μ presenti al r. 17 del fr. 3 di P. Oxy. XXVII 2452, ferma restando la distanza nelle diverse realizzazioni di un medesimo glifo, opportunamente rilevata da Renner (2010, 663).

Trascrizione diplomatica5 Col. 1

. . . .

5 Sia la trascrizione diplomatica, che la trascrizione critica qui presentate riproducono sostanzialmente le trascrizioni di Renner (2010, 664), poiché la qualità dell’immagine non consente l’allestimento di una nuova trascrizione. Ove siano possibili interventi o semplici osservazioni sul testo proposto da Renner, questi vengono segnalati nell’apparato che fa séguito alla trascrizione diplomatica.

178 ϲ . . . . Col. 2 . . . . ουρ μιδηνηδηκαταροιατηνεξε κινωνοιϲαυτοϲτοννειλον 5 τοϲ ϲϲομενοιμυθο ουτονει 10 ϲχημαμετηλλοιωμε

‖2 Su alpha di οὐρανοῦ, Renner (2010, 664) osserva che «there are extra strokes of ink; perhaps the writer made the letter once, then rewrote it, with a slightly different orientation, over the first attempt». Sulla base della sola immagine, non risulta chiarissima la trascrizione relativa alla parte finale del rigo; è plausibile che l’ultima traccia sia da identificarsi con kappa, ma la presenza, dopo questa lettera, di una lacuna che poteva ospitare sino a due lettere, seguita da una traccia visibile – oltre a non essere verificabile a partire dalla foto del papiro – implica un protrarsi del rigo nel margine destro in misura ben più significativa che non per gli altri righi (circostanza comunque non impossibile, alla luce della già citata difficoltà, da parte dello scriba, di mantenere il corretto allineamento proprio del margine destro: cf. supra 176 e Renner 2010, 663). A proposito di questo luogo – ove si troverebbe la parola ἀνακομιδήν, a cavallo dei rr. 2s. – l’editore afferma che «of the kappa, the upper diagonal and part of the serif at the lower left survive; this letter and the now-missing omicron extended somewhat in the margin. It may be that the lower arc of a possible rounded letter faintly visible at the appropriate interval in the margin, but appearing (at least presently) at a height midway between lines 1-2, is the omicron in question» (Renner 2010, 664s.). ‖5s. Della traccia relativa a μ, ultima leggibile sul rigo, Renner (2010, 665) ritiene si possa scorgere «serif from lower left». ‖6 Tra la sequenza τοϲ

vi è uno spazio bianco, verosimilmente con funzione di interpunzione, la cui ampiezza corrisponde allo spazio occupato da circa due lettere (cf. Renner 2010, 665). ‖8 Non è possibile

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– sulla base della sola immagine – scorgere la traccia, indicata da Renner in apertura del rigo. Tanto più che lo stesso ν, prima lettera certamente identificabile, sembra collocato a ridosso dell’interruzione della superficie scrittoria. Senz’altro prima di questo glifo doveva esservene un altro, ma, da quel che parrebbe poter giudicare, ora totalmente perduto in lacuna (sicché, se l’impressione che si ricava dall’immagine fosse corretta, vi sarebbe da correggere la trascrizione l’inserzione interlineare di rho, a parere di Renner (2010, 665) «similar to the hand of the main text». ‖9 Come per il rigo precedente, anche per la parte iniziale del r. 9 la trascrizione di Renner solleva alcune perplessità: l’editore ritiene che vi sia una lacuna di estensione tale da poter ospitare quattro, o addirittura cinque lettere; tuttavia, come per il rigo precedente, la superficie scrittoria perduta potrebbe aver contenuto una, al massimo due lettere. Delle restanti lettere sino alla traccia precedente iota – anche se effettivamente non visibili a giudicare dall’immagine – dovrebbero esservi ulteriori tracce, anche se deboli; in ogni caso non pare corretto fornire un’indicazione di lacuna che giunga sino a ridosso della traccia antecedente iota, poiché anche prima di essa la superficie scrittoria è conservata.

Col. 3 . . . .6 [ [ [ ι [ ξε [ . . . .

‖4 L’editore ritiene che sul rigo siano presenti tre tracce, la prima delle quali riconducibile a iota. Le prime due tracce potrebbero però essere forse compatibili anche con kappa (cf. la medesima

Trascrizione critica7

6 L’indicazione relativa alla mancata conservazione del margine superiore è assente nell’edizione di Renner (mentre compare omologa indicazione in relazione al margine inferiore). La qualità dell’immagine non consente di sciogliere le riserve su questo punto, ma parrebbe di dover senz’altro propendere per l’ipotesi di un’involontaria omissione da parte dell’editor princeps; sia perché in tal senso sembra di poter giudicare dalle tracce dell’immagine, sia per considerazioni più generali sul layout del testo nel suo complesso. Nel confronto col la colonna precedente (col. 2), vien da supporre che analoga sorte abbia subito il margine superiore della colonna successiva, perduto nella superficie scrittoria mancante. D’altronde, per la col. 1 – di cui sopravvive sul frammento una porzione assimilabile a quella che è conservata anche per la col. 3 – l’editore fornisce l’indicazione relativa alla perdita del margine superiore.

7 Si fornisce – come già in Renner (2010, 664) – la trascrizione critica solo per la col. 2, unica per la quale è di fatto possibile allestire una trascrizione di questo tipo.

180 Col. 2 . . . . ὴν ἐκ τοῦ] οὐρανοῦ τῶ ὑ ἀ -] μιδήν, ἡ δὴ κατάρ<ρ>οια τὴν ἐξ ἐ- κ<ε>ίνων οἷϲ αὐτὸϲ τὸν Νεῖλον 5 καὶ τὴν Αἴγυπτον τοῦ ῥ -] τοϲ καταφοράν. ὅθεν καὶ [τ]ὴ ῦ Αἰγοκέρω γινομένην ἐ ἰνιϲϲόμενοι μυθο- [λογοῦ]ϲ ὸν θεὸν τοῦτον εἶ- 10 [δοϲ] ἢ ϲχῆμα μετηλλοιωμέ- [νον . . . . Commento

La comprensione del contenuto della col. 2 – unica delle tre superstiti a veicolare una porzione di testo sulla quale è possibile formulare ipotesi – è parzialmente ostacolata dalla lingua dei rr. 1-6, il cui andamento solleva diversi problemi nell’interpretazione del testo e sul piano sintattico, al punto da spingere l’editore principe a sospettare che «the copy before us may contain one or more omissions or displacements of words» (Renner 2010, 665)8. In particolare, i rr. 1-3 costituiscono la parte finale di un periodo il cui esordio non è preservato dal frammento: si trova qui l’accusativo ἀ – preceduto dall’articolo τ[ήν al r. 1 – «as object of a verb or preposition» (Renner 2010, 665) che dovevano presumibilmente trovarsi nella porzione di testo precedente, ad oggi perduta. L’oggetto di questi righi sarebbe dunque “il recupero delle acque dal cielo”. Nella seconda parte del r. 3 inizia poi un nuovo enunciato, introdotto da δή, il cui soggetto è ἡ κατάρροια, seguito da quel che potrebbe aver funzione di gruppo del complemento oggetto (rr. 3-6),

8 Potrebbero costituire importanti indizi a favore di una scarsa cura nella copiatura (o di una scarsa competenza nella composizione) la presenza, nel torno di pochi righi, non solo di comuni errori di itacismo (col. 2 rr. 4 e 8), ma anche l’inserzione di rho in un secondo momento (col. 2 r. 8) e la mancata geminazione della medesima lettera nella parola κατάρροια (col. 2 r. 3).

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all’interno del quale è incastonata una proposizione relativa, introdotta dal pronome in caso dativo plurale (con antecedente in ἐκ<ε>ίνων dei rr. 3s., quest’ultimo riferito alle acque menzionate al r. 2). La difficoltà è rappresentata dal fatto che sia la proposizione principale, sia la relativa appaiono prive di verbo. L’editore osserva che «if we supply verbs (whether wrongly omitted or to be understood from earlier in the text) for both the main and the relative clauses in 3-6, we may understand the sense of 1-6 as follows: “… (someone/something – identical with αὐτόϲ in 4 – brings about) the recovery of the waters from the sky; indeed the downward flow (produces) the current of the river from those (waters) by which he/it (floods/acts upon) the Nile and Egypt”» (Renner 2010, 665). È evidente che una traduzione per questi primi righi non può che procedere per tentativi, ma gli aspetti meno convincenti della proposta di Renner sembrano potersi individuare nella resa della seconda parte del periodo e in una restituzione forse eccessivamente generica e imprecisa del significato di singoli termini. Nell’impossibilità di stabilire a priori quali fossero soggetto e verbo dell’ἀνακομιδή di cui si parla ai rr. 1-3, non resta che volgersi ai rr. 3-6; qui si parla di una κατάρροια, dunque di una ‘corrente’, che ha però una direzione precisa (verso il basso, come suggerito dal prefisso), tanto che il termine può essere tradotto anche con ‘deflusso’9. Tale corrente esercita una qualche azione (l’ellissi del verbo non consente di comprendere quale) sulla καταφορά, ossia sul ‘movimento verso il basso’10; se τοῦ ῥ ϲ (rr. 5s.) è da intendersi come complemento di specificazione di καταφοράν, l’intero sintagma sarà da tradursi più propriamente con “movimento verso il basso della corrente”. La traduzione di Renner (2010, 665) «current of the river» potrebbe infatti risultare eccessivamente generica – laddove il testo sembra invece voler essere maggiormente tecnico – e poco accurata nell’assegnare a ῥεῦμα il significato di ‘fiume’, significato che però il sostantivo sembra poter assumere solo in senso figurato11, circostanza che non sembra verificarsi in questo caso, ove il riferimento è senza dubbio a un fiume in concreto, il Nilo. Al di là delle sfumature da dare ai singoli termini, comunque non semplici da intuire in conseguenza del senso sfuggente dell’intero contesto, la sintassi appare in ogni caso tutt’altro che piana: è difficile immaginare quale verbo (in verità, con ogni probabilità più d’uno) possa essere integrato nella relativa, dove dovrebbe reggere come complementi oggetti tanto il Nilo, quanto l’Egitto. Per tentare di chiarire il più

9 Cf. GI² 1039 s.v. 10 Cf. GI² 1050 s.v.

11 Cf. GI² 1782 s.v. Cf. anche LSJ⁹ 1567s., ove al sostantivo è assegnato anche il valore di «flood», ‘inondazione’.

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possibile il contenuto del brano occorre in primo luogo cercare di individuare un significato il più possibile preciso per i termini che compaiono in questi primi righi e provare a stabilire la loro reciproca relazione. Il sostantivo κατάρροια indica una ‘corrente che muove verso il basso’, un ‘deflusso’ e nel corpus letterario greco – come illustra una ricerca sul TLG online – se ne contano complessivamente diciotto occorrenze; un numero dunque piuttosto limitato, a cui è da associarsi una netta concentrazione in un periodo posteriore al I sec. d.C.12: le occorrenze si collocano esclusivamente dopo il I sec. d.C., se si esclude la prima di esse – da una raccolta di precetti medici da attribuire forse ad Asclepiade di Bitinia (da datarsi con dubbio al I sec. a.C.) – ove il termine appare impiegato appunto nel suo significato medico13. Un’occorrenza in Eusebio registra un impiego del sostantivo in un contesto parzialmente accostabile a quello del papiro, ove κατάρροια è utilizzato non solo in riferimento a fiumi, ma ai fiumi d’Egitto14. Complessivamente, la testimonianza eusebiana non è però particolarmente utile a illuminare il significato che il termine potrebbe assumere in P. Mich. inv. 1599, soprattutto nel suo rapporto con καταφοράν (r. 6). In definitiva, nessuna delle limitate occorrenze del sostantivo offre paralleli per l’impiego del medesimo vocabolo nel papiro, sia per ragioni di contesto (o medico o ecclesiastico, entrambi estranei al carattere della narrazione di P. Mich.), che per ragioni cronologiche (la maggior parte delle testimonianze è posteriore al IV sec. d.C. e metà di esse si colloca addirittura dopo il IX sec. d.C.). Per quel che riguarda il sostantivo καταφορά e il suo impiego in contesti inerenti il Nilo, un’occorrenza in Polibio (III 37, 5) registra un uso del termine in abbinamento con l’aggettivo ἰϲημερινόϲ: l’intero sintagma può essere tradotto «tramonto equinoziale»15. Nel contesto in cui compare l’espressione, Polibio sta illustrando la ripartizione del mondo abitato, diviso in tre parti – Asia, Libia ed Europa – la seconda delle quali «si trova tra il Nilo e le colonne d’Ercole, e nello spazio cade sotto il mezzogiorno e, senza interruzione, sotto il punto in cui il sole tramonta d’inverno fino al punto del tramonto equinoziale, che cade presso le colonne d’Ercole» (Mari 2001, 91). Può essere interessante il fatto che il sintagma compaia non solo in un contesto in cui il Nilo è in qualche misura coinvolto, ma in un

12 Questo elemento, congiuntamente a quello paleografico, potrebbe risultare decisivo nella correzione della datazione del reperto al II-III sec. d.C., rispetto alla proposta di Renner (2010, 663), che ritiene che il manufatto debba datarsi – unicamente su base paleografica – al più tardi al I sec. d.C. (cf. supra 176s.).

13Praec. sal. 51, cf. Bussemaker 1862, 133. Non si farà menzione di alcune altre occorrenze del termine rinvenibili in scritti di àmbito medico, poco utili alla discussione su P. Mich. inv. 1599. 14 Nei Commentaria in Psalmos; cf. PG XXIII 926.

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discorso che ha a che fare con il tramonto del sole d’inverno: il riferimento al Capricorno – segno che coincide con l’inizio del solstizio d’inverno (cf. Renner 2010, 667) – che si trova sul papiro (r. 7) potrebbe forse spiegarsi in una narrazione di tono analogo a quello polibiano, in cui l’elemento geografico-descrittivo si mescola ad alcuni riferimenti astrali. Il passo di Polibio dev’essere a maggior ragione tenuto a mente se, come ipotizza Renner (2010, 665), il sole debba essere inteso come il soggetto di tutta l’azione descritta nei rr. 1-6 (richiamato con un generico αὐτόϲ, al r. 4). Ancor più interessante, nel tentativo di chiarire il significato che può assumere καταφορά nel contesto specifico di P. Mich. inv. 1599, è un brano di Diodoro (I 32, 8) – la cui fonte è qui Agatarchide di Cnido (FGrHist 86 F 19) – ove l’autore, nel corso della sua narrazione relativa al Nilo, si sofferma in una breve descrizione delle cataratte, unici punti in cui il fiume fa mostra di una certa impetuosità, scorrendo violentemente tra le rocce. In questo frangente τοῦ δὲ ῥεύματοϲ περὶ τούτουϲ [le rocce] ϲχιζομένου βιαιότερον καὶ πολλάκιϲ διὰ τὰϲ ἐγκοπὰϲ ἀνακλωμένου πρὸϲ ἐναντίαν τὴν καταφορὰν ϲυνίϲτανται δῖναι θαυμαϲταί. Come in Polibio, anche in Diodoro il sostantivo compare in coppia con un aggettivo; e in Diodoro, come sul papiro, vi è il medesimo sintagma che associa καταφορά a τοῦ ῥεύματοϲ. La traduzione di Oldfather (1946, 107) per il testo greco su riportato è «and since the river is split about these boulders with great force and is often turn back so that it rushes in the opposite direction because of the obstacles, remarkable whirlpools are formed». Nel contesto, il sostantivo καταφορά sembra dunque poter assumere il significato di ‘direzione’, meno connotato, si potrebbe dire, rispetto a quello più usuale di ‘movimento verso il basso’. Nessuno di questi casi aiuta però a comprendere che tipo di azione la κατάρροια (r. 3) eserciti sulla καταφορά (r. 6).

In linea generale, il contenuto di P. Mich. inv. 1599 contiene senza alcun dubbio, almeno nella sua prima parte (rr. 1-6), l’esposizione (apparentemente piuttosto disordinata) di una delle svariate teorie elaborate nel corso di un periodo alquanto lungo in merito alle ragioni alla base dell’inondazione del Nilo; questione cui sono strettamente legate l’indagine circa le sorgenti del fiume e la sua conformazione fisica. Renner (2010,

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