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CAPITOLO 2 Il quadro normativo relativo a Listeria monocytogenes e il controllo ufficiale

2.2 Regolamento CE n 2073/2005 (testo consolidato) e Listeria monocytogenes

2.2.2 Microbial challenge test

I microbial challenge test (MCT) hanno lo scopo di fornire informazioni sul comportamento, in determinate condizioni di conservazione, di un microrganismo inoculato artificialmente in un alimento. Possono tener conto della variabilità dei prodotti alimentari e della contaminazione specifica degli stessi (Linee guida AFSSA 2008; Linee guida ANSES 2014).

29 Questi test possono essere attuati sia per valutare il potenziale di

crescita (ovvero la differenza tra la carica logaritmica del microrganismo alla fine della prova per grammo di prodotto e la carica logaritmica all'inizio della prova) sia per stimare i parametri di crescita (ad esempio: tasso di crescita massima, inteso come misura del tasso di crescita di un microrganismo in un prodotto artificialmente contaminato e conservato ad una temperatura fissa).

I challenge test sono prove di laboratorio effettuate su dei substrati alimentari divenute, con l’entrata in vigore del “Pacchetto Igiene”, di abbastanza comune esecuzione ad opera degli OSA all’interno delle industrie alimentari al fine di garantire un più stretto controllo sull’intero processo produttivo.

Essi prevedono l’inoculazione di una determinata quantità di un microrganismo sulla superficie o all’interno di un prodotto alimentare per valutarne la moltiplicazione durante le fasi di manipolazione e/o di conservazione dello stesso (https://www.iso.org/standard/69673.html). I challenge test che si possono effettuare sono di due tipi:

1. di processo 2. di prodotto.

Nel challenge test di processo si inocula nella materia prima, in condizioni controllate, una quantità, idonea alla prova, del microrganismo oggetto dello studio e si valuta cosa succede al microrganismo durante il processo produttivo; questo può fornire una validazione dei processi produttivi stessi.

Nel challenge test di prodotto, invece, si inocula una quantità idonea alla prova del microrganismo oggetto dello studio nel prodotto alimentare finito, in condizioni ambientali controllate, effettuando inoltre l’eventuale confezionamento del prodotto nelle condizioni di commercializzazione e valutando poi cosa succede al microrganismo

Durante la shel-life dell’alimento

30 Tutto questo può fornire indicazioni scientifiche per il corretto

posizionamento di prodotti RTE nelle categorie alimentari per L. monocytogenes previste nel Reg. (CE) 2073/2005. L’esecuzione di un challenge test è sempre preceduta da una fase di pianificazione, nel corso della quale vengono studiati ed elaborati una serie di fattori relativi all’alimento e al microrganismo oggetto del test di cui bisognerà tenere conto nell’impostare la prova stessa.

Tali fattori sono i seguenti:

o caratteristiche organolettiche dell’alimento oggetto di studio; o processo produttivo e conservazione dell’alimento;

o caratteristiche fisiologiche del microrganismo oggetto di studio

o comportamento e capacità di crescita del microrganismo in base al substrato alimentare in esame.

Visto che un valido challenge test ha come obiettivo primario quello di valutare nel modo più preciso possibile il comportamento di L. monocytogenes nell’alimento pronto preso in esame, le prove di inoculazione devono essere effettuate con ceppi standard di riferimento di L. monocytogenes disponibili in commercio con adeguato certificato di garanzia, e possibilmente con ceppi “selvaggi”, di provenienza dalla stessa tipologia di matrice alimentare che viene saggiata. Altre specie batteriche, pur appartenenti allo stesso genere batterico, come ad esempio Listeria innocua, inoculate nella stessa matrice alimentare, potrebbero avere delle differenze di resistenza e di comportamento rispetto a L. monocytogenes. Questo porterebbe ad avere dei risultati che si discostano da quella che è la realtà, invalidando lo stesso challenge test. E’ possibile, comunque, impiegare, oltre a ceppi di L. monocytogenes scelti liberamente, anche ceppi con caratteristiche di crescita note, come quelli del set EURL. Quest’ultimo fornisce difatti un elenco di ceppi di L. monocytogenes adatti alle diverse matrici alimentari, con indicazione di origine, genosierotipo e del rispettivo range di temperatura, pH e aw (disponibile al link http://www.ansespro.fr/eurl-listeria/index.htm). Il challenge test può

31 servire, inoltre, a valutare come si comporta L. monocytogenes in una

matrice alimentare che deve ancora subire dei trattamenti debatterizzanti o in una matrice alimentare che ha già completato il suo processo produttivo e che non dovrà subire alcun trattamento per ridurne la carica iniziale: questo è un fattore determinante per calcolare la dose da inoculare. Nel primo caso infatti la carica da inoculare sarà cospicua per poter valutare non solo l’efficacia dei trattamenti ma anche l’entità, in termini di unità logaritmiche, di diminuzione della carica iniziale. La dose solitamente non è inferiore a 100.000 o a 1 milione di ufc/g di alimento. Nel secondo caso la dose è molto inferiore, per cercare di simulare quanto avviene nella realtà. Grazie ad alcuni studi (Bartholomew et al., 2005; Francois et al., 2007; Hwang e Marmer, 2007) si è potuto constatare che la carica inquinante iniziale di L. monocytogenes negli alimenti è compresa nell’ordine di 1-0,01 ufc/g di alimento con una media stimata di 0,04 ufc/g di prodotto. Quindi nel challenge test la carica iniziale di L. monocytogenes deve essere compresa tra 10 e 100 ufc/g in modo da rappresentare la peggior situazione riscontrabile nella realtà. Riguardo al batterio poi, per pianificare un challenge test, bisogna prendere in considerazione che i batteri agenti di malattia alimentare come L. monocytogenes, possono presentarsi in due stadi di vita:

- lo stadio di vita vitale in cui il batterio è vivo e in fase di duplicazione più o meno attiva;

- lo stadio di vita non vitale (VBNC: Viable But Not Culturable cell) in cui il batterio è vivo, ma non riesce a moltiplicarsi. Solitamente quando un batterio come L. monocytogenes arriva ad inquinare un alimento si trova in fase di crescita stazionaria perché ha già subito una serie di trattamenti che agiscono sul ceppo stressandolo e facendolo diventare più resistente. Nella fase di crescita stazionaria il batterio è molto più resistente a sollecitazioni come riduzione del pH e/o aw, alte temperature ecc. rispetto alla fase log e questo può influenzare i risultati del challenge test. Una volta inoculato il batterio, l’alimento

oggetto del test viene mantenuto

rappresentano le reali fasi di trasporto e di sosta sugli scaffali. Spesso le normali condizioni di conservazione degli alimenti presi in considerazioni sono quelle di una conservazione a temperatura di refrigerazione che, con una

del prodotto, non vengono mantenute. Di conseguenza sarebbe utile programmare il challenge test sia mantenendo i campioni inoculati a temperatura di refrigerazione sia in una condizione di abuso termico (8 10 °C). A questo proposito, vale la pena sottolineare che le temperature utilizzate per determinare la

adeguatamente giustificate e documentate dagli OSA. Quando l’OSA, relativamente ad un particolare alimento, ha in posses

temperatura dei primi due stadi della catena del freddo, è preferibile che siano queste temperature ad essere usate (in particolare per i prodotti di esportazione). In caso tali dati non siano disponibili, bisognerebbe procedere come

temperatura-tempo proposto nell’EURL

Tabella 5: Linee Guida Anses

oggetto del test viene mantenuto nelle condizioni che più rappresentano le reali fasi di trasporto e di sosta sugli scaffali. Spesso le normali condizioni di conservazione degli alimenti presi in considerazioni sono quelle di una conservazione a temperatura di refrigerazione che, con una certa frequenza durante la vita commerciale del prodotto, non vengono mantenute. Di conseguenza sarebbe utile programmare il challenge test sia mantenendo i campioni inoculati a temperatura di refrigerazione sia in una condizione di abuso termico (8

). A questo proposito, vale la pena sottolineare che le temperature utilizzate per determinare la shelf-life del prodotto devono essere adeguatamente giustificate e documentate dagli OSA. Quando l’OSA, relativamente ad un particolare alimento, ha in possesso dati

temperatura dei primi due stadi della catena del freddo, è preferibile che siano queste temperature ad essere usate (in particolare per i prodotti di esportazione). In caso tali dati non siano disponibili, bisognerebbe procedere come indicato nel diagramma combinato

tempo proposto nell’EURL L. monocytogenes (Tabella 5).

abella 5: Linee Guida Anses (2014)

32 nelle condizioni che più

rappresentano le reali fasi di trasporto e di sosta sugli scaffali. Spesso le normali condizioni di conservazione degli alimenti presi in considerazioni sono quelle di una conservazione a temperatura di certa frequenza durante la vita commerciale del prodotto, non vengono mantenute. Di conseguenza sarebbe utile programmare il challenge test sia mantenendo i campioni inoculati a temperatura di refrigerazione sia in una condizione di abuso termico (8-

). A questo proposito, vale la pena sottolineare che le temperature del prodotto devono essere adeguatamente giustificate e documentate dagli OSA. Quando l’OSA, so dati relativi alla temperatura dei primi due stadi della catena del freddo, è preferibile che siano queste temperature ad essere usate (in particolare per i prodotti di esportazione). In caso tali dati non siano disponibili, indicato nel diagramma combinato

33 Il prodotto viene analizzato a intervalli di tempo regolari verificando il

numero di microrganismi che vi si trovano o la quantità di tossine che vi si sono accumulate, nel caso di batteri tossigeni. Ultimo aspetto da valutare è la durata della prova di inoculazione sperimentale che dovrebbe concludersi con il termine della vita commerciale del prodotto come previsto dal Reg. (CE) 2073/2005 che obbliga gli OSA a rispettare il criterio di sicurezza previsto “fino a fine vita commerciale del prodotto”. Alla luce di quanto detto finora si deduce che il challenge test è una prova molto utile agli OSA nel controllo della produzione di un alimento ma di difficile pianificazione per il numero cospicuo di fattori da prendere in considerazione. Il vantaggio principale del challenge test per valutare il potenziale di crescita (δ) è che la fase di latenza (fase lag) viene presa in considerazione. Mentre lo svantaggio di questo test è la mancanza di flessibilità nell'interpretazione: i risultati sono validi solo per il prodotto testato in condizioni specifiche di tempo e temperatura. Nuovi esperimenti devono essere eseguiti ogni volta che vi è un cambiamento di tali specifiche condizioni. Il vantaggio del challenge test per valutare il tasso di crescita massimo (µ) è la flessibilità: è possibile estrapolare un μ max ad una temperatura per prevedere altri valori di μ max ad altre temperature (purché inferiori a 25°C) nello stesso prodotto. Lo svantaggio è che la fase di latenza e la fase stazionaria non vengono prese in considerazione e quindi il risultato è eccessivamente sovrastimato. Il vantaggio di effettuare questi studi è quello di garantire alimenti di qualità e sicuri dal punto di vista igienico sanitario e la conservabilità di un prodotto è parte integrante della sicurezza alimentare in quanto ci indica quanto a lungo un alimento può mantenere le sue caratteristiche qualitative nelle normali condizioni di conservazione e di utilizzo.

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2.2.3 Linee guida EURL Lm per l’esecuzione di studi di shelf-

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