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Listeria monocytogenes negli alimenti: quadro normativo ai fini del controllo ufficiale.

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Academic year: 2021

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Università degli Studi di Pisa

Dipartimento di Scienze Veterinarie

Scuola di Specializzazione in Ispezione degli Alimenti

di Origine Animale

Tesi di Specializzazione

Listeria monocytogenes negli alimenti: quadro

normativo ai fini del controllo ufficiale

Specializzanda: Annachiara Palermo

Relatore: Dott.ssa Francesca Pedonese

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INDICE

RIASSUNTO

ABSTRACT

Capitolo 1 - Listeria monocytogenes

1.1 Generalità

1.2 Eziologia

1.2.1 Tassonomia

1.2.2 Caratteristiche microbiologiche

1.2.3 Resistenza di Listeria monocytogenes

1.3. Epidemiologia

1.3.1.Listeria monocytogenes negli animali

1.3.2.Listeria monocytogenes negli alimenti

1.3.3 Listeria monocytogenes nell’uomo

1.4 Situazione epidemiologica nell’Unione Europea

1.4.1

Focolai epidemici associati a frutta e verdura

Capitolo 2 - Il quadro normativo relativo a Listeria

monocytogenes e il controllo ufficiale

2.1 Generalità sulla normativa

2.2 Regolamento CE n. 2073/2005 (testo consolidato) e

Listeria monocytogenes

2.2.1 Possibili strategie di gestione di L. monocytogenes da

parte dell’OSA

2.2.2 Microbial challenge test

2.2.3 Linee guida EURL Lm per l’esecuzione di studi di

shelf-life su Listeria monocytogenes in alimenti ready-to-eat

2.2.4 Modalità operative per il controllo ufficiale

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

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RIASSUNTO

Listeria monocytogenes (L.m.) è un batterio psicrofilo riconosciuto come agente patogeno di grande importanza alimentare. Il fatto che sia in grado di moltiplicarsi in vari alimenti a temperature di refrigerazione fa sì che il consumo di alimenti pronti (ready-to-eat, RTE) con una durata di conservazione relativamente lunga, come i prodotti della pesca, i prodotti a base di carne trattati termicamente (ad esempio wurstel non sottoposti a cottura finale) e alcuni tipi di formaggi, rappresenti un rischio non trascurabile nei confronti di L. m. Nell'Unione Europea, la listeriosi è una malattia alimentare relativamente rara ma seria negli esseri umani, con elevate percentuali di ospedalizzazione e mortalità, specialmente nelle popolazioni vulnerabili. La L.m. può essere trovata nei cibi crudi e negli alimenti trasformati che possono essere contaminati durante e/o dopo la lavorazione; essa può arrivare negli stabilimenti di trasformazione degli alimenti attraverso le materie prime in entrata, il movimento di personale e le attrezzature. L.m. può colonizzare sotto forma di biofilm le attrezzature e le superfici a contatto con gli alimenti e può quindi persistere per periodi prolungati negli ambienti di lavorazione degli alimenti. Il regolamento europeo (CE) n. 2073/2005 (testo consolidato) stabilisce i criteri microbiologici per alcuni microrganismi negli alimenti e le norme di attuazione che devono essere rispettate dagli operatori del settore alimentare (OSA).In relazione a L. m., questo regolamento riguarda principalmente i prodotti alimentari RTE e stabilisce limiti diversi a seconda della capacità del prodotto alimentare di sostenere o meno la crescita di L. m. L'OSA può condurre studi per valutare la crescita di L. m. nell’alimento,al fine della sua adeguata categorizzazione. A questo proposito, il laboratorio di riferimento comunitario dell'Unione europea per L. m. (ANSES-EURL-Lm) ha pubblicato un documento tecnico orientativo per condurre studi di questo tipo, i cui elementi di base saranno esaminati in questa tesi, insieme al quadro normativo riguardante L.m..

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2

ABSTRACT

Listeria monocytogenes (L.m.) is a psychrophilic microorganism recognized as a pathogen of great importance in food. Its ability to multiply in various foods at refrigeration temperatures is related with the possible occurrence of L.m. in ready-to-eat (RTE) foods with a relatively long shelf-life, such as fishery products, heat-treated meat products (e.g.not reheated wurstels) and some types of cheeses. In the European Union, listeriosis is a relatively rare but serious food-borne illness in humans, with high rate of hospitalisation and mortality, especially in vulnerable populations. L.m. can be found in raw and in processed foods that may be contaminated during and/or after processing; it can enter food-processing settings with food raw materials, personnel and equipments. L. m. can produce biofilms on food-processing equipments and food-contact surfaces and can therefore persist for prolonged periods in food-processing environments. European Regulation (EC) No. 2073/2005 (consolidated text) lays down the microbiological criteria for certain microorganisms in foods and the rules to be complied with by food business operators (FBOs) in Europe. In relation to L. m., this regulation covers primarily RTE food products, and requie different microbiological limits depending on the ability of the food product to support growth of L. m. FBOs can conduct studies to evaluate the growth of L. m. in their RTE products with the aim of a correct categorization. The European Union Community Reference Laboratory for L. m. (ANSES-EURL-Lm) published a technical guidance document for conducting such studies on L. m. in RTE foods. In this thesis the basic elements of challenge test studies are examined, together with the regulatory framework concerning L.m.

Parole chiave: Listeria monocytogenes, Listeriosi, Challenge test, Reg. CE 2073/2005, Controllo Ufficiale.

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3 Keywords: Listeria monocytogenes, Listeriosis, Challenge test, Reg. CE

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CAPITOLO 1- Listeria monocytogenes

1.1 Generalità

Listeria monocytogenes è l’agente eziologico della listeriosi, una malattia a carattere zoonotico che l’uomo contrae di solito a seguito dell’ingestione di alimenti contaminati, sia di origine animale che vegetale. L'infezione da L. monocytogenes può presentarsi in forma asintomatica oppure può manifestarsi sotto forma di setticemia, infezione del sistema nervoso centrale, e listeriosi materno-fetale. La meningite risulta essere la forma clinica più comune negli adulti, a causa del tropismo da parte di L. monocytogenes per il sistema nervoso centrale (Schlech, 2000). Si stima che il 99% di tutti i casi di listeriosi umana sia causato dal consumo di prodotti alimentari contaminati (Mead et al., 1999).

L. monocytogenes è presente nell’ambiente, nel suolo, nei vegetali e nelle feci degli animali. Il microrganismo può essere trovato in alimenti crudi come carne fresca, latte crudo e pesce. L’ubiquitarietà e la maggior capacità di crescere o sopravvivere in un ambiente refrigerato, rispetto alla maggior parte degli altri microrganismi, rende L. monocytogenes particolarmente importante nella produzione alimentare. Questo è il caso soprattutto degli alimenti pronti al consumo (ready-to-eat, RTE), in cui L. monocytogenes può crescere, che non ricevono un trattamento termico durante il processo produttivo e che possono essere contaminati dall’ambiente, compreso quello di produzione, durante la loro fabbricazione. E' fondamentale che i produttori di alimenti RTE (prodotti alimentari destinati direttamente dal produttore al consumatore finale senza cottura o altro trattamento efficace ad eliminare o ridurre a un livello accettabile i microrganismi coinvolti) adottino azioni per controllare la contaminazione da L. monocytogenes. L’Operatore del Settore Alimentare (OSA) deve conoscere in modo dettagliato le caratteristiche del suo prodotto, l’intero processo produttivo, individuandone i punti critici ed effettuare

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5 eventualmente delle prove di inoculazione sperimentale per

determinare la capacità di Listeria monocytogenes di svilupparsi o sopravvivere nel prodotto in diverse condizioni di conservazione ragionevolmente prevedibili.

La listeriosi è stata inclusa nella Direttiva 2003/99/CE, Allegato I, (recepita nell’ordinamento nazionale con il Decreto legislativo n. 191/2006) tra le zoonosi e gli agenti zoonotici che devono essere sottoposti a sorveglianza (Dir. 2003/99/CE; D.Lgs. 04/04/06, n°191). La listeriosi è relativamente rara rispetto ad altre comuni malattie di origine alimentare come la salmonellosi o il botulismo. Tuttavia, a causa del suo alto tasso di mortalità, la listeriosi è tra le cause di morte più frequenti in caso di malattie trasmesse dagli alimenti, seconda dopo la salmonellosi (Rossmanith et al., 2006; Atil et al., 2011).E’ una malattia che può essere grave ed è fatale tra le persone anziane, molto giovani e immuni-compromesse, con un tasso di mortalità approssimativo del 20% (Rocourt e Catimel, 1985), che può aumentare fino al 75% nei gruppi ad alto rischio, come le donne in gravidanza, i neonati e gli adulti immunocompromessi. L'incidenza della listeriosi nei Paesi sviluppati è di circa 0,2-0,8 casi ogni 100.000 persone all'anno (Kela e Holmström, 2001; Lukinmaa et al., 2003) È responsabile dei più alti tassi di ospedalizzazione (91%) tra i patogeni conosciuti di origine alimentare ed è stata anche collegata a episodi sporadici e a grandi epidemie di malattie umane in tutto il mondo (Jemmi e Keusch, 1994). Dati europei e internazionali riportano che dei 13 sierotipi di L. monocytogenes conosciuti, sono responsabili del 95% delle infezioni umane i sierotipi 1/2a, 1/2b, 1/2c e 4b (Graves et al., 1999; Kathariou, 2002), con una netta prevalenza di quest’ultimo, soprattutto nei casi di meningoencefalite. I sierotipi 1/2a e 1/2b sono più spesso isolati nei casi di gastroenterite, caratterizzati da periodi di incubazione più brevi e da concentrazioni più elevate di L. monocytogenes, come riscontrato nei casi in cui è stata effettuata la ricerca quantitativa dall’alimento.

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1.2 Eziologia

1.2.1 Tassonomia

L. monocytogenes è un batterio Gram-positivo, anaerobio facoltativo e asporigeno appartenente al genere Listeria spp., alla famiglia delle Listeriaceae e all’ordine Bacillales (McLauchlin and Rees, 2009). Al genere Listeria spp. appartengono 17 specie : L. monocytogenes, L.ivanovii (subsp. ivanovii e subsp. londoniensis), L. seeligeri, L. innocua, L.welshimeri, L. grayi, L. marthii, L. rocourtiae, L. fleischmannii, L. weihenstephanensis, L. floridensis, L. aquatica, L. cornellensis, L. riparia, L. grandensi, L. booriae e L. newyorkensis (Boerline et al., 1992; Graves et al., 2009; Liu, 2013; Dhama et al., 2015).

Di queste, soltanto L. monocytogenes e L. ivanovii sono ritenute patogene (Orsi et al., 2016.): la prima, la più importante, è responsabile di listeriosi in un’ampia gamma di specie animali, uomo compreso; la seconda, infetta soprattutto i ruminanti (ovini e bovini), causando in essi aborto. In rari casi, L. ivanovii, è stata causa di forme di gastroenterite e batteriemia in soggetti anziani e immunodeficienti, come confermato dallo studio condotto da Guillet et al., nel 2010. Quindi, L. ivanovii, può essere considerato un agente patogeno umano opportunistico enterico, mentre, L. monocytogenes, patogena per l'uomo e per gli animali, è agente eziologico della listeriosi umana.

1.2.2. Caratteristiche microbiologiche

L. m. è un microrganismo Gram positivo, bastoncellare, di dimensioni abbastanza regolari (0,4-0,5 µm × 1-2 µm). E’ un batterio mobile, dotato di flagelli, e nettamente psicrotrofo, asporigeno, acapsulato.

La psicrotrofia è una delle caratteristiche più importanti di tutte le specie del genere Listeria. Questa capacità è uno dei fattori che stanno alla base della patogenicità di L. monocytogenes per l’uomo: riuscendo a moltiplicare (lentamente) anche negli alimenti conservati a bassa temperatura, L. monocytogenes ha più probabilità di altri patogeni di raggiungere cariche infettanti sufficienti per scatenare la listeriosi.

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Durante l'esposizione a basse temperature, uno dei metodi utilizzati da L. monocytogenes per combattere lo shock da freddo è l'accumulo di soluti a basso peso molecolare (glicina, betaina e carnitina). Grandi quantità di questi soluti si trovano in vari alimenti (Zeisel et al., 2003; Demarquoy et al., 2004), e possono contribuire a promuovere la sopravvivenza e la crescita di questo patogeno in alimenti a temperature di refrigerazione.

Una caratteristica che permette di differenziare L. monocytogenes dalle altre specie di Listeria, in particolar modo da L. innocua, risulta essere la sua capacità emolitica. Tutti i ceppi virulenti di L. monocytogenes sono responsabili di β-emolisi degli eritrociti. Questa attività emolitica può essere potenziata coltivando il microrganismo su agar sangue nelle vicinanze di ceppi β-emolitici di Staphylococcus aureus. Il CAMP test (Christie-Atkins-Munch-Petersen), eseguito su piastre di agar sangue di montone, permette di osservare un aumento di attività emolitica di L. monocytogenes, in corrispondenza dell’area di sovrapposizione con Staphylococcus aureus, ma non in corrispondenza di Rhodococcus equi. In questo test L. monocytogenes e L. innocua vengono seminati perpendicolarmente a un ceppo di Staphylococcus aureus β-emolitico e a un ceppo di Rhodococcus equi, seguita dall’incubazione a 35-37°C per 24-48 ore (Groves et al., 1977).

Gli antigeni identificati per L. monocytogenes si distinguono in 15 somatici e 4 flagellari (Walker, 2001). Sono stati identificati 16 sierotipi per il genere Listeria, di cui: 13 per la primaria specie patogena L. monocytogenes (sierotipi 1/2a, 1/2b, 1/2c, 3a, 3b, 3c 4a, 4ab, 4b, 4c, 4d, 4e, 7), 1 per L. ivanovii (sierotipo 5), 3 per L. innocua (sierotipi 1/2b, 6a e 6b), 3 per L. welshimeri (sierotipi 1/2b, 6a e 6b), 6 per L. seeligeri (sierotipi 1/2a, 1/2b, 3b, 4a, 4b, 4c e 6b) e 1 per L. grayi (sierotipo grayi), (Liu, 2013).

I sierotipi riscontrati più frequentemente negli isolati clinici umani e nei prodotti alimenti risultano essere quattro: 1/2a, 1/2b, 1/2c e 4b.

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1.2.3. Resistenza di

L. monocytogenes

temperature tra

molto termoresistente, trattamento di pastorizzazione

E’ stato visto che il monocytogenes

refrigerazione (2°

replicazione (Gandhi and Chikindas, 2007 Risulta essere r

riuscendo addirittura

in polvere conservato a temper

crescere in condizioni sia aerobiche che anaerobiche, sebbene cresca meglio in un ambiente anaerobico (

Il grado di acidità del substrato condiziona il suo sviluppo, il microrganismo riesce a sop

compreso tra 4 e 9,6 (Tabella1) (

alcalinità compreso tra pH 12 e 13 risulta essergli

Tabella1: pH, temperatura, monocytogenes

Come la maggior parte delle specie batteriche,

in modo ottimale ad un'aw di 0,97 (Tabella1). Tuttavia, monocytogenes

(Garland, 1995)

1.2.3. Resistenza di Listeria monocytogenes

L. monocytogenes è un batterio psicrotrofo in grado di crescere a tra 0 e 45°C (optimum 30-37°C) (Tabella 1). Risulta essere molto termoresistente, ma viene comunque inattivato

trattamento di pastorizzazione a 72°C per almeno 15 secondi

stato visto che il congelamento può portare a una riduzione di monocytogenes (Lado e Yousef, 2007), mentre le temp

refrigerazione (2°-4°C) tendono a rallentare, ma non a inibire la Gandhi and Chikindas, 2007).

Risulta essere resistente ai processi di essiccazione degli alimenti, riuscendo addirittura a sopravvivere per almeno 12 settimane nel latte in polvere conservato a temperatura ambiente. L. monocytogenes crescere in condizioni sia aerobiche che anaerobiche, sebbene cresca meglio in un ambiente anaerobico (Lado and Yousef, 2007).

Il grado di acidità del substrato condiziona il suo sviluppo, il microrganismo riesce a sopravvivere e a crescere in un range di pH compreso tra 4 e 9,6 (Tabella1) (Lado e Yousef 2007).

linità compreso tra pH 12 e 13 risulta essergli letale.

Tabella1: pH, temperatura, aw, condizioni di crescita di Listeria monocytogenes (Lado and Yousef, 2007 )

Come la maggior parte delle specie batteriche, L. monocytogenes in modo ottimale ad un'aw di 0,97 (Tabella1). Tuttavia, monocytogenes è anche in grado di sopravvivere ad un’aw

Garland, 1995). E’ stato dimostrato da Johnson et al. (1988

8 è un batterio psicrotrofo in grado di crescere a

(Tabella 1). Risulta essere inattivato da un a 72°C per almeno 15 secondi in HTST.

congelamento può portare a una riduzione di L.

mentre le temperature di tendono a rallentare, ma non a inibire la

esistente ai processi di essiccazione degli alimenti, per almeno 12 settimane nel latte

L. monocytogenes può crescere in condizioni sia aerobiche che anaerobiche, sebbene cresca

).

Il grado di acidità del substrato condiziona il suo sviluppo, il ravvivere e a crescere in un range di pH

). Un livello di

aw, condizioni di crescita di Listeria

L. monocytogenes cresce in modo ottimale ad un'aw di 0,97 (Tabella1). Tuttavia, L. bassa (<0,92) Johnson et al. (1988) che L.

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9 monocytogenes può sopravvivere per lunghi periodi di tempo a un

valore di aw di 0.81.

L. monocytogenes, inoltre, è un patogeno alotollerante, riesce a sopravvivere a concentrazioni dell’11% di NaCl (Caly et al., 2009), con valori minimi di aw compresi tra 0,900 e 0,880 (Giaccone, 2012). La sopravvivenza in presenza di sale è influenzata dalla temperatura di conservazione. Gli studi hanno dimostrato che, nelle soluzioni di sali concentrati, il tasso di sopravvivenza di L. monocytogenes è maggiore quando la temperatura è inferiore (Lado e Yousef 2007). La capacità di tollerare alte concentrazioni di sale, rende difficile contrastare la sua crescita nell’industria alimentare.

L. monocytogenes è un patogeno ubiquitario, frequentemente isolato da ambienti di lavorazione dei prodotti alimentari, comprese le superfici e le attrezzature utilizzate nelle operazioni di trasformazione (Maslow et al., 1993; Delgado da Silva et al., 2001; Waak et al., 2002; Pintado et al., 2005; Chambel et al., 2007; Swaminathan et al., 2007; Denny et al., 2008; Conter et al., 2009; Lomonaco et al., 2009). La sua eradicazione è estremamente difficile, perché è in grado di adattarsi e replicarsi, anche in condizioni ambientali particolarmente ostili. La sua capacità di produrre rapidamente “biofilm” (Wong et al., 2012), gli permette di sopravvivere a lungo, anche fino a 10 anni, sulle superfici degli stabilimenti di produzione degli alimenti (Cataldo et al., 2007; Swaminathan et al., 2007). L. monocytogenes è anche in grado di sfruttare i biofilm formati da altri batteri come per esempio Pseudomonas spp., e Flavobacterium spp., (Giaccone e Bertoja, 2013). Per frenare o bloccare la crescita di L. monocytogenes negli alimenti, vengono messe in atto dalle industrie alimentari alcune strategie, come per esempio, l’utilizzo di antimicrobici o l’abbassamento del pH nell’alimento. Alcuni esempi di antimicrobici che si sono dimostrati attivi contro L. monocytogenes includono alginato laurico, chitosano, pediocina e nisina (Kaur et al., 2013; Kang et al.,2015). La nisina è uno degli antimicrobici più comuni utilizzati nell'industria alimentare in

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particolare all'interno di prodotti lattiero-caseari e cibi acidi. È una batteriocina prodotta dal batterio lattico Lactococcus lactis. Rispetto ad altre batteriocine, la nisina ha dimostrato di essere più efficace nel ridurre il numero di L. monocytogenes (Kaur et al., 2013). Se usata in combinazione con altri antimicrobici, i livelli di inibizione aumentano ulteriormente ( Kaur et al., 2013).

Invece, l’abbassamento del pH si può determinare, aggiungendo direttamente all’alimento acidi organici deboli o favorendo la moltiplicazione nell’alimento di LAB specifici; questi, fermentando gli zuccheri del substrato, producono acido lattico e/o altri acidi quali acetico, citrico, malico, succinico, ecc.

Risulta normale isolare L. monocytogenes dal latte crudo, perchè le listerie attraverso i foraggi possono arrivare facilmente al mantello dell’animale, e così ritrovarsi nel latte appena munto. Essendo “ubiquitari”, possono facilmente inquinare ortaggi e frutta. L. monocytogenes viene anche secreta nel latte da animali sia infetti che sani (Wagner et al., 2000).L'organismo è resistente alle radiazioni UV, ai raggi gamma e ai raggi X che contribuiscono notevolmente alla diffusione di tale batterio (Bougle and Stahl, 1994).

La contaminazione del suolo da parte di L. monocytogenes può provenire da diversi fonti come liquami, letame, e vegetali in decomposizione. Molti studi hanno osservato che L. monocytogenes può sopravvivere per un certo periodo di tempo nel suolo, anche se il suo tasso di sopravvivenza dipende dal tipo di terreno, dal contenuto di acqua, dal pH e dalla temperatura (McLaughlin et al., 2011). Ad esempio, Locatelli et al. (2013) hanno dimostrato che la sopravvivenza di L. monocytogenes risulta essere maggiore in un terreno di tipo fine con alto contenuto di argilla, rispetto ad un terreno sabbioso, o ad altri tipi di terreni. Anche la microflora presente nel terreno può influire molto sulla sopravvivenza di L. monocytogenes. Esistono altri fattori che possono influenzare sulla sopravvivenza dell'organismo nel suolo, come per esempio le condizioni meteorologiche (Strawn et al., 2013). Weller

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et al. (2015) hanno dimostrato che c’è una maggiore possibilità di isolare L. monocytogenes da spinaci pre-raccolto, dopo l'irrigazione o dopo precipitazioni e questa possibilità è stata più alta entro 24 ore dall'evento. Altri studi hanno confermato in modo simile quanto l'irrigazione sia un fattore di rischio per la contaminazione degli alimenti pre-raccolta (Genereux et al., 2015). Questo è spesso dovuto alla contaminazione della fonte d'acqua utilizzata per l'irrigazione dei campi (Genereux et al., 2015). Insieme all’irrigazione, anche l'uso di letame come fertilizzante ( in cui L. monocytogenes può sopravvivere oltre 90 giorni), può portare ad un aumento dell’isolamento di L. monocytogenes dai siti produttivi, così come anche i “fattori spaziali” come per esempio la vicinanza alle aree urbane (Weller et al., 2015b). La presenza di esseri umani e animali è altamente associata con l'isolamento di L. monocytogenes (Chapin et al., 2014).

Molti studi hanno dimostrato che le fonti d'acqua come fiumi, stagni e ruscelli possono fungere da serbatoi per L. monocytogenes (Lyautey et al., 2007; Linke et al.,2014). Tuttavia, un ambiente che è stato considerato in misura molto minore è l'acqua di mare. L. monocytogenes è stata isolata dai frutti di mare (Leong et al.,2015), suggerendo che può sopravvivere nell'acqua di mare per un periodo di tempo prolungato. Diversi fattori condizionano la sopravvivenza di L. monocytogenes nell'acqua di mare, tra cui lo stress osmotico, la predazione da parte dei protozoi, la disponibilità di nutrienti e l’irradiazione solare.

1.3. Epidemiologia

La via di trasmissione più comune di L. monocytogenes per gli esseri umani è attraverso il consumo di alimenti contaminati. Tuttavia, L. monocytogenes può essere trasmessa direttamente da madre a figlio (trasmissione verticale), dal contatto con animali e attraverso infezioni acquisite in ospedale (Bell e Kyriakides 2005). Gli individui sani possono essere portatori asintomatici di L. monocytogenes, eliminandola con le

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feci. Tuttavia, gli studi epidemici hanno dimostrato che i pazienti affetti da listeriosi non sempre eliminano il microrganismo nelle loro feci (FDA/USDA/CDC, 2003; Painter and Slutsker, 2007). Pertanto il ruolo dei portatori sani nella trasmissione di L. monocytogenes non è chiaro.

1.3.1. Listeria monocytogenes negli animali

La listeriosi è stata rilevata in quasi tutti gli animali domestici (Gray e Killinger, 1966). La maggior parte dei casi di listeriosi sono stati segnalati negli ovini, ma anche nelle mucche e nelle capre, causando encefalite, aborto o setticemia (Wesley et al., 2002). Nelle pecore e nelle mucche sono state riportate anche mastiti subcliniche e gastroenterite causate da L. monocytogenes (Clark et al., 2004; Rawool et al., 2007). Negli animali monogastrici la listeriosi è rara e grandi epidemie con listeriosi generalizzata e decessi acuti sono state riportate solo nei cincillà allevati (Wesley, 2007). Nei suini, la manifestazione primaria della listeriosi è la setticemia, mentre nei cavalli sono tipici anche gli aborti e l'encefalite (Wesley, 2007). La listeriosi di polli è probabilmente secondaria a infezioni virali e tipicamente causa setticemia con lesioni cardiache accompagnatorie (Wesley, 2007).

1.3.2. Listeria monocytogenes negli alimenti

Listeria monocytogenes è un patogeno a trasmissione prevalentemente alimentare. Gli alimenti pronti (come latte crudo o non pastorizzato, formaggi freschi a pasta molle, formaggi stagionati a pasta semi-molle, erborinati e a crosta fiorita, insaccati crudi e prodotti di salumeria cotti, preparazioni gastronomiche a base di carne, tramezzini con farcitura, lingua salmistrata, crostacei, molluschi e altri prodotti della pesca, ortaggi crudi e frutta) consumati senza ulteriore cottura e con una lunga durata di conservazione, dove la proliferazione batterica può avvenire a temperatura di refrigerazione, sono spesso all’origine della malattia nell’uomo.

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13 a) prodotti lattiero-caseari: di maggior rischio sono il latte crudo (può

essere inquinato da diverse fonti ambientali come per esempio suolo e feci o prodotto da vacche mastitiche) e i suoi derivati, i formaggi a pasta molle o semi-molle e i formaggi freschi; i prodotti a base di latte pastorizzato sembrano essere coinvolti in successivi fenomeni di contaminazione ambientale, e durante le fasi di trasformazione (Gianfranceschi et al., 2003; Sanaa. et al., 2004; Vitas et al., 2004); b) prodotti carnei: le maggiori positività riguardano i prodotti carnei cotti pronti al consumo, la carne macinata cruda, le preparazioni a base di carne da consumarsi previa cottura (ad esempio hamburger di pollo e di suino, salsicce fresche) e gli insaccati freschi (salsicce e salami). Le matrici a base di carne, maggiormente coinvolte in episodi di listeriosi umana, risultano essere: hot dog, prodotti a base di carne spalmabile, come paté di carne, lingua di maiale, pollo crudo e tacchino precotto e affettato (Griglio et al., 2014). Sono coinvolti, in minor misura, gli insaccati stagionati, in quanto le modificazioni di determinati parametri intrinseci durante la produzione degli insaccati fermentati, sono utili a inibire lo sviluppo del patogeno e, a fine stagionatura, i salumi presentano un pH di circa 5,3-6,2, un’attività dell’acqua pari a 0,82-0,85 e una concentrazione di NaCl del 5% circa.

c) prodotti ittici, come i prodotti della pesca RTE (insalata di pesce, cozze, carne di granchio cotta, gamberi, salmone e altri pesci affumicati a caldo o a freddo ecc.).

Per quanto riguarda gli alimenti contaminati, responsabili di casi umani di listeriosi riportati in letteratura, troviamo: molluschi, pesce crudo, gamberi, merluzzo affumicato, trota affumicata a freddo e cozze affumicate (Griglio et al., 2014).

Le buone prassi igieniche lungo l’intera catena di produzione, distribuzione e conservazione degli alimenti e un efficace mantenimento della catena del freddo, secondo gli esperti dell’EFSA, sono alla base del controllo e della limitazione delle possibili contaminazioni (EFSA, 2013).

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1.3.3 Listeria monocytogenes nell’uomo

In Europa, la malattia si sta rivelando sempre più un importante problema di sanità pubblica. Seppur relativamente rara, infatti, si può manifestare con un quadro clinico severo e tassi di mortalità elevati (dal 20% al 30%), soprattutto in soggetti fragili quali neonati, anziani, donne gravide e adulti immuno-compromessi. Nell'uomo, il 99% dei casi di listeriosi sono trasmessi per via alimentare (Mead et al., 1999). I sintomi clinici della listeriosi iniziano tipicamente 20-30 giorni dopo l'ingestione, anche se il periodo di incubazione può arrivare fino a 72 giorni (Vazquez-Boland et al., 2001).La maggior parte dei casi sono sporadici e segnalati in persone immunodeficienti, presentando i seguenti sintomi: meningite, encefalite, sepsi e aborto (Denny and McLauchlin, 2008; Dalton et al., 2011;Silk et al., 2012). La forma clinica più comune negli adulti è la meningite, rappresentando il 5-11% di tutte le meningiti acute di origine batterica, raggiungendo il 14% nei pazienti con età superiore ai 45 anni; gli individui immuno-compromessi sono maggiormente colpiti da setticemia. Il sintomo tipico, nelle persone prive di fattori predisponenti, risulta essere la gastroenterite lieve con febbre, mal di testa, nausea, diarrea e dolore addominale (Goulet et al., 2012). Raramente sono state segnalate infezioni cutanee e oculari, principalmente in allevatori e veterinari in contatto diretto con placenta e feti infetti (Regan et al., 2005, Tay et al., 2008). Circa l'1% degli esseri umani asintomatici occasionalmente espelle L. monocytogenes con le feci (Lamont e Postlethwaite, 1986; Grif et al., 2001, 2003). Negli uomini sani, il sistema immunitario distrugge L. monocytogenes nel fegato (Cheers et al., 1978; Gregory and Liu, 2000).

Ѐ comunque importante ricordare che non esistono ceppi di L. monocytogenes prettamente specifici dell’uomo o degli animali e che la capacità del batterio di provocare una determinata forma clinica, con conseguente gravità della malattia, è condizionata soprattutto dalla virulenza del ceppo e da fattori di rischio intrinseci del paziente, relativi

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all’età, alle sue condizioni di salute, al suo stato immunitario e alla categoria professionale cui a

1.4 Situazione epidemiologica nell’Unione Europea

Il report 2018 dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) riporta i risultati delle attività di

2017 in 37 Paesi (28 Stati membri (SM) e nove non membri). I dati trasmessi all’EFSA

dalle autorità competenti per territorio, che operano nel piano di monitoraggio de

2073/2005.

Tabella 2: Riassunto delle statistiche sulle infezioni da monocytogenes

Nel 2017, 26 Stati membri hanno riportato i dati sulla

riscontrati nelle diverse categorie di alimenti campionate e testate. Il numero di segnalazioni relative agli Stati membri varia considerevolmente in base alla categoria e tipo di alimenti. Le non conformità, nelle diverse categorie di alimenti, sono state costantemente

all’età, alle sue condizioni di salute, al suo stato immunitario e alla categoria professionale cui appartiene.

1.4 Situazione epidemiologica nell’Unione Europea

Il report 2018 dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) riporta i risultati delle attività di monitoraggio delle zoonosi svolte nel 2017 in 37 Paesi (28 Stati membri (SM) e nove non membri). I dati trasmessi all’EFSA riguardano quelli provenienti da campioni raccolti dalle autorità competenti per territorio, che operano nel piano di monitoraggio degli alimenti a norma del regolamento (CE) n.

2: Riassunto delle statistiche sulle infezioni da monocytogenes nell’uomo (Report EFSA, 2018)

Nel 2017, 26 Stati membri hanno riportato i dati sulla L. monocytogenes lle diverse categorie di alimenti campionate e testate. Il numero di segnalazioni relative agli Stati membri varia considerevolmente in base alla categoria e tipo di alimenti. Le non conformità, nelle diverse categorie di alimenti, sono state costantemente più elevate nella fase di lavorazione rispetto alla vendita

15 all’età, alle sue condizioni di salute, al suo stato immunitario e alla

1.4 Situazione epidemiologica nell’Unione Europea

Il report 2018 dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) monitoraggio delle zoonosi svolte nel 2017 in 37 Paesi (28 Stati membri (SM) e nove non membri). I dati riguardano quelli provenienti da campioni raccolti dalle autorità competenti per territorio, che operano nel piano di gli alimenti a norma del regolamento (CE) n.

2: Riassunto delle statistiche sulle infezioni da Listeria

L. monocytogenes lle diverse categorie di alimenti campionate e testate. Il numero di segnalazioni relative agli Stati membri varia considerevolmente in base alla categoria e tipo di alimenti. Le non conformità, nelle diverse categorie di alimenti, sono state più elevate nella fase di lavorazione rispetto alla vendita

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al dettaglio. Nel 2017 l'insorgenza di L. monocytogenes è stata più alta nei pesci e nei prodotti della pesca (6%) seguita da insalate pronte per il consumo (4.2%), carne e prodotti a base di carne (1,8%), formaggi molli e semi-morbidi (0,9%), frutta e verdura (0,6%) e formaggi a pasta dura (0,1%) (Tabella 3). Questi dati sono, in generale, in accordo con i dati del 2016. Nel 2017, gli Stati membri hanno aumentato il campionamento per la maggior parte delle categorie di alimenti ready to eat rispetto al 2016. Tuttavia, vi è un'elevata variazione tra gli Stati Membri (SM), in relazione al tipo di campionamento (dimensione del campione) e al contesto di riferimento (campionamento obiettivo e / o campionamento sospetto). Pertanto, il campionamento in alcuni Stati membri potrebbe non essere rappresentativo per la stima della presenza di L. monocytogenes negli alimenti.

 L. monocytogenes NEL LATTE E PRODOTTI LATTIERO-CASEARI

Quattordici SM (Austria, Bulgaria, Cipro, Repubblica ceca, Danimarca, Germania, Grecia, Spagna, Paesi Bassi, Croazia, Italia, Polonia, Romania e Slovacchia) e un non-SM (Montenegro) hanno riportato i dati ottenuti da campioni di latte («pastorizzato», «UHT» e «latte destinato al consumo umano diretto»). Complessivamente, L. monocytogenes è stata rilevata nel 2,8% su 2055 unità testate. In totale, due Stati membri (Germania e Italia) hanno riscontrato valori positivi sia in "latte crudo destinato al consumo umano diretto" ed in maniera sorprendente, anche in "latte pastorizzato".

Per quanto riguarda i formaggi, gli SM hanno rilevato la presenza di L. monocytogenes nello 0,7% dei campioni su 11.156 campioni di formaggio testati. In formaggi a base di latte crudo, la presenza di L. monocytogenes era significativamente più alta (il 2,4% delle 1.052 unità testate) rispetto ai formaggi a base di latte pastorizzato (0,5% delle 4.141 unità testate).

 L. monocytogenes IN ALTRI PRODOTTI ALIMENTARI PRONTI AL CONSUMO

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Nel 2017, è stata rilevata la presenza di L. monocytogenes in altre categorie di prodotti alimentari, come "prodotti da forno", "prodotti dolciari e paste", "prodotti a base di uova", "frutta e verdura", “insalate”, "salse e condimenti", "spezie ed erbe aromatiche" e "altri prodotti alimentari lavorati e piatti preparati".

Per i "prodotti da forno", la maggior parte dei dati provenivano da singoli campioni raccolti al dettaglio e sono stati segnalati da 11 Stati membri. Complessivamente, su 3.600 unità di prodotti da forno testati, il 7,8% è risultato positivo per L. monocytogenes, percentuale superiore rispetto al dato emerso nel 2016 (0,8%), a causa dell'elevato numero di campioni positivi segnalati dalla Germania che hanno contribuito per oltre il 60% dei campioni testati in totale.

Tredici Stati membri hanno ricercato la presenza di L. monocytogenes in 1.773 unità di «frutta e verdura RTE». La prevalenza complessiva è stata dello 0,6%.

Per le "insalate RTE", 11 Stati membri hanno riferito dati su 902 unità testate. Complessivamente, il 4,2% delle unità testate è stato segnalato come positivo. Per "salse e condimenti", 11 Stati membri hanno riportato informazioni su 184 unità testate e L. monocytogenes è stata rilevata solo nell'1,6% dei campioni.

Per "spezie ed erbe", "prodotti dolciari e paste", "prodotti a base di uova", sono stati analizzati meno di 50 campioni e nessuno è risultato positivo.

In "altri prodotti alimentari trasformati e piatti preparati", 12 Stati membri hanno presentato una serie di dati. Complessivamente, L. monocytogenes è stata rilevata nell'1,4% delle 646 unità testate.

L’aumento delle infezioni causate da L. monocytogenes e segnalate all’EFSA dai singoli Stati Membri, oltre che dal miglioramento del sistema di sorveglianza dell’UE, può essere parzialmente spiegato dall'invecchiamento della popolazione all’interno dell'UE. Poiché l'invecchiamento della popolazione continuerà nella maggior parte degli Stati membri nei prossimi anni, è importante aumentare la

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consapevolezza nei riguardi di questa malattia e del rischio, soprattutto per gli anziani, associato a determinati tipi di alimenti e abitudini di consumo.

Gli Stati membri effettuano i loro campionamenti, tenendo in considerazione specialmente gli alimenti ready to eat che supportano la crescita di L. monocytogenes e che vengono conservati per periodi prolungati a temperature di refrigerazione prima del consumo. Negli ultimi anni, invece, le epidemie di listeriosi sono state causate anche da alimenti non considerati precedentemente come probabili veicoli alimentari, quali melone (CDC, 2011), germogli (CDC, 2015), insalate (Self et al., 2019).

Frutta e verdura hanno dimostrato di essere la recente causa dei casi di listeriosi a livello UE e internazionale e pertanto gli Stati membri dovranno, d’ora in poi, tenere in considerazione questo fatto e campionare maggiormente queste categorie di alimenti. Nel 2017, solo il 4% di tutti i campioni raccolti proveniva da frutta e verdura, dato che è notevolmente inferiore rispetto al campionamento dei prodotti alimentari ready to eat di origine animale.

Bisogna tener presente che tra gli SM ci sono differenze significative nelle modalità di campionamento, e sulle categorie di alimenti campionati, il che va ad incidere sulla valutazione effettuata dall’EFSA. Una trasmissione più sistematica e una segnalazione uniforme dei dati da parte di tutti gli Stati membri sarebbero necessarie ai fini di un'interpretazione più armonizzata, in grado di rendere ottimale il confronto con gli anni passati.

1.4.1. Focolai epidemici associati a frutta e verdura

Dal 2015 al 2018, in Austria, Danimarca, Finlandia, Svezia e Regno Unito, è stato segnalato un focolaio di infezione causata da L. monocytogenes collegata al consumo di mais congelato ed altri ortaggi surgelati. In data 15 giugno 2018, 47 casi sono stati denunciati e nove pazienti sono morti. La fonte di contaminazione è stata individuata in un impianto di

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produzione di prodotti congelati in Ungheria. Dal 29 giugno 2018, l'autorità ungherese competente ha vietato la commercializzazione di tutti i prodotti vegetali congelati prodotti dall'impianto (EFSA and ECDC, 2018).

Cenni sulla situazione in USA

Nel 2014 e 2015, in USA, trentacinque persone sono rimaste coinvolte in un focolaio di listeriosi (CDC, 2015). Tre persone di queste erano bambini sani di età compresa tra 5 e 15 anni, nei quali la malattia si è manifestata sotto forma di meningite. Sono state effettuate delle ricerche, ed è stato dimostrato che l'inserimento del bastoncino nella mela potrebbe aver creato un microambiente tra la mela ed il caramello così da supportare la crescita di L. monocytogenes (la mela e il caramello da soli non ne supportano la crescita) (Glass et al., 2015).

Tra il 2010 e 2015 è stata segnalata un'epidemia di listeriosi collegata al consumo di gelato in USA. In tutto, ci sono stati nove casi associati a questo focolaio (Pouillot et al., 2016). Tutti i pazienti erano ospedalizzati (almeno otto hanno consumato il prodotto mentre erano ricoverati per malattie pregresse) e ci sono stati due decessi.

Nel 2010 sono stati associati 10 casi di listeriosi al consumo di sedano tagliato a dadini e servito in diversi ospedali in Texas (Gaul et al., 2013). Tutti i pazienti avevano più di 55 anni, con un'età di 80 anni, con problemi di salute di base (tutti erano stati ospedalizzati prima di contrarre la listeriosi). Cinque di loro sono morti. L. monocytogenes è stata isolata dal sedano a dadini, e lo stesso ceppo epidemico di L. monocytogenes è stato rilevato presso l'impianto di trasformazione.

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CAPITOLO 2 - Il quadro normativo relativo a Listeria

monocytogenes e il controllo ufficiale

2.1 Generalità sulla normativa

Uno degli obiettivi fondamentali della legislazione alimentare europea è quello di garantire un elevato livello di protezione della salute pubblica (Reg. CE n.178/2002) e di tutelare gli interessi del consumatore, oltre a quello di favorire il corretto funzionamento del mercato unico europeo. Il quadro normativo comunitario di riferimento, in materia di Sicurezza Alimentare, è rappresentato dal Regolamento CE n.178/2002, dal “Pacchetto Igiene” e dal Regolamento CE n.2073/2005:

1) Reg. CE n. 178/2002: introduce il principio fondamentale di un approccio integrato di filiera, considerando l’intera catena di produzione un unico processo. Esso stabilisce i principi generali della legislazione alimentare atti a garantire la sicurezza degli alimenti. Istituisce l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), la quale fornisce consulenza e assistenza scientifiche sui rischi associati agli alimenti,contribuendo ad un livello elevato di tutela della vita e della salute umana, e un sistema di allerta rapido (RASFF, “RapidAlert System for Food and Feed”), sotto forma di rete, per la notifica in tempo reale di rischi diretti o indiretti per la salute,associati ad alimenti (o mangimi), a cui partecipano gli Stati membri, la Commissione Europea e l’EFSA.

2) “Pacchetto Igiene” (Reg. CE n.852/04; Reg. CE n.853/04; Reg. CE n. 854/04*; Reg. CE n. 882/04*), in applicazione dal 2006, ha uniformato la legislazione degli Stati membri, definendo i medesimi requisiti di sicurezza alimentare. Esso ha identificato e distinto le singole responsabilità attribuendo, agli Operatori del Settore Alimentare (OSA), la corretta applicazione delle norme in materia di igiene e, alle Autorità competenti, l’incarico del controllo ufficiale sulla conformità degli

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21 operatori alla normativa. In particolare, i Regolamenti CE 852/2004 e

853/2004, dettano le disposizioni generali e specifiche in materia di igiene dei prodotti alimentari e sono rivolti agli OSA, mentre i Regolamenti CE 854/2004 e 882/2004, riguardano l’organizzazione dei controlli ufficiali da parte delle Autorità Competenti.

*I Reg. 854/2004 e 882/2004 saranno abrogati dal nuovo Regolamento 625/2017 la cui data principale di applicazione è prevista per il 14 dicembre 2019.

3) Reg. CE n.2073/2005: applicabile dal 2006, stabilisce i criteri microbiologici riferiti ai prodotti alimentari e si rivolge prevalentemente agli Operatori del Settore Alimentare (OSA).

Occupandoci in questa sede del quadro normativo relativo a L. monocytogenes, il Reg. CE n. 2073/2005 rappresenta un riferimento normativo basilare. La sua applicazione è facilitata da Linee Guida emanate dalla Conferenza Stato-Regioni del nostro Paese, pubblicate in una prima versione nel 2007 (Linee guida relative all'applicazione del Regolamento CE della Commissione europea n. 2073/2005 che stabilisce i criteri microbiologici applicabili agli alimenti, sancite dalla conferenza Stato Regioni nella seduta del 10 maggio 2007, Rep. Atti n. 93/CSR del 10 maggio 2007) e poi sostituite dalla versione del 2016 (Rep. Atti n. 41/CSR del 03-03-2016).

2.2 Regolamento CE n. 2073/2005 (testo consolidato) e

Listeria monocytogenes

Stabilisce i criteri microbiologici riferiti ai prodotti alimentari.

Questi criteri indicano l’accettabilità di un prodotto alimentare o di una partita, compresi i relativi processi di lavorazione, manipolazione, distribuzione e vendita al dettaglio, in base all’assenza, presenza, quantità di microrganismi e/o ai relativi metaboliti e tossine per unità di massa, volume, area o partita.

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22 1) «criteri di sicurezza alimentare»: i quali definiscono l’accettabilità di un

prodotto o di una partita alimentare e sono applicabili ai prodotti immessi sul mercato.

2) «criteri di igiene di processo»: che indicano il funzionamento accettabile del processo di produzione. Gli OSA hanno la responsabilità primaria della salubrità e sicurezza degli alimenti, garantendo che tutte le fasi di produzione, trasformazione e distribuzione soddisfino i requisiti in materia di igiene (Reg. CE n. 852/04); sono tenuti a rispettare i criteri microbiologici e adottare azioni e interventi correttivi in caso di non conformità ai requisiti di legge (Reg. CE n. 2073/2005).

I criteri microbiologici rappresentano uno strumento di monitoraggio sull’efficacia delle procedure HACCP (Hazard Analysis Critical Control Point), un sistema finalizzato ad aiutare gli Operatori del Settore Alimentare a conseguire un livello elevato di sicurezza alimentare (Reg CE 852/2004).

Il Reg. CE 2073/2005 indica all’Operatore le norme specifiche sul metodo di analisi e le modalità di campionamento, le quali vengono inserite all’interno del piano di autocontrollo (sistema di prevenzione dei pericoli e gestione dei rischi) dell’impresa alimentare.

Come riportato nella Tabella 4, il Reg. 2073/2005 ha stabilito determinati limiti di presenza di Listeria monocytogenes negli alimenti, nell’ambito dei criteri di sicurezza alimentare (CSA). Tali criteri, oltre ad essere utilizzati dall’OSA nel contesto delle pratiche di gestione della sicurezza, vengono applicati anche ai campioni prelevati dalle Autorità Competenti, per la verifica della conformità degli alimenti, durante i controlli ufficiali.

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Tabella 4: Criteri di sicurezza alimentare (Reg. CE 2073/2005)4: Criteri di sicurezza alimentare (Reg. CE 2073/2005)

23 4: Criteri di sicurezza alimentare (Reg. CE 2073/2005)

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24 La ricerca del criterio di sicurezza L. monocytogenes è prevista nelle

seguenti categorie di prodotti alimentari:

a) Alimenti pronti destinati ai lattanti (“alimenti per lattanti: i prodotti alimentari destinati alla particolare alimentazione dei lattanti nei primi quattro-sei mesi di vita, in grado di soddisfare da soli al fabbisogno nutritivo di questa fascia di età”; definiti dalla Direttiva 91/321 CEE), e ai fini medici speciali, (“alimenti dietetici destinati a fini medici speciali, una categoria di prodotti alimentari per fini nutrizionali particolari, lavorati o formulati in maniera speciale e destinati alla dieta di pazienti, da utilizzare sotto la sorveglianza di un medico”.

In essi è prescritta l’assenza di L. monocytogenes in 25 g di prodotto immesso sul mercato, per l’intero periodo di conservazione (shelf life, “vita del prodotto sullo scaffale”), inteso come “il periodo che corrisponde al periodo che precede il termine minimo di conservazione o la data di scadenza”, stabilito dagli Articoli 9 e 10 della Direttiva 2000/13/CE.

b) Alimenti pronti (“i prodotti alimentari destinati dal produttore o dal fabbricante al consumo umano diretto, senza che sia necessaria la cottura o altro trattamento per eliminare o ridurre a un livello accettabile i microrganismi presenti”; (Reg. CE 2073/2005).

Nei prodotti ready to eat (RTE), diversi da quelli destinati ai lattanti e ai fini medici speciali, si valuta la capacità dell’alimento di sostenere e promuovere la crescita del batterio. Questi alimenti, grazie alle loro caratteristiche di freschezza e praticità d’uso, stanno acquisendo nel panorama alimentare nazionale e internazionale un ruolo sempre più importante (Martin et al., 2014) e un crescente interesse da parte dei ricercatori del settore alimentare. Gli alimenti RTE, infatti, per le loro caratteristiche fisico-chimiche e le modalità di conservazione possono essere in grado di permettere la sopravvivenza e lo sviluppo di vari microrganismi potenzialmente patogeni (Campylobacter spp., E. coli O 157:H7, Staphylococcus aureus, Salmonella spp., Clostridium spp.) (Chajecka-Wierzchowska et al., 2016; Pesavento et al.,2014; Akbar et al.,

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25 2014), tra i quali assume un ruolo di primo piano L. monocytogenes

(Alvarez- Ordóñez et al., 2015).

Gli alimenti RTE rappresentano un ottimo substrato per L. monocytogenes dal momento che hanno, in genere, una prolungata shelf-life a temperatura di refrigerazione e vengono consumati tal quali senza subire alcun trattamento risanante (Nuvoloni et al., 2007).

I limiti di accettabilità in questo tipo di alimenti sono diversi a seconda che si tratti di alimenti pronti che costituiscono o non costituiscono terreno favorevole alla crescita di L. monocytogenes.

Negli alimenti RTE che non costituiscono terreno favorevole per la crescita di Listeria monocytogenes i livelli non devono essere superiori a 100 ufc/g per l’intera shelf life del prodotto (n=5 c=0). Appartengono a questa categoria i prodotti con pH ≤ 4,4 o aw ≤0,92 e i prodotti con pH ≤ 5,0 e aw ≤ 0,94 e i prodotti con conservabilità inferiore ai 5 giorni. Negli alimenti RTE che costituiscono terreno favorevole per la crescita di Listeria monocytogenes si applica:

 il criterio di assenza in 25 g di prodotto (n=5) ai prodotti alimentari prima che non siano più sotto il controllo diretto dell’OSA che li produce, se questi non è in grado di dimostrare, in modo soddisfacente all’autorità competente, che il microrganismo non supererà il limite di 100 ufc/g durante il periodo di conservabilità (n=5, c=0). L’operatore può fissare durante il processo limiti intermedi sufficientemente bassi da garantire che il limite di 100 ufc/g non sia superato al termine del periodo di conservabilità.

 si applica il criterio < 100 ufc/g, se il produttore è in grado di dimostrare, con soddisfazione all’autorità competente, che il prodotto non supererà il limite di 100 ufc/g durante il periodo di conservabilità.

Appartengono a questa categoria i prodotti con una vita commerciale superiore a 5 giorni e pH > 4.4, oppure aw>0.92, oppure pH > 5.0 e, contemporaneamente, aw> 0.94.

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2.2.1 Possibili strategie di gestione di L. monocytogenes da

parte dell’OSA

Il Regolamento CE 2073/2005, all’articolo 3, fornisce alcune indicazioni sulle possibili strategie di gestione di L. monocytogenes da parte dell’OSA.

L’articolo 3 prevede infatti che:

1. Gli OSA provvedono a far sì che i prodotti alimentari siano conformi ai relativi criteri microbiologici fissati nell’allegato I del regolamento. A tal fine, gli operatori del settore alimentare adottano provvedimenti, in ogni fase della produzione, della lavorazione e della distribuzione, inclusa la vendita al dettaglio, nell’ambito delle loro procedure HACCP e delle loro prassi corrette in materia d’igiene, per garantire che:

- la fornitura, la manipolazione e la lavorazione delle materie prime e dei prodotti alimentari che dipendono dal loro controllo si effettuino nel rispetto dei criteri di igiene del processo;

- i criteri di sicurezza alimentare applicabili per l’intera durata del periodo di conservabilità dei prodotti possano essere rispettati a condizioni ragionevolmente prevedibili di distribuzione, conservazione e uso. Se necessario, gli OSA responsabili della fabbricazione del prodotto effettuano studi, in conformità all’allegato II, per verificare se i criteri sono rispettati per l’intera durata del periodo di conservabilità. In particolare ciò si applica agli alimenti pronti che costituiscono terreno favorevole alla crescita di Listeria monocytogenes e che possono costituire un rischio per la salute pubblica in quanto mezzo di diffusione di tale batterio. Gli operatori del settore alimentare possono condurre gli studi suddetti in collaborazione tra loro. Orientamenti per la realizzazione di tali studi possono essere inclusi nei manuali di corretta prassi operativa di cui all’articolo 7 del regolamento (CE) n. 852/2004. L’allegato II del Regolamento specifica inoltre che: “Gli studi di cui all’articolo 3, paragrafo 2 comprendono:

 prove per determinare le caratteristiche fisico-chimiche del prodotto, quali pH, aw, contenuto salino, concentrazione di conservanti e tipo di

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27 sistema di confezionamento, tenendo conto delle condizioni di

lavorazione e di conservazione, delle possibilità di contaminazione e della conservabilità prevista;

 consultazione della letteratura scientifica disponibile e dei dati di ricerca sulle caratteristiche di sviluppo e di sopravvivenza dei microrganismi in questione. Se necessario, in base agli studi summenzionati, l’operatore del settore alimentare effettua studi ulteriori, che possono comprendere:

 modelli matematici predittivi stabiliti per il prodotto alimentare in esame, utilizzando fattori critici di sviluppo o di sopravvivenza per i microrganismi in questione presenti nel prodotto;

 studi per valutare lo sviluppo o la sopravvivenza dei microrganismi in questione che possono essere presenti nel prodotto durante il periodo di conservabilità, in condizioni ragionevolmente prevedibili di distribuzione, conservazione e uso;

 prove per determinare la capacità dei microrganismi in questione, debitamente inoculati, di svilupparsi o sopravvivere nel prodotto in diverse condizioni di conservazione ragionevolmente prevedibili.

È proprio in quest’ultimo contesto che assume un ruolo importante il challenge test, ossia “prove di contaminazione volontaria controllata”. Esso rappresenta una vera e propria prova di inoculazione sperimentale atta a valutare o il comportamento di un microrganismo in una determinata matrice alimentare, secondo le condizioni di manipolazione e/o di conservazione o l’efficacia di letalità di un trattamento termico nei confronti di un germe.

Pertanto l’OSA deve riprodurre una contaminazione dell’alimento in laboratorio per studiare come evolve la popolazione del patogeno a diretto contatto con la derrata alimentare. Con queste prove è possibile effettuare una stima quantitativa del rischio di L. monocytogenes presente.

Per quanto riguarda la possibilità di ricorrere a modelli matematici predittivi, si deve dire che la Microbiologia Predittiva è la branca della

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28 microbiologia degli alimenti che sulla base di precedenti osservazioni, è

in grado di predire il comportamento dei microrganismi in determinate condizioni ambientali e di stimare l’accuratezza di tali predizioni (Ross e McMeekin, 1994). Questa branca si occupa in particolare dello sviluppo di modelli matematici in grado di prevedere la crescita e l'inattivazione dei microrganismi in condizioni ambientali note, la cui importanza, per la valutazione del rischio microbiologico e l’ottimizzazione dei processi dell’industria alimentare, è ormai indiscussa e riconosciuta anche dalla normativa comunitaria (Gardini e Parente, 2013). Gli alimenti infatti possono essere considerati degli ecosistemi in divenire, in quanto le relazioni che intercorrono tra le loro caratteristiche e le popolazioni microbiche in essi presenti sono influenzate da fattori (quali, ad esempio, pH, aw, potenziale di ossido-riduzione, presenza o assenza di ossigeno, temperatura di conservazione, umidità relativa dell’ambiente, biocompetizione ecc.) che possono cambiare nel corso della vita del prodotto.

La microbiologia predittiva può essere applicata per:  prevedere la crescita batterica in condizioni diverse,

 prevedere la probabilità di crescita dei microrganismi negli alimenti,  valutare l’impatto delle interruzioni della catena del freddo e testare

diversi scenari di stoccaggio,

 aiutare ad identificare i punti critici di controllo in un processo,

 stimare il livello di contaminazione in un determinato giorno della vita commerciale (Gardini e Parente, 2013).

2.2.2 Microbial challenge test

I microbial challenge test (MCT) hanno lo scopo di fornire informazioni sul comportamento, in determinate condizioni di conservazione, di un microrganismo inoculato artificialmente in un alimento. Possono tener conto della variabilità dei prodotti alimentari e della contaminazione specifica degli stessi (Linee guida AFSSA 2008; Linee guida ANSES 2014).

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29 Questi test possono essere attuati sia per valutare il potenziale di

crescita (ovvero la differenza tra la carica logaritmica del microrganismo alla fine della prova per grammo di prodotto e la carica logaritmica all'inizio della prova) sia per stimare i parametri di crescita (ad esempio: tasso di crescita massima, inteso come misura del tasso di crescita di un microrganismo in un prodotto artificialmente contaminato e conservato ad una temperatura fissa).

I challenge test sono prove di laboratorio effettuate su dei substrati alimentari divenute, con l’entrata in vigore del “Pacchetto Igiene”, di abbastanza comune esecuzione ad opera degli OSA all’interno delle industrie alimentari al fine di garantire un più stretto controllo sull’intero processo produttivo.

Essi prevedono l’inoculazione di una determinata quantità di un microrganismo sulla superficie o all’interno di un prodotto alimentare per valutarne la moltiplicazione durante le fasi di manipolazione e/o di conservazione dello stesso (https://www.iso.org/standard/69673.html). I challenge test che si possono effettuare sono di due tipi:

1. di processo 2. di prodotto.

Nel challenge test di processo si inocula nella materia prima, in condizioni controllate, una quantità, idonea alla prova, del microrganismo oggetto dello studio e si valuta cosa succede al microrganismo durante il processo produttivo; questo può fornire una validazione dei processi produttivi stessi.

Nel challenge test di prodotto, invece, si inocula una quantità idonea alla prova del microrganismo oggetto dello studio nel prodotto alimentare finito, in condizioni ambientali controllate, effettuando inoltre l’eventuale confezionamento del prodotto nelle condizioni di commercializzazione e valutando poi cosa succede al microrganismo

Durante la shel-life dell’alimento

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30 Tutto questo può fornire indicazioni scientifiche per il corretto

posizionamento di prodotti RTE nelle categorie alimentari per L. monocytogenes previste nel Reg. (CE) 2073/2005. L’esecuzione di un challenge test è sempre preceduta da una fase di pianificazione, nel corso della quale vengono studiati ed elaborati una serie di fattori relativi all’alimento e al microrganismo oggetto del test di cui bisognerà tenere conto nell’impostare la prova stessa.

Tali fattori sono i seguenti:

o caratteristiche organolettiche dell’alimento oggetto di studio; o processo produttivo e conservazione dell’alimento;

o caratteristiche fisiologiche del microrganismo oggetto di studio

o comportamento e capacità di crescita del microrganismo in base al substrato alimentare in esame.

Visto che un valido challenge test ha come obiettivo primario quello di valutare nel modo più preciso possibile il comportamento di L. monocytogenes nell’alimento pronto preso in esame, le prove di inoculazione devono essere effettuate con ceppi standard di riferimento di L. monocytogenes disponibili in commercio con adeguato certificato di garanzia, e possibilmente con ceppi “selvaggi”, di provenienza dalla stessa tipologia di matrice alimentare che viene saggiata. Altre specie batteriche, pur appartenenti allo stesso genere batterico, come ad esempio Listeria innocua, inoculate nella stessa matrice alimentare, potrebbero avere delle differenze di resistenza e di comportamento rispetto a L. monocytogenes. Questo porterebbe ad avere dei risultati che si discostano da quella che è la realtà, invalidando lo stesso challenge test. E’ possibile, comunque, impiegare, oltre a ceppi di L. monocytogenes scelti liberamente, anche ceppi con caratteristiche di crescita note, come quelli del set EURL. Quest’ultimo fornisce difatti un elenco di ceppi di L. monocytogenes adatti alle diverse matrici alimentari, con indicazione di origine, genosierotipo e del rispettivo range di temperatura, pH e aw (disponibile al link http://www.ansespro.fr/eurl-listeria/index.htm). Il challenge test può

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31 servire, inoltre, a valutare come si comporta L. monocytogenes in una

matrice alimentare che deve ancora subire dei trattamenti debatterizzanti o in una matrice alimentare che ha già completato il suo processo produttivo e che non dovrà subire alcun trattamento per ridurne la carica iniziale: questo è un fattore determinante per calcolare la dose da inoculare. Nel primo caso infatti la carica da inoculare sarà cospicua per poter valutare non solo l’efficacia dei trattamenti ma anche l’entità, in termini di unità logaritmiche, di diminuzione della carica iniziale. La dose solitamente non è inferiore a 100.000 o a 1 milione di ufc/g di alimento. Nel secondo caso la dose è molto inferiore, per cercare di simulare quanto avviene nella realtà. Grazie ad alcuni studi (Bartholomew et al., 2005; Francois et al., 2007; Hwang e Marmer, 2007) si è potuto constatare che la carica inquinante iniziale di L. monocytogenes negli alimenti è compresa nell’ordine di 1-0,01 ufc/g di alimento con una media stimata di 0,04 ufc/g di prodotto. Quindi nel challenge test la carica iniziale di L. monocytogenes deve essere compresa tra 10 e 100 ufc/g in modo da rappresentare la peggior situazione riscontrabile nella realtà. Riguardo al batterio poi, per pianificare un challenge test, bisogna prendere in considerazione che i batteri agenti di malattia alimentare come L. monocytogenes, possono presentarsi in due stadi di vita:

- lo stadio di vita vitale in cui il batterio è vivo e in fase di duplicazione più o meno attiva;

- lo stadio di vita non vitale (VBNC: Viable But Not Culturable cell) in cui il batterio è vivo, ma non riesce a moltiplicarsi. Solitamente quando un batterio come L. monocytogenes arriva ad inquinare un alimento si trova in fase di crescita stazionaria perché ha già subito una serie di trattamenti che agiscono sul ceppo stressandolo e facendolo diventare più resistente. Nella fase di crescita stazionaria il batterio è molto più resistente a sollecitazioni come riduzione del pH e/o aw, alte temperature ecc. rispetto alla fase log e questo può influenzare i risultati del challenge test. Una volta inoculato il batterio, l’alimento

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oggetto del test viene mantenuto

rappresentano le reali fasi di trasporto e di sosta sugli scaffali. Spesso le normali condizioni di conservazione degli alimenti presi in considerazioni sono quelle di una conservazione a temperatura di refrigerazione che, con una

del prodotto, non vengono mantenute. Di conseguenza sarebbe utile programmare il challenge test sia mantenendo i campioni inoculati a temperatura di refrigerazione sia in una condizione di abuso termico (8 10 °C). A questo proposito, vale la pena sottolineare che le temperature utilizzate per determinare la

adeguatamente giustificate e documentate dagli OSA. Quando l’OSA, relativamente ad un particolare alimento, ha in posses

temperatura dei primi due stadi della catena del freddo, è preferibile che siano queste temperature ad essere usate (in particolare per i prodotti di esportazione). In caso tali dati non siano disponibili, bisognerebbe procedere come

temperatura-tempo proposto nell’EURL

Tabella 5: Linee Guida Anses

oggetto del test viene mantenuto nelle condizioni che più rappresentano le reali fasi di trasporto e di sosta sugli scaffali. Spesso le normali condizioni di conservazione degli alimenti presi in considerazioni sono quelle di una conservazione a temperatura di refrigerazione che, con una certa frequenza durante la vita commerciale del prodotto, non vengono mantenute. Di conseguenza sarebbe utile programmare il challenge test sia mantenendo i campioni inoculati a temperatura di refrigerazione sia in una condizione di abuso termico (8

). A questo proposito, vale la pena sottolineare che le temperature utilizzate per determinare la shelf-life del prodotto devono essere adeguatamente giustificate e documentate dagli OSA. Quando l’OSA, relativamente ad un particolare alimento, ha in possesso dati

temperatura dei primi due stadi della catena del freddo, è preferibile che siano queste temperature ad essere usate (in particolare per i prodotti di esportazione). In caso tali dati non siano disponibili, bisognerebbe procedere come indicato nel diagramma combinato

tempo proposto nell’EURL L. monocytogenes (Tabella 5).

abella 5: Linee Guida Anses (2014)

32 nelle condizioni che più

rappresentano le reali fasi di trasporto e di sosta sugli scaffali. Spesso le normali condizioni di conservazione degli alimenti presi in considerazioni sono quelle di una conservazione a temperatura di certa frequenza durante la vita commerciale del prodotto, non vengono mantenute. Di conseguenza sarebbe utile programmare il challenge test sia mantenendo i campioni inoculati a temperatura di refrigerazione sia in una condizione di abuso termico

(8-). A questo proposito, vale la pena sottolineare che le temperature del prodotto devono essere adeguatamente giustificate e documentate dagli OSA. Quando l’OSA, so dati relativi alla temperatura dei primi due stadi della catena del freddo, è preferibile che siano queste temperature ad essere usate (in particolare per i prodotti di esportazione). In caso tali dati non siano disponibili, indicato nel diagramma combinato

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33 Il prodotto viene analizzato a intervalli di tempo regolari verificando il

numero di microrganismi che vi si trovano o la quantità di tossine che vi si sono accumulate, nel caso di batteri tossigeni. Ultimo aspetto da valutare è la durata della prova di inoculazione sperimentale che dovrebbe concludersi con il termine della vita commerciale del prodotto come previsto dal Reg. (CE) 2073/2005 che obbliga gli OSA a rispettare il criterio di sicurezza previsto “fino a fine vita commerciale del prodotto”. Alla luce di quanto detto finora si deduce che il challenge test è una prova molto utile agli OSA nel controllo della produzione di un alimento ma di difficile pianificazione per il numero cospicuo di fattori da prendere in considerazione. Il vantaggio principale del challenge test per valutare il potenziale di crescita (δ) è che la fase di latenza (fase lag) viene presa in considerazione. Mentre lo svantaggio di questo test è la mancanza di flessibilità nell'interpretazione: i risultati sono validi solo per il prodotto testato in condizioni specifiche di tempo e temperatura. Nuovi esperimenti devono essere eseguiti ogni volta che vi è un cambiamento di tali specifiche condizioni. Il vantaggio del challenge test per valutare il tasso di crescita massimo (µ) è la flessibilità: è possibile estrapolare un μ max ad una temperatura per prevedere altri valori di μ max ad altre temperature (purché inferiori a 25°C) nello stesso prodotto. Lo svantaggio è che la fase di latenza e la fase stazionaria non vengono prese in considerazione e quindi il risultato è eccessivamente sovrastimato. Il vantaggio di effettuare questi studi è quello di garantire alimenti di qualità e sicuri dal punto di vista igienico sanitario e la conservabilità di un prodotto è parte integrante della sicurezza alimentare in quanto ci indica quanto a lungo un alimento può mantenere le sue caratteristiche qualitative nelle normali condizioni di conservazione e di utilizzo.

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