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3. IDENTIFICAZIONE DI SPECIE

4.0 Microsatelliti

Come già disusso nel capitolo 1.6, la possibilità di identificare un dato prodotto finito relativamente alla sua origine e ricostruirne a ritroso la sua storia è strettamente correlata all’adozione di un adeguato sistema di identificazione che ne garantisca l’efficacia. L’impiego dei comuni sistemi identificativi permette di estrapolare una serie di utili informazioni, sebbene a causa di episodi di natura casuale o dolosa, questo tipo di sistema non è sempre in grado di garantire l’identità del soggetto. In questi casi l’analisi molecolare e, precisamente la tracciabilità genetica, rappresenta quel sistema in grado di dare veridicità assoluta alle informazioni che accompagnano quel dato animale, integrando e verificando dunque i sistemi ordinari. La tracciablità genetica pone le sue basi sul presupposto che non ci sono individui (ad eccezione dei gemelli omozigoti) che condividano esattamente lo stesso genoma. In una popolazione, infatti, coesisteranno generalmente forme alternative di uno stesso allele, chiamati polimorfismi, generate da variazioni ereditarie di una sequenza di DNA. Dal momento che la frequenza di un polimorfismo in una popolazione è, per definizione, superiore all’1%, non si tratta di mutazioni in senso stretto. Il metodo di caratterizzazione del profilo genotipico permette quindi di ottenere un’impronta digitale dell’animale a livello genetico, indipendentemente da caratteri fenotipici o da altre tecniche identificative. Il sistema prende il nome di DNA fingerprinting e si basa sulla determinazione delle caratteristiche molecolari di un

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pannello di specifici marcatori genetici opportunamenti selezionati per quella specie animale. Tali marcatori genetici sono definiti microsatelliti o short tandem repeats (STR), ovvero regioni di DNA non codificanti, uniformemente distribuite nei genomi eucariotici, che mostrano una grande variabilità nel numero di corte sequenze ripetute in tandem; la lunghezza dell’unità ripetitiva è compresa tra 2 e 5 bp, con una lunghezza totale dell’intera sequenza da alcune decine fino a poche centinaia di basi (75). La variazione dei singoli genomi a livello dei microsatelliti si deve al diverso numero di unità ripetute dei vari alleli presenti nella popolazione (Figura 14). Tali differenze, derivano dal fatto che a livello delle STR, la frequenza di scambio genico è molto elevata, circa 10 volte la frequenza di ricombinazione omologa dovuta ai crossing-over al momento della meiosi. Questo fenomeno, definito crossing-over ineguale o NAHR porta a una ricombinazione tra due siti non omologhi e viene reso possibile proprio dalla presenza di sequenze ripetute, non equivalenti, in alcune regioni di DNA. Ne consegue che, una copia di una sequenza ripetuta appartenente ad un determinato cromosoma si allinea erroneamente e ricombina con una copia diversa della ripetizione sul cromosoma omologo. L’avvenuta ricombinazione permette ad un cromosoma ricombinante di avere una delezione e all’altro un’inserzione; un cromosoma avrà dunque un numero maggiore di ripetizioni e l’altro un numero minore.

Figura 14. Rappresentazione grafica di marcatori STR e SNP.

A questo fenomeno si include anche quello che viene definito scivolamento replicativo o strand slippage (76), ovvero appaiamenti errati intrafilamento che si possono generare a

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livello di tali regioni altamente ripetute a causa del normale distacco, in fase replicativa, della DNA polimerasi dalla forca di replicazione. Il filamento di nuova sintesi può quindi scivolare indietro di un’unità ripetitiva (backward slippage), formando una forcina (loop out) contenente l’unità ripetitiva “scivolata”, o ancora può accadere che sia il filamento stampo a scivolare in avanti (forward slippage), formando una forcina contenente la tripletta. Nel backward slippage la DNA polimerasi, tornando indietro, copia nuovamente la sequenza già replicata che ora si trova all’interno della forcina. Questo fenomeno genera dunque una inserzione e quindi un DNA con un maggiore numero di ripetizioni, a differenza del forward slippage che, invece, è causa di una delezione. Normalmente, tali anomalie sono revertite dai sistemi di riparo del DNA, ma quando tali sistemi non sono funzionanti o meno efficienti, la frequenza di queste variazioni aumenta notevolmente. A causa dunque dei fenomeni di crossing-over ineguale e di strand slippage le dimensioni delle STR sono altamente polimorfiche, il che comporta una elevata variabilità individuale. L’alta variabilità, a livello di questi loci, rende le STR particolarmente utili per l’identificazione genetica poichè esiste una infinitesima probabilità che due individui abbiano la stessa combinazione di varianti alleliche, la quale cresce all’aumentare dei loci testati. Ne deriva dunque che mediante il confronto genetico tra il campione in esame, prelevato dall’animale in vita (prelievo ante mortem) ed il campione post mortem, da cui si presuma esso derivi, campionato ad esempio al punto vendita o in qualsiasi altro punto della filiera, è possibile verificarne la corrispondenza. La metodica può inoltre essere applicata anche nell’identificazione di razza o gruppo familiare e persino su alimenti sottoposti a trattamenti trasformativi derivanti dalla sua lavorazione, in quanto ha il vantaggio di essere più tollerante all’uso di DNA degradato dato che l’analisi di tali marcatori è effettuata su frammenti inferiori alle 500 bp. Oltretutto è in grado di discriminare profili genetici misti quando la componente carnea all’interno del prodotto proviene da più soggetti, permettendo quindi la discriminazione per esempio di una partita da un’altra, fintantochè un profilo di comparazione è disponibile per ogni lotto (77). Il metodo di genotracciabilità attualmente impiegato è basato sulla amplificazione selettiva di questi marcatori microsatelliti usando, come oligonucleotidi di innesco, primers marcati con coloranti fluorescenti e complementari alle regioni fiancheggianti le STR stesse. I prodotti risultanti dall’amplificazione sono poi separati per elettroforesi

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capillare in continuo mediante sequenziatori automatici per determinare le varianti alleliche presenti nei loci presi in considerazione. Nell’elettroforesi capillare i frammenti di DNA amplificati vengono iniettati in un tubo capillare e vengono separati per migrazione indotta dall’applicazione di un campo elettrico. I vari frammenti vengono poi rilevati, man mano che attraversano il capillare, da un sistema che sfrutta la fluorescenza dei primers. Nella porzione terminale del capillare, i frammenti di DNA sono infatti colpiti da un raggio laser che eccita le molecole fluorescenti con cui sono stati marcati i primers. Ciascuno dei fluorocromi, viene quindi eccitato e, come conseguenza di ciò, emetterà luce ad una diversa lunghezza d’onda, specifica per il fluorocromo impiegato. Le emissioni fluorescenti sono separate in base alla lunghezza d’onda e un software, poi, convertirà infine il pattern di emissioni in una serie di picchi colorati (elettroferogramma), corrispondenti ognuno ad un preciso allele dei vari loci. I picchi allelici sono identificati da un numero corrispondente al peso molecolare il quale dipenderà dal numero di ripetizioni. Tali dimensioni sono calcolate dal software utilizzando come riferimento uno standard di frammenti di DNA a dimensioni note, aggiunto contestualmente al campione e marcato con un fluorocromo differente. Questa metodica, eseguibile in singolo o in multiplex, consente quindi ai diversi frammenti di essere amplificati e di correre poi simultaneamente. L’analisi quindi del fingerprinting tramite la tipizzazione STR ha il vantaggio di essere rapida ed efficace, coniugando sensibilità e alto potere discriminante in modo da permettere il suo impiego anche su quantità minime di campione e di tracciare e/o identificare un individuo in maniera univoca e con un margine di errore pressochè trascurabile. Tale tecnica, insieme a quella del DNA Barcoding, rappresenta il gold standard in fatto di identificazione genetica. Sebbene infatti il DNA Barcoding fornisca una risposta generica in merito all’appartenenza di un dato genoma ad una precisa specie, l’analisi dei microsatelliti di fatto ne assegna l’identità, che ci consenitrà di distinguerla da un altra della medesima specie.

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4. OBIETTIVO

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