Abbiamo detto che la medicina potenziativa è la medicina dell’enhancement. Diffusosi a partire dagli anni Settanta del secolo scorso in riferimento alla liceità degli interventi genetici migliorativi dell’uomo, il termine enhancement ha avuto e ha un ampio impiego nel
355
Cfr., CALLAHAN D., La medicina impossibile. Le utopie e gli errori della
medicina moderna, cit.
356
ID., Medical Progress and Global Chronic Disease: The Need for a New
Model, in «Brown Journal of World Affairs», 20, 1, 2013, pp. 35- 46. Occorre precisare
che la sostenibilità cui fa riferimento Callahan è di carattere economico e orientata a garantire equo accesso alle risorse mediche, superando le divisioni tra Paesi ricchi e Paesi poveri.
130
dibattito bioetico, che, tuttavia, non ha contribuito a un opportuno chiarimento del concetto357.
Il President’s Council on Bioethics nel parere Beyond Therapy.
Biotechnology and the Pursuit of Happiness del 2003 definisce
l’enhancement come «the directed use of biotechnical power to alter, by
direct intervention, not disease processes but the “normal” workings of the human body and psyche, to augment or improve their native capacities and performances»358. I confini che tracciano il campo semantico sono «beyond therapy» e «toward perfection and happiness». Il concetto designa interventi che vanno oltre la terapia, ovvero «beyond
the usual domain of medicine and the goals of healing, uses that range from the advantageous to the frivolous to the pernicious»359. Le tecniche di enhancement agiscono su individui sani e ne alterano le capacità esistenti o ne creano nuove, sul piano fisico, mentale, emotivo e morale, al fine di aumentare quantitativamente (increase, augmentation) e migliorare qualitativamente l’uom. (betterment, improvement, amelioration). Alla luce di questa definizione il primo punto di domanda
è: enhancement significa portare a perfezione –e questo presuppone una natura già data, che possiede una sua normatività-, o alterare –il che apre alla possibilità di trasformare e dunque re-inventare la natura umana-?
Molteplici sono le forme di potenziamento: genetico, ovvero interventi genetici su individui sani; biologico, vale a dire interventi atti a gestire o bloccare i meccanismi di invecchiamento, fino a estendere la durata della vita e sfiorare l’utopia dell’immortalità terrena; neuro- cognitivo, ossia miglioramento di prestazioni mentali ed emotive; morale.
Il termine enhancement rimanda al concetto di trasformazione e passaggio da uno stato antecedente a uno stato futuro. Si tratta di un orientamento vero il meglio (better than well), misurato in base alla velocità e all’efficacia nel raggiungimento del risultato desiderato. Il
357
JUENGST E.T., What Deoes Enhancement Mean?, cit., pp. 1-28.
358
REPORT OF THE PRESIDENT’S COUNCIL ON BIOETHICS, Beyond Therapy.
Biotechnology and the Pursuit of Happiness, Dana Press, New York 2003, in
<https://biotech.law.lsu.edu/research/pbc/reports/beyondtherapy/>, (ultimo accesso 12- 02-2018), p. 13.
359
Cfr., REPORT OF THE PRESIDENT’S COUNCIL ON BIOETHICS, Beyond
131
concetto di enhancement nasce come definizione vaga, ma che tende a un «più di salute». Dunque occorre definire innanzitutto lo stato di partenza, ovvero la salute che si desidera superare.
Il termine salute racchiude un ampio spettro semantico che oscilla tra salus e valitudo, ovvero dalla salvezza rispetto alla sofferenza, al benessere. Sono numerose le posizioni teoriche relative alla nozione di salute: esse vanno da un concetto normativo e soggettivo360 a uno naturalistico361. «La concezione oggettivistica su basi naturalistiche riconduce la salute alla “normalità funzionale” identificata con l’assenza di malattia, intesa come menomazione o abbassamento della capacità biologica, ritenuta statisticamente tipica dell’uomo e della specie umana. In questo contesto la normalità non è una categoria valutativa, bensì descrittiva, desunta empiricamente dalle funzionalità e capacità riconosciute come tipiche dell’uomo, mediante una rilevazione fattuale a posteriori. […] Secondo la prospettiva oggettivista, esistono dei limiti strutturali nell’uomo, pur nella complessa determinazione dei limiti relativamente al contesto specifico»362. Dall’altra parte, invece, vi è la concezione soggettivistica della salute e della malattia, «che tende a comprendere la stretta interconnessione tra la dimensione fisica, psichica e sociale […] La dilatazione del concetto di malattia come malessere (bad-being) e di salute come ben-essere (well-being), entrambe integrate nel progetto di vita della persona e nel contesto sociale, rende evidente l’esistenza di parametri sfumati e grigi tra patologia e non patologia, dunque inevitabilmente anche tra terapia e non terapia»363. Lungo questa
360
Cfr., CANGUILHEM G., Il normale e il patologico, cit.; si veda, per esempio, AGICH G. J., Disease and Value: a Rejection of the Value- Neutrality Thesis, in «Theoretical Medicine and Bioethics», 4 (1), 1983, pp. 27- 41; NORDENFELT L., An
Evolutionary Concept of Health: Health as a Natural Function, in NORDENFELT L.,LISS
P.E., (eds), Dimensions of Health and Health Promotion, Rodopi, Amsterdam –New York 2003.
361
Si veda, per esempio, BOORSE C., Health as a Theoretical Concept, in «Philosophy of Science», 44, 4, 1977, pp. 542- 573; DANIELS N., Just Health Care, Cambridge University Press, Cambridge 1985; ID., Just Health, Cambridge University Press, Cambridge 2008.
362
PALAZZANI L., Il potenziamento umano. Tecnoscienza, etica, diritto, cit. p. 7.
363
132
direzione prende forma la «medicina dei desideri»364, orientata a realizzare desideri e aspirazioni dei nuovi pazienti.
La celebre -quanto contestata365- definizione proposta dall’Organizzazione mondiale della Sanità, definisce la salute come «Uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia o di infermità»366. Questa concezione positiva si estende a diritto fondamentale di ogni essere umano, a bene desiderabile e funzionale al progresso sociale. La nozione ricca proposta dalla OMS si dirama in direzioni molteplici, è priva di una finalità univoca e ci spinge a considerare la salute di un individuo non solo in virtù dell’assenza o della presenza di una patologia367, ma anche in riferimento alle distanze dalle possibilità di ottimizzare le condizioni di vita in termini biologici, fisiologici, psicologici, nonché personali, sociali, culturali.La definizione della OMS fu ripresa nel 1986, in occasione del Congresso internazionale sulla promozione della salute tenutosi a Ottawa, durante il quale fu redatta la Carta di Ottawa368. Tale documento interpreta la salute come una precondizione di benessere fisico, psichico e sociale, grazie alla quale un individuo o un gruppo deve essere capace di identificare e realizzare le proprie aspirazioni, di soddisfare i propri bisogni, di cambiare l’ambiente circostante o di farvi fronte. Compito della società e delle sue strutture è promuovere la salute, garantendone le condizioni di realizzazione: «Health promotion is the
process of enabling people to increase control over, and to improve, their
364
Ibidem.
365
Cfr., CALLAHAN D., The WHO Definition of Health, in «Hastings Center Studies», 3, 1973, pp. 77- 87.
366
OMS, «Costituzione dell’organizzazione mondiale della sanità», in <http://www.who.int/net>, (ultimo accesso 03- 02- 2018).
367
Anche la condizione patologica e la dimensione della malattia presentano confini non definiti; la stessa imprecisione che caratterizza il concetto di salute riguarda anche quello di malattia. Cfr., CANGUILHEM G., Il normale e il patologico, cit.; BOORSE
C., On the Distinction between Disease and Illness, in «Philosophy & Public Affairs», 5, 1, 1975, pp. 49- 68; EISENBERG L., Disease and Illness Distinctions between
Professional and Popular Ideas of Sickness, in «Culture, Medicine and Psychiatry», 1,
1, 1977, pp. 9- 23;DANIELS N., Normal Functioning and the Treatment- Enhancement
Distinction, in «Cambridge, Quarterly of Healthcare Ethics», 9, 3, 2000, pp. 309- 322;
HOFMANN B., The Technological Invention of Disease, in «Medical Humanities», 27, 1, 2001, pp. 10- 19; THOMAS R. K., Society and Health: Sociology for Health
Professionals, Kluwer Academic, New York 2003.
368
<http://www.who.int/healthpromotion/conferences/previous/ottawa/en/index 1.html>, (ultimo accesso 03- 02- 2018).
133
health. To reach a state of complete physical, mental and social well- being, an individual or group must be able to identify and to realize aspirations, to satisfy needs, and to change or cope with the environment. Health is, therefore, seen as a resource for everyday life, not the objective of living. Health is a positive concept emphasizing social and personal resources, as well as physical capacities. Therefore, health promotion is not just the responsibility of the health sector, but goes beyond healthy life-styles to well-being»369.
La salute è quindi vista come risorsa per la vita quotidiana, non è l’obiettivo del vivere. Dunque solo in una dimensione sociale, collettiva possono crearsi le condizioni del ben-essere dell’individuo. Al centro della salute come benessere c’è l’individuo, con le sue caratteristiche biologiche: sesso, età, patrimonio genetico, ovvero determinanti non modificabili della salute. Accanto a essi vi sono i determinanti modificabili, che vanno dagli strati interni a quelli più esterni: stili di vita, reti sociali, ambiente di vita e di lavoro, contesto politico, sociale, economico e culturale. Tutto collabora a promuovere la salute e dunque a garantire il quotidiano esercizio della vita.
Siamo semplicemente di fronte a una trasformazione importante della salute e a un suo evidente ampliamento. La nuova accezione di paziente, inteso come soggetto e non oggetto della relazione terapeutica, persona informata e autodeterminantesi, le innovazioni tecno- scientifiche, gli sviluppi delle tecniche di informazione e comunicazione convergono verso una definizione dinamica e funzionale di salute, dai tratti utopici370: la salute to adapat and self-manage, ovvero capacità di adattarsi e gestire se stessi. A fronte di una concezione soggettivistica di salute, intesa come pieno benessere fisico-psichico-sociale, risulta difficile distinguere in modo chiaro tra terapia e potenziamento. Il potenziamento indica una terapia, laddove, in maniera soggettiva, si ritenga che una capacità in quanto ridotta sia considerata fonte di malessere. Letti in questa prospettiva, enhancement e terapia si pongono in continuità l’uno rispetto all’altro. Tale contiguità è data, in primo
369
Ibidem.
370
SFEZ L., La salute perfetta. Critica di una nuova utopia, Spirali, Milano 1999.
134
luogo, dalla definizione del medesimo obiettivo per entrambe le tipologie di intervento. Si tratta, cioè, di agire, tecnologicamente e/o farmacologicamente, al fine di ottenere lo stato migliore che si possa raggiungere. In questa prospettiva è giustificato intervenire sul corpo e sulla mente dell’uomo ogni volta che l’intervento non produce danni rapportati ai benefici intesi in senso lato. Muovendo da tale posizione, si pone in evidenza la possibilità di sconfinamento della concezione soggettiva di salute in un processo di medicalizzazione e patologizzazione della vita.
Se garantire il benessere è assunto quale obiettivo prioritario dalla medicina e, in generale, dalla società, è lecito ogni genere di azione di interferenza nella «natura umana». Questa liberalità verso alterazioni dell’umano in vista del miglioramento si fondano su una «concezione materialistico-meccanicista del corpo, considerato materia estesa e oggetto disponibile e manipolabile, controllabile, plasmabile, progettabile dal soggetto cui appartiene»371. La natura umana è una «macchina imperfetta»372 e che, pertanto, va sottoposta a ogni manipolazione che ne produce il perfezionamento. Se la tecnologia consente di vivere più a lungo, più sani, più intelligenti, più belli, più forti non è giustificata l’astensione dal fare. L’enhancement non è, di principio, moralmente sbagliato. Il miglioramento, individuale o sociale, naturale o artificiale, è specifico dello sviluppo umano. Dagli occhiali alla scrittura, dal caffè all’educazione, l’uomo ha sempre messo in atto tentativi di enhancement, per raggiungere una possibile una vita migliore. Se tutto ciò è considerato lecito, allora dovrebbe essere ritenuto altrettanto lecito il potenziamento in forma biomedica, genetica, biologica e cognitiva delle capacità fisiche, intellettive, emotive, morali. Vale qui l’«argomento del precedente, la cui struttura implicita corrisponde al seguente ragionamento: abbiamo sempre usato A per raggiungere lo scopo C; il mezzo B consente di raggiungere l’obiettivo C; dunque anche il mezzo B è moralmente non problematico. […] È l’argomento che mira a mostrare la normalizzazione dell’enhancement, evidenziando che il potenziamento corrisponde ad
371
PALAZZANI L., Il potenziamento umano. Tecnoscienza, etica e diritto, cit., pp. 17- 18.
372
135
ogni attività della nostra vita quotidiana, non solo a nuove tecnologie di frontiera»373. Non importa che l’uso delle tecnologie di potenziamento possa essere considerato una «“scorciatoia” biotecnologica»374 che consente di raggiungere gli obiettivi desiderati in maniera più semplice e più rapida rispetto ai metodi tradizionali. Si passa così dall’evoluzione darwniana alla self-evolution e, ancora, all’ enhancement evolution: «Il potenziamento rappresenta, in tal senso, una fase dell’evoluzionismo: alla selezione naturale bisogna sostituire la “scelta deliberata” del processo di selezione, che consente con maggior rapidità di ottenere lo stesso risultato»375. Esso riduce i tempi del progresso evolutivo e facilita l’uomo nel definire e realizzare il proprio potenziale. Le scelte auto-evolutive compiute dall’uomo hanno inevitabili ricadute sulle generazioni a venire, inaugurando la transizione evolutiva verso il post-umano e il trans- umano.
Di fronte e in antitesi rispetto a questa posizione ideologica più che teorica vi è la tesi di coloro che considerano la natura come caratterizzata da un proprio significato ontologico, da una verità, conoscibile, della natura. Questa posizione naturalistica sostiene la possibilità di identificare parametri oggettivi per stabilire lo statuto della salute e quello della malattia e quindi di descrivere in termini oggettivi la malattia e la salute376. Pur considerando il ruolo determinante delle circostanze di vita nel definire tali condizioni, tuttavia, non si può negare il normale funzionamento dell’organismo, che ha dei referenti biologici e poggia su basi scientifiche. Tale concezione consente di distinguere tra interventi terapeutici e interventi non terapeutici e individua la categoria degli interventi extra-terapeutici, volti all’aumentano delle capacità dell’organismo oltre le soglie naturali.
In questa prospettiva, si ritiene che la salute non risponda a forme di etero-determinazioni, in quanto è l’organismo a produrre la sua normatività e il medico non possa essere esecutore passivo e acritico di desideri e volontà del paziente. Il medico può rifiutarsi di agire al fine di
373 Ivi, pp. 20- 21. 374 Cfr., ivi, pp. 20- 22. 375 Ivi, p. 22. 376
Cfr.,SABIN J.E.,DANIELS N., Determining “Medical Necessity” in Mental
136
realizzare un semplice desiderio del paziente, nella misura in cui non vi è congruità tra desiderio soggettivo e condizione oggettiva. Nella relazione terapeutica, fondata sul consenso informato, il medico deve supportare nel processo decisionale il soggetto sano che si rivolge a lui, per far luce sulla liceità delle richieste avanzate; in ogni caso, può rifiutarsi di intervenire per attuare desideri considerati sproporzionati rispetto alle finalità terapeutiche.
L’alterazione arbitraria della salute e il ricorso a tecnologie di potenziamento collidono con il concetto ontologico di natura e con riferimento morale alla dignità umana intrinseca377.
Dunque, è evidente che potenziamento deve poter procedere solo verso le qualità accidentali e non sostanziali del soggetto, ovvero non può alterare arbitrariamente e radicalmente la natura umana. «In questo contesto è richiamata la moralità interna ed intrinseca della medicina, non riducibile a mera abilità tecnica al servizio dell’utente, ma orientata teleologicamente alla salute come bene o “ben-essere” oggettivo, identificato con il buon funzionamento dell’organismo come un tutto. Questo è l’ordine oggettivo che trascende la stessa pratica medica, a cui la prassi deve tendere.
Il potenziamento esprime, invece, i falsi scopi della medicina: il fine della medicina non è l’appagamento del piacere, la soddisfazione dei desideri, il raggiungimento della felicità dei pazienti e nemmeno la manipolazione del corpo allo scopo di servire richieste individuali o esigenze sociali»378.
377
Cfr., HABERMAS J., Il futuro della natura umana. I rischi di una eugenetica
liberale, cit.; FUKUYAMA F., L’uomo oltre l’uomo. Le conseguenze della rivoluzione
biotecnologica, cit.; SANDEL M., Contro la perfezione. L’etica nell’età dell’ingegneria
genetica, cit.
378
PALAZZANI L., Il potenziamento umano. Tecnoscienza, etica e diritto, cit., pp. 32- 33.
137 CAPITOLO IV
CORPO FITTIZIO E CORPO VIVENTE. LA POLITICA DELLA VITA IN MICHEL FOUCAULT
Sommario: 1.1. Corpo, utopia ed eterotopia; 1.2. Tecnologie
politiche e corpi; 2.1. La disciplina dei corpi; 2.2. Il potere della norma; 3.1. La politica del corpo vivente; 3.2. Biopolitica e somatocrazia.
1.1.Corpo, utopia ed eterotopia
«E invece ogni mattina, stessa presenza, stessa ferita; sotto i miei occhi si disegna l’immagine inevitabile che lo specchio impone: volto magro, spalle curve, sguardo miope, niente più capelli, veramente non un granché. Dentro questo brutto guscio che è la mia testa, dentro questa gabbia che non mi piace, dovrò mostrarmi e andarmene in giro; attraverso questa griglia dovrò parlare, guardare, essere guardato, dentro questa pelle dovrò marcire. Il mio corpo è il luogo a cui sono condannato senza appello. Credo che, in fondo, sia contro di esso e come per cancellarlo che nascono tutte queste utopie»379.
È questa la descrizione del «suo» corpo che Foucault propone nel corso della conferenza radiofonica Le corpes utopique trasmessa nel 1966 all’interno del ciclo di trasmissioni dedicato al L’Utopie et la
Littérature e preceduta dalla più fortunata conferenza Les utopies réelles ou “lieux et autres lieux”. Pronunciata nello stesso anno in cui veniva
dato alle stampe Le parole e le cose380, la conferenza sul corpo utopico ripercorre la relazione complessa che vi è tra il corpo e il soggetto, ricalcando la ricostruzione fatta a posteriori delle condizioni di possibilità della relazione che si instaura tra le parole e le cose. Il corpo è utopico in quanto dà realtà a ciò che reale non è, intervenendo in maniera performativa sulla soggettività. Non c’è una realtà data, ma solo
379
FOUCAULT M., Utopie. Eterotopie, tr. it. Moscati A. (a c. di), Cronopio,
Napoli 2006, p. 32.
380
138
instabilità, trasformazioni e ricostruzioni. Foucault non pensa a un corpo immobile e omogeneo, che possa fondare una teoria dell’individualità, ma, al contrario pensa al corpo come luogo di tutti i luoghi, epicentro di processi complessi di soggettivazione. Sebbene qui siamo lontani dal corpo istituzionalizzato, centrale nella riflessione foucaultiana, ciò che emerge, ancora una volta è che il corpo è il filo rosso che attraversa la storia o le storie dell’individuo, che trova la sua immagine nelle determinazioni della storia. L’ambiguità del corpo sta proprio nell’essere non già un solo corpo, ma molteplici modalità di essere luogo di soggettività. Il corpo utopico, nella complessità in cui si danno la dimensione organica e quella simbolica, non separa l’utopia dal corpo, ma attiva un’antropologia in cui si combinano i saperi e i poteri, dalle scienze, ai miti. Il potere utopico del corpo esprime così libertà del soggetto di dare forma a se stesso, stile alla propria vita. Il corpo si dà come punto di riferimento multidirezionale rispetto alla singolarità; il suo potere utopico proietta il soggetto in altri mondi, verso altre forme381.
A partire dall’immagine del proprio corpo che si riflette nello specchio, fino a giungere all’esperienza della sessualità come via di fuga dal proprio corpo, passando attraverso letteratura, miti e rituali, Foucault propone una lettura del corpo più vicina all’approccio fenomenologico che non storico e archeologico, che caratterizza, invece, la produzione di quegli stessi anni382. Sorprende sentire Foucault parlare di «io» e alludere al corpo dell’esperienza; tuttavia, diversamente dal corpo fenomenologico, il corpo dell’esperienza è una condizione necessaria per l’elaborazione del sapere, ma non contraddice –e questo il punto dirimente rispetto alla prospettiva fenomenologica- il corpo della scienza. L’interesse del nostro Autore, infatti, non è legato all’esistenza del corpo,
381
Cfr., POTTE-BONNEVILLE M., Michel Foucault’s Bodies, in «Journal of the British Society for Phenomenology», 43, 1, 2010, pp. 1- 32.
382
Cfr., SABOT P., Linguaggio. Società, corpo. Utopie ed eterotopie in Michel
Foucault, in «Materiali Foucaultiani», vol. I, n. 1, 2012, pp. 17- 35, in particolare pp.
32- 33. Sabot rintraccia nel «corpo utopico» affinità tra la prospettiva teorica qui avanzata da Foucault e quella proposta da Maurice Merleau-Ponty in Phénoménologie
de la perception, in cui il corpo proprio è apertura percettiva al mondo e si sottare alla
riduzione oggettiva della categorizzazione scientifica che gli si vuole imporre. Cfr., MERLEAU- PONTY M., (1945), Fenomenologia della percezione, Bompiani, Milano 2003.
139
ma all’ individuazione delle tecnologie del corpo e del soggetto, nella fitta trama che si intesse tra storia e libertà.
Quale immagine migliore se non quella che lo specchio, luogo esso stesso di utopia ed eterotopia insieme, restituisce del proprio corpo, per prendere in esame la relazione tra l’io e il corpo? Di un corpo che è «spietata topia»383, delimitato e delimitante nella pesantezza della sua materialità: «È irrimediabilmente qui, mai altrove. Il mio corpo è il contrario di un’utopia, è ciò che non sarà mai sotto un altro cielo, è il luogo assoluto, il piccolo frammento di spazio col quale letteralmente faccio corpo»384. Il corpo sembra incarcerare l’io, ma non secondo la celebre lettura platonica di anima e corpo: in Foucault non vi è dualismo tra corpo e utopia, ma indissolubile intersezione. L’io non può