1.1.Corpo, utopia ed eterotopia
«E invece ogni mattina, stessa presenza, stessa ferita; sotto i miei occhi si disegna l’immagine inevitabile che lo specchio impone: volto magro, spalle curve, sguardo miope, niente più capelli, veramente non un granché. Dentro questo brutto guscio che è la mia testa, dentro questa gabbia che non mi piace, dovrò mostrarmi e andarmene in giro; attraverso questa griglia dovrò parlare, guardare, essere guardato, dentro questa pelle dovrò marcire. Il mio corpo è il luogo a cui sono condannato senza appello. Credo che, in fondo, sia contro di esso e come per cancellarlo che nascono tutte queste utopie»379.
È questa la descrizione del «suo» corpo che Foucault propone nel corso della conferenza radiofonica Le corpes utopique trasmessa nel 1966 all’interno del ciclo di trasmissioni dedicato al L’Utopie et la
Littérature e preceduta dalla più fortunata conferenza Les utopies réelles ou “lieux et autres lieux”. Pronunciata nello stesso anno in cui veniva
dato alle stampe Le parole e le cose380, la conferenza sul corpo utopico ripercorre la relazione complessa che vi è tra il corpo e il soggetto, ricalcando la ricostruzione fatta a posteriori delle condizioni di possibilità della relazione che si instaura tra le parole e le cose. Il corpo è utopico in quanto dà realtà a ciò che reale non è, intervenendo in maniera performativa sulla soggettività. Non c’è una realtà data, ma solo
379
FOUCAULT M., Utopie. Eterotopie, tr. it. Moscati A. (a c. di), Cronopio,
Napoli 2006, p. 32.
380
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instabilità, trasformazioni e ricostruzioni. Foucault non pensa a un corpo immobile e omogeneo, che possa fondare una teoria dell’individualità, ma, al contrario pensa al corpo come luogo di tutti i luoghi, epicentro di processi complessi di soggettivazione. Sebbene qui siamo lontani dal corpo istituzionalizzato, centrale nella riflessione foucaultiana, ciò che emerge, ancora una volta è che il corpo è il filo rosso che attraversa la storia o le storie dell’individuo, che trova la sua immagine nelle determinazioni della storia. L’ambiguità del corpo sta proprio nell’essere non già un solo corpo, ma molteplici modalità di essere luogo di soggettività. Il corpo utopico, nella complessità in cui si danno la dimensione organica e quella simbolica, non separa l’utopia dal corpo, ma attiva un’antropologia in cui si combinano i saperi e i poteri, dalle scienze, ai miti. Il potere utopico del corpo esprime così libertà del soggetto di dare forma a se stesso, stile alla propria vita. Il corpo si dà come punto di riferimento multidirezionale rispetto alla singolarità; il suo potere utopico proietta il soggetto in altri mondi, verso altre forme381.
A partire dall’immagine del proprio corpo che si riflette nello specchio, fino a giungere all’esperienza della sessualità come via di fuga dal proprio corpo, passando attraverso letteratura, miti e rituali, Foucault propone una lettura del corpo più vicina all’approccio fenomenologico che non storico e archeologico, che caratterizza, invece, la produzione di quegli stessi anni382. Sorprende sentire Foucault parlare di «io» e alludere al corpo dell’esperienza; tuttavia, diversamente dal corpo fenomenologico, il corpo dell’esperienza è una condizione necessaria per l’elaborazione del sapere, ma non contraddice –e questo il punto dirimente rispetto alla prospettiva fenomenologica- il corpo della scienza. L’interesse del nostro Autore, infatti, non è legato all’esistenza del corpo,
381
Cfr., POTTE-BONNEVILLE M., Michel Foucault’s Bodies, in «Journal of the British Society for Phenomenology», 43, 1, 2010, pp. 1- 32.
382
Cfr., SABOT P., Linguaggio. Società, corpo. Utopie ed eterotopie in Michel
Foucault, in «Materiali Foucaultiani», vol. I, n. 1, 2012, pp. 17- 35, in particolare pp.
32- 33. Sabot rintraccia nel «corpo utopico» affinità tra la prospettiva teorica qui avanzata da Foucault e quella proposta da Maurice Merleau-Ponty in Phénoménologie
de la perception, in cui il corpo proprio è apertura percettiva al mondo e si sottare alla
riduzione oggettiva della categorizzazione scientifica che gli si vuole imporre. Cfr., MERLEAU- PONTY M., (1945), Fenomenologia della percezione, Bompiani, Milano 2003.
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ma all’ individuazione delle tecnologie del corpo e del soggetto, nella fitta trama che si intesse tra storia e libertà.
Quale immagine migliore se non quella che lo specchio, luogo esso stesso di utopia ed eterotopia insieme, restituisce del proprio corpo, per prendere in esame la relazione tra l’io e il corpo? Di un corpo che è «spietata topia»383, delimitato e delimitante nella pesantezza della sua materialità: «È irrimediabilmente qui, mai altrove. Il mio corpo è il contrario di un’utopia, è ciò che non sarà mai sotto un altro cielo, è il luogo assoluto, il piccolo frammento di spazio col quale letteralmente faccio corpo»384. Il corpo sembra incarcerare l’io, ma non secondo la celebre lettura platonica di anima e corpo: in Foucault non vi è dualismo tra corpo e utopia, ma indissolubile intersezione. L’io non può identificarsi se non nel corpo che gli è dato; appartiene irrimediabilmente al corpo più di quanto il corpo appartenga all’io: l’io non ha compiuto alcuna scelta rispetto al corpo, ma lo possiede così com’è, senza possibilità di liberarsene nella sua materialità.
Eppure, al contempo, è proprio il corpo che oppone resistenza alla sua stessa pesante materialità: «il corpo è l’attore principale di tutte le utopie»385, di utopie reattive, che spinge verso il paese dei folletti, dei geni e dei maghi, dove i corpi si fanno belli, limpidi, trasparenti, luminosi, veloci, potenti, eterni, sciolti, invisibili, protetti, trasfigurati sempre; laddove è possibile «un corpo incorporeo»386. Il corpo si dà nella paradossalità di poter essere utopia e contro-utopia, in quanto è sia uno spazio oggettivo dato all’io, sia tensione del corpo a essere fuori di sé. In questa seconda prospettiva, che risponde a una «fenomenologia dell’utopia»387, si va definendo un rapporto originario tra corpo e spazio vissuto, una relazione di libertà, che consente al soggetto di opporre resistenza, di operare una dis-locazione, per poter essere altrove. Per poter essere in molti modi.
383
FOUCAULT M., Utopie. Eterotopie, cit., p. 32.
384 Ivi, p. 31. 385 Ivi, p. 38. 386 Ivi, p. 33. 387
SABOT P., Linguaggio. Società, corpo. Utopie ed eterotopie in Michel
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La fiaba è il luogo dell’utopia. Ma luogo di utopia è anche la città dei morti, in cui il corpo è negato e trasfigurato, glorificato e reso eterno. Luogo di utopia è soprattutto il mito occidentale dell’anima, che sopravvive al corpo, rendendo la sua impotenza potenza di evasione, redenzione, eternità. Anche le utopie che vogliono trascendere il corpo nascono dal corpo. Ma proprio mentre sembra svanire tra magia, metafisica e religione, ecco che il corpo emerge dalla sua stessa ambiguità come luogo di utopia, sogno di corpi immensi, smisurati, che divorano lo spazio e dominano il mondo; desiderio di corpi altri; di spazi altri: «No, veramente non c’è bisogno né di magia né di fiaba, non c’è bisogno né di un’anima né di una morte perché io sia insieme opaco e trasparente, visibile invisibile, vita e cosa: per essere utopia, basta essere un corpo. Tutte queste utopie con cui cercavo di sottrarmi al mio corpo avevano semplicemente il loro modello e il loro punto di prima applicazione, il loro luogo d’origine nel mio corpo. Avevo torto a dire, poco fa, che le utopie erano rivolte contro il corpo e destinate a cancellarlo: sono nate dal corpo stesso e si sono, forse solo più tardi, rivolte contro di lui»388. Incomprensibile, opaco e penetrabile, visibile e invisibile, aperto e chiuso, il corpo è il luogo paradossale dell’utopia. L’utopia «vince» il corpo, mentre il corpo si «utopizza», si incarna, divenendo il «mio» corpo. Non uno spazio chiuso da cui fuggire, ma corpo vivo ed enigmatico nel suo vivere; corpo di cui si vorrebbe afferrare ogni dimensione, per coglierlo nella sua unità e completezza, ma di cui non resta che un incrocio di strade infinite389. Esso possiede luoghi senza luoghi, spazi di profondità, ha i suoi soggiorni oscuri e le sue spiagge luminose390. Il corpo utopico non è corpo empirico, ma trascendentale, ovvero capace, nella sua stessa immanenza, di sfuggire sempre al soggetto e proiettare quest’ultimo fuori di sé, verso forme disparate. È il corpo che abita il non-luogo dell’utopia e che assume i tratti del corpo proprio vissuto nella multidirezionalità dell’esperienza utopica. «L’utopia profonda e sovrana del nostro corpo»391 è espressione
388
FOUCAULT M., Utopie. Eteroptopie, cit., p. 38.
389
SABOT P., Linguaggio, società, corpo, cit., p. 32.
390
Cfr., FOUCAULT M., Utopie. Eterotopie, cit., p. 35.
391
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del corpo proprio, della relazione singolare e bizzarra, che può essere aperta e libera, che ciascuno ha con il proprio corpo.
«Ascoltate, per esempio, questo racconto giapponese […] “Il sole lanciava i suoi dardi sul fiume incendiando la stanza dalle sette stuoie. I suoi raggi riflessi sulla superficie dell’acqua formavano un disegno di onde dorate sulla carta dei paraventi e sul volto della fanciulla profondamente addormentata. Seikichi, dopo aver chiuso le porte, prese i mano i suoi strumenti da tatuaggio. Per qualche momento sprofondò in una sorta di estasi. Solo ora assaporava pienamente la strana bellezza della fanciulla. Sarebbe potuto restare seduto davanti a quel volto immobile per decenni o per secoli senza mai provare né stanchezza né noia. Così come un tempo il popolo di Menfi aveva abbellito la magnifica terra egiziana con piramidi e sfingi, Seikichi, con tutto il suo amore, volle abbellire la pelle fresca della fanciulla con il suo disegno. Le applicò subito la punta dei suoi pennelli colorati, tenendoli fra il pollice, l’anulare e il mignolo della mano sinistra, e via via che le linee si disegnavano, le pungeva con l’ago che teneva nella mano destra”»392. Maschere, tatuaggi, trucco sono linguaggi misteriosi che spostano il corpo in altri luoghi, fuori dal mondo e rendono il corpo il frammento di uno spazio immaginario in comunicazione con poteri e forze altri. Maschere, tatuaggi, trucco, possessione sono esperienza dell’utopia del corpo, che confondono il confine tra sacro e profano, io e altro, interno ed esterno: mettono il corpo fuori di sé, lo alterano, lo trasformano, lo rendono frammento di uno spazio immaginario in comunicazione con poteri segreti e forze invisibili, divinità e universi altrui.
Tuttavia, il potere utopico non si limita a linguaggi rituali del corpo, ma si apre alle tecnologie del corpo fino a raggiungere la dimensione della libertà del lavoro etico che il soggetto compie su di sé, a partire, per dirla con Nietzsche, dalla ragione del corpo. Il corpo dischiude le utopie chiuse in sé e rivolge contro se stesso il proprio potere utopico: «Il mio corpo, in effetti, è sempre altrove, è legato a tutti gli altrove del mondo e, in verità, è altrove rispetto al mondo. […] Il corpo è il punto zero del mondo; laddove le vie e gli spazi si incrociano, il corpo
392
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non è da nessuna parte: è al centro del mondo questo piccolo nucleo utopico a partire dal quale sogno, parlo, procedo, immagino, percepisco le cose al loro posto e anche le nego attraverso il potere infinito delle utopie che immagino. Il mio corpo è come la Città del Sole, non ha luogo, ma è da lui che nascono e si irradiano tutti i luoghi possibili, reali o utopici»393. Il corpo è l’incrocio delle tecnologie, lo spazio del paradosso, laddove coesistono possibilità di esistenza e di inesistenza; del qui, dell’altrove, del nessun luogo. Esso è uno spazio multidimensionale, eterogeneo e potenzialmente multiforme. Lo si può afferrare solo in maniera frammentaria o in modo indiretto: è utopia e fonte di tutte le utopie. «Più radicalmente ancora, secondo Foucault, è questa virtualità utopica che il corpo stesso incarna completamente e che lo sottrae definitivamente a questa apparenza di realtà tramite cui si impone a noi quotidianamente. L’utopia, infatti, non è un potere del corpo aggiunto e, per così dire, contingente; essa è invece la sua dimensione costitutiva, la sua realtà paradossale, al tempo stesso non assegnabile e fonte originaria di tutti i punti di riferimento (spaziali e temporali) e di tutte le attività del soggetto»394.
Di fronte alla «grande rabbia utopica che deteriora e volatilizza in ogni momento il nostro corpo»395, la morte, lo specchio, l’amore sono contro-utopie che reagiscono all’utopia e restituiscono il corpo nella sua interezza, in tutta la sua materialità, nel suo «fare corpo» e lo circoscrivono: «assegnano uno spazio all’esperienza profondamente e originariamente utopica del corpo»396.
Lo spazio vissuto del proprio corpo è immagine in cui trova una dimensione specifica la riflessione foucaultiana sul rapporto tra utopia ed eterotopia, avviata già con Le parole e le cose e portata avanti, seppur con declinazioni diverse, nelle due conferenze radiofoniche del 1966. Ne
Le parole e le cose la coppia utopia- eterotopia indica due diverse
modalità di rapportarsi al linguaggio; nella Prefazione si legge «Le utopie consolano: se infatti non hanno luogo reale si schiudono tuttavia in uno
393
Ivi, pp. 42- 43.
394
SABOT P., Linguaggio, società, corpo, cit., p. 32.
395
FOUCAULT M., Utopie. Eterotopie, cit p. 44.
396
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spazio meraviglioso e liscio; aprono città dai vasti viali, giardini ben piantati, paesi facili, anche se il loro accesso è chimerico. Le eterotopie inquietano, senz’altro perché minano segretamente il linguaggio, perché vietano di nominare questo e quello, perché spezzano e aggrovigliano i nomi comuni, perché devastano anzi tempo la “sintassi” e non soltanto quella che costruisce le frasi, ma anche quella meno manifesta che fa “tenere insieme” (a fianco e di fronte le une alle altre) le parole e le cose. È per questo che le utopie consentono le favole e i discorsi: sono nella direzione giusta del linguaggio, nella dimensione fondamentale della
fabula; le eterotopie (come quelle che troviamo tanto frequentemente in
Borges) inaridiscono il discorso, bloccano le parole su se stesse, contestano, fin dalla sua radice, ogni possibilità di grammatica; dipanano i miti e rendono sterile il lirismo delle frasi»397. Se all’utopia, che non esiste, bisogna assicurare uno spazio nel linguaggio, darle forma discorsiva, le eterotopie segnano la scomparsa dell’ordine proprio del linguaggio e la distanza tra le parole e le cose, generando una conseguente perdita di senso.
Nelle due conferenze del 1966, invece, la riflessione si sposta dal linguaggio ad altri siti, ovvero all’organizzazione e ai modi di essere dello spazio circostante, nonché ai modi di essere nello spazio e di rappresentarsi lo spazio.
«Non si vive in uno spazio neutro e bianco; non si vive, non si muore, non si ama nel rettangolo di un foglio di carta. Si vive, si muore, si ama in uno spazio quadrettato, ritagliato, variegato, con zone luminose e zone buie, dislivelli, scalini, avvallamenti e gibbosità, con alcune regioni dure e altre friabili, penetrabili, porose»398. In questo spazio eterogeneo dell’esperienza vissuta, tra «regioni di passaggio, le strade, i treni, le metropolitane; […] le regioni aperte della zona transitoria, i caffè, i cinema, le spiagge, gli alberghi, […] regioni chiuse del riposo e della casa»399, si delineano i «contro-spazi»400, «assolutamente
397
ID., Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, cit., pp. 7- 8.
398
ID., Utopie. Eterotopie, cit., p. 12.
399
Ibidem.
400
144
differenti»401 da tutti gli altri, che cancellano, compensano, neutralizzano, purificano gli altri spazi; si vanno definendo le eterotopie, che si caratterizzano per l’uso non ordinario dello spazio vissuto. Esse aprono a una pluralità infinita gli spazi vissuti: il cinema, il teatro, il giardino persiano con la sua quadripartizione, il cimitero, i musei, le biblioteche sono eterotopie in relazioni a polimorfe divisioni di spazi e tempi. E ancora i collegi, le caserme, le prigioni sono espressioni di eterotopie e della loro funzione di trasformazione, passaggio, rigenerazione. «Esse [le eterotopie] sono la contestazione di tutti gli altri spazi, e questa contestazione si può esercitare in due modi: o creando un’illusione che denuncia tutto il resto della realtà come un’illusione, […] oppure creando realmente un altro spazio reale tanto perfetto, meticoloso e ordinato, quanto il nostro è disordinato, mal organizzato e caotico»402. Le eterotopie sono luoghi effettivi e che da sempre caratterizzano le società umane: dalla caserma, all’ospedale, dal cimitero, al teatro, al museo, che sembrano realizzare le utopie, ovvero quegli spazi che nascono senza luogo.
Le eterotopie con i loro sei principi segnano il passaggio dal primato delle norme biologiche a quello delle norme sociali, in cui esse si formano a partire dalla trasformazione degli individui e dei gruppi che costituiscono la società. «Essa definisce, nel senso forte del termine, un’esperienza, ossia la traiettoria di un divenire individuale o collettivo, in quanto essa si articola con uno spostamento topologico»403. Le eterotopie sono luoghi di passaggio, trasformazione, formazione: «La nave è l’eterotopia per eccellenza»404, luogo senza luogo, chiuso in sé, ma aperto nell’infinità del mare. Le eterotopie, dunque, sono come spazi di trasformazioni, in cui prendono forma gli esperimenti di sé e del sociale.
«È chiaro tuttavia che l’insieme di questa riflessione trova la propria coerenza profonda nell’idea che non c’è uno spazio dato senza
401 Ibidem. 402 Ivi, p. 25. 403
SABOT P., Linguaggio, società, corpo, cit., p. 27.
404
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questi “spazi altri” che lo arricchiscono o lo contestano, ossia lo aprono infine alla possibilità di un divenire»405.
1.2.Tecnologie politiche e corpi
Mettere a tema il soggetto, fuoco dell’intera riflessione di Foucault, significa muovere dal corpo, come ciò che ci è più vicino406, e dallo sguardo della storia effettiva, che fa luce sulle iscrizioni presenti sul corpo, che dicono delle discontinuità, delle rotture, della pluralità degli eventi e dunque delle verità. «Noi pensiamo in ogni caso che il corpo almeno non ha altre leggi che quelle della fisiologia e che sfugge alla storia. Errore di nuovo; esso è preso in una serie di regimi che lo plasmano; è rotto a ritmi di lavoro, di riposo e di festa: è intossicato da veleni. Cibo o valori, abitudini alimentari e leggi morali insieme; si costruisce delle resistenze»407.
Oggetti di sapere scientifico e di strategie di potere, i corpi sono sempre luoghi di iscrizione dei segni di pratiche epistemiche e politiche. Essi emergono nei chiaroscuri che si determinano tra sapere e potere, nei cui ingranaggi va letta la possibilità di comprensione del corpo e delle sue verità.
Nelle analisi di Foucault il corpo ha una funzione discorsiva408: nelle sue pagine a essere messo a tema non è il concetto di corpo, ma i discorsi sul corpo. I discorsi sulla vita, dalla biologia alla genetica, alla genomica, fino alla statistica, al diritto, alla sociologia non sono di per se stessi né veri né falsi, ma sono funzionali alle forze di azione. Il sapere sul corpo, come quello fisiologico, organico, è possibile proprio a partire dall’esercizio del potere409. È possibile parlare del corpo, solo
405
SABOT P., Linguaggio, società, corpo, cit., p. 35.
406
Cfr.,FOUCAULT M., Nietzsche, la genealogia, la storia, ivi, pp. 29- 54: 45.
407
Ivi, pp. 42- 43.
408
MCWHORTER L., Culture or Nature? The function of the term “body” in the
work of Michel Foucault, in «The journal of philosophy», vol. LXXXVI, n. 11,
1989, pp. 608- 614: 609.
409
FOUCAULT M., Potere e corpo, in ID., Microfisica del potere. Interventi
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osservandolo e leggendolo attraverso le maglie del rapporto che si intesse tra sapere e potere: queste ultime consentiranno non già di comprendere, ma di prendere posizione410. La relazione sapere-potere si articola tutta sui corpi: essa è depositaria dei corpi, mentre i corpi la rivelano.
Ciò che conta, dunque, non sono i discorsi di verità, ma gli effetti che questi discorsi, produttori di verità- sempre instabili e plurali-, comportano, in quanto visibili negli oggetti cui danno forma. Visibili nei corpi e dunque nelle soggettività che ne emergono. Il corpo è superficie di iscrizione degli avvenimenti, luogo di dissociazione dell’Io, in costante frammentazione e ricostruzione411. Non è una verità naturale: esso si oppone nettamente non solo al concetto di una natura già data, ma al dualismo natura/cultura e ai dilemmi che da qui si levano. Nella prospettiva foucaultiana non c’è natura al di fuori o al di sopra dell’accadere storico e delle pratiche discorsive. Il corpo si dà come funzione discorsiva ed emerge come una pluralità che resiste a ogni tentativo di essere catturato o contenuto in una definizione. Al di sotto o al di sopra del corpo non c’è alcuna concezione metafisica o metastorica